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#è stato ed è nelle mani di Francesco
dolianet2022 · 1 year
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lamilanomagazine · 4 months
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Lecce: a Palazzo Carafa inaugurazione dell'opera d'arte donata dalla famiglia Gennari
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Lecce: a Palazzo Carafa inaugurazione dell'opera d'arte donata dalla famiglia Gennari. Giovedì 8 febbraio, alle ore 12, sarà inaugurata a Palazzo Carafa l'opera "Per ogni bambino prossimo a nascere sia piantato un ulivo" di Marcello Gennari, una delle personalità di spicco della scultura salentina, scomparso a quasi 90 anni nel 2022. L'opera, un pannello di 2x3 metri, è stata donata alla città per espresso desiderio della moglie e del figlio dell'artista ed è stata collocata sulla parete frontale lungo la scala monumentale che dall'atrio principale porta ai piani superiori di Palazzo Carafa. Il pannello fu commissionato da privati per l'installazione in un atrio di un condominio nel 1978. Il titolo e motivo ispiratore dell'opera, come riportato sul lavoro stesso, è "Per ogni bambino prossimo a nascere sia piantato un ulivo", un sentimento che univa la dolcezza di una nuova nascita alla necessità di preservare ed incrementare il nostro patrimonio territoriale di ulivi, in un'epoca ben lontana dai recenti drammi connessi alla Xylella. Il pannello fu realizzato con una tecnica innovativa, mai sperimentata prima da nessuno, estremamente complessa e difficile, ossia "spruzzare" metallo fuso (nel caso di specie ottone) all'interno della forma in gesso del lavoro, per poi rinforzarlo, sul retro, con resine e lana di vetro, che conferivano al tutto leggerezza e solidità. Tale tecnica di realizzazione è stata unica nel suo genere. Gennari si recò a Milano proprio per "studiare" l'utilizzo dei metalli fusi e delle resine di rinforzo. L'opera si aggiunge alle altre due sculture già presenti nel patrimonio comunale – San Francesco d'Assisi (1982) e Verso l'altro (2003) – entrambe collocate nelle stanze del Gabinetto del Sindaco. «Ringrazio la famiglia Gennari per aver voluto questa donazione – dichiara l'assessora alla Cultura Fabiana Cicirillo –che ci permette di acquisire un'altra opera del maestro al patrimonio comunale, insieme alle altre due già presenti. Gennari è stato un artista molto stimato, che ha legato gran parte della sua produzione alle opere in pietra leccese senza mai perdere però il piacere e la voglia di sperimentare, plasmare, modellare anche in altri materiali. Questa opera che invita a piantare un ulivo per ogni nuovo nato ha qualcosa di profetico, se pensiamo alla situazione drammatica attuale degli ulivi vittime della Xylella. Per questo l'abbiamo ancora di più apprezzata collocandola nella casa comunale». All'inaugurazione, insieme all'assessora Cicirillo e alla famiglia Gennari, sarà presente anche il sindaco Carlo Salvemini. Note biografiche (dal sito ufficiale dell'artista): É una delle personalità di spicco della cultura salentina. È nato a Manduria (Taranto) nel 1933. La sua formazione avvenne a Lecce presso l'Istituto Statale D'Arte "G. Pellegrino" sotto la sapiente guida dello scultore Guido Gremigni. Dopo il trasferimento del maestro fu lui ad occupare la cattedra di scultura, sempre nello stesso Istituto, dal 1952 al 1992. Gennari è un artista sensibile e tecnicamente consapevole delle infinite potenzialità espressive della pietra che costruisce sapientemente solcandola con un grafismo quasi pittorico. Questa tecnica gli permette di creare delle strutture eleganti, ma nello stesso tempo fortemente plastiche, che captano la luce e la rifrangono nei sottili effetti chiaroscurali. Le sue opere emanano una profonda spiritualità, è come se lo scultore avesse cavato dalla pietra, pazientemente, con lo scalpello e il palmo calloso delle mani, la luce dell'anima. Marcello Gennari è il poeta del fervore e della speranza, ma anche della malinconia. Non ha cercato nelle sue strutture compiacimenti estetizzanti né artificiosità intellettualistiche, ma profonda adesione ad un'intima realtà. La sua grandezza sta proprio in questo, nell'essere riuscito ad ottenere e a risolvere, con tutta umiltà, ma con la tenacia della propria fede, uno dei problemi essenziali della creatività artistica quello di identità tra vita ed arte. Le sue opere provano che nella scultura c'è posto per la mano e per la mente, per la narrazione e per l'evocazione, per la realtà e la favola, per la razionalità e il sogno. La sua produzione è sparsa tra musei e città italiane e straniere ma è doveroso sottolineare che ha lavorato molto per la sua Lecce, città da lui molto amata ed interiorizzata. Ricordiamo solo alcune tra le sue opere che gli hanno procurato successo e fama: la struttura che si trova nella sede della Radio Vaticana a Roma, una grande scultura che simboleggia il mondo e le onde dell'etere che gli gravitano intorno; un altorilievo (6 m x 25 m) per la chiesa dei Salesiani, la statua della Madonna alta quasi cinque metri e tutto l'arredo per la chiesa di san Domenico Savio a Brindisi. Ha ricevuto numerosi premi ed attestazioni per la sua indiscussa bravura.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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silviascorcella · 6 months
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Gentile Catone a/i 19-20: “Aconito”, un’antica storia di femminilità moderna
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L’incontro con Gentile Catone accarezza la tentazione di allacciare un’espressione che s’arrampica fin nell’antichità latina, ma la cui verità saggia si conferma perfettamente incastonata alla sostanza preziosa che la scoperta del brand dischiude: ovvero, “nomen omen”, che tradotto in semplicità rivela come il destino sia già inscritto nel nome. Gentile Catone, infatti, nel titolo del brand racchiude innanzitutto la giovane coppia, nella vita e nell’arte stilistica, che gli dà vita: ovvero Francesco Gentile e Chiara Catone.
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Ma, ci racchiude dentro anche l’essenza pregiata del loro destino creativo: una moda che è un atto di gentilezza autentica verso la femminilità da vestire e celebrare, un universo di stile che è un gesto di libertà contro la facilità perigliosa dei trend veloci e vuoti, tanto nella materia quanto nella sostanza. Per amore, invece, di una moda che, tra il cuore e le mani di Chiara e Francesco, diventa arte della narrazione attraverso la sartorialità rigorosamente italiana e sostenibile. Forse chissà, proprio come quel Catone che il nostro Dante mise a custode del Purgatorio in virtù della sua mischia di fermezza e senso di giustizia, che lo rese simbolo di libertà morale per amore del bene collettivo.
