Tumgik
#però se ti dico che sono da sola a casa per quattro giorni e non posso andare a milano perché non guido e non posso camminare tanto
omarfor-orchestra · 2 years
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Ritrovo un post scritto da me nel 2016 e rimango senza parole.
30/12/16
Pare che domani sia l’ultimo giorno dell’anno 2016.
Di solito, arrivati a questo punto, si comincia a tirare le somme e, non dimentichiamoci, non si può non pensare ai buoni propositi per l’anno che viene.
Io credo che guarderò a quest’anno come ad un periodo di transito, di cambiamento, di innovazioni e spinte. Ho lavorato, ho studiato, vissuto a Venezia, lottato contro il dolore, stretto rapporti indelebili e poi, a metà, sono partita.
Barcellona. Già so che sarà per tutta la mia vita un nome che mi porterò nel cuore. Ho creduto e voluto così ardentemente questo grande cambiamento e l’ho temuto con la stessa incisiva intensità con la quale l’ho bramato; alla fine sono partita. Ho affrontato con questo erasmus tutte le mie più grandi paure: l’incertezza, la solitudine, il distacco da casa e dalla famiglia ed infine, il fallimento. Mi scontro tutti i giorni con la paura di fallire. E no, non è sempre facile. In alcuni momenti credo che possa avere la meglio, ed effettivamente, mi vince. Capita che io mi senta fallire nel profondo, che mi senta terrorizzata. Paralizzata, incapace di gioire per le cose belle, di essere entusiasta per l’esperienza che sto facendo, di essere grata per questa tremenda opportunità che mi sono regalata e mi è stata possibile. Però, sono ancora qua. E si, oggi è l’ultimo giorno dell’anno (è passata la mezzanotte) e io posso dire di aver passato quattro mesi in Spagna e che sono stati incredibilmente pieni. Carichi di emozioni forti, di scosse positive, di dure prove e di risultati. Posso raccogliere i risultati di questi sforzi che ho fatto? Lo riesco a vedere, a sentire, quanto io sia cambiata, maturata?
Ed è qui che voglio ricominciare a lavorare, a riprendere ad allenarmi. Voglio davvero ricominciare ad essere capace di guardarmi dentro. Sono sempre stata tanto brava a leggere dentro me, a conoscermi, a sentirmi pervadere dalle passioni e dai sentimenti. Sono sempre stata vigile e reattiva agli stimoli del cuore. Sono sempre stata incline a farmi trasportare dal vento della vita, quella emotiva, quella che si cela e si muove nel profondo.
Il dolore mi ha resa sterile, questo lo dico sempre. La paura di guardare dentro me e leggervi ancora sofferenza mi ha resa cieca a me stessa, incapace di sentire. Provare emozioni.
Voglio rinascere in questo 2017 e voglio l’amore. L’amore prima di tutto verso me stessa. Voglio smetterla di provare astio nei miei confronti perché non riesco a reagire nella maniera che vorrei, perché provo paura e perché si, sono debole. Voglio smetterla di vivere le mie debolezze come fossero un problema. Voglio smetterla di vivere i brutti momenti con il timer acceso, pronta a re-indossare il sorriso allo scoccare della scadenza del tempo che mi concedo. Voglio smetterla di vivere il dolore come un problema. Di rispondere “sto bene” quando sto male, di cacciare giù le lacrime se ho bisogno di piangere, di essere perfino capace a non sentirle, le lacrime.
Voglio riappropriarmi del mio cuore, nel bene e nel male. Voglio ridonargli il mio supporto, la mia comprensione, la mia pazienza. Voglio imparare a non avere paura dello scorrere del tempo. Voglio vivere gli attimi un po di più, pensare al futuro ed al passato un po di meno. Voglio imparare a sentirmi piccola, e ad esserne felice; a sentirmi fragile, e ad esserne intenerita; a sentirmi ingenua, e ad esserne sorpresa; a sentirmi inesperta, e ad esserne divertita. Voglio farmi scendere dal mio piedistallo, perché si, le ambizioni che nutro per me sono troppe e troppo esigenti e no, non mi rendono felice. Voglio imparare a puntare dritto qualche volta, smettendola di vivere con gli occhi verso il cielo, in attesa che mi piova addosso qualcosa. Non si sa mai che guardando avanti possa raggiungere una scala, possa salire comunque.
Voglio rinascere in questo 2017 e voglio l’amore. Voglio riappropriarmi del mio cuore, nel bene e nel male. Voglio trovare la fede in Dio, e sentirmi una persona che cammina verso una meta diversa. Una meta interiore. Rivoglio i valori, i veri valori. Rivoglio sentirmi pulita, fedele, speranzosa.
Non voglio che sia la rassegnazione a guidare il mio cammino di guarigione. Piuttosto ecco, l’accettazione. Accetto che possano esserci ostacoli nel mio cammino, accetto il fatto che il mio corpo possa esserlo in primo luogo, la mia mente e io stessa, nel profondo. Accetto il fatto che non arriverò sempre alla meta che mi prefiggerò, d’ora in avanti nella mia vita. Accetto i fallimenti, quando arriveranno; le sconfitte, gli imprevisti che non posso controllare o risolvere. Accetto la mia fragilità, la mia confusione, la mia insicurezza. Accetto la mia complessità e la mia personalità che neppure io so bene inquadrare. Accetto di non poter essere la persona perfetta che vorrei, la persona forte che vorrei, determinata come vorrei, indipendente come vorrei. Accetto i miei difetti, accetto la mia crescita. Accetto il fatto che la maturità mi abbia resa più fragile sotto certi aspetti, più saggia sotto altri, ma anche più paurosa e meno speranzosa.
Si, sono cresciuta e ciò che ho vissuto, a partire dalla rottura della storia con Davide, mi ha resa forse più insicura, più timorosa. E va bene, lo accetto. Non si può combattere contro la vita, dichiarare guerra a se stessi perché le cose non sono andate come le volevo io. Accetto di non essere onnipotente, di non poter scegliere tutto o controllare tutto o gestire tutto.
E’ tutto ok Giulia, è tutto ok se a volte ti senti sola, o incompresa, o impaurita, o non abbastanza. E’ ok, stai combattendo contro tante cose e stai affrontando le tue paure più grandi, continua a farlo fin quando lo riterrai uno sforzo che vale la pensa di essere compiuto. Continua a pensare alla tua pancia che si blocca se ti fa paura, continua a pensare al tuo grande amore che non arriva se ti senti preoccupata. Continua a chiederti quando arriverà il momento il cui ti sentirai guarita. Ma ecco, credo che la mia crescita mi abbia portato la consapevolezza che la vita non può essere un quadretto perfetto. Ci sarà sempre, in qualsiasi momento, un punto grigio, uno strappo, una sbavatura. E allora è inutile inseguire la perfezione, inseguire dei sogni ed obiettivi utopici. Vivo a Barcellona e si, sono occupata a pensare a quello che mi manca, a quello che potrebbe accadermi di brutto o a come potrebbe essere meglio. E invece a volte basterebbe che guardassi a come sta andando questa esperienza, e a come sia bellissima così com’è, strana ed imprevedibile e non sempre facile ma sconvolgente, nel bene e nel male. Voglio lasciare la rabbia alle spalle. Voglio lasciare l’ambizione.
Per questo 2017 voglio imparare a sentirmi piccola, debole, imperfetta e comunque, e proprio per questo, accettare e amare me stessa.
Questo è il mio grande proposito.
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app-teatrodipisa · 4 years
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Alba, si va? — Francesca Petrucci
Alla mia età, che vuoi che sia non uscire. Come se uscissi tanto, a cose normali. Esco poco, però uscire mi serviva. Mio marito, pover’uomo, non ci sta più con la testa, e io la mattina presto, alle otto, andavo a fare la fisioterapia qui alla Asl, poi mi fermavo a comprare il pane, e il giornale, la spesa se serviva alla coppina. Un po’ di pensiero ce l’avevo, perché lui a lasciarlo solo in casa non lo sai cosa può combinare. Però la mattina di solito dorme, per via delle gocce che prende per stare buono la notte, che Dio solo lo sa quello che mi ha fatto tribolare prima che il dottore gli segnasse le medicine. 
Si svegliava, si agitava, non capiva dov’era e a volte neppure mi riconosceva; si voleva vestire, uscire, andare a casa sua, e io cercavo di calmarlo, di spiegargli, ma dovevate vedere come mi si rigirava a cattivo. Più lo prendevo per le buone, più si imbestialiva. Una notte mi fece anche paura, non che abbia tante forze ormai, è tutto pelle e ossa rattrappite, ma insomma anche io non son più quella di una volta e un ginocchio non mi tiene quasi per niente. Mi prese per un polso che io quella forza lì non so da dove la prese, e mi chiamò brutta puttana. Non era in lui, e io non sapevo che fare. Se infilava la porta e usciva addio. I miei figlioli stanno lontani, di certo non li potevo chiamare nel cuore della notte per dirgli venite a fermare babbo che dà di matto e vuole scappare di casa. Me la dovevo sbrigare da sola, tanto per cambiare. Allora mi venne un’idea e gli dissi: “Va bene, Vasco, va bene, hai ragione te, devi uscire, non t’agitare. Vestiti e vai nel bagno che io ti faccio il caffè e poi vai, eh”. Funzionò, nel mentre che era nel bagno e che io preparavo la moka con le dita tremanti che non mi riusciva neanche chiuderla e il polso che ancora mi faceva male, passò un quarto d’ora. Quando uscì dal bagno mi guardò con quello sguardo annacquato come il vino che gli metto nel bicchiere: un dito appena, che gli garbava tanto e levarglielo mi piange il cuore. Mi guardava e stava zitto, tenendosi su i pantaloni del pigiama con tutte e due le mani, stringeva le labbra come un bimbetto e stava zitto. “Vasco, allora, tutto a posto, sei pronto?” gli dissi. Lui fece di sì con la testa, e m’arrivò un tanfo che mi strinse la gola. S’era cacato addosso, e della voglia di uscire se n’era dimenticato.
Lo spogliai tutto e lo infilai nella vasca, il pigiama dallo schifo lo buttai nel secchio, lo lavai con acqua calda e sapone, poi lo improfumati per bene con il borotalco e lo vestii bello pulito;  quando si tornò a letto erano le quattro passate. Lui si riaddormentò subito, io non ci fu verso di chiudere occhio e alle sette ero già in piedi un’altra volta.
Da quando prende le gocce invece dorme, è più calmo, puttana non mi c’ha più chiamata, ma a parte me, non riconosce nessuno, neppure i figlioli.
La mattina quell’oretta fuor di casa mi ci voleva. Mi aiutava a non diventare matta come lui, che poi il dottore dice che non è matto, è solo demenza senile, per via degli anni, o forse anche Alzheimer, perché appunto spesso dice cose senza senso o che riguardano il passato, ha fatto la guerra, e di quel periodo prima non ne parlava mai volentieri, ora invece racconta, piange alle volte, scuote la testa, batte il pugno sul tavolo. Mi fa una pena che non ve lo posso dire.
Il pomeriggio, dopo il riposino lo portavo giù a fare una giratina, non quando è freddo e il tempo è brutto, ma appena arrivavano i mesi buoni si scendeva e si camminava fino al parco. Ci si sedeva sulla panchina, a guardare i bimbetti giocare fra loro, e io invidiavo sempre quelle nonne che badavano i nipoti. Io non me li son potuti godere, son cresciuti vedendo i nonni poche volte l’anno, troppo lontani, la scuola, il lavoro, e lo sport. Tempo per venire da noi ce n’è sempre stato poco e lo capisco, ora poi. Cosa vuoi stare dietro a due vecchi rimbecilliti.
Da quando non si può più uscire Vasco è peggiorato. Non me n’ero accorta, ma a lui il fatto di scendere a fare la nostra giratina gli faceva parecchio bene. L’aria aperta, camminare, la luce, guardare gli altri. Non diceva nulla, però si tranquillizzava, si stancava, a fare quattro passi, e le scale.
Ora tutti i pomeriggi mi fa la stessa domanda: “Alba, si va?”. E tutti i giorni gli rispondo allo stesso modo: “Vasco, non si può uscire”. Le prime volte gli dicevo che era ancora troppo freddo, poi che era tardi, sempre una scusa diversa, ma tanto lui se lo dimentica cosa gli dici. Sicché non gli sto più a dare una spiegazione, gli dico che non si può e basta. E lui diventa più triste, gli faccio la merenda quando si alza, poi lo metto in poltrona e accendo la televisione. Tutti i canali parlano di questo virus, di morti, di ospedali pieni, di negozi chiusi, di chi perde il lavoro…e mi monta l’angoscia. Vasco non si rende conto, almeno spero. Io dopo un po’ cambio, cerco qualche vecchio film, o telenovela, anche se non ci sono più quelle che mi piacevano tanto. Vasco andava matto per i film western, e quando ne danno uno lo guarda e sorride contento come un bimbetto. Perché ormai sembra proprio un bimbetto, come fosse andato indietro con gli anni, invece che avanti. Mi fa tenerezza, vedere quel che è diventato, lui che era un uomo allegro, sempre attivo, che non si dava mai per vinto e tutto si risolveva in qualche modo, anche quando non s’aveva una lira e di soluzioni ce n’erano poche, perfino per mettere insieme il pranzo con la cena e tirar su due figlioli.
Ora non si sa più cosa sperare. Che questo momentaccio passi, ma non per noi che tanto siamo vecchi e ormai il nostro s’è fatto. Certo, non si può uscire ma insomma, ve l’ho detto, è il meno. Penso a tutti quei giovani, che c’hanno da sfamare la famiglia e perdono il lavoro, è per loro che spero che passi presto e le cose possano tornare come prima. Per noi tutto quello che chiedo al Signore è che ci lasci qui boni boni, finché non passa la bufera. Vasco non c’è più con la testa, a volte me la fa perdere anche a me, ma si sta insieme da più di cinquant’anni, tutta la vita, senza di lui non saprei neanche da che parte scendere dal letto.
Da qualche giorno ha un po’ di tosse, gli dico che non si può uscire per quello, mi pare abbia anche un po’ di temperatura, quando stasera gli do le gocce gliela misuro.
Stanotte ha avuto la febbre alta, gli ho messo delle pezze bagnate sulle tempie, si agitava, delirava. E poi quella tossaccia secca maledetta che sembra gli voglia uscir fuori dal petto scheletrico, spaccarglielo in due; a tratti pare gli manchi l’aria.
Stamani mattina ho chiamato il dottore, ma quello non veniva neppure quando non c’era questo virus, figuriamoci ora se si scomoda per un vecchio.
“Gli dia lo sciroppo sedativo – ha detto – e la tachipirina, se tra tre giorni non passa la febbre gli segno l’antibiotico”.
“Ma non sarà il virus dottore?” ho risposto io.
“Signora, se avevo la palla di vetro facevo il mago, non il medico, le pare? Ad ogni modo virus è un virus per forza, come l’influenza”.
Bella risposta del cavolo, pezzo di imbecille. Se facevi il mago almeno avevano risparmiato per farti studiare, gli avrei voluto dire, ma son stata zitta.
Sono andata in farmacia, il dottore è tanto carino, mi ha dato un numero da chiamare, perché secondo lui è importante fargli fare il tampone.
Vasco a tratti sembra abbia perso conoscenza, ormai son tre giorni pieni che ha la febbre, ieri pomeriggio ho richiamato quel pezzo di cretino di dottore, non c’era verso di parlarci e alla fine ho lasciato detto alla segretaria: ha detto che mi lasciava la ricetta per l’antibiotico giù nella cassetta, con il suo nome sopra.
Un’altra nottata di tosse e affanno e febbre. Stamani mattina presto sono andata a prenderla, il farmacista mi ha chiesto se ho chiamato il numero, gli ho detto che era occupato e che il dottore gli ha segnato la medicina, speriamo vada meglio con quella.
Lui ha annuito dietro la mascherina e non ha detto nulla. Mi fa un effetto strano vedere la gente con la mascherina, e con i guanti, mi sembra di essere in una enorme sala operatoria, come se si fosse tutti pazienti da operare. E forse è così.
Forse questo maledetto virus ci ammazzerà per davvero, a cominciare da noi vecchi, che siamo i più deboli e tanto non gliene frega nulla a nessuno se ci si lascia le penne. Anzi forse qualcuno è anche contento: pensioni risparmiate. Il mondo dei vecchi non se ne fa di nulla, siamo un peso e basta, a partire dai figlioli in su.
Cerco le chiavi, mi trema un po’ la mano. Apro il cancellino, poi il portone del palazzo. Devo fare tre piani di scale, l’ascensore non ci si può mettere e l’amministratore ha detto che alle persone anziane fare le scale fa bene. Ti farebbe bena ma a te con quella pancia, ma tanto poi sto zitta e quel che penso non lo dico mai, alla mia età ho imparato che non conviene.
Mi pare che non regga neanche la gamba buona stamani, o che mi prende. Via Alba, mi dico, non ti fare impressionare. Metti un piede dopo quell’altro e porta a Vasco la medicina. Pover’uomo, quando sono uscita stamani m’ha fatto un’impressione, in quel letto pareva un ramo secco, gli occhi in fondo a due buchi che ci galleggiavano come palline in un pozzo.
“Torno subito Vasco – gli ho detto toccandogli la fronte che scottava ancora – ti vado a prendere la medicina che ha detto il dottore, vedrai che poi stai subito meglio”.
Lui mi ha fatto di sì con la testa, la bocca spalancata vuota di denti.
Sono uscita con l’uggia allo stomaco, forse anche perché ero digiuna, svelta giù per le scale per fare prima possibile.
Mi aggrappo forte alla ringhiera e conto i gradini. Lo faccio spesso, lo so che ce ne sono 52, mi sembrano troppi oggi, 52 scalini. Vorrei che qualcuno mi pigliasse sotto alle braccia e mi portasse su di peso. Al 34esimo scalino faccio una pausa, mi manca il fiato. Non mi verrà mica la febbre e la tosse anche a me? E se ce l’ha davvero questo virus, il mi’ Vasco, non è che è meglio se si va all’ospedale?
Riprendo con fatica a salire le scale, all’ospedale ti ci portano e poi resti solo. L’ho visto alla televisione come succede, tutti quei poveri vecchi sulle barelle per i corridoi attaccati all’ossigeno. No via, il mi’ Vasco non ce lo lascio da solo, chissà come fa da solo, loro non lo sanno mica prendere, e poi a lui gli ci vuole di stare a casa sua, tranquillo, il dottore ha detto che con l’antibiotico la febbre gli passa. Va bene che non sarà il più bravo del mondo, ma lo saprà, è un dottore.
Mi manca l’ultima rampa, o brava Alba, lo vedi che ce la facevi, invece di frignare muoviti e vai a vedere quel pover’omo.
Infilo la chiave nella toppa, la mano mi trema, o maledetta te! Ti sbrighi! Finalmente in casa. Mi levo il cappotto, appoggio le chiavi. Le mani, subito a lavarsi le mani e intanto lo chiamo: “VASCO! Sono tornata eh, ora arrivo!”.
Bene con acqua e sapone, per un minuto.
“Prendo l’antibiotico e te lo porto! – gli urlo dalla cucina – anche un pochino di tè, lo vuoi vero? Con du’ biscottini così non lo pigli a stomaco vuoto che ti da noia lo sai!”.
Metto sul fuoco il pentolino dell’acqua e mentre aspetto che bolla m’affaccio in camera a vedere come sta.
Bello tranquillo, dorme giù, menomale. Socchiudo la porta. Dorme. Bello tranquillo. Faccio il tè, lo verso nella tazza e prendo tre o quattro marie da inzupparcele e la pasticca dell’antibiotico. Mi dispiace svegliarlo, ma son le dieci e l’ora giusta è ora, così stasera poi lo ripiglia prima di dormire. Ogni dodici ore, ha detto il dottore e anche il farmacista, che mi fido più di lui che di quell’altro.
Metto tutto su un vassoietto e vado in camera per svegliarlo.
“Vasco… – mi trema appena la voce, appoggio il vassoio sul cassettone – Vasco”.
Mi avvicino, spalanca occhi e bocca come se avesse sentito uno sparo. Mi s’era gelato il sangue, Ossignore, mi giro a prendere il vassoio, lo tengo stretto perché oggi questo ginocchio proprio va per conto suo.
“Vasco, ora ci si tira su e si beve il tè eh”.
Fa di sì con la testa, o almeno mi pare, poi prende una gran boccata d’aria, mi guarda e resta così. Con la bocca spalancata. Mi cade il vassoio dalle mani e il mondo addosso, il tè bollente mi ustiona le gambe, ma non sento nulla, tutto prende a girare, intorno a me, un vortice che mi confonde la testa e me la svuota.
