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#tritolo
paolodechiara · 2 years
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La sagra dell'ipocrisia
La sagra dell’ipocrisia
STRAGE DI CAPACI. 17:57 di 30 anni fa. Il tritolo uccide il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Agostino Montinaro. Ma quale azione governativa è stata registrata in questi ultimi anni? Dov’è la parola “mafie” nell’agenda politica nazionale? Non esiste nulla di tutto questo. Solo proclami ipocriti, parole vuote e azioni…
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theoreticalwitchcraft · 11 months
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ci hanno pure rovinato la festa per la morte di 'sto bastardo con ste scene davvero raccapriccianti.
letteralmente la rappresentazione in un individuo di tutti i mali che peggio rodono questo paese e facciamo il lutto nazionale. per un mafioso pedofilo.
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fard-rock-blog · 1 year
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Nelide Bandello/Bar Tritolo | Milagro
Etichetta: Flying Robert Music Tracce: 10 – Durata: 47:23 Genere: Nu Jazz Sito: Instagram, Facebook , FRM Voto: 8/10 Il batterista veneto Nelide Bandello accredita il suo nuovo disco al gruppo Bar Tritolo, mutuandolo dal titolo dell’album che, pressappoco con la stessa formazione aveva realizzato nel 2014. Alla compagine testata in quell’occasione (Enrico Terragnoli alla chitarra e Piero Bittolo…
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acquaconlimone · 9 months
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Il mio pensiero su quel 2 agosto del 1980 ha una sfera personale perchè io assieme ad altri tre amici all'epoca di tutti quindicenni tornammo dalla Germania il 27 luglio con l'Alpen Express lo stesso treno che pochi giorni dopo venne scagliato per aria come se fosse stato un giocattolo, quindi mi percorre sempre un filo di inquietudine e poi perché come sempre commemoriamo i morti ma gli autori di queste stragi sono in parte oramai fuori dal carcere da anni. Il mese scorso abbiamo ricordato la strage di Palermo dove il giudice Borsellino assieme alla sua scorta saltò per aria, facendo vacillare le istituzioni democratiche, impossibile da dimenticare la tensione domata a stento dagli uomini in divisa che portarono via a braccia il neo eletto capo dello stato Oscar Luigi Scalfaro al funerale nel Duomo di Palermo. L'uomo che materialmente spinse l'interruttore e fece saltare la macchina con il tritolo è fuori come "uomo" libero da oramai tre anni.
A Bologna invece...
Valerio Fioravanti è completamente libero.,
Francesca Mambro è libera con pena estinta,
Luigi Ciavardini dal 2000 è libero da tutte le accuse e non aveva "solo" la strage di Bologna ma altre condanne per omicidio e banda armata.
Ecco, ricordiamo gli 85 morti e gli oltre 200 feriti, ma ricordiamoci che per via di leggi strane questi terroristi sono liberi con gli stessi diritti miei e vostri, leggi che nessun governo ha mai abolito.
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giovaneanziano · 1 year
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La carrambata degli artigiani della qualità di poltrone e sofà sarebbe finita meglio se si fossero fatti brillare gonfi di tritolo
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paoloxl · 9 months
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2 agosto 1980 strage alla stazione di Bologna - Osservatorio Repressione
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Il 2 Agosto del 1980 alla stazione del capoluogo emiliano l’esplosione di una bomba fece 85 vittime e 200 feriti. Tre terroristi neofascisti, Mambro, Fioravanti e Ciavardini, sono stati condannati come esecutori materiali. Ma non si conosce ancora chi c’è dietro l’eccidio.
Una strage senza mandanti. E con due degli esecutori materiali della strage condannati in via definitiva, i terroristi neofascisti (appartenenti ai Nar) Valerio Fioravanti e Francesca Mambro
Era il 2 agosto 1980, quando, alle 10.35, esplose alla stazione di Bologna una valigia carica di tritolo. Ottantacinque furono i morti, 200 i feriti, per una delle pagine più buie della storia della Repubblica. E ancora mai del tutto chiarita. Uno schiaffo ai parenti delle vittime dell’attentato, il peggiore per numero di vittime nel nostro Paese.