Pay attention, please: i riferimenti letterari che fioriscono man mano che la conoscenza di Gentile Catone si fa più profonda e intrigante, non han nulla a che vedere con meri intellettualismi, bensì, son frutto anch’essi di una dichiarazione d’amore squisitamente spontanea. Chiara e Francesco serbano infatti una passione pregiata ed entusiasta verso lo scrigno caleidoscopico della cultura preferibilmente classica, che guida l’ispirazione in percorsi inediti, dove la suggestione densa di nostalgia romantica verso il passato s’intreccia ad un’estetica brillantemente contemporanea.
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Pregio anche della gioventù: all’anagrafe, dato che Chiara e Francesco sfiorano i trent’anni, dell’ingresso nel fashion world, dato che il brand Gentile Catone è stato inaugurato solo nel 2017. Ma soprattutto gioventù dello spirito: quella forza in cui l’istinto si fonde all’azzardo per agguantare con decisione la propria missione, che nel loro caso è la determinazione a concretizzare il sogno stilistico non solo sulle passerelle più importanti, ma anche mantenendone la realizzazione sartoriale made in Italy nel loro distretto abruzzese, in cui insieme all’artigianalità difendono la consapevolezza della sostenibilità, con l’utilizzo di tessuti e filati naturali pregiati, atossici ed ecosostenibili, e collaborando solo con aziende a basso impatto ambientale in possesso delle le più importanti certificazioni.
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La collezione a/i 2019-20 è un condensato felicemente rinnovato delle virtù di Gentile Catone: “Aconito” ne è il titolo, ma anche il fil rouge estetico e simbolico, una sorta d’indizio intrigante che ci accompagna a compiere un itinerario affascinante dentro la femminilità, sospeso tra antichità mistica e attualità sofisticata.
“Aconito”, infatti, si narra che fosse il fiore più caro alla dea Ecate, che lo lasciava prosperare con i suoi grappoli violacei bellissimi e letali nel suo giardino: lei, la dea che nella sua figura femminile ne raccoglie tre, la giovane fanciulla, l’anziana depositaria di saperi ancestrali e la donna nel pieno del suo potere volitivo.
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Lei è anche la donna di oggi, immersa in una società intrisa d’inquietudini materiali che la disincantano e la scardinano nelle identità, ed al contempo l’arricchiscono della determinazione a cercare quel meraviglioso che possa innalzarla oltre la superficie, verso la bellezza.
Così, il fiore e i colori dell’aconito sbocciano sugli abiti di varie lunghezze, nelle camicette e sulle rouche che decorano le gonne, le trame delle storie prendono vita sulle stampe grafiche, le forme variano dalla delizia delle proporzioni bon ton all’audacia sempre elegante dei volumi over che riguardano anche i capispalla. La ricercatezza è questione di dettagli, ma anche di materiali: raso di seta, twill e jersey di viscosa, mohair, velluto e piume leggiadre danno sostanza pregiata ad un percorso sognante tra la moda da indossare e il mito della femminilità da celebrare. Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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mariotolvo62 · 1 year
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Filippo Vitale (Napoli, 1585 – 1650) uno degli artefici della pittura ba...
Era figlio di Marino Vitale e Laudonia Di Carlo. La data di nascita esatta non è ancora nota, ma probabilmente fu battezzato nella parrocchia napoletana di San Giorgio Maggiore. Il padre lavorava come doratore nella Strada di Monteoliveto, dove aveva la sua bottega anche il pittore Carlo Sellitto. Come Sellitto, Filippo Vitale imparò il mestiere nella bottega del pittore fiammingo Louis Croys e probabilmente conobbe anche Louis Finson e altri artisti nordeuropei. Dopo la prematura scomparsa di Carlo Sellitto, avvenuta il 2 ottobre 1614, Filippo si occupò della vendita dei suoi beni e completò la crocifissione iniziata dall'amico defunto per la chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Portanova. Il 1 ottobre 1612 Filippo sposò in Santa Maria della Carità la vedova del pittore Tommaso De Rosa, Caterina Di Mauro, e ne adottò i cinque figli. Di questi due divennero anche pittori, Giovan Francesco, detto Pacecco De Rosa, e Diana, detta Annella De Rosa. Filippo e Caterina ebbero insieme anche sei figli; la loro terza figlia Orsola Margherita sposò nel 1639 Anello Falcone. Filippo Vitale ricevette la sua prima commissione per un quadro di San Francesco nel 1613 da Giovanni Di Napoli, abate del monastero di Santa Maria di Monteoliveto, che in seguito gli commissionò altri quadri. Oltre ai soggetti religiosi, Vitale dipinse anche ritratti. Dalla fine del 1616 alla metà del 1619 collaborò con Caracciolo e Giovan Vincenzo Forlì alla decorazione dell'Annunciazione di Capua, dipingendo i quattro dipinti del soffitto. Su commissione di Cesare Carmignano, Vitale dipinse la Madonna col Bambino ei santi Gennaro, Nicola di Bari e Severo nel 1618 per la chiesa di San Nicolò alle Sacramentine. Il quadro si trova nel Museo di Capodimonte dal 1991 ed è caratterizzato da un elegante naturalismo che è ovviamente influenzato da Jusepe de Ribera. Al committente piacque così tanto che l'anno successivo ordinò al pittore anche una Madonna di Costantinopoli, oggi purtroppo andata dispersa. Altre note opere di Vitale della sua prima fase creativa sono l'angelo custode firmato nella chiesa della Pietà dei Turchini e una liberazione di S. Pietro dalla prigione che si ispira al quadro del 1615 di Caracciolo nel Pio Monte della Misericordia. Dalla fine degli anni 1620 Vitale cambiò il suo stile fino ad allora naturalistico in una direzione più elegante, decorativa e bella, influenzata dalle innovazioni di Massimo Stanzione e dei pittori bolognesi di Napoli Domenichino e Lanfranco. Un ruolo non trascurabile lo svolse anche il figliastro Pacecco de Rosa, che divenne il successore di Vitale nella conduzione della bottega. Nelle opere di questa fase non sempre si distinguono nettamente le mani di Vitale e Pacecco. Filippo Vitale morì il 18 marzo 1650. C'è una certa confusione sul luogo della sua tomba: secondo i registri della sua parrocchia di San Giuseppe Maggiore, fu sepolto nel cimitero del monastero associato, comecome da lui desiderato; invece, secondo il registro dei morti della chiesa di San Giovanni Maggiore, sul "Monte Calvario" sarebbe stato sepolto un "Filippo Vitale, marito di Catarina".