Guardo Vasco, cercando nel vuoto della sua bocca le parole che non escono dalla mia.
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minebreakdown · 4 years
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MICHAEL CLIFFORD ITALIAN FANFICTION.
Tumblr media
-Coma; 0| prologue
A volte la vita è proprio ingiusta
Non pensavo che un mal di pancia mi avrebbe fatta finire in ospedale, eppure eccomi qua, seduta nella sala d'attesa dell'ospedale di Sidney aspettando un medico mentre mi contorco in una di queste stupide poltrone scomode.
Accanto a me c'è mia madre che legge una rivista come se nulla fosse. Solo ogni tanto si degna di guardarmi, e questo solo quando gemo dal dolore. Si gira e  «tra poco arriva, tranquilla».
Tranquilla un cazzo, c'è un demone nella mia pancia.
Siamo qui da circa un'ora e in tutto questo tempo ho osservato gli infermieri correre da una parte all'altra dell'edificio con una cartellina in mano, sono arrivata a tredici, anche se penso che uno l'abbia visto più di tre volte.
Ultimamente sono stata male di stomaco, in entrambi i sensi. Manca solo un mese all'inizio del college e se non fossi venuta il più presto possibile me lo sarei portata fino al matrimonio, anche se nessuno sposerebbe mai qualcuna che si lamenta per il mal di pancia ogni secondo.
Quando la porta si apre io sono la prima ad alzare lo sguardo. Ne esce una signora sulla cinquantina con i capelli legati con una molletta e si intravedono delle occhiaie anche sotto il trucco.
«numero 45» alza lo sguardo e in una frazione di secondo sono in piedi «accomodatevi» vedo con la coda dell'occhio lei che chiude la porta alle spalle di mia madre.
Sembra l'inizio di un film horror, uno di quelli in cui i dottori rinchiudono i pazienti nei contenitori con quel liquido verde e gli studiano per formare i loro cloni, che però si dimostrano pericolosi e uccidono la razza umana.
Mi definisco una persona sognatrice, e ultimamente lo sono il doppio, forse per colpa del mal di testa, o forse perché mi deve arrivare il ciclo. Santo cielo. Non quello.
Mentre cammino faccio qualche smorfia per il dolore, ho la nausea e tanta voglia di vomitare addosso all'infermiera.
Entriamo in una stanza e mentre mi stendo sul lettino guardo mia madre, che mi sorride per incoraggiarmi. Ho sempre avuto paura degli ospedali, dovrebbero trasmettere conforto, ma l'idea che danno è completamente diversa da quella di una casa.
Faccio due respiri profondi prima dell'arrivo del dottore. «Ciao!» per essere calvo sembra euforico «Ciao» lo saluto a mia volta. «Come ti chiami?» ti prego, non quella domanda
«Ivy»
«Evil?»
«No» lo sapevo «Ivy»
«Evil» stupido accento australiano
«No, I-V-Y» lui ridacchia, io rimango impassibile.
«Capito, scusami, dimmi cos'hai, Ivy» mi chiede gentilmente. Prima anche io ero molto gentile e disponibile, poi la gente ha iniziato ad usarmi, adesso cerco di essere più fredda possibile, almeno con quelli della mia età. Mi chiedo perché la gente debba essere così meschina, ho sempre dato il meglio di me e loro mi rispondono così. Sarà per questo che ho pochi amici.
Quando vede che esito ci pensa mia madre a spiegargli il mio malessere, non la ascolto neanche, mi gira la testa.
Potrò sembrare noiosa e apatica, ma tutto quello che in questo momento voglio fare è dormire.
È passato mezz'ora da quando ho fatto la pipì, e il medico sta osservando attentamente tutte le cellule che la compongono. Ecco perché non ho intenzione di fare la dottoressa: non studierò mai così duramente per poi guardare la pipì delle persone al microscopio.
Quando torna mister mastro lindo sono ad un passo dall'addormentarmi.
«Sei disidratata» mi dice ��È una conseguenza del virus intestinale, dovremmo tenerti ricoverata qua in ospedale per circa 2 mesi con la flebo, in modo da ridarti tutte le sostanze di cui hai bisogno»
Un'inferniera entra nella stanza e porge una tazza fumante al dottore, che poi la passa a me «è una camomilla con una goccia di sonnifero, ti addormenterai più facilmente e ti passerà per qualche ora il mal di pancia» ne bevo un sorso annuendo, e piano piano continuo.
Si gira verso mia madre «se in questi giorni diceva cose insensate è per la carenza di queste sostanze» ah, ora si spiegano tante cose.
«Probabilmete prima di addormentarsi sarà un po stordita, è un effetto del sonnifero. Raramente si comportano in modo strano, ma quando capita muoio sempre dal ridere» dice sorridendo, nei suoi occhi c'è un luccichio
Siamo in silenzio da circa un minuto nella stanza mentre sia io che il dottore - ma soprattutto mastro lindo- contempliamo la faccia di mia madre dopo le sue parole. Credo che le uniche cose che abbia sentito siano "ricoverata" e "2 mesi". Mastro mi guarda.
«Mi chiamo Ivy»
***
Il signor pelato ci ha accompagnate nella resempion, e sono sempre più convinta di essere in un hotel. C'è troppo bianco in questo ospedale. Manca il nero, voglio il nero. Così chiudo gli ochhi.
«Devo registrare mia figlia, dev'essere ricoverata, il dottore sta già preparando una flebo» dice mia madre, Jocelyn.
«Certo, mi dica il nome di sua figlia» sono mezza morta sul bancone.
«Ivy Ryan»
«Evil Ryan?»
«No-» «Mi chiamo I-V-Y» grugnisco sopra la puperficie di legno
"Oh cielo, scusami cara. Vuoi mangiare quslcosa prima che arrivi il dottore?» non dico niente.
L'hostess guarda mia madre, la sento mente le dice di aspettare un minuto o due o quattro, poi torna con dei fogli di carta e una penna nera. «Compili questi, io cerco un posto libero, oggi abbiamo avuto diverse visite e molti anziani sono qui». Jocelyn, anche detta da me mamma, scrive sui fogli compilando domanda per domanda. -allergie? No-
-causa del ricovero? Disidratazione-. Poi non riesco a leggere più niente.
Sento il rumore dei stasti del computer, così alzo lo sguardo, l'hostess sembra preoccupata. Cerca ancora e ancora e le trema il mouse sotto la mano abbronzata.
«Abbiamo finito le camere, non ci posso credere!» dice con gli occhi sgranati «come sarebbe a dire scusi?» la barista guarda mia madre e dalla sua faccia sembra che abbia visto un cane alato con le corna.
«Aspetti, c'è un letto libero, ma dovrà stare nella stessa camera di un ragazzo, che è in coma, mi dispiace ma non abbiamo altre alternative»
Mia madre prova a dire qualcosa ma nello stesso momento arriva mastro lindo con un lettino e flebo, che sta portando una suora dietro di lui.
«Vieni Ivy, ti aiuto a salire sul lettino» mi dice dolcemente la suora «Grazie sorella, ma ce la faccio da sola» metto una gamba sopra il letto. Cazzo, ha le rotelle.
Per sbaglio spingo via il carrello della spesa, no aspetta... Sono confusa. Mi giro verso mastro lindo e scoppio a piangere. «Perché il carrello non mi vuole bene?!» «Ma certo che ti vuole bene, è solo timido, forza fatti aiutare»
Sento la voce della hostess che si rivolge a mia madre «forse dovrebbe portarla in qualche clinica» bisbiglio un "non prenderò mai più questo aereo" prima che mi prendano in braccio e mi stendano sopra il carrello, spero di essere una scatola di cereali.
«Andrà tutto bene, ok?» mi dice la suora. «Ti piacciono i cereali?» alza lo sguardo verso mastro lindo che annuisce come per dire "assecondala e non fare domande".
"Si, tantissimo» la guardo, lei mi guarda, sembra spaventata, io corrugo la forte, poi realizzo.
«AAAAAAAHHHH»
«Cosa c'è Ivy?!» mi chiede mia madre spaventata. Mi fa male la testa, voglio morire. Ma nessuno sposa le ragazze morte, appare il tipo umano che deve sposare la tipa morta nel film "la sposa cadavere". Ricordo di essere scoppiata a piangere
«Mamma» «Si, sono qui» dice preoccupata «La suora mi vuole mangiare» mi guarda come se fossi pazza ed io mi metto a ridere «Sono piena di grassi e calorie, ma shhhh»
Alza lo sguardo verso la stronza hostess «Non mi interessa con chi è in camera, basta che ve ne prendiate cura»
Mastro lindo guarda la hostess a sua volta, mentre io sto ancora ridendo. Sento le lacrime agli occhi. «Quindi?» trattengo il respiro «Stanza 489».
Mastro lindo la guarda. «Ma c'è già-» «Siamo pieni. Stanza 489, con Michael Gordon Clifford»
Che bello, immagino già le nostre avvincenti conversazioni. Chissà se a lui piacciono i cereali...
È la prima volta che posto una mia fanfiction qua su Tumblr, spero possa piacere...?
-rae
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wendymotorcycle21 · 4 years
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La bestia nera. La DPP ESISTE E UCCIDE.
Un bambino di cinque mesi è stato ucciso da sua madre, a causa dello scuotimento eccessivo. Una fragile vita spezzata, e un’altra, completamente a pezzi, distrutta, senza possibilità di redenzione. C’è chi la chiama assassina. Ma nessuno può sapere veramente cosa sia successo nella mente di questa donna, ve lo garantisco. Andiamo con calma. 
Questo non è un trattato di psicologia né niente di lontanamente simile. È il racconto di una persona che ha attraversato momenti molto difficili e incontrato mostri impossibili da sconfiggere del tutto. È molto lungo e prolisso, quindi accomodati e leggi con calma.
Iniziamo dal presupposto che ogni persona è diversa, ogni donna è diversa. Non esiste un manuale o un metodo univoco e universale su come essere madri né su come essere donne durante i primi mesi di vita del proprio figlio, in barba a tutti i corsi pre-parto e alle centinaia di libri a tema maternità letti in attesa di mettere al mondo la nostra creaturina. Un grosso problema di noi umani è che idealizziamo tutto: predisponiamo il nostro nido d’amore, il lettino, il fasciatoio, i completini, la borsa dell’ospedale; passiamo le ore a guardare siti internet per il miglior seggiolino, il miglior passeggino, la fascia portabebé, addirittura per lo svezzamento, paraspigoli ovunque, compriamo i pannolini di tutte le taglie esistenti per andare sul sicuro, e la nostra isoletta felice con un pargolo idealmente perfetto prende forma. Già ci vediamo lì, rilassate, con i capelli decenti e sorridenti, accomodate sulla poltrona messa appositamente per allattarlo in cameretta con il cuscino allattamento, e tutto va liscio come l’olio. Nel nostro sogno d’amore il bebè mangia, fa il ruttino, si addormenta nella sua culletta e noi ci possiamo dedicare a noi stesse. Ma tutto questo, in realtà, non esiste. E se esiste i casi sono due, o siete la Ferragni e avete una super nanny/ostetrica a domicilio H24 che sa come consolare i pupi più inconsolabili, o avete solo un gran culo che comunque, sappiatelo, non durerà.
Poi arriva il momento tanto atteso, il parto. L’ospedale, il parto, ed eccovi belle zozze di sangue con il vostro sgorbio (perché, detto onestamente, appena nati non sono sta gran bellezza: chi dice il contrario MENTE) addosso. Nella migliore delle ipotesi il papà, la nonna o chi per essi lo laverà seguendo le indicazioni delle ostetriche, e ve lo riporterà bello lindo, profumato e vestito, mentre voi... beh, voi mamme sticazzi, vi dovete arrangiare. Puzzate di sudore, o siete sporche di sangue? Fatti vostri. Se avete qualcuno che vi aiuta a lavarvi (e qualcuno che vi tenga il piccolo - non è detto che ve lo tengano nella nursery) bene, altrimenti, zero. Le visite dei parenti, gli accertamenti, le torte di pannolini. Magari già le prime ragadi al seno per un attacco scorretto e le ostetriche che, al posto di aiutarti, sbuffano e ti liquidano con sufficienza se chiedi loro delucidazioni. 
Ecco, non sono in grado di allattare mio figlio, il capezzolo inizia a sanguinare. Come farò a fare tutto il resto? Sono anche bloccata a letto a causa dei problemi che mi dà la ferita del parto. Ecco che in una manciata di ore il sogno d’amore è andato completamente in pezzi, e non ho neanche la forza di raccoglierne i cocci. Un senso di impotenza e inadeguatezza inizia a farsi strada, e il nano è nato da neanche un giorno. ‘nnamo bene, proprio bene, direbbe De Sica.
Con non poche difficoltà finalmente ce ne andiamo a casa. E le difficoltà sono appena iniziate, per me. Il bambino non prende peso, esame delle urine (a un neonato di quattro, QUATTRO giorni), del sangue e anche a me giusto per stare sereni. E pure il vaccino antirosolia a me, che pur essendo favorevolissima, avere la febbre era l’ultimo dei miei desideri in quel periodo. Se avessi avuto un indicatore dello stress in quei giorni, sarebbe stato oltre la stratosfera. Ho abbastanza latte? Si attacca bene? Non capisco, si attacca letteralmente ogni 30 minuti, piange come un’aquila, inconsolabile. Ha solo 24 giorni, non ha ripreso i grammi persi dal calo fisiologico. L’ittero è passato ma niente, il pediatra ci liquida in 10 minuti con un foglietto: aggiunta 120ml ogni pasto di latte plasmon 1. E che roba è, penso io. L’ostetrica del consultorio non è d’accordo: continua ad allattare, e tutto andrà bene. Ma sta figliola non prende peso, io non riesco ad alzarmi dal letto, sono sempre sola a casa, sono bloccata a letto con la bambina e ogni movimento necessario alla sopravvivenza (mangiare io; fare pipì, prendermi cura della ferita, cambiarle il pannolino) è una sofferenza indicibile. Certo, prima o poi guarirà. Ma intanto mi sento uno schifo, vedo altre mamme prendersi cura dei loro piccoli in maniera ineccepibile, da manuale, sempre in ordine, sorridenti, con i capelli in ordine. Io non indosso una tuta né niente che non sia un pigiama dal giorno del parto, a fatica sono riuscita a lavarmi lo stretto indispensabile, mi sento ripugnante, il mio corpo è deformato. Chissà quando ritornerò ad avere una routine normale, un aspetto normale, ad essere bella per mio marito?
Sento che l’ombra avvolge la mia mente, piano piano. Lento, ma inesorabile. Il mio mondo ideale non ha preso vita, la mia mente non lo accetta, e come ogni essere umano a cui tutto crolla addosso cerco un colpevole. Chi è il colpevole? Non io, di sicuro. Ho fatto ciò che dovevo, ho preparato la casa, ho fatto la borsa per l’ospedale... la colpa è senz’altro del bambino. Sì, dev’essere così, è così. Dovevo esserci io al posto di quelle mamme perfette. Di sicuro hanno solo avuto più culo di me, avranno avuto più sostegno... più sostegno. Mia suocera non fa che ripetermi di alzarmi, e dare il latte artificiale. Mia madre l’esatto opposto, di prendermi il mio tempo e allattare, anche se ciò significa fare tre giorni di fila con due ore di sonno complessive, alternate a notti di solo dormiveglia, di ansia apparentemente immotivata che ti impedisce di chiudere occhio. No, mamma e suocera, non siete d’aiuto così. Forse non so neanche io cosa veramente mi sarebbe d’aiuto, ma per carità, smettete di dirmi cosa devo fare. L’ombra mi stringe sempre di più. Le sento come ovattate, le grida di mia figlia che ha fame. Santo cielo, ti ho allattato 10 minuti fa, dieci! Adesso stai lì e basta. La schiena mi fa un male terribile e appena mi sarò ripresa ti allatterò di nuovo, tra l’altro i capezzoli sono devastati. Ma non sono sicura fossero dieci minuti, probabilmente il lasso di tempo era molto più lungo. Ora però le sento chiaramente, la guardo con occhi sbarrati e la allatto subito. Come ho potuto pensare una cosa simile? Quanto tempo effettivamente era passato? La cosa mi spaventa. Ma succede di nuovo, e poi ancora, nei giorni successivi. Piano piano mi rendo conto che tutto ciò che riguarda lei mi sembra un peso enorme, ma proprio tutto, compreso allattarla o dare il biberon, cambiare il pannolino. Senza contare tutto il resto tipo fare la lavatrice (la quale avrà avuto le ragnatele ormai) o cucinare. Volevo solo stare a letto, lontana da ogni rumore. Ero in grado di ignorare il pianto di mia figlia per ore, e non è una skill da acquisire nel tempo né nulla di positivo, era un campanello d’allarme ma non me ne rendevo conto. 
Nessuno si accorse di questa situazione, ma se dico nessuno intendo nessuno. Mio marito lavorava tutto il giorno e la sera doveva arrangiarsi per mangiare, era come se io non ci fossi. La bambina diventava di sua unica responsabilità finché non andava a letto. Solo all’alba dei tre mesi della bambina, che sembrarono secoli, quando tornai a frequentare il consultorio con regolarità (avevo riacquisito parte della mia routine grazie alla completa guarigione della ferita e all’acquisto di un’auto), parlando dei metodi di addormentamento, dissi con nonchalance che “la metto nella culla e la lascio lì, se piange, la lascio piangere. Le lascio una lucina accesa perché mi spiace lasciarla al buio, ma se la tengo in braccio non si addormenta. Poi scendo a guardare la tv o a leggere” e alla domanda “ma non ti angoscia il fatto che pianga? Per quanto va avanti?” io: “boh, non lo so. Non ci ho mai fatto caso”. L’ostetrica mi ha suggerito un colloquio con la terapista del consultorio. È stato solo allora che mi sono resa conto di tante altre piccole cose alle quali non avevo fatto caso. La cosa che mi colpì di più fu quando, con molta dolcezza, la dottoressa mi disse “vorrei dirti che è solo un periodo no, ma ci sono i presupposti per parlare di DPP. Depressione Post Parto. Comunque continuiamo a vederci: ti darò una mano a capirci qualcosa.” 
Fu il primo spiraglio di luce, ma non me ne rendevo conto, anzi. Ero oltremodo arrabbiata con me stessa. Come era possibile, come era potuto accadere? Spesso saltavo gli appuntamenti, e non prendevo per verità assoluta ciò che la dottoressa mi diceva, perché nella mia testa non era accettabile. Ormai la bambina aveva 5 mesi e avevo iniziato lo svezzamento. Ero un orologio: orari precisissimi, cibo pesato al centesimo, mettevo in pratica tutti i consigli della cara ostetrica del consultorio e tutto sembrava andare bene, perché finalmente la bambina prendeva peso in maniera regolare e i parenti sembravano felici e avevano smesso di sindacare sulla questione latte. Ma l’insonnia, l’ansia costante che spesso mi attanagliava e mi impediva di dormire, il velo che mi si posava sulle orecchie quando mia figlia piangeva prima di dormire, erano sempre lì. L’ombra nera mi aveva ancora stretta nella sua morsa, e sfogavo questa cosa anche mangiando eccessivamente: mangiavo di tutto, mangiavo male, spesso vomitavo. Alternavo questo mangiare senza controllo a giorni di digiuno assoluto. Forse nella mia testa speravo che così facendo avrei riacquistato la forma fisica, ma ero arrivata a pesare ben 83 chili contro i 55 dai quali ero partita e che sarebbero il mio peso forma, il mio corpo mi disgustava. L’apatia aveva colpito anche il cane, il nostro cucciolo di chihuahua, al quale spesso mi dimenticavo di dare da mangiare o dimenticavo di farla rientrare dal giardino al pomeriggio. Non prendetemi per una pazza criminale alla quale piace fare del male agli altri: in quei momenti era come se niente altro oltre a uno stato di apatia esistesse nella mia testa. Stavo lì, sul divano o sul letto, a leggere, o a guardare il soffitto, di rado uscivo di casa ed era giusto per fare la spesa. Poi iniziai con lo shopping compulsivo e a strapparmi le sopracciglia con le mani, le crisi di pianto apparentemente immotivate e la sensazione di soffocamento. 