Lo scoppio, violento, causò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. E l’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Un eccidio senza precedenti, con i corpi delle vittime portati in ospedale con gli autobus della linea 37.
All’attentato la città di Bologna rispose trasformandosi in una grande macchina di soccorso e assistenza per le vittime, sopravvissuti e parenti.
Tra le vittime, 77 erano italiane, tre erano di origine tedesca, più due inglesi, uno spagnolo, un francese e un giapponese. Persero la vita anche diversi bambini: la vittima più piccola aveva soltanto tre anni.
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gregor-samsung · 11 months
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“ Il metodo Falcone
«Nemico numero uno della mafia», l'etichetta gli resterà attaccata per sempre. Circondato da un alone leggendario di combattente senza macchia e senza paura, il giudice Giovanni Falcone, cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell'ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. Queste pagine ne costituiscono la testimonianza. Non si tratta né di un testamento né di un tentativo di tenere la lezione e ancor meno di atteggiarsi a eroe. «Non sono Robin Hood,» commenta in tono scherzoso «né un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Si tratta dunque piuttosto di un momento di riflessione, del tentativo di fare un bilancio nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi: il 13 marzo 1991 il giudice Giovanni Falcone è stato nominato direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia a Roma.
Lontano da Palermo.
La partenza dal capoluogo siciliano, il distacco da una vita che si alternava tra auto blindate, dall'atmosfera soffocante del Palazzo di Giustizia, dalle lunghe notti a leggere e rileggere le deposizioni dei pentiti dietro le pesanti tende di una stanza superprotetta, dai tragitti tortuosi con la scorta delle auto della polizia a sirene spiegate sono forse stati una specie di sollievo. Ma Falcone non si fa illusioni, non dimentica il mancato attentato del 21 giugno 1989. cinquanta candelotti di tritolo nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove trascorre le vacanze: «È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno». Tommaso Buscetta, il superpentito della mafia, lo aveva messo in guardia fin dall'inizio delle sue confessioni: «Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno!».
Roma è soltanto in apparenza una sede più tranquilla di Palermo; ormai da tempo i grandi boss mafiosi l'hanno eletta a loro domicilio. La feroce «famiglia» palermitana di Santa Maria di Gesù vi ha installato antenne potenti. Senza contare la rete creata dal cosiddetto «cassiere» Pippo Calò, con il suo contorno di mafiosi, gangster e uomini politici. Le ragioni per le quali Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste e il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti-mafia. Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Il clima nel capoluogo siciliano è cambiato: è spenta l'euforia degli anni 1984-87, finita la fioritura dei pentiti, lontano il tempo del pool antimafia, dei processi contro la Cupola istruiti magistralmente. In questa città impenetrabile e misteriosa, dove il bene e il male si esprimono in modo ugualmente eccessivo, si respira un senso di stanchezza, il desiderio di ritornare alla normalità. Mafiosi regolarmente condannati sono tornati in libertà per questioni procedurali, alcune facce fin troppo note ricompaiono nei ristoranti più alla moda. Le forze dell'ordine non hanno più lo smalto di un tempo. I pool di magistrati sono ormai svuotati di potere, il fronte ha smobilitato. Cosa Nostra dal canto suo ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei «Corleonesi» sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle «famiglie» palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della «famiglia» di Corleone, i cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio, quest'ultimo in carcere. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. «Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite,» ripete instancabilmente Falcone «poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati.». “
Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose Di Cosa Nostra, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli. Prima edizione: 13 novembre 1991.