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invisible-show · 2 years
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INVISIBLE°SHOW ⎔ BREMBATE DI SOPRA  ⎔ VENERDI 2 DICEMBRE ⎔ UNQAAM & FRANCESCA NAIBO
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UNQAAM (Ivrea/Corea, coreusi elettropercussiva) 938 anni fa, sulle rive del Po, un innamorato corteggia a suon di versi una pastorella – no, anzi, una regina. Per conquistarla, le regala pure qualche libro di grammatica. Solo che il poeta vede e descrive solo se stesso, e tra una parola dotta e l'altra, adombra l'amata. Questo, dicono, è quel che cantano gli antichi Versus Eporedienses, i “Versi d'Ivrea”, poemetto d'amore del medioevo latino. Nel 2038, sulle rive del Po, una ragazza dai tratti orientali – sì, una regina – si limita a scrivere sulla sabbia: 逃. Poi, svanisce come gazzella in fuga, per scampare alla propria ombra. Titolava così un poeta spagnolo, tale Garcìa Lorca, “perché le rose cercano sulla fronte / un duro paesaggio d'osso / e le mani dell'uomo non hanno altro senso / che imitare le radici sotto terra.”
Unqaam, invece, è un luogo in cui non siamo ancora stati. Ed è la performance in progress, nata dall'improvvisazione musicale e danzata, di un batterista e di una ballerina. Lui, Francesco Serassi, polistrumentista e grafico, oltre ad  aver collaborato al progetto di improvvisazione autogenerativa Gemini Excerpt (jam session elettro-acustiche a base di strumenti tradizionali e anticonvenzionali) è stato per oltre un decennio il batterista dei piemontesi Drink to me, trio di electro pop psichedelico che – ispirato da Arthur Russell - ha richiamato accostamenti a band come Animal Collective e Liars, e condiviso il palco con Editors e Orbital. Come graphic designer, è membro del collettivo multimediale Superbudda di Torino e direttore creativo della torinese Add editore, specializzata in narrativa di viaggio, saggi e graphic novel con un'attenzione particolare all'Asia, continente del futuro. Lei, Barbara Menietti, di origini coreane, ha studiato danza a partire dai 4 anni, approfondendo in particolare danza contemporanea e africana, hip hop e house dance, partecipando a workshop e formazioni con ballerini di fama internazionale. Performer e danzatrice per videoclip e spettacoli  (come Devotischeletri di Giulia Ceolin, “danza senza trama per solo sentire”), insegna danza hip hop a Torino e provincia. Insieme sono Unqaam, corpo cangiante di batteria acustica, strumenti elettronici e gesto umano, sensibile nelll'utilizzo di campioni e nelle citazioni coreutiche alla musica e della danza tradizionali coreane.
https://www.youtube.com/watch?v=uQzExwl9USw
FRANCESCA NAIBO (Vittorio Veneto/Milano, orchestra di chitarra) Delle volte ti viene il dubbio di essere una chitarra, suonata e sognata da altri. Tu allora ti scordi apposta, e ti sformi, ti strappi, ti spezzi, provi a dar corda da torcere. Solo che quelli niente, ti suonano lo stesso. Così ti torna in mente quella poesia famosa, hai presente: “Incomincia il pianto della chitarra / Si rompono le coppe dell'alba.” È di un altro poeta spagnolo, tale García Lorca, e finisce così: “Piange freccia senza bersaglio / la sera senza domani / il primo uccello morto / sul ramo. / Oh, chitarra, / cuore trafitto / da cinque spade.” Francesca Naibo, comunque, ha studiato a Venezia, Milano, Berna e Basilea diplomandosi in chitarra classica e improvvisazione libera. È un'esploratrice eclettica e profonda delle sei corde, capace di attingere e lasciarsi ispirare dalla musica contemporanea come dal repertorio classico, rinascimentale e barocco, dal fingerpicking al jazz, al seguito di maestri quali Fred Firth, Marc Ribot e George Lewis. Dopo l'esordio da solista con Namatoulee, definito "una cartolina dall'oltre" da A Jazz Noise, si è riaffacciata in quello stesso aldilà con il fantasmatico So much time, intarsio tra suoni e tempi in cui la chitarra rivela, media e intreccia le voci di Francesca bambina e adulta, dissabbiando l'essenziale: è dal dialogo di passato e presente che sgorga il futuro. http://www.francescanaibo.com/ https://francescanaibo.bandcamp.com/
Per conoscere il luogo e confermare la tua presenza scrivi a [email protected] 
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paoloxl · 2 years
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Depistaggio Cucchi, condanne per tutta la catena di comando - Osservatorio Repressione
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Al generale Alessandro Casarsa inflitti in primo grado 4 anni di carcere. Per gli 8 carabinieri in totale pene per 21 anni e mezzo. L’avvocato Fabio Anselmo: «Falsità su Stefano e sulla famiglia studiate a tavolino»
di Eleonora Martini
Dodici minuti: tanto ci mette il giudice monocratico della VIII sezione penale di Roma, Roberto Nespeca, a leggere il dispositivo della sentenza. Dopo otto ore di camera di consiglio, nell’aula bunker di Rebibbia viene pronunciata più e più volte la parola «condanna». Ed ha quasi dell’incredibile, perché per la prima volta viene riconosciuta la catena di comando che all’interno dell’Arma dei carabinieri per anni (oltre dieci, in questo caso) ha depistato e tentato di sotterrare le prove delle violenze inflitte ad un cittadino – Stefano Cucchi – mentre era nelle mani dello Stato. Dall’ultimo dei militari che falsificò il verbale sullo stato di salute del giovane ex tossicodipendente arrestato a Roma in una sera di ottobre del 2009, pestato e lasciato morire sette giorni dopo in una stanza dell’ospedale Pertini, fino al più alto in grado.
E ALLORA partiamo da lui: dal generale Alessandro Casarsa, allora comandante del Gruppo Roma, in seguito e fino a quando venne sostituito dal presidente Mattarella comandante dei Corazzieri del Quirinale, è stato condannato ieri in primo grado a 5 anni di carcere con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici (l’accusa ne aveva chiesti 7). In seconda linea ci sono il colonnello Francesco Cavallo, al tempo capufficio del Gruppo Roma, e il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro da cui dipendeva la caserma di Tor Sapienza nella cui camera di sicurezza Cucchi venne trattenuto dopo le botte: entrambi condannati a 4 anni (il pm ne chiedeva 5 anni e mezzo e 5 rispettivamente) con l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici. Un anno e nove mesi (per l’accusa bastavano 13 mesi) è la pena inflitta al luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, nel 2009 comandante della stazione di Tor Sapienza, e anche al capitano Tiziano Testarmata (chiesta condanna a 4 anni), allora comandante della IV sezione del Nucleo investigativo che “investigò” su quella morte. Al colonnello Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, la condanna a un anno e 3 mesi (richiesti 3 anni).