Un giorno, me lo ricordo benissimo. La bambina aveva un maglioncino blu notte coordinato a un leggins grigio, con la stampa di una rosa rossa. Quel pomeriggio qualcosa non andava. Piangeva in maniera disperata, inconsolabile, non sapevo se fossero le coliche, i dentini, fame, sete, chissà cos’altro, fatto sta che non c’era stato modo neanche portandola fuori in passeggiata di calmarla. Ero sola a casa, la presi tra le braccia e mi sdraiai sul mio letto, alzai gli occhi al cielo e iniziai a piangere. Un fiume di lacrime, inarrestabile. Ricordo le parole che le ho detto. “Ma perché? Perché non ho il controllo su ciò che succede? Perché le cose non vanno come avevo previsto?” era tutto nero, per me. Non c’era speranza, tutto andava a sfascio, ed era fuori dal mio controllo. “Ma se non mi aiuto io, chi lo farà? Chi ti crescerà?” e forse, in quel momento, qualcosa nella mia testa si è acceso, o si è rimesso in moto, non so dirlo. Mi sono alzata dal letto con la bambina che ancora piangeva e ho chiamato la dottoressa, che mi ha ricevuto mezz’ora più tardi. Le ho raccontato tutto esattamente così, parole testuali. Nel tempo le avevo omesso anche la questione cibo, ad esempio, cose fondamentali della quale avrei dovuto parlare. Mi ha semplicemente sorriso e mi ha detto: “non posso dire che sei guarita, ma il fatto che tu abbia ammesso a te stessa che qualcosa non va, è un enorme passo avanti. Diciamo che oggi è un giorno dove possiamo segnare una tappa del nostro percorso: abbiamo capito che voler avere il controllo su tutto nella vita è inverosimile, e può essere pericoloso, e distorce la nostra percezione della realtà. Ci vediamo a fine settimana, ti aspetto”. 
Cara, cara Gilda. Ti faranno santa. La dottoressa mi seguì fino ai 9 mesi della bambina, ovvero fino al mio rientro al lavoro. Ripreso il lavoro, e grazie alla dottoressa, alla sua infinita pazienza e ai suoi preziosissimi consigli, al suo supporto, piano piano mi sono ripresa. Come dicevo all’inizio, purtroppo non è qualcosa dal quale se ne esce del tutto, ad oggi mia figlia ha tre anni e io so di avere ancora l’ombra nera che talvolta mi prende, ma ho imparato a gestirla. È facile? No, per niente. Ci sono sere come queste dove desidero solo isolamento. E ora è solo più semplice trovarlo, perché riconosco la mia stessa necessità e la gestisco, senza perdere il controllo. Ma ci è voluto tempo, e fatica. 
Perché ho sentito la necessità di raccontare tutto questo? Perché molta gente non sa cosa sia la Depressione Post Parto. NON è quella condizione di “pianto facile” che capita di avere nei giorni successivi al parto, quello viene chiamato baby blues ed è semplicemente legata allo squilibrio ormonale, non porta conseguenze gravi, ed è ampiamente diffuso. La DPP è più rara, più difficile da riconoscere perché è viscida, infame, scaltra come un ladro nella notte, si infila nella quiete di casa tua, senza che tu te ne accorga. E ti deruba di una parte di te, e non ti è dato sapere quale. Molta gente non crede neanche esista questa condizione. Ho sentito cose agghiaccianti tipo “non può esistere perché noi donne siamo fatte per fare figli quindi se succede una cosa del genere allora una non è destinata a fare la madre, non doveva diventarlo”, e altre amenità simili. E frasi simili sono coltellate, per chi magari vorrebbe chiedere aiuto e finisce per non farlo per vergogna, per non sentirsi ancor più inadeguata e sbagliata di quanto non si senta già.
Perché prima di giudicare e chiamare assassina una donna che compie un atto inconsapevolmente estremo verso il proprio neonato che piange inconsolabile, bisogna capire che cosa veramente sia successo. Cosa stava passando quella donna in quel momento della sua vita? Se fosse stata lasciata da sola, alla mercé dei suoi demoni interiori, reduce di notti insonni, con l’ombra nera che la stringeva a sé? Non possiamo saperlo. Una cosa è certa: la DPP ESISTE. E UCCIDE, se non riconosciuta. Meno dita puntante, più mano tese ad aiutare. È l’unica soluzione possibile.
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lalupabianca · 5 years
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Dedica al ragazzo più importante della mia vita
"Era un lunedi,
era un giorno come tutti gli altri, però era un giorno diverso, perché ricominciava l'oratorio estivo, un semplice oratorio, quattro settimane a correre dietro ai bambini, ballare, cantare... le solite cose, organizzare i giochi, niente di che, solo nuovi animatori da conoscere e sopportare.
Sono entrata in oratorio, ho rivisto molte persone, amici, amiche, bambini, ragazzi...
Non li vedevo da un anno, un lunghissimo e tristissimo anno.
Ho rivisto la mia migliore amica, abbiamo parlato tanto, di tutto quello che ci era successo in questo anno che non ci eravamo viste...
Poi però non ricordo come si è presentato, come è successo, non ricordo come abbiamo iniziato...
Ricordo solo che due giorni dopo eravamo insieme, abbracciati, che ci prendavamo in giro e alla fine della settimana, il venerdì (solo in 5 giorni) , siamo andati a prendere il gelato insieme...
La seconda settimana mi confidavo con lui tutti i giorni, eravamo inseparabili, dove andavo io, veniva lui, dove andava lui... andavo anch'io, ci cercavamo, ci aiutavamo, mi ha aiutata quando ho avuto il primo attacco di panico dell'oratorio di quell'anno 2018, penso me lo ricorderò per sempre, i suoi occhi, il suo respiro preoccupato, le sue mani, faceva di tutto per calmarmi... Per tre settimane siamo stati insieme, poi lui è partito, quando ci siamo salutati... "ci rivedremo l'anno prossimo, poi magari ogni tanto ci sentiamo"... sempre le stesse cose e poi non ci si sente mai, solo per gli auguri (se ci si ricorda)...
Dentro di me pensavo "come tutti gli altri e poi ci si rivede l'anno dopo senza mai esserci sentiti, amici per quattro settimane e poi basta..." Invece, lui è stato l'eccezione, ci scrivavamo almeno una volta alla settimana, poi sempre di più, tre giorni, 5 giorni.... di notte... ora ci scriviamo tutti i giorni, se non scrivo io, mi chiama lui, anche solo per sapere com'è andata la giornata, per avvisarmi che non ci sarà e di non preoccuparsi se non lo vedo...
Mi accompagna a casa, si preoccupa per me, mi fa mille scherzi, mi cerca, mi protegge....
Molti pensano che siamo fidanzati, ma non è così, siamo solo ottimi amici, purtroppo, ma se un domani ci dovesse essere qualcosa di più, ne sarò felice...
È l'unico ragazzo di cui mi sono fidata subito in pochissimo tempo, non solo l'unico ragazzo, ma l'unica persona tra tutte quelle che ho conosciuto che mi sopporta, mi sostiene, che mi capisce quando c'è qualcosa che non va, che mi rompre le scatole finché non gli dico la verità, capisce che c'è un problema anche da un messaggio o dalla mia voce durante una telefonata, ogni tanto fa il freddo, mi fa incazzare, mi sgrida, ma lo so che mi vuole bene e che lo fa per me...
Ultimamente è cambiato, non so perché, non so cos'abbia, non si apre molto con me, so che è molto timido, come a mio solito non lo farò sentire a suo agio...
Questo suo cambiamento mi preoccupa, tanto, non riesco a capirne il motivo... È cambiato anche con me, sembrerebbe soprattutto con me...
So che non lo devo stressare, perché a differenza mia, che può farmi piacere, a lui potrebbe dare fastidio.
So che è molto sensibile, cerca sempre di nascondere tutto dentro, di ridere e scherzare per non farmelo capire, ma purtroppo per lui non riesce sempre, me ne accorgo cerco di fargli capire che può parlare con me... evidentemente è ancora presto.
Mi dispiace sentire il suo doloroso silenzio, fa male anche a me...
Ma sa che se dovesse aver bisogno io per lui ci sarò sempre.
Mi ha insegnato a fregarmene di ciò che dice la gente, perché l'importante è che noi sappiamo la verità, il resto non conta.
Mi ha salvato la vita più volte, anche se non glil'ho mai detto, anche se è per colpa sua che i miei genitori mi hanno beccata a fare ciò che non dovevo fare.
Amo parlare di tutto e di più con lui, argomenti vari senza nessun problema, senza pensare che mi possa giudicare o guardare male...
È l'unico che sa veramente tutto di me e di cui mi fiderei ciecamente, mi fido al punto di potergli affidare la mia vita... Mettere le mani sul fuoco...beh non saprei, ma penso di si.
È veramente l'unica persona che ho paura di perdere e che non voglio perdere mai per nessun motivo al mondo...
È la persona più importante della mia vita...
Ho sempre odiato il fatto di essere finita qui, in questo posto, in questa famiglia, in questo oratorio... ma ora, ora che ho conosciuto lui, l'unica persona che non mi ha mai detto di volermi bene, ma che me lo ha sempre semplicemente dimostrato, al posto di gente che mi diceva di volermi bene e di volermi aiutare e alla prima difficoltà ha girato le spalle e se n'è andato.
Ringrazio il Destino che ha fatto tutto questo solo per farci incontrare.
Non ci avevo mai pensato me lo ha fatto notare proprio lui, un giorno che era venuto a casa mia, eravamo andati sull'argomento adozione, il fatto che io non l'avessi acetato.... me lo disse come battuta "ma non sei contenta di aver incontrato una persona fantastica come me? di aver conosciuto me?!" Li per li non ci ragionai molto, non capii molto, non ho dormito una settimana per pensare a questa cosa!
Ripenso anche quando mi stava facendo volare in camera, che io mi ero già vista perterra, all'ospedale, con una gamba ingessata... mi ritrovai invece al sicuro sul letto con lui che mi teneva... "cosa urli?" "mi sono vista perterra" gli ho risposto con l'ansia, "ma se ti tengo io, non ti fidi di me?!" "No, non mi fido ti te" gli ho risposto in modo scherzoso... Non so se l'ha presa molto bene
La verità è che mi fido solo di lui, non c'è nessun altra persona di cui mi fidi così tanto come con lui!
Sento di poter essere me stessa, cerco di tirare fuori quella parte migliore di me quando sono con lui, voglio che conosca anche il lato felice di me, quella parte ormai nascosta dentro di me, rinchiusa da troppo tempo ormai, una storia vecchia e sepolta chissà dove, una parte dimenticata, vorrei poter tornare quella che ero un tempo, felice e spensierata, quando mi arrabbiato non rischiava di svenire, quando ero triste o delusa non mi tagliavo, non avevo attacchi di panico quando avevo paura, quando qualcuno mi urlava contro contro urlava contro qualcun'altro, sapevo difendermi, un morso, un calcio un pugno e mi rialzavo... ora dico che ce la posso fare... ma quando ne avevo bisogno, le mie gambe non hanno retto, tremavano come foglie, a malapena riuscivo a parlare e muovere la testa, non sono forte come una lupa, come mi faccio chiamare... sono una stupida ragazzina che non ha più voglia di combattere da sola e forse sente la necessità di qualcuno al suo fianco che le impedisca di cadere ancora.
Ho voglia di tornare come prima, quando non conoscevo la tristezza e il dolore, la depressione e la delusione, ma solo la felicità, quando sentivo che potevo aiutare tutti, come so, che posso ancora fare, so che riuscirei ad iutare gli altri, se solo non fossi legata a queste catene...
Da quando l'ho conosciuto però ho sentito che le catene si sono allentate, o forse si sono semplicemente allungate, sono riuscita ad andare a Milano, di nascosto dai miei, con lui, anche se poi siamo tornati a casa come due pulcini bagnati...
Ho fatto una figuraccia quando sono stata rimproverata davanti a lui da papà... un attimo prima libera, felice...un attimo dopo triste e legata
Mi ha permesso di fidarmi ancora, ha permesso al mio cuore di affezionarmi ancora una volta, come ormai da tempo avevo deciso di non far più accadere, dopo la grande delusione datami da quelli che sarebbero "i miei educatori", non ho avuto il tempo di rifletterci...
Nonostante tutto ho ancora paura, ho sempre paura che possa riaccendere, di nuovo, l'ennesima volta
Ho capito che ho sofferto troppo per ricevere un altra pugnalata alle spalle, un'altra pugnalata al petto...
È l'unico ingrado di farmi ridere per davvero, l'unico che mi tiene testa, l'unico che mi fa piangere per aiutarmi a sfogarmi, l'unico che sa domare quei maledetti attacchi di panico, l'unico he nonostante abbia visto la parte peggiore di me, ancora non se n'è andato."
- LaLupaBianca (3/3/2019)
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aikerbicosyudu · 5 years
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sono Agnese 
Non dormo mai o dormo come la natura durante un’inverno nucleare. Sono le quattro e cinquanta am, sono Agnese e ho dovuto togliere i sottotitoli non riuscivo più a seguire. 
Sono Agnese, ho un pezzo di eroina nel portafogli, non lo tocco, non vedo l’ora, non la capisco. 
Sono Agnese e ieri mentre riposavo, circa orario di pranzo, mia sorella irrompe nella stanza, prende le cartine e spazza via il fumo, perso. 
Sono Agnese e mi chiedo cosa fai, merito una sberla che mi faccia cambiare rotta, ma tu non fai mai niente a caso, no ? 
Sono Agnese e mi fido più dell’istinto che di qualsiasi altra cosa.
Sono Agnese, passerei ore a toccarmi i capelli e sto prendendo la patente; che spasso dimenticare di dare precedenza perché si sta fissando il vuoto pensando che effettivamente è molto strano che Bale ringrazi Satana ai Golden scazzen 
Sono Agnese e ho pensato che tutti potessero leggermi nella mente 
Sono Agnese a volte non mi lavo 
Sono Agnese, voglio cantare ubriaca marcia con le gambe che s’incrociano e sputare su chi viene ai nostri concerti gratuiti 
Sono Agnese e ho creduto per diciannove anni che ne capissi di politica per arrivare alla conclusione che di vecchi abomini extraterrestri me ne sbatte il cazzo , sono Agnese e vi invito tutti ad Autoprodurvi all’arbitrarietà siamo umani in gabbia perché abbiamo cercato troppo una casa fino ad  accettare di essere chiusi dentro perché troppo stupidi per pulirci il culo da soli, sono Agnese e sostengo che possiamo pulirci il nostro culo autonomamente e responsabilmente visto che un culo sporco è un problema generale, il tanfo di merda ? 
Sono Agnese ed ad ottobre avrei potuto adottare un maledetto moscone, un giorno il suo ronzio mi precedeva fino al bagno, nella stanza il moscone si posizionò sul mio riflesso, tra gli occhi,  gli sputai contro 
Sono Agnese e dell’astrologia se non hai libri non capirai un cazzo mai e poi mai , sono Agnese ed oggi dormo al buio, sono Agnese e sogno un gruppo di neri arrabbiati urlanti “NO BOY NO BOY FUCK BOY” che corrono verso la mia stanza per tirarmi il letto da sotto la schiena , sogno anche di avere un motorino e perderlo a piazza dante perché l’ho dimenticato, ricordi ci raccontavamo sogni, avevo dimenticato 
Sono Agnese, sono le cinque e quindici, so che oggi prenderò delle tachipirine perché su sette giorni, dieci ho mal di testa
Sono Agnese, mia nonna a quattordici anni prima di morire il ventuno Settembre non mi riconobbe 
Sono Agnese , non ricordo la mia prima volta con un ragazzo, sono Agnese e sono testarda come un mulo, come un ariete, come Salvini, come quelle fottute vecchie coi punti, comprarsi un suppellettile per dementi è il massimo, o no vecchiacce 
Sono Agnese e la mia vita sembra quella di Zeno Cosini, sbaglio corteo funebre inavvertitamente perché prima o poi la verità deve uscire  e l’unica cosa autentica in questo rapporto tra genero e sposato è che non si sopportano, l’inconscio liberatorio , probabilmente si stava dirigendo al gruppo di persone rimuginando sulle veridicità dei sentimenti reciprochi, la verità? Eccola, non è il corteo giusto e non si è nemmeno sforzato di contraddirsi decidendo di non andare
Sono Agnese, il caso non esiste 
Sono Agnese a volte vorrei solo sangue , a volte non capisco cosa mi fermi dal compiere delle azioni, per la prima volta immagino mio nonno, silenzioso che mi tiene per il braccio, ho la sua faccia stampata, non voglio descriverla .
Sono Agnese tengo più al morto che al vivo
Sono Agnese, avevo undici, dodici anni, ricordo le lacrime sulla tastiera, cercavo di essere la migliore amica possibile, tipo Giusy del mondo di Patty o Salem il gatto di Sabrina , i compagni di scuola però mi prendevano in giro
Sono Agnese, Chiara Cappellieri, Alessandra Torriero, andate a farvi fottere, che ci voleva a dirmi o mongolò ch cazz stai ricenn, ti vogliamo bene per quello che sei
Sono Agnese, mi innamorai di Melissa, stemmo insieme un anno circa, ci piaceva fare le cose da adulti, relazioni complicate, fabbricarci problemi, riempire le vasche di birra, Sono Agnese e il primo aprile 2014 la ragazza mi disse di voler tornare con me, era un pesce d’aprile
Sono Agnese, vi avrei dato la chiave della stanza coi milioni e mi avrebbe stupito trovarci solo falene dopo il vostro passaggio 
Sono Agnese, la prima botta me la sono fatta da sola, quindici marzo 2015, quindici anni, sono Agnese e a quindici anni volevo farmele tutte 
Sono Agnese, dicono che sono un latin lover, ma io mi sento così imbranata 
Sono Agnese e ho imparato a non sentire la mancanza di nessuno, non mi cambia niente, il guaio è che tutto è uguale anche quando tutto è apposto 
Sono Agnese e se dico non lo so o se dico sì è no e se dico no è sì, se rimango immobile è sì voglio che resti 
Sono Agnese e preferirei strapparmi la lingua a morsi e ficcarmela su per il culo con una mano inchiodata al tavolo a martellate che uscire dalla mia zona comfort
Sono Agnese, mi dispiace di aver dato per scontato
Sono Agnese e mio malgrado pur avendo avuto ragione (ma chi cazzo se ne fotte che che cos’è la ragione) non ho saputo giostrarmela 
Sono Agnese e vorrei tanto ridere di gusto con te senza le ferite che abbiamo e poterci lasciare andare 
Sono Agnese e se ti chiedi cosa faccio, o mi fumo uno spinello o sto fantasticando 
Sono Agnese e non capisco se tutte quelle persone che ho incontrato a cui ho voluto bene che cazzo di fine hanno fatto 
Sono Agnese, ma sto diventando quello che sono 
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weirdesplinder · 3 years
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La top ten dei 10 romance più romantici che ho mai letto
San Valentino è appena passato ed eccomi a voi con una nuova top ten romance, ispirata proprio da questa festività. Stavolta vi elenco 10 romance che secondo me sono estremamente romantici.
Si tratta di un’opinione del tutto soggettiva naturalmente e ho escluso volutamente dall’elenco alcuni romance che vi ho già segnalato e suggerito in altre liste. Inoltre quando dico più romantici intendo dei romance storici estremamete dolci o estremamente struggenti. Pure troppo, a mio avviso. Ma tenete conto che io non amo i romanzi che ti fanno stare male da tanto soffri per i personaggi o che non ti danno un completo lieto fine, perciò tranquilli, quelli in elenco sono comunque romanzi che possono piacere a tutti. Solo estremamente romantici per come li vedo io.
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1. Summer Breeze, di Catherine Anderson  (inedito in italiano)
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1889. Rachel Hollister non ha messo piede fuori di casa, un ranch in mezzo alle prateria, da ben 5 anni. Vive tra l’altro non nell’intera casa ma solo in una stanza e mezza e tiene barricato tutto il resto. Il terrore l’attanaglia al solo pensiero di uscire. Ma non è sempre stata così, tutto ebbe inizio cinque anni prima quando tutti i suoi famigliari durante un pic nic furono uccisi a colpi di pistola da un misterioso omicida posto su un rilievo. Uno ad uno caddero davanti ai suoi occhi ma la pallottola destinata a lei si limitò a sfiorarla e farla svenire. Il colpevole dovette crederla morta e Rachel sopravvisse, ma da allora non è più uscita di casa. Sopravvive grazie ad un anziano ranchero che lavorava con i suoi e che le porta cibo e vende i suoi dolci, tramite una fessura tra le assi che barrano le porte. Poi però un giorno lui non viene al loro solito appuntamento settimanale. E’ stato ferito e al suo posto si presenta il giovane ranchero, un forestiero, che lo ha trovato e curato. Rachel dovrà superare le sue paure e fidarsi di lui se viole sopravvivere…. anche perchè chi ha ucciso la sua famiglia la tiene d’occhio e aspetta solo che lei esca per finire la partita.