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lamilanomagazine · 6 months
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Nassiriya, 20 anni fa la strage: i messaggi di Mattarella e Meloni
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Nassiriya, 20 anni fa la strage: i messaggi di Mattarella e Meloni. È il 12 novembre 2003 quando, a Nassiriya, in Iraq, un camion carico di 400 chili di tritolo e liquido infiammabile viene lanciato contro l’ingresso della base “Maestrale”, dove i Carabinieri e l’Esercito italiano hanno stabilito il proprio quartier generale. Il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all'entrata, abbatte uno dei due terroristi, ma il mezzo prosegue la sua folle corsa. Poi l'esplosione che, con un effetto domino, fa saltare in aria il deposito munizioni. I sassi di ghiaia con cui erano stati riempiti i bastioni partono come proiettili in tutte le direzioni. Scene apocalittiche, inclusa la rottura dei vetri delle finestre delle case nel raggio di quasi un chilometro. Perdono la vita 28 persone, tra cui 19 italiani. "La Giornata del ricordo dedicata ai Caduti, militari e civili, nelle missioni internazionali per la pace, ricorre nel ventesimo anniversario della strage di Nassiriya, ove, a causa di un vile attentato, morirono 19 italiani tra soldati, carabinieri e civili. Il sentimento del lutto ci accompagna in questo giorno in cui la Repubblica rivolge il suo pensiero ai tanti feriti e caduti nelle missioni che l’Italia ha sviluppato in questi anni a servizio della comunità internazionale e dei diritti dei popoli, insieme all’espressione della solidarietà e vicinanza alle famiglie colpite". A dichiararlo è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al Ministro della Difesa, Guido Crosetto. "La partecipazione a queste importanti operazioni in tante travagliate regioni del mondo, è il segno - sottolinea il Capo dello Stato - dell’impegno e del contributo del nostro Paese allo sforzo concreto della comunità internazionale per combattere gli orrori e le atrocità delle guerre e del terrorismo”. "Venti anni ci separano dalla terribile strage di Nassiriya. Venti anni da quel vile e brutale attentato in cui morirono 19 italiani. In questa Giornata, dedicata al ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace, l'Italia onora e ricorda tutti coloro che hanno sacrificato la vita per la pace e la sicurezza della nostra Nazione e del mondo. A loro, e a quanti ogni giorno sono impegnati nelle aree più travagliate, va la nostra profonda riconoscenza". A scriverlo sui social è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. “Il popolo italiano - sottolinea Meloni - non dimenticherà mai ciò che vent'anni fa è successo a Nassiriya, il più grave attentato terroristico subito dall'Italia nelle missioni internazionali di pace nelle aree di crisi. Sono ancora vivide nelle nostre menti le immagini di quella drammatica giornata e la profonda commozione che l'attentato suscitò in tutta la Nazione, che non mancò di tributare agli eroi di Nassiriya un fortissimo sentimento di affetto e riconoscenza”. A 20 anni dalla strage, i familiari delle vittime chiedono ancora la concessione delle medaglie d'oro al valor militare, per onorare la memoria e il sacrificio dei loro cari. Dei 19 italiani morti nell'attentato di Nassiriya, 5 erano militari dell'esercito e 12 carabinieri. Ecco i loro nomi, con relativi ruoli e gradi.   I carabinieri morti a Nassiriya Massimiliano Bruno - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte Giovanni Cavallaro - sottotenente Giuseppe Coletta - brigadiere Andrea Filippa - appuntato Enzo Fregosi - maresciallo luogotenente Daniele Ghione maresciallo capo Horacio Majorana - appuntato Ivan Ghitti - brigadiere Domenico Intravaia - vice brigadiere Filippo Merlino - sottotenente Alfio Ragazzi - maresciallo aiutante, Medaglia d'Oro di Benemerito della cultura e dell'arte Alfonso Trincone - maresciallo   I militari morti a Nassiriya Massimo Ficuciello - capitano Silvio Olla - maresciallo capo Alessandro Carrisi - primo caporal maggiore Emanuele Ferraro - caporal maggiore capo scelto Pietro Petrucci - caporal maggiore   Nell'attentato morirono anche due civili: Marco Beci, cooperatore internazionale, e il regista Stefano Rolla, impegnato con la sua troupe nelle riprese di uno sceneggiato.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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crazybutsensible · 11 months
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X non dimenticare!!! ❤️❤️
Sono le 17.58 del 23 maggio 1992 quando, nel tratto di strada che va dall’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, all’altezza dello svincolo autostradale di Capaci, l’esplosione di una bomba al tritolo inghiotte la Fiat Croma blindata su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone e le due auto della scorta. Nella strage perderanno la vita, oltre al valoroso magistrato, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. A 31 anni da quella ferita profonda inflitta alla coscienza collettiva, ricordiamo chi, col sacrificio della vita, contribuì a estirpare le fondamenta del potere mafioso portando avanti ideali di giustizia che continuano a vivere ancora oggi grazie al loro ricordo.