Stessa pena inflitta al militare che era di turno alla caserma Tor Sapienza quella notte, Francesco Di Sano. E infine, 2 anni e 6 mesi al carabiniere Luca de Cianni che nel 2018 mise a verbale dichiarazioni false per screditare Riccardo Casamassima, il primo militare che ruppe l’omertà di corpo, e le ribadì nel 2019 durante un interrogatorio di polizia. Tra i vari risarcimenti pecuniari stabiliti per le parti civili – tra le quali figurano anche la Presidenza del Consiglio, i ministeri della Giustizia e della Difesa e l’Arma dei carabinieri, difesi dall’avvocatura dello Stato – una parte della sentenza però ha colpito il Ministero della Difesa, condannato «in solido» per la diffamazione nei confronti degli agenti penitenziari che subirono il primo processo insieme ai medici del Pertini.
GLI OTTO IMPUTATI erano tutti presenti alla conclusione del processo ter nato grazie alla perseveranza del pm Giovanni Musarò che nel 2018 aprì un nuovo fascicolo di indagine per depistaggio proprio durante il processo bis, quando in seguito alla testimonianza chiave del carabiniere Francesco Tedesco iniziarono ad emergere prove dell’insabbiamento. La ricostruzione del pm antimafia è stata accolta sostanzialmente dal giudice, e gli otto militari sono stati giudicati colpevoli (in primo grado, il ricorso in Appello è scontato) a vario titolo di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Una condanna così, sia pure per alcuni meno dura di quella richiesta, gli imputati non se l’aspettavano: facce scure, e qualcuno è scappato via per nascondere le lacrime.
Forse troppo fresca la sentenza definitiva emessa lunedì scorso per i due carabinieri responsabili dell’omicidio preterintenzionale di Cucchi, D’Alessandro e Di Bernardo. Anche se per la Cassazione andrà ripetuto l’Appello per il maresciallo Roberto Mandolini, comandante della stazione Appia dove venne portato il giovane dopo il pestaggio, e per il testimone pentito Francesco Tedesco. Un nuovo processo da celebrarsi prima che intervengano i termini di prescrizione, slittati da maggio a luglio per recuperare le interruzioni da Covid. Anche ieri l’Arma ha chiesto scusa alla famiglia.
ILARIA CUCCHI questa volta in Aula è senza madre e padre, invecchiati sotto il peso dei dieci processi. «Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno – dice – Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi le persone che ne sono stata la causa, i responsabili, sono stati condannati».
Interviene il suo avvocato, Fabio Anselmo: «È stato confermato che l’anima nera del caso Cucchi è il generale Casarsa. Chiunque avrà il coraggio di affermare che Stefano Cucchi aveva qualsiasi patologia, che era un tossicodipendente, che era anoressico o sieropositivo, commette un reato di diffamazione perché quelle relazioni di servizio, che hanno gettato tanto fango sulla famiglia Cucchi per 12 anni, e che hanno ucciso lentamente Rita Calore e Giovanni Cucchi, sentendosele ripetere sui giornali, ogni giorno, e hanno logorato la vita di Ilaria, sono false. Studiate a tavolino».
da il manifesto
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superfuji · 3 years
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Ma se la prima puntata dell’inchiesta di Fanpage rivela l’oceano di fango del neofascismo italiano, sono da tempo noti affluenti, fiumi, laghi che a questo oceano portano acqua ogni giorno. Per esempio, limitandoci solo all’anno in corso, Elena Donezzan (Fratelli d’Italia), assessore alla Regione Veneto, conosciuta per aver intonato “Faccetta nera” in una radio privata ed aver celebrato il 25 aprile sulla tomba di 14 soldati nazisti; Valeria Amadei (vicina a Fd’I), Francesco Biamonti (Lega) e Mauro Siri, consiglieri comunali di Cogoleto, presso Genova, che nella seduta consiliare del 27 gennaio, in cui si celebrava il giorno della Memoria, si sono esibiti nel saluto romano; la partecipazione del primo cittadino di Codevigo, nel territorio di Padova, a una commemorazione di militi saloini, dove campeggiavano aquile mussoliniane e bandiere della Rsi; la giunta comunale di Gorizia e le sue ricorrenti strizzatine d’occhio alla X Mas, con tanto di inni militari e labari in municipio; il consigliere comunale di Trieste Fabio Tuiach, già della Lega, che pubblicò una foto di Adolf Hitler il 27 gennaio di quest’anno, noto per aver dichiarato di sentirsi offeso per il conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre e per aver giustificato l’omicidio di Stefano Cucchi; i vari sindaci e consiglieri comunali che propongono di intitolare vie e piazze a Giorgio Almirante; i volti neri che ha raccontato il recente reportage del Gruppo di lavoro Patria su neofascismo e web. Per non parlare del caso Durigon e dell’incredibile vicenda di Mario Vattani, con un passato legato a CasaPound, che non ha mai smentito le sue idee fasciste e che è stato recentemente nominato ambasciatore a Singapore. Cosa emerge da questo parzialissimo florilegio? Emerge che personaggi più o meno dichiaratamente fascisti o con simpatie naziste sono presenti nelle istituzioni, alle volte come rappresentanti della Lega, più spesso come rappresentanti di Fratelli d’Italia. E Fratelli d’Italia è nell’occhio del ciclone per l’inchiesta di Fanpage. Carlo Fidanza, preso con le mani nella marmellata (ma nelle fogne non si tratta propriamente di marmellata) si “autosospende” dal partito per limitare i danni. Ma la sua è una figura apicale di Fratelli d’Italia, e ci vuole ben altro per distinguere il partito sia dall’impasto di neofascismo, nazismo e razzismo che emerge dall’inchiesta, sia dalla vicenda dei finanziamenti neri su cui la magistratura ha aperto un’inchiesta.