La mia opinione: questo in realtà è uno dei romance che preferisco, ma in effetti ha una trama piuttosto pesante, perchè avere una storia d’amore con un’agorafobica è senza dubbio problematico. Il protaginosta maschile impiega quasi mezzo libro solo a convincerla a fidarsi di lui e farlo entrare nel suo regno e ci riesce in gran parte grazie al suo cane. Ho veramente ammirato la sua pazienza, il coraggio di Rachel e anche i suoi limiti che in fondo sono credibili. Un romanzo interessante, romantico ma anche pieno d’azione e introspezione, molto intimo con i due nostri eroi chiusi in casa all’oscuro di chi voglia uccidere Rachel. E soprattutto contiene una stupenda lettera d’amore.
2. Caro nemico (My Dearest Enemy) di  Connie Brockway
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Tra di loro c'erano troppe cose: una proprietà che entrambi volevano ed un destino che non potevano condividere.Avery Thorne ha un unico desiderio: ereditare al più presto Mill House, la proprietà dello zio Horatio. Ma i suoi sogni vengono infranti dalla lettura del testamento: per cinque anni la tenuta sarà affidata a Lilian Bede, un'intraprendente suffragetta, che la erediterà definitivamente se saprà dimostrare di essere una buona amministratrice.La prima reazione di Avery è di rancore e di folle vendetta, ma qualcosa gli farà cambiare idea…
La mia opinione: anche questo è un gran bel libro in generale e molto divertente anche, forse non andrebbe in questa lista poichè non è certo romanticissimo di per sè, ma io trovo terribilmente romantici gli scambi epistolari, in generali, e questo libro si basa proprio su uno scambio epistolare tra due cosiddtti nemici. Perciò per me è molto romantico.
3. Un gioiello raro ( A precious jewel) di Mary Balogh
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Priscilla Wentworth è una gentildonna caduta in miseria e costretta dalle circostanze a prostituirsi in un bordello. Sir Gerald Stapleton è stato tradito dalle donne più importanti della sua vita e ora cerca solo il piacere fisico. Quando incontra Priss, si chiede come possa essere successo che un gioiello di grazia, bellezza ed eleganza come lei sia divenuta cortigiana. Nonostante il proponimento di non lasciarsi più coinvolgere in una relazione di cuore, quando lei ha bisogno di protezione Gerald la prende come amante fissa. Ne nasce un sentimento tanto forte quanto socialmente censurabile, per un amore che sembra non avere futuro...
La mia opinione: e qui cominciamo a struggerci siete avvertiti. Lei è una prostituita, lui è...mentalmente lento...Nè l’uno nè l’altro si ritengono degni di essere amati. State pronti a commuovervi, ma in modo composto.
4. Abbandonarsi al desiderio (The Lover) di Robin Schone
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Anne Aimes è una zitella di trentasei anni che, dopo essersi occupata dei genitori anziani e malati, si è ritrovata sola. Decisa a scoprire i piaceri che ha sempre negato, si rivolge a Michel des Anges, un gigolò di origine francese noto per le sue doti e la sua abilità. L’incontro tra i due avviene all’interno di un locale ambiguo dove uomini e donne si danno appuntamento per relazioni clandestine. Un luogo insolito per una donna come Anne, molto inibita e convinta di essere poco attraente. Ma anche Michel non è più lo stesso, sfigurato da un incendio, da anni non ha più avuto clienti né rapporti intimi con l’altro sesso, per timore di essere rifiutato. Ma nell’animo di entrambi arde un desiderio di rivalsa pronto a incendiare con coraggio e passione i loro cuori…
La mia opinione: intanto premetto che questo è un romance storico erotico, perciò se non amate le scene d’amore grafiche e dettagliate lasciatelo perdere. Se non amate protagonisti maschili tormentati, lasciatelo perdere. Perchè qui più che tormentato Michel è prioprio rovinato, è frutto di ciò che ha subito. E parlo di prima dell’incendio, poi dopo quello lasciamo stare, perciò qui ci si strugge parecchio. Ad alti livelli. Però è anche estremamente umano e carnale come libro. Molto verace.
5. Amare un libertino (When He Was Wicked) di  Julia Quinn
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Quando Michael Stirling, il più audace libertino di Londra, incontra Francesca Bridgerton è amore a prima vista. Un amore non ricambiato: Francesca sta per sposare suo cugino John.E anche se un evento improvviso libera Francesca da qualunque vincolo, Michael non osa confessarle il proprio amore e per dimenticarla parte per l’India. Ma al suo rientro, inaspettatamente, Francesca gli chiede consiglio per trovare un buon marito: potrà Michael sopportare di gettarla tra le braccia di un altro?
La mia opinione: non il mio preferito della serie #Bridgerton, ma sicuramente tra i miei preferiti, e sicuramente per me il più romantico, perchè lui la ama in silenzio da anni, e c’è un lungo e duraturo scambio epistolare, e come vi dicevo, io trovo le letttere terribilmente romantiche. Qui lo struggimento c’è, ma a livelli normali e poi alla fine ripaga.
6. Adorabile sconosciuto (The Perfect Stranger) di Anne Gracie
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Faith Merridew ha abbandonato la famiglia e l’Inghilterra per un uomo che le ha giurato amore eterno. Una volta in Francia, però, scopre di essere stata ingannata.  Con il cuore a pezzi, incontra Nicholas Blacklock, giovane reduce di Waterloo. Disposto a salvarle la reputazione, Nicholas le propone un matrimonio bianco, seguito dal suo immediato rientro a Londra. Solo che Faith ora sente di appartenere davvero a quest’uomo tanto generoso, ma anche misterioso. Riuscirà a fare breccia nel suo cuore?
La mia opinione: Cosa c’è di più romantico che innamorarsi un bellimbusto che ti promette per sempre e poi dopo che tu hai lasciato tutto per lui ti molla? No, ditemelo. Questa trama è la base di non so quanti fiilm rosa. In più poi abbiamo un bel tenebroso che le vuole salvare la reputazione, di cui lei s’innamoa, ma lui nasconde un oscuro segreto. Questo è proprio il classico romance che ti fa dire, ma sta poverina mai una gioia? Tutte a lei? Struggimento a go go.
7. Dietro la maschera (Tapestry) di Karen Ranney
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Per lady Laura esiste un solo uomo al mondo: Dixon Alexander Weston, conte di Cardiff. Alex ha fatto ritorno dalla battaglia navale di Quiberon col volto gravemente sfigurato e ora vive rinchiuso nella sua dimora di Heddon Hall. Dopo averlo atteso per quattro anni, Laura Ashcott Blake, vicina di casa del conte, decide di intrufolarsi nel suo cuore facendosi assumere come domestica. Tra i due la passione scoppia impetuosa e travolgente. Alex all’inizio non riconosce in lei la ragazzina che tanto lo adorava, ma non appena scopre la verità, subito si celebrano le nozze. Dopo un anno di felicità assoluta, però, riuscirà il loro amore a superare un’altra guerra?
La mia opinione: altra classica trama struggente. Lui torna dalla guerra sfigurato e provato sia fisicamnte che mentalmente, lei lo ha aspettato per anni fedele e innamorata e lui manco la riconosce. Ma lei imperterrita nonostante lui non sia più come prima, lo vuole amare  lo vuole curare, a forza di provarci riesce ad entrare a far prate della sua vita, la felicità sembra a portata di mano, ed ecco una nuova mazzata in arrivo. Per la serie mai una gioia anche qui. 
8. Giorni di gloria (Morning Glory) di LaVyrle Spencer
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Elly, vedova con due figli e in attesa di un terzo, è una donna forte e coraggiosa, ma tutti la considerano pazza a causa della sua ritrosia, conseguenza di una terribile infanzia. Figlia illegittima, è stata tenuta dai nonni, fanatici religiosi, rinchiusa in casa per anni e anni. Will, attraente, onesto, intelligente e gran lavoratore, ha avuto una vita difficile. A Whitney, una cittadina della Georgia, spera di gettarsi alle spalle il passato. E' rimasto orfano piccolissimo ed è convinto che nessuno potrà mai amarlo davvero. Un uomo e una donna, con i quali la vita non è stata generosa, portano con sé ricordi angosciosi, timori e insicurezze che sembrano offuscare la serenità della loro unione. L'amore che nutrono l'uno per l'altro, però, è talmente forte che li aiuterà a superare ogni difficoltà.
La mia opinione: questo è un poco struggente per il passato dei protagonisti, ma poi è semplicemente romantico (ma con una vena malinconica) perchè non puoi non fare il tifo per loro. Certo non è la trama più innovativa di questo mondo. Avrò letto almeno dieci romance simili ambientati nell’America di fine 1800, ma questo è scritto molto ma molto bene.
9. The shadow and the star (inedito in italiano) Laura Kinsale
Kinsale alterna qui due storie correlate. Una, ambientata alle Hawaii, segue le vicende del giovane Samuel Gerard, la cui infanzia è stata un incubo, ma poi quando trova una casa con la benevola Lady Ashland, diventa il protetto dell'enigmatico maggiordomo giapponese Dojun, che lo allena nelle arti marziali e nell’autodisciplina. La seconda storia, è invece ambientata nella Londra del 1880, dove la povera ma rispettabile Leda Etoile scopre che Samuel, ora adulto e straordinariamente bello, è dietro una sconcertante serie di furti. Disoccupata e senza fondi, Leda accetta un posto come segretaria di Samuel e soccombe gradualmente al suo fascino. Samuel pensa di non avere alcun interesse per Leda, e pensa anche che l'addestramento di Dojun fosse disinteressato. Ma ha torto su entrambi i fronti.
La mia opinione: trama mollto atipica che apprezzo, eroe che ha sofferto tanto ed è cinicamente il frutto del dolore che ha passato, e oltre a questo quando crede di poter prevalere sugli altri e vendicarsi, scopre di essere solo una pedina in mano altrui e quindi ancora una vittima in realtà. Per questo gli si può perdonare il male che lui fa agli ma solo in parte. Questo forse non è un romanzo per tutti, ma resta estremamente interessante e struggente, ma di uno struggimento che lascia un poco di amaro in bocca.
10. The Bridal Veil (inedito in italiano) di Alexis Harrington
Emily Cannon non è la sposa a cui Luck Becker aveva scritto, ma la sorella di mediocre bellezza e troppo alta. Quando sua sorella è morta e Emily è rimasta sola al mondo, in un raro momento di impulsività ha deciso di prendere il suo posto come sposa per corrispondenza. Certo non è bella come lei, ma in fondo il futuro sposo non aveva mai visto la sua interlocutrice e poi se non possiede la bellezza, Emily ha molte altre capacità, e dopo una vita passata con genitori che le hanno sempre detto che non era bella o speciale, non è che non si aspetti molto. Eppure ci rimane comunque male quando Luck la vede e subito la rifiuta. Luck però non può fare lo schizzinoso, ha bisogno di una madre per sua figlia, e accetta di sposare Emily, che per di più dopo il viaggio non ha più un soldo. Ma mette subito in chiaro che lei sarà una governante non sua moglie sul serio. Emily china la testa, ci è abituata e accetta. Nel suo baule ha l'abito da sposa e il velo di sua sorella, ma nopn li indossa per la cerimonia, dopotutto non è un vero matrimonio, e ripone anche quel sogno di un matrimonio in bianco, in un cassetto. Come se non bataase quello che trova a casa di Luck è un vero disastro. Sua figlia è una piccola selvaggia aizzata dalla suocera di Luck che ha trasformato la casa in un santuario dedicato alla figlia morta. Una famiglia veramente disastrata. E sarà un duro lavoro per Emily cercare di rinire questo nucleo famigliare distrutto da vecchi rancori e segreti mai rivelati.
La mia opinione: qui invece ci si strugge per la povera protagonista che subisce da una vita, e viene trattata a pesci in faccia pure dall’uomo che più ha bisogno di lei. Non si può non amarla nei momenti in cui dimostra un poco di spina dorsale, e quando finalmente lui inizia a trattarla bene. Ma io non perdono, e ho sempre un po’ odiato questo personaggio maschile, nonostante sia il risultato di un passato difficile questo non lo scusa, visto che pure lei con tutto ciò che ha subito sarebbe giustificata se fosse scontrosa e cinica, ma non lo è. Comunque quando alla fine Emily potrà usare il prezioso velo da sposa della sua antenata realizando tutti i suoi sogni come merita ci si sente ripagati. O quasi.
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giancarlonicoli · 3 years
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7 dic 2020 11:02
A CARLE’, BASTA MALINCONIA, FACCE RIDE! OGGI ENNESIMA INTERVISTA AL "MALIN-COMICO" VERDONE. MA SE ANCHE LUI, IN QUESTI TEMPI DI PANDEMIA, INSISTE SULLA MALINCONOIA E SULL’ITALIA CHE FA PIANGERE, TANTO VALE SPARARSI UNA FUCILATA SULLE PALLE – IL RICORDO DI MARADONA A CASA TROISI, IL COVID, I "TERRIBILI" ANNI '70 E I SOCIAL “INGANNI CHE NASCONDONO LA NOSTRA SOLITUDINE. NON CI SI PUÒ RINCRETINIRE STANDO 8 ORE ATTACCATI ALL' I-PHONE…” - VIDEO
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Nino Materi per “Il Giornale”
Lui adora il pubblico e il pubblico adora lui. «Furio», il marito-fissato della povera «Magda», direbbe: «E allora lo vedi che la cosa è reciproca?».
Carriera entusiasmante, quella di Carlo Verdone, dove solo l' operatore ACI in una mitica telefonata trovò il coraggio di dirgli: «Ma va a cagher!». Dagli altri, invece, solo applausi. Meritati. Perché prendere il posto nel cuore degli italiani dei fantastici quattro supereroi della commedia italiana (Sordi, Tognazzi, Gassman, Manfredi) era un' impresa quasi impossibile. Però Carlo Verdone c' è riuscito, forte di un talento naturale plasmato da impegno e passione.
Grande interprete e regista non solo a parere dei fan, ma anche a giudizio dei critici, masticatori insaziabili di pane e «specifico filmico». La sua (e la nostra) fortuna iniziò con Non stop, il varietà Rai di comicità d' avanguardia che nel triennio 77-79 portò alla ribalta del piccolo schermo alcuni dei futuri «mostri» cinematografici elaborati dall' attore romano.
Nel 1980 irrompe nelle sale la pellicola d' esordio, Un sacco bello; il bis l' anno dopo con Bianco, rosso e Verdone. Due capolavori. Successi senza eguali. È il periodo di massima energia trasformista di Carlo, una specie di mimesi tra «Zelig syndrome» e camaleontismo fregoliano.
Fin da giovanissimo sui palcoscenici delle cantine periferiche Verdone sperimenta macchiette irresistibili, specchio dei tempi e del carattere nazionale: dal politico trombonesco con l' eloquio «seempree teesoo!», al cittadino ansiogeno che estrae la pistola dal borsello di pelle marrone, mostrando orgogliosamente il porto d' armi al grido di «Chi me l' ha data questa? Questo!». Maschere ancora attuali tra la vacua oratoria tipica degli uomini di Palazzo e l' esigenza (percepita?) di sicurezza da parte dei cittadini.
Verdone inventa un nuovo linguaggio somaticamente rivoluzionario; impossibile non notare quel ragazzo geniale; non credere nella sua alchimia comica; non dargli fiducia.
Al resto provvede la bravura di Verdone. La notorietà cresce. Diventando celebrità.
Un mito. Ma della porta accanto.
«In 40 anni di carriera sono rimasto un uomo semplice. Il pubblico lo ha apprezzato. Forse è questo il segreto della mia longevità».
Da bimbo aveva il terrore di perdersi. Come quella volta allo stadio quando per un attimo non vide papà e poi gli corse incontro sussurrando: «Non lasciarmi mai più...».
«Grazie a lui mi sono sempre ritrovato, anche nei momenti difficili della vita. Mi ha insegnato a stupirmi davanti al bello dell' arte».
Com' è maturata l' idea di diventare attore?
«Ero un ragazzo timido. Non avrei mai pensato di fare questo mestiere».
Il 17 novembre Carlo Verdone ha compiuto 70 anni.
«Mi ha telefonato il presidente della Repubblica per farmi gli auguri. Ho ricevuto centinaia di messaggi da persone sconosciute. Un' emozione travolgente. Mi sono fatto tre domande».
Quali?
«Davvero ho 70 anni? Sono proprio io quello a cui la gente vuole così bene? Mi merito tutto questo? Sembra un sogno».
Invece è la realtà.
«Ho festeggiato, ma senza esagerazioni. Proseguirò nella mia missione».
Quale «missione»?
«Divertire con intelligenza attraverso storie più mature. Sarei patetico se oggi riproponessi gli schemi del passato».
Il suo 27esimo film è bloccato dall' emergenza Covid. Il titolo sembra una profezia: Si vive una volta sola.
«Racconto le vicende di quattro medici. Potrebbero pure loro far parte di quella ampia schiera in camice bianco impegnata nella lotta contro la pandemia».
Un virus infame che non permette neppure di dare un' ultima carezza ai cari prima dell' addio.
«È una condizione straziante. Ma dovremmo riflettere su una cosa».
Cioè?
«I like sui social e le amicizie virtuali sono inganni che nascondono la nostra solitudine. Non ci si può rincretinire stando otto ore attaccati all' i-phone. La tecnologia è una gran cosa, ma gli eccessi sono pericolosi».
A proposito di «eccessi». L' ha colpita la morte di Maradona?
«Lo conobbi in casa di Massimo Troisi. Un ragazzo gradevole, umile. Per lo sport è stato un dono di Dio».
Poi Dio si è dimenticato di Diego. E Diego si è scordato di Dio.
«La sua fine mi suscita pena e tenerezza».
Torniamo alla famiglia Verdone. Che tipo era sua madre?
«Dolce e piena di ironia. È la donna che mi ha compreso di più. Incoraggiandomi a fare l' attore».
Ha due figli, Paolo e Giulia. Che rapporto avete?
«Meraviglioso. Se dovessi sbagliare qualcosa con loro non me lo perdonerei. Sono sicuro che mi ricorderanno come un buon padre».
Lei, invece, che ricordi ha del periodo a cavallo tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80?
«Terribili, fra terrorismo e stragi. E quella parola - «proletariato» - usata a sproposito per coprire gli atti criminali di una banda di vigliacchi. Ipocrisie ideologiche che la Marcia dei quarantamila spazzò via».
Un mese dopo quella marcia epocale (15 ottobre 1980), la terra tremò in Irpinia e Basilicata (23 novembre). Tremila morti. La ricostruzione ha comportato scandali e uno spreco di denaro pubblico senza precedenti.
Lo sviluppo è rimasto una chimera. Per il Sud l' ennesima occasione mancata.
«L' anno successivo, in Bianco, rosso e Verdone, focalizzai uno degli episodi del film sul personaggio di Pasquale Amitrano che, emigrato in Germania, torna a Matera per le elezioni. Va a votare, ma al momento di consegnare la scheda al presidente di seggio sfoga tutta la sua rabbia per le ingiustizie patite dal momento in cui ha messo piede nel Belpaese. Da allora ad oggi la situazione non è granché migliorata».
I colpevoli?
«In Italia abbiamo una classe politica inadeguata. Senza qualità. A volte si arriva nelle stanze del potere più in forza dei giochi di potere che in base a preparazione e competenza. Nel Sud, abbandonato a se stesso, il fenomeno è ancora più grave. Speriamo nei giovani».
Magari il disagio fosse limitato al Mezzogiorno...
«Il degrado riguarda l' intera società italiana. Il mio compito è far ridere, ma questa società fa piangere».
Cosa la indigna di più?
«L' ignoranza di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica. Ma le sembra giusto che posti-chiave vengano occupati in base ai pacchetti elettorali piuttosto che ai titolo di studio?».
A proposito di «titoli di studio», lei può vantare un curriculum accademico da Guinness: una laurea in Lettere moderne con 110 e lode, due lauree honoris causa (in Medicina e Beni Culturali) e un' iscrizione onoraria nell' Ordine dei Farmacisti. Ma è vero che lei ha una vocazione particolare per le diagnosi sanitarie (rigorosamente esatte)?
«La medicina mi ha affascinato fin da piccolo. È una specie di tradizione di famiglia. Ho un ampio giro di pazienti che da anni mi chiedono consigli. Io dico la mia, ma poi raccomando loro: Chiedi conferma a uno specialista».