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nochkoroleva · 2 years
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Ogni anno, il 23 Maggio, noi tutti ricordiamo la morte di Giovanni Falcone. Quest'anno, per i trentanni di anniversario, vorrei ricordare maggiormente un'altra figura che è stata protagonista, insieme alla scorta, di quel drammatico momento.
Ricordiamo Francesca Morvillo, la prima e unica magistrata a essere assassinata dalla mafia. A Capaci è stata uccisa una magistrata prima che una moglie, la prima e unica nell’Italia delle stragi. E' stata una delle prime italiane a vincere il concorso in magistratura nel 1968, ha avuto una carriera brillante molto prima di conoscere Giovanni Falcone. Vinto il concorso in magistratura, diventa giudice presso il Tribunale di Agrigento, poi Sostituta procuratrice presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, poi consigliera di Corte d’appello. Conosce Falcone a casa di amici nel 1979, entrambi sposati, si innamorano e lasciano i loro compagni. Francesca sa molto bene cosa fa. Sa che non sarà facile, che lui non è un uomo come tanti. E Giovanni, dal canto suo, sa che solo una collega che si batte con passione per la giustizia come Francesca può sopportare tutto quello che gli anni insieme riserveranno a entrambi. Quando il 23 maggio del 1992, alle 17.58, una carica di cinque quintali di tritolo fece saltare in aria un pezzo dell’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, vicino a Palermo, uccidendo il giudice Giovanni Falcone insieme alla sua scorta, e alla moglie Francesca, la morte di lei non fu per caso. Non fu un inciampo. Lei era lì perché lo aveva scelto. Francesca Morvillo è stata luce, è stata la degna compagna di un uomo non certo comune. Forse è stata più coraggiosa, più caparbia perché sapeva che non sarebbe stata ricordata quanto lui, ma lo ha fatto per amore, amore di lui e amore di giustizia.
Ricordiamo Francesca Morvillo, quindi, la prima e unica magistrata a essere assassinata dalla mafia.
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abr · 9 months
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Misure della polizia locale contro gli attentati al tritolo agli autovelox . La provincia di Padofa come la Val Passiria di Eva Kloz ai tempi !
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levysoft · 9 months
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Nei primi anni della Seconda guerra mondiale, i cani sovietici anticarro rappresentarono una grossa minaccia per l’avanzata tedesca. Legati a sistemi esplosivi, venivano usati per distruggere gli armamenti nemici. Una tattica atroce, che potrebbe oggi indignare gli attivisti per i diritti degli animali. Ma non bisogna dimenticare il contesto in cui questa pratica veniva applicata: erano infatti anni di disperazione, con il nemico quasi alle porte del Cremlino. Le mitragliatrici sui carri armati tedeschi erano posizionate troppo in alto per poter colpire i “cani suicidi” e, grazie alla copertura della fanteria sovietica, i nazisti non riuscivano a uscire con facilità dai propri carri armati per fermare a colpi di fucile i pericolosi animali in avvicinamento. Talvolta le truppe nemiche si affidavano all’utilizzo di un lanciafiamme.