Arrembaggio estremo. A destra
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corallorosso · 3 years
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ARTE, DONNE E PANDEMIA. LA STREET ART Dagli Usa alla Cina, dall’Irlanda alla Palestina, dal Brasile all’Italia, una schiera di street-artists ha risposto all’assalto della pandemia invadendo i muri delle città con immagini che celebrano il personale sanitario in prima linea contro il Covid e ci invitano a rispettare le regole per evitare la diffusione del virus. Mascherine, amuchina, disinfettanti, l’immagine stilizzata del virus e l’hashtag #stayathome si rincorrono in un vortice di forme e colori, modulato sullo stile di ciascun artista. Il writer più famoso, che custodisce gelosamente il segreto della sua identità, Banksy, con un disegno su tela dal titolo Game changer ha voluto celebrare le operatrici del servizio sanitario nazionale britannico, l’NHS. L’opera, apparsa in accordo con la direzione sanitaria nel pronto soccorso dell’ospedale di Southampton, mostra un bambino che, dopo avere buttato nel cestino supereroi più convenzionali come Batman e Spiderman, gioca con una nuova supereroina: è un’infermiera, con la croce rossa sul petto e il mantello svolazzante, requisito indispensabile per supereroi e supereroine. La dedica recita: Thanks for all you’re doing. I hope this brightens the place up a bit, even if its only black and white. Un’enorme mascherina azzurra è apparsa nella notte tra il 21 e il 22 aprile 2020 sul volto della ragazza, opera di Banksy che nel 2014 aveva rivisitato La ragazza con l’orecchino di perla di Johannes Vermeer, con unmurale sulla facciata di un edificio in Hanover Place, a Bristol, città natale dell’artista. Con The Girl with the Pierced Eardrum (La ragazza con un piercing al timpano) Banksy aveva sostituito l’intero lobo della ragazza con la centralina dell’allarme sul muro del palazzo. Non sappiamo se sia stato lo stesso Banksy o qualcun altro ad aggiungere la maschera in tessuto alla ragazza dipinta. Certo è che il murale non è apparso sulla pagina Instagram di Banksy dove di solito l’artista pubblica le immagini del suo lavoro. Una Super Nurse è apparsa su un muro di Amsterdam, opera di Fake, altro artista anonimo che ad Amsterdam vive e lavora. Il logo di Superman, impresso sulla mascherina di questa infermiera, rimanda allo sforzo eroico compiuto dal personale degli ospedali. Lo sguardo della donna è fiero, punta lontano ed esprime coraggio e speranza. (...) E come dimenticare l’infermiera Wonder Woman, con camice azzurro e stetoscopio, a Codogno, la prima città italiana colpita dal Covid-19, disegnata da Alessio B.? . Anche TvBoy a Barcellona ha immortalato Monna Lisa con tanto di mascherina e di cellulare in mano. Intitolato Mobile World Virus, il lavoro si riferisce alla cancellazione del World Mobile Congress di Barcellona, legata alla crisi causata dal virus. TvBoy L’Amore ai tempi del Co…vid-19, Milano Sempre di TvBoy L’Amore ai tempi del Co…vid-19, titolo che richiama quello del romanzo di Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del colera: nell’opera compaiono i due protagonisti del celebre Bacio di Francesco Hayez con tanto di mascherina e amuchina nelle mani contro il coronavirus. Di Livia Capasso
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libero-de-mente · 4 years
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AGGIORNAMENTO VaIURUS 03.04.2020
Ricapitolando dall’ultimo mio aggiornamento a oggi si leggono di questi commenti sui social: :
- Borrelli dice che probabilmente si dovrà stare a casa fino a maggio.
- Comunque sembra che prima che dalla Cina il coronavirus da noi sia giunto dalla Germania. Aspettiamo la fine di tutto questo per capire come si sono svolti davvero i fatti. Poi alla fine riderà bene chi avrà meno morti e responsabilità sulla coscienza.
- Il presidente Tridico, dice che si dovrà provare fino a giugno per entrare nel sito dell’INPS.
- Voglio piangere, questo era al terzo punto anche nel primo aggiornamento ma lo confermo.
- Scusa… scusa… ma secondo te posso andare a fa’ ‘na corsetta?
- La Germania ha detto NEIN!. Ma va?!
- Renzi continua a parlare, mica lo hanno fermato sapete?
- Alcune nazioni nostre “sorelle” nella grande famiglia UE si sono imboscate le mascherine per l’Italia inviate dalla Cina.
- Ah ah ah, rido per il punto precedente. Tanto la Protezione Civile non le avrebbe mai autorizzate. Ah ah ah tenetevele. (Ma che cacchio c’è da ridere?)
- Zingaretti con la sua parlata biascicante alla Zuzzurro riappare in video contento come Yoghi. Ha sconfitto la covid-19 grazie alle strutture private che lo hanno accolto in tempo zero, grazie ai numerosi tamponi fatti che hanno superato in numero i cotton-fioc che uso io in un mese per pulirmi le orecchie (me le pulisco tutti i giorni), grazie alle cure adeguate che gli sono state date in via prioritaria e soprattutto grazie al cazzo.
- Scusa… scusa… ma una corsettina, solo a duecento metri dalla mia casa si può fare? Duecento metri ripetuti settanta volte logicamente. No, eh?!
- Continuano le condivisioni d i messaggi audio e video senza fonti certe che narrano la verità assoluta attraverso le chat e i social. Come nell’aggiornamento precedente. Si aggiungono ora i rosari salviniani, anziché quelli mariani, e quelli D’Ursiani che concedono l’indulgenza parziale +plenaria + edilizia + fiscale che Papa Francesco spostati proprio. Ribadisco che la madre degli analfabeti funzionali è sempre incinta, questa volta senza padre umano ma intercessione divina.
- I pediatri si rivolgono direttamente ai bambini chiedendogli di non uscire di casa, in pratica gli stanno dicendo di non dare ascolto ai loro genitori frustrati che li usano per uscire.
- Sfide sui social: imperversano le foto di dieci, venti e a volte trenta anni fa. Posso dirlo? Oh, alcuni sono invecchiati male. - Quarantena sessuale. Alcuni prendono coraggio e, piuttosto che restare in astinenza, fanno sesso con il proprio partner. Una domanda: ma ai vostri partner che non vi vedevano sotto o sopra, a seconda della posizione, da tempo immemorabile che cosa avete detto: “Sono tornato/a”, “A volte tornano” oppure “Scusami per il ritardo”?
- Siamo nella merda. Questo lo lascio.
- Molti di noi oramai convivono con dei novelli Chewbacca, o Chewbe se c’è intimità, molti preferiscono sentirsi Solo piuttosto che coppia. (Bella questa battuta, ma probabilmente l’ho capita solo io ndr)
- Si continua a ripetere allo sfinimento niente strette di mano, niente abbracci, niente baci . Vale anche per la propria mano? Non può stringere, accarezzare nulla? Chiedo per un amico.
- Scusa.. scusa.. ma se mi travesto da alano, la si può ‘fa ‘na corsetta?! Ah solo da chihuahua? Come non detto.
- Il Papa solo, ma s’è allargato. cammina per le strade, “aò fa quello che je pare manco fosse er Pap… ah no”.
- Astinenza sessuale parte prima: i selfie sono andati oltre le scollature vertiginose. Si cominciano ad intravedere i primi accenni di “collo dell’utero”.
- Oggi schifate come appestati chi starnutisce e/o tossisce anche coprendosi la bocca. Questa è la rivincita di chi veniva schifato perché "scorreggiava".
- La Germania dopo aver detto NEIN, però, ci fa articoli di giornale da paraculo sui loro quotidiani (tutto love & pizza) e con “zorrizo markato” ci invita nella sua casetta di marzapane..