Si narra che col suo intuito «abbia salvato la vita a quattro persone».
«Anche di più. A Natale ricevo molti pacchi-dono di ringraziamento».
Qualcuno le chiede «dritte» anche sul Coronavirus?
«Il Covid è una cosa seria, figlia anche degli effetti perversi della globalizzazione e del mancato rispetto nei confronti della natura. Ma in tema di pandemia, meglio lasciare la parola ai virologi».
Virologi che però si fanno la guerra l' uno contro l' altro nei salotti-tv. Una smania presenzialista che li ha trasfigurati in macchiette simili al suo dottor «Raniero Cotto Borroni» che nel film Viaggi di nozze, rispondendo a una telefonata mentre sta facendo sesso con la moglie «Fosca», dice: «No...non mi disturba affatto».
«Ogni programma televisivo ha il proprio virologo di fiducia. La gente viene rimbambita a colpi di informazioni contraddittorie. Con la conseguenza, negativa, di lasciare spazio alle tesi negazioniste.
Parla per esperienza personale?
«All' inizio un mio conoscente non prendeva sul serio l' esistenza del Covid. Ma un brutto giorno è stato contagiato, finendo nel reparto intensivo. L' ho rivisto qualche tempo fa al bar: dimagrito e con un' aria sofferta. Mi ha guardato e ha detto: Ora ho capito. Tutti possiamo sbagliare...».
Lei appartiene alla categoria a rischio degli «attori famosi», forse la più soggetta al capitombolo della depressione. Ha mai temuto di cadere vittima del male oscuro?
«È una patologia che non temo. La mia vita è troppo piena di passioni, interessi e affetti per correre un rischio di questo tipo».
Molti suoi colleghi ne hanno invece sofferto.
«Avevano commesso l' errore di mettere il lavoro al primo posto. E quando la carriera è giunta al tramonto, si sono ritrovati soli. Finiti in un tunnel buio. La salvezza è invece la famiglia, gli affetti più cari che non tradiscono mai e ti restano accanto fino all' ultimo dei giorni. Io questi affetti ho la fortuna di averli. E mi li tengo stretti».
I ricordi sono una buona compagnia?
«Quando i ricordi si intrecciano con i buoni esempi, diventano più di una buona compagnia: si integrano con l' anima».
La sua anima è ricca di «ricordi» e «buoni esempi»?
«Sono quelli che mi hanno lasciato in dote i miei genitori. E i miei nonni. Conservo ancora una lettera scritta dal fronte di guerra da mio nonno paterno. È indirizzata a mia nonna e dice: Ho un lapis in mano ma le dita mi tremano dal freddo: ti prego di far studiare Mario, costi quel che costi. Mario è mio padre e quando leggo quel foglio ingiallito trattengo a stento le lacrime».
Mario Verdone ha poi studiato davvero, diventando uno tra i più apprezzati critici e docenti di cinematografia.
«Pur provenendo da una famiglia poverissima il suo livello intellettuale era altissimo, tanto che Norberto Bobbio lo scelse come primo assistente. Grazie a papà ho conosciuto persone di massimo livello culturale. I suoi insegnamenti mi hanno introdotto alle meraviglie della pittura, del teatro, della letteratura, del cinema».
Ma è vero che suo padre la bocciò a un esame universitario?
«La sera prima dell' esame gli dissi che non ero preparato solo su due autori. Il giorno dopo mi fece le domande proprio su quelli. Mio padre era così. Non poteva accettare che suo figlio fosse favorito in qualche modo. Se oggi nutro per lui una sconfinata ammirazione è anche per questo suo modo di essere onesto e integerrimo».
Un atteggiamento assai poco «italiano».
«Nella patria delle raccomandazioni e dei nepotismi, papà ha incarnato la parte migliore del nostro Paese».
Anche per questo l' Italia le suscita malinconia?
«Ma è possibile che ogni giorno ci sia qualcuno che ruba, violenta, uccide? Che le virtuose potenzialità del web vengano da alcuni utilizzate per veicolare orrori di ogni genere?Tutto ciò mi crea tristezza. E mi spinge a trovare rifugio guardano cielo e nuvole, i miei soggetti fotografici preferiti».
Come mai ha deciso di immortalare il cielo?
«Perché il mondo è bello. Ma solo se si guarda in alto».
Sarà un Natale triste. Orfano di tavolate, baci e abbracci. Lei cercherà conforto nelle sue foto?
«Quegli scatti per me sono preghiere senza parole».
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babivilla · 6 years
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SCUSA NEMO, TI SPOSTI?
Aqaba: una volta importante città romana, con tanto di porto da cui partivano le spezie per le coste laziali e del resto dell'impero dopo aver attraversato la strada che guarda caso porta lo stesso nome VIA DELLE SPEZIE (ok portavano anche metalli a dorso di cammello e mulo ma non avendogli dedicato una strada non li menziono!), oggi praticamente non ha un tubo di attraente se non la riserva marina ed una vista spettacolare su tre paesi diversi (Giordania, Egitto e Palestina). Quindi che cosa ci sarò mai venuta a fare? Di certo non lo shopping, ma…Diving!!! Bravi siete preparati, 20 punti a grifondoro! Già pregustavo le mie immersioni programmate da giorni via mail mentre facevo una colazione pantagruelica guardando le rive del mar rosso sbucare dalla foschia mattutina, immaginatevi quindi la delusione a sentirsi dire: eh ma la notturna non si può fare, perché ci vogliono almeno quattro persone (troviamole, fammi andare due minuti fuori e vedi se non le trovo) e bisogna prenotare la barca ( scusa, ho capito che le immersioni qui sono dalla spiaggia, ma avevo prenotato…) sempre se non hanno delle cose da fare loro ( ma loro chi???? Se po’ sape’ di chi caspita e’ sta barca? La compro!) però…(ok ragazzo mi piaci vai così) ho pensato che ne facciamo una al tramonto, così non sarà una notturna ma quasi, e ne fai comunque tre! Che ne pensi? (Penso che quasi quasi ti bacio, anche se sei piccolo e scuretto e probabilmente poi dovrò convertirmi all'Islam e condividere la casa con altre tre mogli!). L'albergo, chiamarlo resort e’ davvero troppo, e’ praticamente vuoto, ci sono più lavoranti che turisti e di questi solo due sono Diver: io e Victor, 26enne tedesco informatico fresco di “open water” che sarà il mio buddy; così preparate le sacche saliamo sul pulmino e raggiungiamo da riserva marina, che alle 10,30 e’ tutta solo per noi! Brefing e controlli di rito (muta da 0,5mm e maschera al loro battesimo nei flutti del mar rosso….la classe non si sciacqua c'è poco da fare) e si entra in acqua quasi col doppio della zavorra…che diventa un DECISAMENTE doppio con due pietroni aggiunti nelle tasche del gav per contrastare la salinità (ed innalzare di una tacca la mia autostima). Ed ecco che è di nuovo magia, silenzio, leggerezza e scoperta. Chi non si è mai immerso non può capire la sensazione di tornare a casa, di ritrovare il proprio posto. E in questo blu tagliato dai raggi del sole comincio a sentirmi dentro ad un documentario mentre guardo i coralli di mille colori ancora morbidi che si muovono con la marea, che respirano, che fanno da scenografia al balletto dei pesci luna, ai tonni che inseguono branchi di alci, alle murene schive, ai pesci ago, alle meduse tanto eteree da sembrare fatte di sogno. Il relitto e’ una sorpresa stranissima, e mi fa sentire una esploratrice degli abissi, turistico da matti, ma è divertente girarci attorno ed andare a scovare i pesci palla che giocano a nascondino nelle enormi cabine. Sulla via del ritorno mi ritrovo con l'aria a 40…no dico 40! Ma me la sono bevuta invece che respirarla? Omar divide la sua bombola con me, ed è carino fare un pezzo (un BEL pezzo) di risalita assieme, prima dello stop e dell'uscita, con la mia bombola. Pausa con te’ caldo sulla spiaggia, che intanto si è popolata di una scolaresca di bambini ululanti e mamme in jellaba e niqab, e quattro chiacchiere sull'islam con Khaled che ci accompagnerà nella seconda uscita verso la barriera di corallo. E qui ci vorrebbe una pausa ad effetto, un sipario che si apre, un faro di luce, un rullo di tamburi, per presentare l'ingresso in scena di una…TARTARUGA! Bella, bellissima, grande, colorata….e affamata! Mentre noi restavamo lì a guardarla come ebeti col sorriso che si intravedeva sotto al respiratore, infatti, lei si è sbafata un paio di meduse prima di allontanarsi placida fino a sparire nel blu. Ad un tratto: coralli, pesci pagliaccio nascosti negli anemoni, serpenti di mare, murene, relitti…sono spariti tutti! Ho visto una tartaruga dal vivo, posso morire felice! E quasi quasi mi prendo in parola da sola visto che ho prosciugato la seconda bombola! Così mi tocca mezza via del ritorno a braccetto con Khaled ( starò mica facendo le prove per la 104????) cosa che alla fine è anche divertente, almeno per me, per quanto riguarda lui avrei anche delle riserve. Ridendo e scherzando s'e’ fatta l'una e ritorniamo all'hotel per una doccia prima di partire alla volta di Aqaba…dove ci sono due cose in croce, e’ vero, ma almeno vediamole! Khaled e’ nostro ospite, e come locale lo lasciamo ordinare…mai errore fu più grande, sono le 20 adesso e ancora sto digerendo! 4 passi dopo il dolce sono più che d'obbligo e ci portano fino al forte (da cui Lawrence sconfisse i turchi, sono preparatissima!)…che però è chiuso per restauri, e non perché è l'ora della siesta come insisteva Khaled, così come il museo attiguo, e la bandiera (di dimensioni ragguardevoli a giudicare dalla mega asta alta tipo 70mt che svetta sul lungomare) e’ stata tolta perché ieri c'era un vento da volare via! Quindi: in città c'era poco da vedere, e quel poco non era nemmeno disponibile…Meglio tornare sott'acqua va! Con Omar nuovo cambio di programma: niente più giardino giapponese, ma aereo e carro armato che secondo lui per oggi sono meglio; vorrei dirgli: guarda caro fai te, a sto punto mi va bene pure la visita allo scivolo dimenticato della playmobil basta che andiamo che mi sto immergendo sotto!!! Lo spettacolo, la meraviglia, l'incanto….si è capito che lo spot era bellissimo? Ma nulla può davvero dare l'idea di cosa sia stato entrare nella carlinga ed avvicinarci alla cabina di pilotaggio (un filino inquietante il finto capitano ancora alla cloche, bisogna ammetterlo) dove danzava una colonia di enormi pesci leone! Mi sono sentita Indiana Jones underwater! Per non parlare dell'enorme pesce scorpione sbucato dalla sabbia sotto il carro armato, dei coralli neri, della murena dalla bocca gialla spalancata, e dei tre sub zen che erano a 5mt di profondità a fare yoga…non sto scherzando YOGA SOTT'ACQUA! Momenti muoio dall'attacco di ridarella guardando Omar che mi faceva segno che erano fuori di testa. Un tramonto spettacolare sulla penisola del Sinai ha fatto da cappello a questa prima giornata incredibile, ed ora diciamolo, mi sentirei anche un tantinello stanchina ed il richiamo del letto (comodissimo tra l'altro) si fa sentire… C'è tempo giusto per un elenco delle cose speciali di questa giornata: Quel: sei araba? Di due ragazze nella doccia mentre avevo ancora la muta addosso Tutti i: benvenuta in Giordania! che mi hanno fatta sentire accolta e mi hanno ricordato la Siria I sorrisi dei bambini che ti guardano come se fossi un supereroe quando esci dall'acqua…a qualunque latitudine Il dolce spettacolare di formaggio, zucchero e pistacchio mangiato guardando la gente passeggiare Khaled che guardando due donne coperte da capo a piedi le ha chiamate NINJA (lui musulmano praticante) ancora rido! Le chiacchiere con questi nuovi amici La luna spuntata sopra l'Egitto… L'ho pensato sopra il pulmino (che ha decisamente visto tempi migliori) che mi riportava in questo albergo piccolo, senza nessuna pretesa, essenziale, a 2 stelle ma con un'accoglienza fuori dal comune, e mi dicevo che queste sensazioni non puoi averle in un resort top di gamma patinato come una pagina di Vogue, e che sono davvero fortunata a vivere questa vita MERAVIGLIOSA!
Nota: in un giorno ho già ingurgitato gli zuccheri consigliati per una settimana…andiamo alla grande, meno male che non si bevono alcolici da queste parti!
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intotheclash · 6 years
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“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce. “E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda. Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro. Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza. “Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo. Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto. “Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai. Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; che così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?” Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.” “Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone. “Era ora Pietro! Ma che te stai a magnà?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro. “Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi. Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti. “Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino. “Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio. Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante. “Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi “Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio. “Aspettatemi li, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora. “Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino. “E allora? Non sono ancora le due stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi. “Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare. Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria. “Allora signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?” “Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare. Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii. “Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso. Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!” Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti. Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento. “Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario. “Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre. “Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna! Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro! “Ascolta bene stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua…” Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo. “Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini…” “Io non…” Tentai di giustificarmi. E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai. “Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio. “Cosa fai ora Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!” “Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…” Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa. “E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre. “Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece: di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto. Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.” “E no cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me. “Ma dai Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, ce lo portiamo noi al fiume… e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle. Mia madre, al contrario, non si stava divertendo affatto. Non aggiunse nulla, ma capii che non vedeva l’ora di restare da sola con suo marito per l’inevitabile resa dei conti. Sfruttai la situazione e mi sbrigai ancora di più. Trangugiai la minestra a palate, con quattro rabbiosi morsi distrussi anche la fettina alla pizzaiola e sprofondai giù per le scale salutando mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Scesi gli scalini due alla volta, andai in garage, montai in groppa al mio fido destriero, una femmina per la verità, un’Atala 24 giallo oro, con cambio a tre marce e raggiunsi i miei compagni. “Alla buon’ora Pietro! Stavamo per rassegnarci ad andare da soli!” Disse Sergetto non appena mi vide. “Che casino hai combinato su in casa? Oltre alle urla, mi sembra di aver udito il rumore della tua zucca vuota che sbatteva contro qualcosa di duro!” Fece eco Tonino con tono di scherno. “Andate a fare in culo tutti e due!” Li insultai. Però a voce bassissima, mica ero scemo del tutto! “Pietruccio! Non devi dire le parolacce, altrimenti Gesù bambino piange!” Mi canzonò Tonino. “Potresti ritrovarti all’inferno con tutte le scarpe, o potrebbe sentirti tuo padre, che è ancora peggio! Almeno all’inferno non ti mena nessuno!” Aggiunse Sergetto ridendo. Mostrai loro il mio piccolo dito medio alzato e schizzai via a rotta di collo, pigiando forte sui pedali. Tagliammo a fette le strette vie del paese, rigorosamente contromano, tanto a quell’ora, di domenica e d’estate, il Deserto dei Tartari era sicuramente più affollato. Percorremmo a tutta birra sia le discese che le salite; ma non i tratti in piano, per il semplice motivo che non c’erano. Un cazzo di paese abbarbicato su uno sperone di tufo senza un metro di strada piana; c’era da farsi il culo sulle biciclette, mica scherzi!
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djabeteee · 7 years
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È tua
“Ciao Ilaria, cazzo, che schifo devo trovarti un diminutivo perché sì.. tipo ila? Potrebbe andare bene? Bho nel caso ti chiamerò così “ILA” (ovviamente solo qui perché nella realtà ti chiamerò per nome perché odio usare dei diminutivi ma per non essere ripetitivo alternerò con il tuo nome e il tuo diminutivo…) Comincio così la mia lettera, che poi tanto lettera non è perché tu non la leggerai perché rimarrà sempre qua nel mio blocco note, invece di sporcarmi le mani di inchiostro ho deciso di renderla un file .png che potrò rileggere al infinito… Di renderla un file che si trova in un in un posto pieno di disagi chiamato “IPhone bello” che è il mio telefono😅, magari troverai questa nota con su scritto“Ciao Ilaria, cazzo, che schifo devo trovarti un diminutivo perché sì.. tipo ila? Potrebbe andare bene? Bho nel caso ti chiamerò così “ILA” (ovviamente solo qui perché nella realtà ti chiamerò per nome perché odio usare dei diminutivi ma per non essere ripetitivo alternerò con il tuo nome e il tuo diminutivo…) Comincio così la mia lettera, che poi tanto lettera non è perché tu non la leggerai perché rimarrà sempre qua nel mio blocco note, invece di sporcarmi le mani di inchiostro ho deciso di renderla un file .png che potrò rileggere al infinito… Di renderla un file su questo telefono, magari troverai o ti capiterà nelle mani anche il mio computer nel quale troverai anche altre lettere/frasi, e se in caso leggessi anche questo bhe benvenuta nella tua cassetta Ilaria hahahah sto scherzando. Non sono arrivata neanche a metà lettera e ho perso già il filo del discorso perché sai che sono così, devo dire tutto subito, forse è anche per questo che preferisco scriverti.. Ila, continuo a ripetere che quando ti ho incontrata, non immaginavo niente di tutto questo, non avrei immaginato mai che 11 mesi dopo mi trovavo a scriverti una lettera da solo in un Lunedì che non ci sei, quando in realtà è da un bel po’ di tempo che non ci sei. Ma tralasciando questo fatto, partiamo dall’inizio.. Quando ti ho incontrato era il primo giorno di scuolaaaaaa di preciso il 15 settembre del 2016, se ricordo com’eri vestita? Certo! Tumbleramente come sempre… è una risposta un po’ troppo vaga e semplice ma hei io sono me risposta semplice. Eri così strana, come d'altronde tutte voi persone che abitate a Bologna o nei pressi (di Bologna )come nel tuo caso. Essenzialmente io quel giorno ero un po’ una merda vagante ,stavo di merda perché mia madre non mi ha detto che io dovevo ripetere l anno.Sono entrato in classe con molta fatica perché diciamolo io seguivo voi ma il problema è che manco voi non sapevate dove era sta cazzo di classe, quel giorno no, non mi ero resa conto del tuo sorriso, ero intenta a fare amicizia con Vope che bho mi sembrava e mi sembra anzi è tutt ora per me un punto di riferimento in certe cose, io quando entrai a far parte della classe ero ancora fidanzato con una ragazza del Austria che dopo un po’ la lasciai perché eravamo distanti e per me come ben sai la distanza è un grande è grave problema dunque ci lasciammo. Perciò io scelsi la solitudine momentaneamente. I giorni e le settimane passano ed iniziò ad ambientarmi ed iniziò a comunicare con te ed Alice ,mi parlavi e ho capita che te sei diversa dai altri capitolini che si trovavano la in quel sputo di città chiamata Budrio.È iniziata ad ingranare la nostra amicizia…piano piano ci siamo detti l un altro la propria storia e i propri disagi. Mi hai spiegato certe cose e da la mi sono detto una cosa del tipo “devo portarlo via da tutta sta merda” eh bho ci ho provato facendoti sorridere in classe e privandoti a consolare. Tralasciando il mio tentativo stranamente riuscito ritorniamo a noi e ai nostri gradini.. In pratica ho capito ero FOTTUTO perché quando ci vedevamo o ci scrivevamo avevo i sintomi di quella orribile malattia… il cuore cominciava a martellare e le gambe a tremare e no, non avevo le farfalle allo stomaco, io avevo gli elefanti, i rinoceronti, non so neanche io che avevo… Siamo ad ottobre tipo non ricordo di preciso il day but I think si trovava tra il 10 e il 20 , ricordo quel giorno perché è quando mi hai detto che mi ami… e lo stesso giorno nel quale io ho rovinato All… Everything… tutto ciò che avevamo creato tra di noi ti ho detto che non provavo nulla “CIÒ CHE NON È FOTTUTAMENTE VERO”. Dopo quel giorno sappiamo entrambi cosa è successo… si è distrutto il nostro splendido rapporto perché essenzialmente non avevo più le palle di guardarti in faccia…Ero tormentato Ila vivevo con la costante paura che non sarebbe tornato tutto come prima, ed è per questo che a Febbraio tipo, ho fatto quel passo decisivo, un pò folle è vero, ho chiamato il mio caro confidente e ci siamo studiati la cosa davanti al computer mentre alternavamo COD e FIFA, provando a risolvere il tutto spiegandoti il perché di ogni mia azione e chiedendoti perdono per ogni mia azione. Abbiamo sistemato le cose ma ovviamente non era tutto come prima perché non sapevi della mia seconda personalità della mia vera personalità perché avevo paura di dirtelo…e credimi questa cosa mi pesava dato che la sapevano in davvero pochi. Oltre a quel giorno ricordo un 10 maggio(credo😂) quando ci fu il compleanno di Samuele e Lolli. Nel quale bhe sai cosa è successo 😂oltre ad aver trombato Dario e oltre ad aver ucciso la mia e Anche la pizza di Falluto ti ho detto grazie la insistenza di Carla ciò che provavo è stata una cosa fantastica che mi ha lasciato “basito” permettimi questo aggettivo perché ero rimasto tipo ???whaaat??? Perché non mi avevi detto no con te non mi ci metto ma avevi detto “ci devo pensare” ed ero tipo 😨 pt 2 perché non me lo aspettavo. Quella sera mi sentivo bello, dico sul serio, bella perché in precedenza avevo avuto una chiamata di gruppo con Mattia e delle ragazze nella quale mi hanno fatto capire la persona che sono ed ho Iniziato a piacermi, e tu sai che io ho avuto problemi a sentirmi BELLO problemi che tu hai risolto e per questo non smetterò mai di ringraziarti, perché mi guardavi perché cazzo ti piacevo piacevo a te che cazzo a Te!Te che Sei bellissima. Non hai bisogno che ci sia un uomo li’ a ricordartelo. Sei bellissima, da sola forse ancor di più. Sei bellissima anche se non hai un uomo che ti tolga il rossetto dalle labbra, anche se sei spettinata con i tuoi ciuffi coglioni come li chiami te o struccata .Anche se vai di fretta e hai scordato qualcosa a casa. Sei bellissima quando scendi di casa per andare a prenderti un gelato. Sei bellissima in pigiama e con i capelli scombinati, sei bellissima con gli occhi assonnati con quei fottuti occhi color minestrone che hai che sono una cosa stupenda… Sei bellissima quando ti emozioni per una frase, letta su un libro o per un film o per bho rue che muore…😂 Sei bellissima perchè sei una grande persona, perchè ami così tanto che quasi ti autodistruggi, perchè ti fai in quattro per tutti anche se poi indietro non torna niente..perchè, per te, l’importante è dare. Sei bellissima perché te fai innamorare il mondo cona tua splendida voce e con la tua splendida personalità. il 17 maggio è una data jajracakaliahak siamo usciti ed è successo di punto in bianco mi dissi “comunque si” ed io ero tipo Io:si in cosa si? Te:si su quella cosa Io:si sì sì? O si si no? Te:si si no? Io: si sì sì no è inteso come si vai a fare in culo te: hahahah no no allora si sì sì… Io: davvero😍😍 (la mia testa stava esplodendo e gli arcobaleni avevano invaso il mio fottuto stomaco…) Te: Si E io la ti ho baciato e si è messo a piovere propio come volevo io un bel bacio sotto la pioggia… che poi ogni volta che usciamo piove a dirotto porca troia😂.Eh niente poi sei andata a canto e io sono rimasto sotto la pioggia soddisfatto di quello che é successo… siamo stati insieme 2 mesi più o meno due mesi 😍 e come potevo temere mi hai lasciato perché non sai come sono realmente… al iniziò ero molto incazzato per questa cosa però effettivamente avevi ragione…comunque con molte assemblee su Skype sono riuscito a capire che devo dirtelo di fatti non poco tempo fa dunque circa 2 settimane fa ti ho detto il tutto della mia doppia personalità del mio modo di essere differente con certa gente con quel gruppo nel quale te fai parte … ed é terminato il papiro che l ho scritto per te tipo ma sopratutto a me, a NOI, va alle parole che non ti ho detto, alle canzoni che ti ho dedicato alle notti insonne che mi hai fatto passare, questa lettera va agli abbracci mancati e ai baci che non mi hai dato, va alle notti che avremmo potuto passare insieme, ai film che avremmo potuto vedere che alla fine io avrei sempre preferito vedere te, va alle volte in cui avremmo potuto andare a delle feste o semplicemente saresti potuto venire a casa mia, questa va a tutte quelle volte che avrei voluto scriverti ma non l'ho fatto, alle volte che aspettavo con il cellulare in mano, alle volte che mi mancavi ma non lo potevo dire a nessuno. Questa lettera va a un NOI che non c'è mai stato ma che avrei tanto voluto che ci fosse. Va a te Ilaria, che sei stato la risata in mezzo al tunnel degli orrori. Scusami se ci sono cambiamenti da da man a girl but i am so fucking stanco come sempre e poi sto scrivendo con le canzoni sotto e termino così con lolwlow sottofondo che mi commuove con questa traccia. Ciau -HO SCRITTO TUTTO QUESTO PERCHÉ È TUTTA COLPA DEL TUO SORRISO-
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Sleeping with Sirens - Gossip
Tumblr media
E quando arriverà la notte e comincerà a piovere
Te lo ricorderai ancora il mio nome?