Le origini dei “cani suicidi”
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Archivio di Ninel Ustinova/russiainphoto.ru
L’Unione Sovietica iniziò a utilizzare i cani anticarro ben prima dell’invasione nazista del 1941: iniziarono infatti ad addestrare questi animali già negli anni Trenta, prima dello scoppio della Grande guerra patriottica. I cani venivano addestrati a gattonare sotto i carri armati nemici mentre trasportavano esplosivi legati al corpo, solitamente 12 kg di TNT. Venivano poi tenuti a digiuno per vari giorni in modo da provocare una fame tale da spingerli alla ricerca di cibo, solitamente sistemato in fase di addestramento sotto i carri armati. Così gli animali si abituavano a strisciare sotto i cingolati. Veniva inoltre insegnato loro a muoversi in maniera da evitare il fuoco nemico e a non temere l’artiglieria pesante. I primi cani anticarro furono introdotti nell’Armata Rossa nel 1939. Parteciparono ai primi combattimenti due anni dopo.
La prima disastrosa battaglia
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I cani anticarro del primo battaglione speciale (212 cani e 199 addestratori) furono utilizzati per la prima volta in un combattimento nei pressi di Mosca. Il primo attacco dei soldati a quattro zampe si rivelò un totale disastro, perché gli animali non erano coperti dalla fanteria sovietica e i tedeschi riuscirono a eliminarli con facilità.  Inoltre gli addestratori commisero un grave errore: ammaestrarono i cani utilizzando carri armati sovietici, che, a differenza di quelli tedeschi, erano alimentati a gasolio, anziché a benzina. Una differenza di odori che confuse terribilmente i cani sul campo di battaglia.
I combattimenti
Anche se il Primo battiglione fu spazzato via, l’Urss continuò a utilizzare i cani anticarro per combattere i tedeschi. Vennero cambiate le tattiche e l’addestramento. Alla fine del 1941, oltre 1.000 cani combattevano sul fronte e l’anno successivo il numero superò le 2.000 unità. Il 21 luglio 1942 i cani suicidi contribuirono a ottenere la vittoria durante una grande battaglia che si svolse vicino a Taganrog, sul Mar di Azov. Durante l’assedio di Leningrado, un gruppo di cani fece esplodere i carri armati e le fortificazioni nemiche, riuscendo a farsi strada intorno al filo spinato e identificando le posizioni del nemico. Riuscirono a far saltare in aria diversi bunker e un deposito munizioni.
Il contributo alla vittoria
Verso la metà del 1943, la situazione era alquanto diversa. L’Armata Rossa iniziò a ricevere un cospicuo rifornimento di armi anticarro, insufficienti all’inizio della guerra. Fu così che i cani anticarro vennero “mandati in pensione”.  In totale questi soldati a quattro zampe riuscirono a distruggere 304 carri armati nemici, contribuendo a spostare l’ago della bilancia verso la vittoria dell’Unione Sovietica e la sconfitta del nazismo. Con la fine dei combattimenti, i cani restanti vennero riqualificati e addestrati per missioni di rilevamento mine. Molti di loro sopravvissero ben oltre la fine della guerra.
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armandoandrea2 · 9 months
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Che Bologna fosse quella mattina alle 10.25 è difficile raccontarlo. Sappiamo che il caldo piegava le ginocchia e in un’aria surreale l’Italia che desiderava la villeggiatura perse gli ultimi frammenti di verginità, ripose palette e secchielli perché qualcuno aveva già calpestato i castelli di sabbia. Volevano spezzare il Paese e ci riuscirono in quell’estate del 1980. E Bologna, l’isola felice, la città delle botteghe, finì asfissiata dalle macerie che si lascia dietro il tritolo e la nitroglicerina. Da matrona divenne matrigna. Non diciamo sciocchezze: le ferite non fanno parte della vita, casomai la cambiano. E quella ferita così profonda porta i segni ancora oggi, non ci sono lifting che tengano. Già i binari delle stazioni di per sé non sono luoghi rassicuranti, intrisi di arrivederci che sono addii. Figuriamoci quando sai che nella sala d’aspetto di seconda classe morirono tutti, bambini e nipoti, genitori e figli. Uccisi da una bomba.