- Gli Autovelox non si annoiano più, qualche imbecille ha frainteso le direttive del Governo è ha deciso in maniera autonoma di interrompere la quarantena sfrecciando come se non ci fosse un domani. Un messaggio per voi che lo avete fatto: continuate così e probabilmente un futuro non ci sarà proprio, se ci sarà avrà il colore della merda grazie a voi. Grandi.
- Molti si chiedono: ma se questo virus è una cinesata, cosa ci dovremmo aspettare da quello originale?
- Giuseppe Conte commosso, alcuni dicono che stava trattenendo una scorreggia, i più acidi uno starnuto.
- Scusa… scusa… ma se la corsetta la faccio a ritroso, la si po’ fa’?. No, eh?!
- Il server dell’Inps: attendere… attendere… attendere… attendere… (si fa prima ad andare in pensione che riuscire a collegarsi).
- Figli che chiedono soldi per essere portati fuori dai propri genitori is the new economy.
- Quelli che sotto la foto di Papa Francesco da solo in Piazza san Pietro scrivono: “momento storico e io c’ero”. Ma dove eravate esattamente, nascosti sotto il colonnato del Bernini?
- Sembrerebbe che ci sia un rallentamento, appena accennato, nella progressione del virus e quindi del numero di contagiati. Invece ti tirare un piccolissimo sospiro di sollievo, si gonfiano i polmoni per cominciare a litigare tra opposizione maggioranza. Sembra che stia per uscire una nuova teoria che il coronavirus sia stato generato a Bibbiano.
- Se il coronavirus si attacca ai polmoni è anche vero che molti esseri umani si attaccano ai coglioni. Non so cosa sia peggio sinceramente.
- Astinenza sessuale parte seconda: scrivono “sei la più bella del mondo” ma non sono mai usciti dalla loro regione in tutta la loro vita.
- La “Sfida accettata” è diventata una forma virale che va debellata quanto il coronavirus
- Il Papa ha concesso l’indulgenza plenaria a tuuuutto il mondo. Già m’immagino i peccatori seriali cercare di recuperare, nel più breve tempo possibile, tutti i peccati che avevano accumulato in vita. Consiglio vivamente a tutti di fare un backup dei propri peccati, metti che va in crash il sistema per colpa di un’altra indulgenza improvvisa.
- Scusa... scusa… ma ‘na corsettina stando sul posto. Un po’ qui e po’ lì. Ma anche un po’ qua e un po’ là. Magari anche un po’ su e un po’ giù, ma sempre sul posto. No, eh?!
- Leggo che questa quarantena ci renderà migliori, ci farà capire determinati valori della vita che davamo per scontati. Insomma saremo diversi. Poi dopo aver letto i vostri post sui social si evince che: • Inps di merda! • Governo di merda! • Fuorisede di merda! • Cinesi di merda! • Germania di merda! • Runners di merda! • Mascherine di merda! • Untori di merda!
- Alcuni chiedono a gran voce d'inserire nelle attività non strettamente necessarie, quindi da chiudere, le bocche di alcuni politici.
- Fino al 2019 molti mariti si sentivano dare del fallito dalle mogli perché perennemente sul divano, oggi sono giustificati in quanto responsabili.
- Scusa.. scusa.. ma una corsettina, magari alterno venti metri su una gamba e venti sull’altra? No, eh?!
- Ma la storia del Principe Carlo che è riuscito ad avere finalmente la sua corona? Oh, è talmente sfigato con la corona che il coronavirus, appena ha saputo in che corpo era entrato, se n’è uscito dopo soli sette giorni. Manco il tempo di una bella quarantena gli è durata la corona a Carlo.
- Boris Johnson adesso si caga sotto, Donald Trump è seriamente preoccupato ed Emmanuel Macron si è pentito amaramente dei suoi sghignazzamenti iniziali. Il coronavirus mette sotto tutti, anche i minchioni più grandi. Stima.
- Riparliamo di sesso, quello autonomo. Amuchina come se non ci fosse un domani sulle mani, ma poi se ci si tocca si rischia un’intossicazione da alcol? Chiedo per una mia conoscenza.- Ok, si può uscire coi cani, anche per una corsetta. No scherzavo la corsetta no. Neanche coi cani la pupù ve la tenete in salotto. Però potete uscire con i bimbi. Signora ho detto bimbi, quello è alto un metro e novanta, si lo so che è suo figlio avete le stesse mono ciglia. Senta facciamo così, solo bimbi sotto i dodici anni. Oh i pediatri mi dicono di no, i bimbi stiano a casa. Oh i veterinari mi dicono di no, che i cani tornino a farla nei parti.f.to il Vs Governo
- Il “Siete tutti bellissimi” è il nuovo livello pro di astinenza sessuale che si raggiunge dopo tre settimane di clausura forzata.
- “Scusa.. scusa… ma una cors…”  “Aspetta, ma fammi capire. Perché devi correre a tutti i costi? Perdi la forma, il fiato o cosa?”   “No sai sono quindici anni che non corro più, se ci aggiungo la quarantena diventano davvero tanti sai?”   “Allora fai così: vaffanculo! E vacci di corsa”
- Anche questa volta siete arrivati qui, alla fine? Mitici, vi adoro.
Al prossimo aggiornamento.
@libero-de-mente
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chez-mimich · 4 years
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FEDERICA MICHISANTI, “JEUX DE COULEURS”
Quando ho avuto tra le mani (tra le mani si fa per dire, poiché il web ha purtroppo quasi eliminato la gioia tattile di avere tra le mani qualcosa), l’ultimo disco di Federica Michisanti (mi ostino a chiamarlo disco poiché ho una certa età), mi è tornato alla mente, quasi istantaneamente, un bellissimo libro di Wassily Kandinsky, “Punto, linea, superficie”, libro che è stato una delle colonne portanti delle teorie dell’astrattismo. Ma il bello viene dopo, quando dalle impressioni di pura percezione visiva, si passa all’ascolto di questo incantevole lavoro della giovane contrabbassista e prodotto da “Parco della musica Records”, uscito qualche settimana fa. Nelle otto composizioni che compongono “Jeux de Couleurs”, l’astrattismo e la sua inafferrabile libertà diventano tangibili. Un astrattismo jazz, fatto di pennellate sonore di rara intensità, anche grazie alla sinergica devozione del suo “Horn Trio”, che vede al suo fianco Francesco Bigoni al sax tenore e clarinetto e Francesco Lento alla tromba e filicorno. Li avevo ascoltati dal vivo a Novara Jazz nell’era pre-Covid, quando ascoltare musica dal vivo era un raro privilegio, e pochi se ne rendevano conto, ma questo è un altro discorso... Tornando a “Jeux de Couleurs” è stato curioso, dopo aver indugiato con lo sguardo sulla cover, tutta punti, linee e superfici, scoprire che, i brani, in realtà, portano il nome di colori (con accenni alla filosofia Sufi e ai popoli Aka). E allora che il gioco abbia inizio. Un gioco raffinatissimo, di ricerca ed equilibrio, rigore e misura. Appare evidente che il delicatissimo meccanismo sonoro, fatto di cristalline e controllate scorribande della tromba di Francesco Lento, tenuto a bada dal sax e dal clarinetto di Francesco Bigoni, necessitino della essenziale mediazione del tocco lieve e misurato del contrabbasso di Federica Michisanti. Lo si sente in “Orange”, sesto colore della tavolozza, o in  “Purple” che fa sentire quanto il colore possa essere “Deep”, senza dover necessariamente pensare al rock più spietato o alla grande tela di Pollock. Questa è pittura sonora per orecchie attente e spiriti raffinati, dove l’improvvisazione  è sempre inserita nei “limiti di contenimento” del rigore stilistico. Come nella pittura “lirica” di Kandinsky, non si può affatto dire, “questo lo so fare anch’io”, poiché sotto ad ogni accordo e ad ogni intervallo, si percepisce la trama di una rigorosa ricerca. Un traforo musicale da vedere, oltre che da ascoltare, una tela da guardare nel suo insieme da lontano e poi da osservare da vicino, per godere del segno della pennellata sonora che lascia la sua traccia sulla tela-spartito. La “quasi-suite” finale dal titolo “Improvisation Des Couleurs”, riassume alla perfezione la materia sonora dipinta in tutto l’album. Non lo posso appendere tra le opere della mia piccola collezione d’arte, ma quello sarebbe il suo posto...