E quando starai in giro fino al mattino e continueranno a versarti da bere
Pensi che proverai ancora le stesse cose?
(da: I Need to Know)
1. Gossip
Gossip
   Ho questa novità, ho questa nuova mossa
Ti faccio svenire, ti faccio cantare il cuore
Spengo le luci, passo al sodo
Sarò il nuovo re, non potrai fare a meno di me
   Voglio vivere al massimo, voglio morire in libertà
Il sangue mi scorre nelle vene, com'è che non senti il mio cuore che batte?
Ho quel ritmo nuovo, e appena passo di lì divento il tuo incubo
Vengo a prenderti, non avere paura, non avere paura, non avere paura
Vengo a prenderti, non avere paura
   Guardami negli occhi; dimmi, cosa vedi?
Non stare a credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
Lo so a cosa pensi e i segreti che non confessi
Tu però non credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
   Ti faccio diventare pazza, una vita a mille
Per cui tieniti forte, indietro non si torna più
E nessuno ti regala niente
Per cui una volta entrata nel gioco, tesoro, devi tirare i dadi
Io magari porto sfiga, tu magari sei pazza
Ma io ho nove vite, tu ne hai solo tre
Ti piace la mia tecnica, sto infilando una serie di vittorie
Per cui occhio e tieni a freno la lingua invece di cercare di parlare, cercare di parlare, cercare di parlare
Invece di cercare di parlare
   Guardami negli occhi; dimmi, cosa vedi?
Non stare a credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
Lo so a cosa pensi e i segreti che non confessi
Tu però non credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
   Lo so a cosa pensi
Li so i segreti che non confessi
Non stare a credere alle bugie che hai sentito su di me, su di me
   Guardami negli occhi; dimmi, cosa vedi?
Non stare a credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
Lo so a cosa pensi e i segreti che non confessi
Tu però non credere alle bugie che hai sentito su di me
Su di me, su di me, su di me, su di me, su di me, su di me
       2. Empire to Ashes
L'impero in cenere
   Il leone e il lupo, vecchi dei
E la nuova battaglia dei bastardi che cercano di farsi largo
Un pendolo che oscilla e non riusciamo a fermare
Batte come un metronomo, non si può far fuori l'orologio
   Certi giorni mi sembra che siamo solamente sintomi di un sistema
Buco nero, nessuna speranza, sindrome psicotica
   Hey, sembra di essere animali in gabbia che cercano un rimedio per spezzare le catene che ci hanno messo addosso
Sì, di' pure che è cinismo
Io sarò anche disperato, ma non ci penso nemmeno a bermi le loro bugie
Voglio combattere e rischiare il tutto per tutto stanotte
Per cui date fuoco alla benzina con i fiammiferi
Riduciamolo a un mucchio di cenere il vecchio impero
Riduciamolo a un mucchio di cenere
   Il giovane sogna mentre dorme nel letto
La morte lo tiene d'occhio mentre lui aspetta i morti
Se la vita è un ago, la mia anima è il filo
La mia bocca è il veleno, la mia lingua il piombo
   Certi giorni mi sembra di essere intrappolato nel mio corpo
Cerco di liberarmi, ma non posso sfuggirmi
   Hey, sembra di essere animali in gabbia che cercano un rimedio per spezzare le catene che ci hanno messo addosso
Sì, di' pure che è cinismo
Io sarò anche disperato, ma non ci penso nemmeno a bermi le loro bugie
Voglio combattere e rischiare il tutto per tutto stanotte
Per cui date fuoco alla benzina con i fiammiferi
Riduciamolo a un mucchio di cenere il vecchio impero
Riduciamolo a un mucchio di cenere
Facciamolo diventare un mucchio di cenere
   A volte mi sembra che siamo solamente sintomi di un sistema
Buco nero, nessuna speranza, sindrome psicotica
Sindrome psicotica
   Hey, sembra di essere animali in gabbia che cercano un rimedio per spezzare le catene che ci hanno messo addosso
Sì, di' pure che è cinismo
Io sarò anche disperato, ma non ci penso nemmeno ad arrendermi
Non ci penso neanche ad arrendermi
Riduciamolo a un mucchio di cenere
       3. Legends
Leggende
   Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
   Ti ricordi di essere stato giovane?
Il mondo nelle mani, il cuore in una canzone
Ti ricordi di essere stato giovane?
Ricordi, ricordi
Le cose non sono mai come sembrano
Dimenticati chi sei, dimenticati come si sogna
Io dico che è ora di crederci
Ricordi, ricordi
   Potremmo scatenarci ed essere liberi
Possiamo diventare nella vita tutto quello che vogliamo
Potremmo spostare le montagne
Potremmo demolire le mura
Possiamo ergerci in battaglia senza mai cadere
   Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
   Ti ricordi di essere cresciuto?
Da solo dando le spalle al sole
Ti ricordi di essere cresciuto?
Ricordi, ricordi
Dimmi come andrà a finire
Che si vinca o si perda, vieni col cuore in mano
Io dico che è ora di crederci
Ricordi, ricordi
   Potremmo scatenarci ed essere liberi
Possiamo diventare nella vita tutto quello che vogliamo
Potremmo spostare le montagne
Potremmo demolire le mura
Possiamo ergerci in battaglia senza mai cadere
   Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
   Alzati e grida con tutto il fiato se lo vuoi
Ricordi, ricordi
Allungati e tocca il cielo perché è tuo
Ricordi, ricordi
Resteremo qui per sempre
Alzati e grida con tutto il fiato se lo vuoi
Ricordi, ricordi
Allungati e tocca il cielo perché è tuo
Ricordi, ricordi
Resteremo qui per sempre
   Potremmo scatenarci ed essere liberi
Possiamo diventare nella vita tutto quello che vogliamo
Potremmo spostare le montagne
Potremmo demolire le mura
Possiamo ergerci in battaglia senza mai cadere
   Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Potremmo diventare delle leggende dopo tutto
Ricordi
Resteremo qui per sempre
   Alzati e grida con tutto il fiato se lo vuoi
Allungati e tocca il cielo perché è tuo
       4. Trouble
Guai
   Difficile vederci se hai gli occhi chiusi
Difficile amare se hai il cuore spezzato
Passo la vita fuori al freddo
I giorni sono lontani e ora sono di ghiaccio
   Soffia il vento
Dove si ferma? Non lo saprà nessuno
(Ho detto) Si parte, dove ci fermiamo?
Non lo saprà nessuno, non lo saprà nessuno
   Ci sono dentro fino al collo, ho venduto l'anima
Sono irraggiungibile e non posso mollare
Sono nei guai, sono nei guai
Mi sono fatto strada, un vicolo cieco
Non posso tornare indietro, per cui vado da solo
Sono nei guai, sono nei guai
Sono nei, sono nei guai, guai
   Difficile respirare se perdi il controllo
Difficile vivere con le parole non dette
Me ne vado perché una casa non ce l'ho
Uno spazio vuoto e tremo da capo a piedi
   Soffierà il vento
Dove si ferma? Non lo saprà nessuno
(Ho detto) Si parte, dove ci fermiamo?
Non lo saprà nessuno, non lo saprà nessuno
   Ci sono dentro fino al collo, ho venduto l'anima
Sono irraggiungibile e non posso mollare
Sono nei guai, sono nei guai
Mi sono fatto strada, un vicolo cieco
Non posso tornare indietro, per cui vado da solo
Sono nei guai, sono nei guai
Sono nei, sono nei guai, guai
Mi prenda pure il cielo, sì, sì, sì, sono nei guai
Salvatemi
   Tu sei tutta rispettabile e io impossibile
Non possiamo avere tutto
No, no, non possiamo avere tutto
Eravamo invincibili, una cosa quasi criminale
Non vedi la luce fuori dal tunnel se ti vai a cacciare nei guai
   Ci sono dentro fino al collo, ho venduto l'anima
Sono irraggiungibile e non posso mollare
Sono nei guai, sono nei guai
Mi sono fatto strada, un vicolo cieco
Non posso tornare indietro, per cui vado da solo
Sono nei guai, sono nei guai
Sono nei, sono nei guai, guai
Come ci sono finito nei guai?
Come ci sono finito nei guai?
Mi prenda pure il cielo, sì, sì, sì, sono nei guai
Salvatemi
       5. One Man Army
Esercito di una persona sola
   Non ho sentito altro che promesse e scuse da quattro soldi
Sto prendendo una decisione in questo momento, in questo momento
Basta guardare al passato, adesso guardo al futuro
Ho aspettato il mio momento: è adesso, è adesso
   Non ho paura, non cado
Non mi arrendo se non mi dai quello che cerco
Adesso sto anche perdendo la pazienza
Ai posti di combattimento
   Tutti gli occhi puntati su di me, castelli che crollano
Gloria, gloria, mi solleverò come un esercito di una persona sola
Non voglio morire senza vivere
E non posso lottare senza vincere
Tutti gli occhi puntati su di me, mi solleverò come un esercito di una persona sola
   Anche quando ci perdiamo, non vuol dire per forza che perdiamo
Trionferò se combatto adesso, proprio adesso
   Non ho paura, non cado
Non mi arrendo se non mi dai quello che cerco
Adesso sono stanco di perdere tutto questo tempo
Ai posti di combattimento
   Tutti gli occhi puntati su di me, castelli che crollano
Gloria, gloria, mi solleverò come un esercito di una persona sola
Non voglio morire senza vivere
E non posso lottare senza vincere
Tutti gli occhi puntati su di me, mi solleverò come un esercito di una persona sola
   Le occasioni che non cogli sono tutte perse
Non puoi aver paura di sbagliare
   Tutti gli occhi puntati su di me, castelli che crollano
Gloria, gloria
   Tutti gli occhi puntati su di me, castelli che crollano
Gloria, gloria, mi solleverò come un esercito di una persona sola
Non voglio morire senza vivere
E non posso lottare senza vincere
Tutti gli occhi puntati su di me, mi solleverò come un esercito di una persona sola
Mi solleverò come un esercito di una persona sola
Mi solleverò come un esercito di una persona sola
       6. Cheers
Alla salute
   Siamo punkabbestia e vagabondi
Spazzini delle strade e gente che si accolla
Ci sballiamo sulla 5th Avenue, tanto non abbiamo niente da perdere
I ragazzi del college e i dirigenti aziendali
I bocciati e i senza speranza
A tutti quelli che si ritrovano appesi a un filo
Guarda, tesoro, io sono messo come te
Niente paura, ti faccio vedere io cosa fare
   Dite "Hey, facciamoci un applauso
Ne usciremo vittoriosi
Quello che dicono non ci importa perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica
Hey, facciamoci un applauso
Ragazze ribelli a cui gira tutto male
Quello che dicono non dovrebbe importare perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica"
   Ai mod e agli hipster
Uomini qualunque e gente che lavora sodo
Ci sbronziamo nella stanza dell'hotel, tanto non ci abbiamo mai capito nulla
Top model sul boulevard
Spacciatori e macchinone
Quelle che vogliamo, quelle che scegliamo
Guarda, tesoro, io sono messo come te
Non inciampare, ti facciamo vedere noi cosa fare
   Dite "Hey, facciamoci un applauso
Ne usciremo vittoriosi
Quello che dicono non ci importa perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica
Hey, facciamoci un applauso
Ragazze ribelli a cui gira tutto male
Quello che dicono non dovrebbe importare perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica"
   Ce l'abbiamo tutti qualcosa da perdere
Hai solo una vita per fare una scelta
Botte e legnate, ma cosa dovrebbero dimostrare?
Cosa dovrebbero dimostrare?
   "Hey, facciamoci un applauso
Ne usciremo vittoriosi
Quello che dicono non ci importa perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica
Hey, facciamoci un applauso
Ragazze ribelli a cui gira tutto male
Quello che dicono non dovrebbe importare perché noi seguiamo il ritmo di un'altra musica"
       7. Closer
Più vicino
   In questo periodo, ultimamente inseguo le ombre al buio
La luce me la sono dimenticata e non c'è niente in bianco e nero
Vivo nel grigio
Precipito nella clessidra del tempo, del tempo, del tempo
Sto cambiando la rotta, la rotta, stanotte
   Vieni un po' più vicino, più vicino alla fiamma
Il fuoco lo trattengo dentro, la cornice la faccio a pezzi
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
Vieni un po' più vicino, più vicino al dolore
Cenere e desiderio che mi bruciano nelle vene
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
   Devastato, privo di peso, sospeso come una marionetta attaccata a un filo
Ma non mi arrenderò mai
È un po' che sono solo, che sono in un brutto momento
I lividi rimasti non si vedranno mai e poi mai, no, no
E io lascio perdere, perdere
   Vieni un po' più vicino, più vicino alla fiamma
Il fuoco lo trattengo dentro, la cornice la faccio a pezzi
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
Vieni un po' più vicino, più vicino al dolore
Cenere e desiderio che mi bruciano nelle vene
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
E mi sento vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
   Non voglio lasciar perdere tutto
Tirarmi fuori dalla risacca
Ti ho spinto fuori? Ti ho fatto entrare?
Ricominciamo tutto da capo
Ho detto che non voglio lasciar perdere tutto
Tirarmi fuori dalla risacca
Ti ho spinto fuori? Ti ho fatto entrare?
Ricominciamo tutto da capo
   Vieni un po' più vicino, più vicino alla fiamma
Il fuoco lo trattengo dentro, la cornice la faccio a pezzi
E sono ancora vivo
   Vieni un po' più vicino, più vicino alla fiamma
Il fuoco lo trattengo dentro, la cornice la faccio a pezzi
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
Vieni un po' più vicino, più vicino al dolore
Cenere e desiderio che mi bruciano nelle vene
E sono ancora vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
E mi sento vivo (Ehi, ehi, sono ancora vivo)
       8. Hole in My Heart
Il buco che ho nel cuore
   Giornate piovose, giornate piovose, andatevene via
Ho detto che non so perché, non so perché mi sento così
E guardo lo specchio e non mi piace quello che vedo
E non mi piace la persona che ci vedo riflessa
Ma devo cercare di riprendermi prima di indebolirmi
   Non c'è niente di male, fatti vedere per quello che sei
Tutti soffrono, tutti hanno delle cicatrici
Non c'è niente di male a trovarsi nel buio
Fai brillare un lumicino dal buco che ho, dal buco che ho nel cuore
   Giornate nuvolose, giornate nuvolose, non se ne andranno tanto presto
Non so, non so perché mi sento così
E non sopporto come mi guardano tutti
Per cui vado in giro a testa bassa e prego che non veda nessuno le lacrime che scendono
Queste lacrime che nascondo per non farti vedere il mio dolore
   Non c'è niente di male, fatti vedere per quello che sei
Tutti soffrono, tutti hanno delle cicatrici
Non c'è niente di male a trovarsi nel buio
Fai brillare un lumicino dal buco che ho nel cuore
Fai brillare un lumicino dal buco che ho nel cuore
Fai brillare un lumicino dal buco che ho, dal buco che ho nel cuore
   Io sono il tuono, io sono la pioggia
Ti libererò dall'uragano
Tra il fuoco e le fiamme
Tutti rimaniamo scottati e impariamo dal dolore
   Ti aiuterò a superarlo
Lo sai che sarò la tua vita
   Non c'è niente di male, fatti vedere per quello che sei
Tutti soffrono, tutti hanno delle cicatrici
Non c'è niente di male a trovarsi nel buio
Fai brillare un lumicino dal buco che ho nel cuore
Non farti atterrare, non farti abbattere
È come un buco che ho nel cuore
Non farti atterrare, non farti abbattere
Come il buco che ho nel cuore
       9. I Need to Know
Lo devo sapere
   Tu hai un bel viso, io questo cuore spezzato
Un amore baciato dalle stelle, era destino che venisse distrutto
Hai detto che avevi bisogno di spazio, a me sono rimaste due cicatrici
Evidentemente sei tu il motivo delle mie lacrime
Le ho lasciate lì da te
   Non volevo possederti
Non volevo tenerti legata
Magari in un altro posto, magari in un altro momento
Fino ad allora diciamoci addio, ci vediamo in un'altra vita
   Sembra sempre di essere da soli
Cerchiamo una vita nuova, ma come facciamo a saperlo?