Bologna, 2 agosto 1980
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cinquecolonnemagazine · 9 months
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La strage di via D'Amelio e il senso della memoria
Il 19 luglio, giorno in cui ricorre l'anniversario della strage di via D'Amelio, a Palermo è un giorno da segnare sul calendario. C'è una memoria da celebrare. C'è un momento che vede le migliori energie di una città impegnate per mantenere l'attenzione alta sul tema mafia. Quest'anno non è così. In genere dopo tanti anni anche i fatti più sconcertanti tendono a sbiadire nella memoria e la tensione emotiva cala. Per la strage di via D'Amelio, come quella di Capaci, la strada è un'altra: il caso politico che, come tale, divide. La strage di via D'Amelio 31 anni fa Sono passati 57 giorni dalla strage di Capaci. Un attentato senza precedenti che ha scosso un intero Paese. Sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino erano consapevoli del destino che li attendeva e quel tritolo esploso in autostrada ne era stata un'ulteriore conferma. La vita per Borsellino aveva ripreso a scorrere con lo stesso impegno di sempre e quella domenica era andato a far visita alla madre come di consuetudine. Lo scenario che si aprì agli occhi degli inquirenti appena giunti sul posto fu raccapricciante. Il senso di sconforto che nacque si allargò da Palermo a tutta Italia in pochi istanti. Chi non ricorda le parole di Antonino Caponnetto dopo l'ultimo saluto a Paolo Borsellino: "E' finito tutto...". Dal pool antimafia all'abolizione del concorso esterno in associazione mafiosa Grazie al magistrato siciliano era, infatti, nato il cosiddetto pool antimafia, una nuova strategia nella lotta alla mafia nata grazie a un'idea di Rocco Chinnici. I punti di forza di questa strategia erano il coordinamento tra i magistrati, la possibilità di raccordare le diverse inchieste. Grazie a questa metodologia, i magistrati fecero grandi passi in avanti nella lotta alla mafia. Ricostruirono la struttura di Cosa Nostra, istruirono un maxiprocesso per crimini di mafia. Nacque il cosiddetto metodo Falcone che seguiva i flussi di denaro per individuare le attività criminali di Cosa Nostra. Con l'istruzione del maxiprocesso Falcone e Borsellino configurarono una nuova fattispecie di reato che era il concorso esterno in associazione mafiosa. Con questa tipologia di reato si andavano a colpire le persone che favorivano la mafia pur non essendone parte. La memoria tra le polemiche A essere precisi il concorso esterno in associazione mafiosa non è una fattispecie di reato quanto una creazione giurisprudenziale. Uno strumento che nel tempo i magistrati hanno utilizzato per andare a colpire quella rete di connivenze che aveva contribuito in maniera fattiva allo sviluppo della mafia. Parliamo di imprenditori, parliamo di politici. Grazie a questo strumento fu individuata la prassi del cosiddetto voto di scambio che assicurava nelle amministrazioni locali (e non solo) la presenza di politici appoggiati dalla mafia. Quello stesso strumento che oggi il ministro della Giustizia Carlo Nordio vuole abolire. Inondato dalle critiche, il ministro ha precisato che in realtà vuole riformarlo poiché così com'è stato concepito può generare confusione e soprattutto si affida troppo alla discrezionalità del giudice. Le precisazioni non sono bastate a placare le polemiche arrivate soprattutto dal fratello del giudice Borsellino, Salvatore, e dalle associazioni che operano sul territorio come il Movimento delle Agende Rosse. Il timore è che questa riforma segni un clamoroso passo indietro nella lotta alla mafia. Salvatore Borsellino ha dichiarato alla manifestazione di oggi non accoglierà politici che fanno parte del governo e chiesto alla premier Meloni di prendere le distanze dal ministro Nordio. La giornata sarà scandita da due manifestazioni: la prima organizzata dallo stesso Salvatore Borsellino e dalle Agende Rosse che vedrà la partecipazione di Cgil, partiti, associazioni e movimenti di sinistra. Il corteo prenderà il via alle 15 dall'albero Falcone e arriverà a via D'Amelio dove, alle 16.58 (ora della deflagrazione) saranno ricordare le vittime sulle note del silenzio. La seconda sarà la fiaccolata organizzata dalla Destra che si snoderà da piazza Vittorio Veneto a via D'Amelio a partire dalle 20. Che senso ha la memoria se non è condivisa? La lotta alla mafia è un dovere politico non una bandiera da sventolare. In copertina foto di Nat Aggiato da Pixabay Read the full article
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occhietti · 2 years
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9 maggio 2022… 44simo anniversario dell'uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato.
Simboli degli "Anni di Piombo", anni in cui l'Italia lottava contro due diversi mali, la mafia e il terrorismo.
9 maggio 1978
Peppino Impastato, noto per le sue denunce contro il crimine organizzato, venne ucciso dagli uomini di Cosa Nostra e il corpo poi venne imbottito di tritolo per far pensare ad un atto suicida.
9 Maggio 1978
Aldo Moro fu ritrovato senza vita in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, nel centro di Roma, giustiziato dall'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse.
Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino (A. Moro).
.............. 🌻
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crazy-so-na-sega · 11 months
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Bisogna guardarsi dal senno del poi e dagli stereotipi. Più in generale, bisogna guardarsi dall'errore che consiste nel giudicare epoche e luoghi lontani col metro che prevale qui e nell'oggi: errore tanto più difficile da evitare quanto più grande la distanza nello spazio e nel tempo. E' questo il motivo per cui, a noi non specialisti, è così ardua la comprensione dei testi biblici ed omerici, o anche dei classici greci e latini.
Molti europei di allora, e non solo europei, si comportarono e si comportano come Palmström, negando l'esistenza delle cose che non dovrebbero esistere. Secondo il senso comune, che Manzoni accortamente distingueva dal "buon senso", l'uomo minacciato provvede, resiste o fugge; ma molte minacce di allora, che oggi ci sembrano evidenti, a quel tempo erano velate dall'incredulità voluta, dalla rimozione, dalle verità consolatorie generosamente scambiate ed autocatalitiche.
Qui sorge la domanda d'obbligo: una controdomanda. Quanto sicuri viviamo noi, uomini della fine del secolo e del millennio? e, più in particolare, noi europei? Ci è stato detto, e non c'è motivo per dubitarne, che per ogni essere umano del pianeta è accantonata una quantità di esplosivo nucleare pari a tre o quattro tonnellate di tritolo; se se ne usasse anche solo l'uno per cento, si avrebbero decine di milioni di morti subito, e danni genetici spaventosi per tutta la specie umana, anzi, per tutta la vita sulla terra, ad eccezione forse degli insetti.
E' almeno probabile, inoltre, che una terza guerra generalizzata, anche convenzionale, anche parziale, si combatterebbe sul nostro territorio, fra l'Atlantico e gli Urali, fra il Mediterraneo e l'Artico. La minaccia è diversa da quella degli anni '30: meno vicina ma più vasta; legata, secondo alcuni, ad un demonismo della Storia, nuovo, ancora indecifrabile, ma slegata (finora) dal demonismo umano. E' puntata contro tutti, e quindi particolarmente "inutile". Allora? Le paure di oggi sono meno o più fondate di quelle di allora? Al futuro siamo ciechi, non meno dei nostri padri. Svizzeri e svedesi hanno i rifugi antinucleari, ma che cosa troveranno quando usciranno all'aperto? C'è la Polinesia, la Nuova Zelanda, la terra del Fuoco, l'Antartide: forse resteranno indenni.
Avere passaporto e visti d'entrata è molto più facile di allora: perché non partiamo, perché non lasciamo il nostro paese, perché non fuggiamo "prima"?
-Primo Levi -I sommersi e i salvati
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