   E quando arriverà la notte e comincerà a piovere
Te lo ricorderai ancora il mio nome?
E quando starai in giro fino al mattino e continueranno a versarti da bere
Pensi che proverai ancora le stesse cose?
Lo devo sapere, lo devo sapere
Provi ancora le stesse cose? Provi ancora le stesse cose?
   Tu sei il mio universo, io ero la tua stella cadente
Non c'era nessun altro, e lo sapevamo fin dall'inizio
Hai detto che volevi l'amore, un amore che ti facesse sentire viva
Io ti ho dato tutto quello che una persona potesse provare
   Sembra sempre di essere da soli
Cerchiamo una vita nuova, ma come facciamo a saperlo?
   E quando arriverà la notte e comincerà a piovere
Te lo ricorderai ancora il mio nome?
E quando starai in giro fino al mattino e continueranno a versarti da bere
Pensi che proverai ancora le stesse cose?
Lo devo sapere, lo devo sapere
Provi ancora le stesse cose?
Lo devo sapere, lo devo sapere
Provi ancora le stesse cose? Diresti il mio nome?
   A volte quando ami qualcuno devi accettare di perderlo, accettare di perderlo
Proverai le stesse cose sotto la pioggia battente?
Dirai il mio nome gridando?
Lo devo sapere
   E quando arriverà la notte e comincerà a piovere
Te lo ricorderai ancora il mio nome?
E quando starai in giro fino al mattino e continueranno a versarti da bere
Pensi che proverai ancora le stesse cose?
Lo devo sapere, lo devo sapere
Lo devo sapere, lo devo sapere
Proverai ancora le stesse cose? Dirai il mio nome?
       10. The Chase
L'inseguimento
   Da ragazzino avrei dato qualsiasi cosa per arrivare dove siamo arrivati
Un intero futuro davanti a noi, la testa fra le stelle
In certi periodi magari sembrava anche tutto una follia
Risucchiato da questa vita, ma che non mi ha mai cambiato
No, non getto tutto alle ortiche
   Non lo faccio per inseguire un obiettivo
Non vivo per l'emozione del momento
Sapendo che ho una testa troppo cocciuta e un cuore troppo ostinato per mollare
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
La mia unica ragione di vita è sapere che non potrei mai farne a meno
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
   La vita sa essere come le montagne russe, con alti e bassi
Possono anche cercare di dirmi che non ce la farò mai
Ma loro che cavolo ne sanno?
Lo faccio per amore, sono nato apposta per questo
So che è questa la ragione della mia esistenza
Per cui no, non lascio perdere
   Non lo faccio per inseguire un obiettivo
Non vivo per l'emozione del momento
Sapendo che ho una testa troppo cocciuta e un cuore troppo ostinato per mollare
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
La mia unica ragione di vita è sapere che non potrei mai farne a meno
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
   La cosa più difficile di quando si cresce
Non si può rinunciare a quello in cui si crede
Continua a perseverare, segui il tuo cuore
Sii tutto quello che vuoi essere
   Non lo faccio per inseguire un obiettivo
Non vivo per l'emozione del momento
Sapendo che ho una testa troppo cocciuta e un cuore troppo ostinato per mollare
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
La mia unica ragione di vita è sapere che non potrei mai, non potrei mai farne a meno
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
Non lo faccio per inseguire un obiettivo
       11. War
Guerra
   Questo castello di bugie è macchiato di sangue
Stiamo demolendo i nostri monumenti
E adesso la speranza si è trasformata in paura
E sembra tutto incomprensibile
Ci si uccide tra fratelli stanotte
Ma quand'è che capiremo cosa è giusto e sbagliato?
A me sembra che abbiamo perso l'uso della vista mentre siamo accecati dai diritti
E questa cosa ha davvero del surreale
   C'è una pioggia fredda che scroscia sulla cima della montagna
Come un treno in corsa che non si fermerà mai
Una coltellata per un figlio bastardo
È l'amore di una madre in una guerra che non si può vincere
In una guerra che non si può vincere
   Nei pozzi si avvelena l'acqua da bere
Per le strade delle città piovono colpi di pistola
E noi saremmo la terra della libertà?
È il posto che fa per noi questo?
E questa cosa ha davvero del surreale
   C'è una pioggia fredda che scroscia sulla cima della montagna
Come un treno in corsa che non si fermerà mai
Una coltellata per un figlio bastardo
È l'amore di una madre in una guerra che non si può vincere
In una guerra che non si può vincere
Non si può vincere
In una guerra che non si può vincere
   Liberati del peso che ti porti addosso, la nostra croce
C'è un sole nero che sorge, lo si sente nell'aria
Quando siamo davanti ai cancelli perlati ci entriamo direttamente?
È arrivato il giorno del giudizio
   C'è una pioggia fredda che scroscia sulla cima della montagna
Come un treno in corsa che non si fermerà mai
Una coltellata per un figlio bastardo
È l'amore di una madre in una guerra che non si può vincere
In una guerra che non si può vincere
Non si può vincere
In una guerra che non si può vincere
Non si può vincere
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hello there pt2
l’avevo detto che mi servivano due post. 
allora.
l’altro motivo per cui mi è tornato utile questo blog è molto semplice. si chiama erasmus.
proprio così piccola greta del futuro, è il 13 gennaio 2020 e tra 3 settimane partirai per l’erasmus. già immagino come sarà tra qualche anno rileggere queste quattro cagate che sto per scrivere e ricordarmi di tutto quello che c’è stato nel mezzo.
dicevamo, l’erasmus. come? quando? perchè? 
ho fatto domanda a gennaio dell’anno scorso, le graduatorie sono uscite a febbraio e sono stata scartata in tutte e tre le destinazioni che avevo messo tra le preferenze (yay). al numero 1 c’era chiaramente la cara e vecchia amsterdam, al numero 2 abbiamo gand, in belgio, e al numero 3 niente di meno che nicosia, cipro. solo se ripenso alla mia scelta di mettere cipro tra le preferenze mi viene da ridere. come mi è venuto in mente? bah
comunque, dicevamo che nessuno mi ha cagata. poi, la svolta. è luglio, mi sveglio verso le 11 per andare a lavorare e guardo il telefono. una mail da almaRM, si è liberato un posto per il belgio, devo accettare entro una settimana. buongiorno quindi. 
panico. cioè, panico, direi più che altro un mix di emozioni che non sono riuscita ad identificare quella volta e non ci riesco neanche ora. boh, strano. molto bello sì, ma strano. avevo smesso di guardare le graduatorie perchè tanto ero troppo in basso per poter salire ed essere presa, e invece quando meno te l’aspetti ecco che la vita arriva per sconvolgerti e mettertelo in culo di nuovo. sta volta con la vasellina però. 
vado a lavoro, capisco che devo abbandonare l’idea di licenziarmi perchè ora mi servono soldi, devo reggere per tutta la stagione. i miei accettano, parliamo di soldi, perchè tanto alla fine per una scelta così è di quelli che si parla, e io confermo il posto. 
quindi ecco il programma: secondo semestre a gand, dal 5 febbraio a metà luglio minimo, ho la camera fino al 15, poi si vedrà. magari mi accampo a tomorrowland. ho fatto richiesta per una camera in dormitorio, non avevo nessuna intenzione di mettermi a cercare un appartamento in belgio, già bologna mi è bastata. 
quindi non so, che dire a riguardo? qui mi stanno chiedendo in tanti come mi sento, se sono pronta a partire, se non ho paura, “ma non conosci proprio nessuno che sia con te?”
no raga, nessuno. partiamo io me e medesima. nessuno mi viene a prendere all’aeroporto, nessuno fa il viaggio con me, nessuno che conosco è a lezione con me, nessuno dorme nel mio stesso condominio, nessuno è in quella stessa città, nessuno che conosco è in belgio e nessuno che conosco va in erasmus a dirla tutta. nessuno. io e basta. 
e vogliamo dirla tutta? la cosa non mi preoccupa per niente. lo so come funzionano queste cose, lo so cosa vuol dire essere in un paese straniero in cui neanche parlano la tua lingua e frequentare una scuola in cui neanche conosci il metodo e farsi tutti gli amici nuovi, da zero. e non dico conoscere qualcuno di nuovo per ampliare il gruppo, dico farseli tutti da capo. tutti. 
in realtà è una figata. io capisco che i miei amici non capiscano. lo capisco davvero. neanche io capirei. per questo non mi sono mai infastidita quando non hanno capito cosa volesse dire per me essere in australia o cosa vuol dire per me adesso andare in belgio. non gliel’ho neanche mai davvero spiegato, per il semplice fatto che non sono cose che capisci se non ci sei dentro. sì, vorrei che capissero, ma non li biasimo per questo.
poi il fatto che io sia una cinica testa di cazzo che non esprime sentimenti manco se pagata sicuramente non aiuta, ma questi sono dettagli. sicuramente se fossi una sentimentale non avrei bisogno di spiegare niente perchè non andrei da nessuna parte. sorry not sorry per le mie scelte di vita. 
le cose da dire riguardo a questa esperienza in realtà sono tante ma allo stesso tempo nessuna, è sempre difficile parlare di queste cose a tal punto che è quasi meglio non parlarne. neanche scriverle. 
non ho paura, non sono preoccupata, non rimpiango niente, non mi mancheranno i miei genitori e non mi mancheranno i miei amici. il mio cane sì, tantissimo anche, perchè non sarà consapevole di quello che succede, penserà che l’ho abbandonata e mi si spezza il cuore al solo pensiero. 
a parte questo, non dico che non mi mancherà nessuno perchè odio tutti, ma semplicemente perchè so che torno. io queste esperienze le affronto senza problemi perchè so sempre che torno. se non avessi una data di ritorno la cosa sarebbe diversa, tutto sarebbe diverso. ma in questo caso no. 
poi, di nuovo, il fatto che io sia un’apatica del cazzo che in generale non sente mai la mancanza delle persone è un altro discorso. ma a me è difficile che manchi qualcuno solo per il semplice fatto di essere qualcuno. mi mancano le cose che facciamo insieme magari, quelle si. so che mi mancheranno le serate al bradipop, so che mi mancheranno gli aperitivi al pepper, le serate da albi, il venerdì sera in cantina, tornare a bologna, i film della domenica sera, i giochi di società dopo aver fumato, i pomeriggi al parco con l’anna, le serate in città. queste cose sì. le persone non so, in linea di massima si, ma non da volermi far tornare a casa. purtroppo, so che io mancherò di più di quanto mancheranno loro a me, non perchè io sia fighissima e l’amica che tutti vorrebbero, ma perchè io avrò da fare, sarò occupata con una vita nuova, ogni giorno sarà qualcosa di diverso. per loro no, sarà la solita vita ma con una persona in meno. lo capisco, davvero. 
sono una stronza scusate lo so. 
cos’altro? ah si, la solitudine. bel discorso. avrò un sacco di tempo per stare da sola, sia per scelta che perchè sarò costretta (sì, di nuovo, non conoscerò nessuno all’inizio), e la cosa non mi tocca neanche un po’. io sto bene da sola, con me stessa, chiaro che dopo un po’ impazzisco anche io, ma la reggo bene. e non parlo di solitudine in senso concreto di avere persone intorno, non credo che in belgio mi mancheranno amici o compagni accanto, ma parlo della solitudine vera. quella che quando ti succede qualcosa di assurdo ti blocchi un attimo perchè in realtà non hai nessuno a cui raccontarlo. certo, avrò sempre i miei amici a casa, certo, avrò nuovi amici in belgio, ma quelli a casa non capiranno mai davvero cosa sto passando e quelli in belgio non mi conosceranno mai davvero per potermi aiutare. o forse sì chissà. mi è stata così in australia, lei c’era davvero. spero di incontrare un’altra persona come mi. se non la incontrassi, so come fare. 
l’australia mi è stata d’aiuto in modo impressionante per questo, so a cosa vado incontro, so cosa aspettarmi, so come gestire le emozioni e le situazioni che a 17 anni mi hanno lasciata spiazzata. sicuramente io ora parlo credendomi la persona più forte del mondo e quando sarò là avrò momenti difficili che mi lasceranno spiazzata di nuovo, ma questo è normale, fa parte del gioco. se l’ho fatto a 17 anni dall’altra parte del mondo credo di poterlo fare anche a 21 a meno di 2 ore di aereo da casa. 
dopo aver passato in rassegna tutte le cose negative che non mi toccano neanche un po’, posso dire che sono gasata ammerda? cioè dai vado in belgio da sola per 6 mesi. e sta volta da sola davvero. ed è ancora più bello. in australia mi mancava l’indipendenza, 17 anni mi pesavano, mi bloccavano continuamente, non potevo fare niente da sola, avevo una famiglia a cui rendere conto e che mi doveva dare il permesso per qualsiasi cosa, ero in una città buco di culo in cui dovevo farmi accompagnare in macchina per andare ovunque. sta volta no. sta volta no. e giuro che solo all’idea sono gasata. 
non so se c’è altro da aggiungere, ora aspetto i dettagli dall’università (per cui ci sarà un post specifico, pallosissimo ma che almeno mi farà ricordare le cose), darò un esame il 27 e comincerò a fare le valigie. il 5 si parte. mancano 23 giorni. 
ormai è fatta. 
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pangeanews · 5 years
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“Il primo passo è stato la Luna, Marte sarà il secondo, ma dobbiamo arrivare in un altro sistema solare”: dialogo con Alfred Worden, il pilota dell’Apollo 15
C’è uno spicchio di luna, stasera, che squarcia l’oscurità del cielo sgombro da nubi. Chissà cosa si prova a guardarla da vicino, ad atterrarci sopra. Quando vedo, per la prima volta, Alfred Worden, in una sala ovale immersa dentro un edificio solitario sulla collina, a pochi passi da un cimitero puntellato dal rosso dei lumini (siamo ad Induno Olona, nel varesotto, la sala è un centro polivalente per anziani, Asfarm, l’evento organizzato da Asimof, l’Associazione Italiana Modelli Fedeli dell’esplorazione spaziale, l’intervista curata da Paolo Attivissimo, un giornalista e traduttore esperto in materia scientifica), dice che sta digerendo il gelato (“uno dei gelati più buoni della sua vita”).
*
Quelli dell’Apollo 15: David Scott, Alfred Worden, James Irwin. Era il 1971
Il colonnello Alfred Worden, pilota del modulo di comando dell’Apollo 15 e il primo uomo ad effettuare un’attività extraveicolare nello spazio profondo non è certo un ragazzino, ha 87 anni, pur svelando l’ombra di un’antica bellezza, il suo volto è segnato dal tempo che è passato da quella storica missione lunare del 1971. Sono passati solo 48 anni. Cerco di afferrare lo sguardo di Alfred, nell’illusione di poter cogliere quello stesso segreto che i suoi occhi azzurri hanno rapito così tanto tempo fa. Vedere il volto della Luna. Alfred, che dagli amici si fa chiamare Al, indossa il giubbotto leggero, tipo bomber, celeste, con lo stemma della Nasa e quello della sua missione, Apollo 15, sotto una polo bianca con i primi bottoni slacciati e, quando sta in piedi, si mette le mani in tasca. Il naso dritto, lievemente aquilino, le labbra serrate, anche quando si mette in posa per le foto, non sorride molto e non abbandona mai quell’atteggiamento di severo rigore che sembra accompagnarlo, mentre intorno a lui si scatenano i fotografi e una piccola folla in delirio; del resto è una star.
*
È solo uno dei diciotto uomini al mondo che ha messo piede sul nostro satellite. O meglio: il piede in realtà lui non ce l’ha mai messo, nei giorni storici dal 26 luglio al 7 agosto 1971. Mentre David Scott e James B. Irwin andavano in giro sulla Luna, sgommando su un’agile macchina elettrica (che è ancora lassù), lui era a bordo, finalmente solo, occupato a fare le sue rilevazioni e i suoi studi. Nonostante la sua apparente austerità, quando parla nel suo americano, non annoia mai e le immagini fervide che evoca si imprimono con forza nella mente, intervallate da battute ironiche, salaci, talvolta dissacranti. Vuole parlare del suo background, della vita dura in una fattoria del Michigan. “Sono cresciuto in una fattoria, allevavamo mucche, polli, anatre, avevo quattro cavalli. Fino a diciotto anni gestivo io la fattoria, fino al college. La scuola che ho frequentato era una scuola di campagna con una classe sola, formata da trenta studenti. Credo che questa sia una delle cose più belle che mi siano capitate nella vita, perché avevo la sensazione, mentre ero nelle classi inferiori di imparare di più conoscendo il programma delle altre classi, più di quanto avrei potuto imparare, in una classe di coetanei. E mi sono divertito. Ero lo studente che arrivava prima a scuola, accendevo la stufa. Poi arrivavo a casa e mungevo le mucche. A dodici anni ho cominciato a guidare i trattori e ho preso la patente di guida a quattordici anni. Ogni domenica facevamo il gelato, in casa. Crescendo in una fattoria, ho imparato presto il senso di responsabilità che è rimasto con me per tutta la vita. Ho imparato la disciplina – se non facevo io una cosa non veniva fatta – e in virtù di questa esperienza, ho deciso che non volevo trascorrere il resto della mia vita in fattoria, ma volevo allontanarmi il più possibile. Quando ero in volo non ho pensato molto a quella fattoria”.
*
Mentre scorrono le immagini sulle pareti della sala, nel silenzio attentissimo del pubblico, il colonnello Worden non lascia mai trapelare l’emozione, nemmeno quando ricorda la tragedia dell’Apollo 1 e la morte di comandante Virgil Grissom, il pilota maggiore Edward White e il pilota Roger Chaffee, i volti sorridenti nei corpi immersi nelle ingombranti e immacolate tute spaziali. I loro sguardi felici e orgogliosamente americani, a un passo dalla morte. Worden ricorda la tragedia con distacco ma anche con la consapevolezza di una catena di errori fatali. Da non ripetere. “Vorrei dire che il problema, secondo me, è stato di natura umana. Stavano facendo un controllo della pressurizzazione del modulo di comando, per la pressione da mantenere nello spazio. Stupidamente hanno usato l’ossigeno puro, un materiale estremamente pericoloso. A peggiorare la situazione: hanno usato la gommapiuma per sigillare i comandi, una vera bomba. Avremmo potuto salvarli se ci fosse stato il portellone giusto. Il comandante aveva progettato un portellone che si fissava, si sigillava dall’interno. Avevamo, invece, bisogno di un portello che si aprisse all’esterno. E questo ha portato alla morte dei tre uomini. E alla motivazione per progettare tutto daccapo. Volevamo assicurarci che non fossero morti invano”.
*
Alfred Worden oggi, a 87 anni. Fotografia di Linda Terziroli
Il suo discorso abbraccia tutti i programmi spaziali sin dagli anni ’50, spiega l’acquisto di 154 mila acri di terreno in Florida per lanciare i razzi e che oggi è diventato una vera riserva naturale con alligatori, lunghi addirittura otto metri e ventotto coppie di aquile. È inevitabile parlare della Russia e della corsa allo spazio che ha contraddistinto quegli anni. Oltre ai programmi attuali, giapponesi e americani, e a Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, che secondo lui vincerà la prossima corsa allo spazio. Chissà se sarà così. Alfred Worden non ci aveva scommesso su Neil Armostrong. Dalle sue parole, sembra che non erano in molti, alla Nasa, a credere che sarebbe stato lui il primo uomo sulla Luna. Infatti: “Quelli che stavano a Houston avevano scommesso tutti i loro soldi su Apollo 12. Io stesso avevo scommesso altre cose, non i soldi, su Pete Conrad. Io facevo il tifo per lui perché ero la sua riserva. L’Apollo 11 non era un volo privo di difetti, sono state date indicazioni pazzesche nella discesa sulla Luna dai computer, ma gli uomini sono stati bravissimi. Sulla Luna sono rimasti solo due ore e mezza. Era il primo passo, dovuto alla risolutezza di una persona geniale come Neil Armstrong, l’uomo che non era stato selezionato per quella missione. Credo che il mondo si rendesse conto che era la persona perfetta in quel momento”.
*
Con la missione successiva, Apollo 12, l’atterraggio era avvenuto in un punto specifico della Luna, a un centinaio di metri di distanza dal precedente. La precisione è andata via via migliorando fino all’Apollo 15, il primo volo scientifico sulla Luna, con attrezzature mai portate prima sul satellite. Mentre il colonnello mostra la celeberrima immagine della bandiera americana sulla Luna si ferma un momento a pungolare la tesi complottista secondo cui nessun uomo è mai arrivato sulla Luna. Perché sventola la bandiera in assenza di vento? “Semplice, l’abbiamo fatta apposta così”. Mentre gli astronauti saltellavano sulla superficie lunare – la gravità è 1/6 rispetto al nostro pianeta – Alfred era a bordo, in una solitudine spaziale. Per sei giorni, indica il modulo lunare dell’Apollo 15, quella è stata casa mia, dice. Cinque finestrini, due portelli e tre sedili. Quanto è grande? Quanto è piccolo? Settantacinque metri cubi per due persone, “l’abitacolo di un Maggiolino”. “Se nello spazio ti senti solo? Dopo quattro giorni e mezzo, ero ben contento di vederli allontanarsi”. Nel volo di ritorno a casa, Worden ha fatto la prima passeggiata spaziale per recuperare i contenitori delle pellicole con migliaia di fotografie.
*
Il futuro della Nasa non sembra roseo agli occhi del colonnello. Dopo il programma Constellation annullato per varie ragioni, la Nasa ha ideato Orion per sondare la profondità dello spazio e andare su Marte, ma “sono frustato, perché Orion può portare quattro persone per sole due settimane e un viaggio per Marte dura un anno e mezzo. Inoltre non sarebbe in grado di rientrare sulla Terra dopo Marte. Quando si conquisterà Marte? Tra trenta/quaranta anni. Marte è solo uno dei grandi passi. Io credo che andare sulla Luna sia stato il primo passo. Marte sarà il secondo. Al ventesimo passo, saremo capaci di andare su un altro sistema solare. Quando avremo il prossimo livello di tecnologia. Prima o poi tutta l’energia del Sole si esaurirà ed è meglio se saremo pronti per andare da un’altra parte. L’obiettivo primario di ogni essere umano sulla Terra è sopravvivere. Abbiamo uno scenario di tantissimi anni, tra migliaia di anni potremo farlo”.
*
Al momento delle domande, un ragazzino tra il pubblico in prima fila gli domanda: cosa faceva nei tempi morti del viaggio, come passatempo? “Ero sempre pronto ad andare a dormire, avevamo a disposizione solo quattro ore di sonno ogni giorno”. Della Luna Alfred Worden ricorda la polvere, un odore di polvere molto pungente, una polvere che, per quanto uno possa pulirsi, non ti abbandona mai. Un romantico signore gli domanda, infine, cosa pensa quando guarda la Luna. “Ci sono momenti in cui vedo, con una vividezza, quello che ho vissuto. È come quando si vede un film, dopo il film non ricordi che i momenti salienti. A volte, la maggior parte delle volte, non ci penso, penso alla vita di tutti i giorni. Però, se sono di un certo stato d’animo, dico: mica male!”. L’incontro è finito e, per prima cosa, il colonnello che ha passeggiato nello spazio ed esplorato la Luna, apre la sua valigetta quadrata di acciaio e mette via, alla chetichella, il suo pezzetto di Luna. È solo una roccia, penso, ma quando serra la valigia e la impugna con le sue grandi e ferme mani, capisco che il suo tesoro è quello lì. Tutto ciò che di più caro possiede, su questo nostro vecchio pianeta, e ciò per cui è davvero valsa la pena di vivere.
Linda Terziroli
L'articolo “Il primo passo è stato la Luna, Marte sarà il secondo, ma dobbiamo arrivare in un altro sistema solare”: dialogo con Alfred Worden, il pilota dell’Apollo 15 proviene da Pangea.
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Emorroidi solidali: se ti fa male il sedere rilassa le labbra
Alcuni muscoli sono accoppiati. E il fatto che ci sia una connessione tra bocca e ano, entrata e uscita del cibo, ha una sua logica.
Se hai le emorroidi rilassare la parte dolorante è difficilissimo e puoi ottenere un risultato opposto perché puoi provocare un aumento dell’afflusso di sangue e quindi un maggiore gonfiore.
In questo articolo ti racconto come ho cercato di affrontare questo malanno, successi e insuccessi. Una ricerca che ho condotto grazie al contributo di molte persone che hanno raccolto il mio invito a raccontare la loro storia emorroidale.
In questo articolo vedremo anche altri modi per ridurre il danno: cambiare modo di evacuare (torniamo alle origini defecatorie naturali), usare un cuscino a ciambella se si sta troppo seduti, mettersi con le gambe verso l’alto, appoggiate a un muro, e respirare in modo naturale per ridurre la bassa pressione
Attenzione questi consigli non vogliono sostituirsi alle terapie mediche! (vedi l’AVVERTENZA finale)
Come rilassare le labbra, le gengive e la lingua.
So che può sembrare un’affermazione delirante. Qualcuno dirà: “Ma come si fa a rilassare la lingua? Quando mai è contratta!?! E poi perché?”
Mi dicono che secondo i principi della medicina tradizionale cinese alcune zone del corpo sono accoppiate con alcuni muscoli.
Se hai l’ano infiammato sarebbe utile rilassare la zona per diminuire il dolore dovuto alla tensione della pelle. Ma proprio perché ti fa male non riesci a lasciar andare la contrazione. Allora puoi rilassare questa zona de-tendendo i muscoli gemellati di labbra e lingua. La gengiva non ha muscoli ma puoi ugualmente fare finta che li abbia e lasciar andare la tensione nella zona gengivale.
Forse se ti metti ad ascoltare se le tue labbra sono contratte non percepisci la contrazione. Spesso però, ascoltando per qualche minuto, non di più, per qualche giorno, ti potresti rendere conto che c’è una contrazione che non avevi indentificato…
Rilassare le labbra è abbastanza facile, basta provarci per un po’ di minuti per qualche giorno di seguito e poi diventa un’abitudine accorgerti quando tieni le labbra “tirate”.
Immaginare di rilassare le gengive non è poi difficile, basta fare finta di farlo, pensare di farlo per ottenere il risultato.
Più difficile decontrarre la lingua. Almeno per me lo è stato.
Puoi provare a appoggiare la testa sul cuscino, di profilo, cioè con l’orecchio sul cuscino, stando orizzontale sul letto. Prova a tenere la bocca socchiusa, con anche la mandibola rilassata contro il cuscino. Stando così prova a spostare la lingua verso l’alto, cioè verso la guancia opposta a quella appoggiata al cuscino. Poi abbandonala alla forza di gravità di modo che scivoli verso la guancia appoggiata al cuscino.
Sembra facile… Ma probabilmente ti accorgi che non riesci a lasciarla cadere da sola, senza usare i muscoli per spostarla.
Se proprio non riesci a lasciar andare la tensione linguale puoi provare a chiudere il pugno e poi lasciarlo rilassare lentamente immaginando che il pugno sia la tua lingua. Frase che può sembrare “scema e impossibile” ma se ci provi ci riesci; misteri dell’umana capacità di visualizzare azioni impossibili.
Probabilmente osserverai quasi subito che la zona anale si decongestiona.
Magari non la prima volta che lo fai ma dopo qualche tentativo.
Anche rilassare la nuca è utile.
Ho individuato solo un’altra coppia di muscoli gemelli: la vescica è collegata con i muscoli della mandibola. In caso di crisi cistitica rilassare la mandibola è sensazionale!
Le mie emorroidi
Una decina di anni fa fui travolto dalle emorroidi che a più riprese mi costrinsero a letto (piangente per il dolore) per alcuni giorni.
L’accidente scatenante fu che, recitando un monologo di 1 ora e 45, sforzavo i muscoli del perineo, cioè quelli intorno all’ano… Finito lo spettacolo ero a pezzi. Il primo miglioramento l’ho ottenuto grazie a Eleonora Dalbosco, grande specialista della voce e del bel canto, che mi ha spiegato che parlavo con un tono di voce non naturale, troppo basso, e quindi mi trovavo a sforzare la voce, spingere troppo verso il basso e aumentare così la pressione nella zona emorroidale. Alcune lezioni con lei mi hanno permesso di migliorare l’uso della voce e la situazione post spettacolo è notevolmente migliorata: recitare non era più uno strazio… Ma visto che il malanno persisteva mi rivolsi a uno specialista di cui mi fidavo (è pure mio parente) che mi diagnosticò sia le emorroidi che una fistola. Il suo consiglio fu quello di operarmi immediatamente. Essendo io un vile decisi di rimandare l’intervento, spaventato anche dal fatto che alcuni amici erano stati operati ma poi avevano subito ricadute. Decisi così di rivolgermi ai lettori del mio blog per raccogliere pareri, esperienze, consigli. La risposta fu di massa! E mi misi quindi a sperimentare con diligenza buona parte delle proposte che mi arrivarono… Mi dà gran gusto sperimentare, sempre sperando di trovare la soluzione definitiva e prendere quindi il Nobel emulando il mio insigne genitore. Certo, un conto è prendere il famoso premio per la letteratura, un conto è prendere il Nobel per le emorroidi… Sì, perché c’è da dire innanzi tutto che se c’hai una cefalea o una peritonite da un certo punto di vista fa pure figo. Se c’hai le emorroidi sei un gradino sotto perfino alla diarrea. Il che ti avvilisce e diminuisce le tue capacità di autoguarigione…
Comunque è una vergogna comune: ci sono circa 3 milioni di italiani che ne soffrono. Ecco quindi, a distanza di anni e di molte delusioni sperimentali, il bilancio della mia storia: non ho trovato il metodo per sconfiggere le emorroidi ma sicuramente alcuni modi utili per alleviarle. Non vi vendo miracoli. Innanzi tutto devo dire che nel mio caso c’era dolore forte immobilizzante, ma non c’era fuoriuscita di parti interne del corpo… Cioè erano notevoli ma non gravi.
Devo poi aggiungere che non sono riuscito a sconfiggerle completamente, però ho ridotto drasticamente il disturbo. Da parecchi anni non mi è più successo di avere dolori importanti, non mi è più capitato di dover restare a letto bloccato.
Cura di emergenza
Grazie ai consigli raccolti sono arrivato alla conclusione che in caso di dolore acuto ci sono solo quattro mosse che funzionano.
Primo: un intervento chirurgico d’urgenza.
Secondo: sdraiarsi sul letto appoggiando le gambe in verticale contro il muro, restare così una mezz’ora. Allevia. In questo modo la pressione del sangue defluisce dalla parte bassa a quella alta del corpo, cioè si riduce la pressione nella zona e si ottiene una diminuzione del gonfiore e del dolore.
La terza tecnica riguarda il modo di defecare. E se l’avessi scoperto subito mi sarei risparmiato dolore a fiumi (ma perché i medici raramente te lo dicono?). Il modo naturale di andare in bagno è alla turca, cioè accovacciati. La posizione seduta sul water è innaturale perché l’ultimo pezzetto dell’intestino fa una curva e quindi per espellere si fa fatica per una ragione meccanica. Accovacciandosi invece l’intestino finale si trova, diciamo così, a “raddrizzarsi” e il tutto risulta meno traumatico. Ovviamente è un problema entrare in casa con un piccone e sostituire il water con una turca, anche perché magari i conviventi s’incazzano. Ma io (e per questo dovrei ricevere quantomeno riconoscimenti internazionali) ho scoperto che si ottiene lo stesso identico risultato semplicemente piegandosi nel momento del bisogno, cioè tendendo il busto piuttosto orizzontale invece che verticale (vedi immagine 1) (((foto dal mio blog resa graficizzata a mosaico o poster con filtri. Basta la sagoma senza mi si possa riconoscere).
Nella fase espulsiva puoi anche spingere con i piedi sul pavimento e otterrai un’espulsione ben più morbida con gioia emorroidistica.
Importante anche non spingere “di sedere” cioè con i muscoli della parte finale dell’intestino ma usando il movimento del diaframma per espellere (funziona proprio meglio). Ne parlo più diffusamente nel prossimo paragrafo sulla respirazione emorroidica. Questo consiglio va bene per tutti eccetto per chi ha una pancia esagerata… E quando dico per tutti intendo anche per chi non soffre di emorroidi perché si evita che ti saltino le venuzze delle orecchie o ti venga l’infarto nel momento cruciale espulsivo (Scherzo. Cioè non ti saltano gli orecchi ma comunque è una posizione sana per tutti).
Finita la crisi è il caso di diminuire l’irritazione della zona. Io reputo miracoloso l’uso di un semplice cuscino a ciambella, ce n’è di gommosi, sui 15/20 euro, io me lo porto ovunque, nascosto da una graziosa foderina a borsa con manici. Già solo questo mi ha risolto buona parte del problema. Se stai molte ore su una sedia te lo consiglio. Inoltre la ciambella, un po’ sgonfia, fa bene pure per la cistite (perché decomprime la zona pubica) e per il mal di schiena, (perché ti porta a fare micro movimenti con la spina dorsale e a cambiare i punti di appoggio sulle vertebre).
Passata la fase acuta è buona cosa ottimizzare il respiro.
I polmoni sono un pallone che si gonfia e si sgonfia. Quindi si ottiene una dilatazione della cassa toracica verso l’alto e orizzontalmente e un movimento del diaframma (che sostiene i polmoni) verso il basso. Si respira con il naso senza svuotare o riempire i polmoni completamente. L’espirazione avviene semplicemente lasciando andare il fiato in modo simile al sospiro di sollievo. Cioè la muscolatura la usi per inspirare, ma per buttare fuori l’aria non serve spingerla fuori, basta lasciare andare i muscoli che hai usato per inspirare.
Se il ventre non è contratto il movimento verso il basso del diaframma muove tutti gli organi e i visceri del ventre, fino al pube e all’ano.
Questo movimento è benefico per tutti i tessuti perché tonifica e aiuta la circolazione del sangue nei capillari.
È importante che questo movimento non avvenga solo verso il basso ma anche verso l’alto. Una respirazione che non fa muovere la parte alta della cassa toracica ha l’effetto di aumentare la pressione sanguigna nella parte bassa del corpo (bacino e gambe) agendo negativamente sulle emorroidi (ma anche su vene varicose, ernie e simili).
Importante la respirazione anche perché lasciando che il respiro smuova naturalmente i visceri si ottiene di provocare l’evacuazione (o defecazione che dir si voglia) senza dover spingere con i muscoli per espellere l’espellibile. Il che è particolarmente fastidioso (lo spingere localmente) se si sperimenta un’infiammazione in quella zona.
La respirazione corretta inoltre, visto che fa muovere i visceri, ha un effetto positivo sulla stitichezza.
Un altro rimedio collaterale riguarda la consistenza della materia prodotta (che a questo punto mi permetterete di chiamare cacca, merda e pupù, visto che ormai siamo in confidenza a furia di parlare di buchi di sederi).
I semi di chia sono un antichissimo rimedio dei nativi americani. Lasciati a mollo 5 ore diventano una mucillagine con un effetto rinfrescante, ma soprattutto trasformano le feci in una sostanza morbida e lubrificata che se ne va via che è una bellezza. IMPORTANTE: alcuni sconsiderati propongono di consumare i semi di chia senza metterli a mollo per 5 ore. Molti sostengono che è pericolosissimo farlo perché essendo idrovori se ingeriti asciutti si possono attaccare alle pareti dell’apparato digestivo come piovre e lì marcire generando ogni sorta di schifo.
Una soluzione pret a porter sono le bibite pronte con l’aggiunta di semi, che a quel punto sono a mollo da tempo e non dovrebbero dare problemi. COMUNQUE prima di ingerire questi semi chiedete il parere ad un medico. Alternativa alla chia, in caso di intolleranza, sono i semi di psillium, che vanno messi a mollo pure loro per gli stessi motivi.
Nella fase acuta sono pure utili le creme. Le ho provate tutte. Molte contengono derivati del petrolio e le eviterei. Le migliori che ho sperimentato e che hanno ottenuto il massimo di pubbliche ovazioni da parte dei miei consiglieri solidali, sono quella di Aboca, Fitoroid e l’Omeoplasmina. Peraltro le aziende che le producono le hanno addirittura dotate di cannule fantasticamente lisce, mentre alcune aziende ti rifilano cannule con piccoli spunzoni graffianti (puro sadismo emorroidale). Il molto famoso preparato H non mi ha invece aiutato.
Devo poi segnalare un fenomeno curioso, che non ha nessun valore scientifico ma che non posso tacere perché getta luci sui meccanismi psicologici collegati almeno al mio caso: a me, quando stavo male, dava risultati miracolosi il giocare ai videogames sparatutto. Generalmente dopo aver fatto irruzione sul pianeta Ixylly 31, con un gruppo di valorosi, e aver sterminato un paio di centinaia di lucertoloni cattivissimi, mi si azzerava il disturbo. Lo so che non è scientifico ma come potevo tacere questa imbarazzante verità?
Una cura possibile
Credo che le emorroidi siano un disturbo fetente perché dipendono da un mucchio di fattori contemporaneamente. Principalmente fattori psicologici, meccanici e alimentari.
I fattori psicologici non sono riuscito a capirli. Ho anche seguito a lungo i consigli sulle frasi che ti guariscono, i pensieri positivi eccetera. L’idea è che le emorroidi siano la rappresentazione somatica di un’ansia da incapacità di arrivare alla fine di una fase della vita, restare in sospeso… Defecare qualche cosa… Non riuscire a buttare fuori o a uscire da qualche parte… Con me non attacca ma ho raccolto testimonianze di persone che hanno avuto beneficio con i libri sulle parole che guariscono della dottoressa Gabriella Mereu, che è un vero genio, a prescindere dai miei risultati refrattari. Ognuno ha la testa fatta diversa e le malattie sono solo apparentemente uguali. Quindi il fatto che una cosa non funzioni con me non vuol dire che non vada bene per un’altra persona.
Questo principio vale per tutte le cure tranne per quelle meccaniche. Cioè ci sono malattie che in parte sono dovute al modo di muoversi, di usare il corpo dal punto di vista meccanico. Ed è chiaro che questo vale per tutti: se ogni giorno ti dai una martellata sull’alluce del piede probabilmente soffrirai di dolori cronici podali… Nel caso delle emorroidi è ovvio che muoversi fa bene mentre restare immobili per mesi fa male. Ed è fondamentale sapere anche che se stai molte ore seduto, in auto o alla scrivania è molto probabile che poi soffri per cattiva circolazione del sangue in quella zona, perché c’è una pressione meccanica eccessiva, il sangue non circola bene e i tessuti ne soffrono.
Cibo e dieta
La questione alimentare è altrettanto importante, ovviamente se ti mangi mezzo chilo di carne di babbuino grasso al giorno forse c’è un interrelazione emorroidale, soprattutto se te lo mangi fritto in olio di semi spremuto a caldo con le trieline e poi ci spalmi sopra tutto il burro prodotto dalla Val d’Aosta. Ma credo di avere un’alimentazione non eccessiva… Mangio 20 grammi di carne al mese, un po’ di pesce e il resto sono cereali e verdure e latticini, due dita di vino ai pasti, quindi non credo ci sia una gran causa alimentare. Comunque ho provato a eliminare i cereali per mesi, poi i latticini, poi pure il pesce e il caffè, il vino e la birra. Ho provato a mangiare anche solo verdure e frutta cotta per mesi. Ma non ho registrato nessun cambiamento, neanche eliminando il peperoncino. Insomma in questi anni ho avuto modo di sperimentare a lungo tutti i tipi di diete che i miei lettori solidali mi hanno proposto senza osservare cambiamenti.
Massaggio
È anche utile il massaggio locale, lieve e solo se non provoca dolore. In alternativa il getto d’acqua tiepida di una doccia o di un rubinetto. A lungo, piangendo.
Larga è la foglia, stretta la via: voi dite la vostra, io ho detto la mia.
Avvertenza
Affidarsi ai medici per le cure è fondamentale. È molto pericoloso seguire i consigli della vicina di casa o curarsi da soli ricorrendo a internet. Questo articolo non fa eccezione e non rappresenta un invito a NON seguire le prescrizioni mediche. Ma ci sono una serie di TERAPIE COMPLEMENTARI che sarebbe utile conoscere per migliorare gli effetti delle cure scelte. Altrettanto utile sapere da altri ammalati quali sono le terapie che con loro hanno funzionato o i medici che hanno dimostrato una maggiore affidabilità. È utile che i pazienti si scambino informazioni.
Per questi motivi inauguriamo su People for Planet una sezione dedicata allo scambio di informazioni tra pazienti. A questo post ne seguiranno altri incentrati sui disturbi più diffusi: cistite solidale, mal di testa solidale, mal di schiena solidale, calvizie solidali, verruche solidali…
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