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lamilanomagazine · 11 months
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Frosinone: il sogno di Francesco diventa realtà, venerdì al Matusa la consegna della Z-Bike
Frosinone: il sogno di Francesco diventa realtà, venerdì al Matusa la consegna della Z-Bike. Con una cerimonia prevista per venerdì 14 luglio alle ore 10 presso il Parco Matusa (ingresso centrale), l'Assessore ai Servizi Sociali e Presidente del Distretto Sociale B Frosinone Fabio Tagliaferri consegnerà ufficialmente alla ASD Velosport di Ferentino un innovativo modello di handbike sviluppato dalla Dallara Automobili, casa automobilistica altamente tecnologica, sita a Varano de' Melegari, in provincia di Parma. La Z-Bike verrà consegnata all'Associazione sportiva in particolare ad un proprio tesserato, nell'ambito di un progetto della Regione Lazio volto a favorire l'inclusione sociale delle persone con disabilità attraverso la pratica sportiva. Il progetto, che ha visto anche la fattiva collaborazione del Comitato paralimpico regionale, è stato avviato dagli uffici distrettuali nel mese di novembre 2022 con la pubblicazione dell'avviso pubblico per manifestazione di interesse rivolto alle associazioni sportive dilettantistiche (ASD) e società sportive dilettantistiche (SSD) iscritte al registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche che svolgono attività paralimpica sul territorio distrettuale di riferimento. "Il Comune di Frosinone, capofila del Distretto, è felice di promuovere e sostenere ogni iniziativa che rappresenti un valido strumento di promozione e valorizzazione dello sport inclusivo" ha dichiarato il Sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli. "Un ringraziamento va rivolto all'assessore al welfare e Presidente del Distretto B Fabio Tagliaferri, oltre che al consigliere delegato allo sport Francesco Pallone, sempre sensibile a questi temi, e al personale degli uffici con, il testa, il dott. Andrea Manchi, dirigente del Settore Welfare del Comune nonché coordinatore dell'Ufficio di Piano distrettuale, che, come di consueto, hanno profuso grande impegno e dedizione per raggiungere obiettivi di grande importanza sociale. L'attività mediante questo dispositivo, che è stato sviluppato su impulso del campione paralimpico ed ex pilota di Formula 1 Alex Zanardi (da cui prende il nome), diventa quindi sinonimo di rinascita e determinazione. Lo sport è un alleato della nostra salute ad ogni età, ed è in grado di esaltare le capacità individuali in un contesto che promuove la socializzazione e il dialogo. Anche in ragione di ciò il Comune di Frosinone, negli scorsi mesi, ha siglato un'intesa ad hoc con il Comitato Paralimpico Italiano: lo sport, ad ogni livello, insegna ai nostri ragazzi valori fondamentali come l'inclusione, la condivisione e il rispetto, attraverso la gioia di stare insieme e di confrontarsi con gli altri, senza barriere" ha concluso il Sindaco Mastrangeli. "Con la consegna ufficiale del dispositivo Z-Bike alla ASD Velosport di Ferentino, il Comune di Frosinone, Capofila del Distretto Sociale B, oltre a centrare gli indirizzi normativi relativamente alla promozione dello sport inclusivo, sosterrà Francesco nel coronare il proprio sogno. L'atleta paraciclista, da venerdì, potrà disporre di un modello di handbike unico per ergonomia, dimensioni, versatilità, struttura e peso che gli consentiranno di sentirsi in simbiosi con il mezzo, stancando meno le mani e consentendo una presa più salda e duratura. L'augurio per Francesco è quello di ottenere le maggiori soddisfazioni per la sua attività sportiva agonistica alla quale si dedica con tanta passione. Come Presidente del Distretto Sociale B di Frosinone, rappresentativo di ben 23 comuni della provincia di Frosinone, dico a Francesco che nelle gare a cui prenderà parte avrà il supporto di tutto il nostro ambito territoriale che lo sosterrà con orgoglio". All'iniziativa di venerdì 14 luglio, che ha ricevuto il plauso dell'Assessore regionale ai Servizi Sociali Massimiliano Maselli, parteciperanno oltre a rappresentanti istituzionali del Comune e del Distretto Sociale B di Frosinone, il Consigliere regionale Alessia Savo (Presidente della commissione sanità della Regione Lazio), i rappresentanti del CIP Lazio Marco Iannuzzi (Presidente), Piergiorgio Fascina (componente giunta regionale), Eliseo Ferrante (delegato CIP Frosinone) e alcuni referenti della ASD Velosport di Ferentino. L'iniziativa è aperta a quanti vorranno conoscere Francesco, atleta paraciclista, e vedere da vicino la Z-Bike.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sanninodario06 · 3 years
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​D'accordo, le vittorie della Roma sono state (relativamente) poche, ma guai a dire che i tifosi giallorossi non abbiano visto passare tanti giocatori fenomenali sul prato dell'Olimpico. Senza scomodare leggende dell'anteguerra, basta citarne solo alcuni, come Francesco Totti o Gabriel Omar Batistuta. Ma i calciatori ad aver avuto il privilegio di restare nel cuore di tutti i romanisti a distanza di anni sono pochi. E se si pronuncia il nome di Marco Delvecchio davanti ad un tifoso della Roma, si può star certi che si riceverà in cambio un sospiro nostalgico. E dire che prima di diventare SuperMarco ne ha dovuti sentire di fischi. Sì, perchè Delvecchio, arrivato alla Roma in prestito dall'Inter in cambio di Marco Branca all'alba della stagione 1995-96, non era stato accolto con favore: i tifosi, per l'attacco, aspettavano dal presidente Sensi un pezzo da novanta. Ma a Trigoria sbarcò "solo" questo giovane attaccante classe 1973 con all'attivo un bottino di 8 reti. In coppia con Abel Balbo (lui sì beniamino dei tifosi), ha ricevuto fischi copiosi per tutto il girone d'andata. Mister Mazzone, in quello di ritorno, lo lancia spesso dall'inizio facendolo giocare con continuità: ed ecco che il 20 aprile 1996, contro il Napoli, realizza la sua prima tripletta in carriera. Ogni gol veniva accompagnato dalle mani portate alle orecchie, quasi ad invitare il pubblico a fischiarlo. Un gesto di sfida che negli anni si è trasformato in una precisa richiesta della Sud: "Delvecchio facce vedè l'orecchio": "Questo è il gesto che è nato un po' per sfida verso i tifosi, perché non apprezzavano il fatto che giocassi al posto dell'ipotetica punta che doveva arrivare - ha spiegato con sincerità Delvecchio -. I fischi mi sembravano ingiusti, non era colpa mia se non era arrivato nessuno. Poi dopo un chiarimento con i tifosi a Trigoria è diventato il simbolo della mia esultanza, non più per sentire i fischi ma la gioia dei tifosi." Un totale di dieci stagioni con la maglia giallorossa, svestita solo fisicamente, nel 2005, dopo più di 300 presenze e 83 gol. Ma in questo lasso di tempo Delvecchio si è guadagnato l'eterna gratitudine dei tifosi della Roma grazie...alla Lazio. Il numero 24, strada facendo, è diventato l'anti-biancoceleste per eccellenza. E probabilmente Alessandro Nesta ancora lo sogna (sudando) la notte. Nove le reti nei derby con la Lazio e lo scettro di marcatore più prolifico nelle stracittadine condiviso con Dino Da Costa, prima del sorpasso fissato da capitan Totti.Tecnicamente non un fenomeno, anche se capace di grandi colpi. Con la Roma, di cui spesso ha indossato anche la fascia di capitano, ha vinto lo scudetto 2001 (giocando praticamente da esterno di centrocampo) e la successiva Supercoppa Italiana. Solo due i trofei, ma l'amore dei tifosi non si misura con le vittorie. Piuttosto da un coro che fa "mostrace, mostrace, mostrace l'orecchio, ohhh Delvecchio, mostrace l'orecchio..."
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gloriabourne · 4 years
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The one with the punishment
"Devo dirti una cosa."
Fabrizio sollevò lo sguardo lasciando perdere per un secondo la lavastoviglie. Quando Ermal pronunciava una frase del genere con un tono così serio, non era mai nulla di buono.
L'ultima volta che lo aveva fatto era stato quando, qualche mese prima, gli aveva confessato di essersi visto con Silvia per un caffè. E Fabrizio non era un uomo geloso quindi gli stava bene che Ermal fosse rimasto in contatto con la sua ex e che si frequentassero come due buoni amici, ma era pur sempre una donna con cui era stato per nove anni ed Ermal lo sapeva benissimo. Ecco perché aveva aspettato a dirglielo ed ecco perché lo aveva fatto con il tono serio di chi ha fatto qualcosa di terribile.
Quindi Fabrizio non poteva che essere preoccupato sentendo nuovamente quel tono di voce.
Si sedette di fronte a Ermal, fregandosene della lavastoviglie lasciata aperta, e disse: "Che è successo?"
"Niente di grave, Bizio. Te lo giuro."
"E allora perché sei così serio?"
"Perché so che probabilmente non ti farà piacere sapere questa cosa."
"Che cazzo hai combinato, Ermal?" disse Fabrizio, con tono un po' più secco e sempre più preoccupato.
"Ricordi che qualche mese fa Francesco è passato a trovarmi in studio?"
Fabrizio sbuffò sentendo nominare il collega con cui aveva avuto qualche attrito. "Fin troppo bene."
"Ecco. Ti ho detto che era venuto a salutarmi ma non era del tutto vero" disse Ermal.
Si stava torturando le mani, sfilandosi gli anelli dalle dita con fare nervoso.
Fabrizio aggrottò la fronte. "Che vuoi dire?"
"Abbiamo lavorato a un pezzo. Esce la prossima settimana" ammise finalmente Ermal.
Fabrizio rimase in silenzio, immobile, quasi come se non avesse sentito ciò che il compagno aveva appena detto.
Dopo qualche attimo, si azzardò a dire: "Vediamo se ho capito bene: tu hai lavorato a una canzone con Renga qualcosa come tre mesi fa, e me lo dici solo ora?"
"Lo so, scusami. È che avevo paura di come avresti reagito. So che tu e Francesco vi siete chiariti, ma so anche che non ti sta molto simpatico."
"E no che non mi sta simpatico! Sai qual è l'unica cosa su cui andiamo d'accordo? Entrambi teniamo a te, ecco perché abbiamo cercato di chiarirci. Io non voglio problemi con i tuoi amici e lui non vuole averli con il tuo fidanzato, ma la cosa finisce lì" disse Fabrizio alzandosi e finendo di caricare la lavastoviglie, chiudendola poi con un tonfo.
"Sei arrabbiato?" chiese Ermal.
Fabrizio sbuffò. "No. Però sono dispiaciuto. Vorrei che tu mi raccontassi tutto e invece questa volta non l'hai fatto perché di mezzo c'è un tuo amico che io non sopporto. Non va bene, Ermal. Non possiamo nasconderci le cose."
Ermal si alzò e raggiunse Fabrizio, posizionandosi alle sue spalle e circondandogli la vita con un braccio.
"Lo so, amore. Scusami. Mi farò perdonare" disse lasciandogli un bacio sul collo.
Fabrizio si abbandonò tra le sue braccia e sorrise. "Non è necessario."
In quel momento effettivamente non sentiva quella necessità. Ma spesso la rabbia viene fuori in momenti impensabili e forse, qualche giorno più tardi, Ermal avrebbe dovuto davvero farsi perdonare.
  L'uscita della canzone aveva decisamente scosso i social, anche se non proprio in senso buono.
I commenti positivi c'erano stati, ma ce n'erano stati altrettanti - e forse anche di più - negativi.
In un qualsiasi altro momento, Ermal sarebbe tornato a casa di corsa, si sarebbe rifugiato tra i commenti sicuramente positivi di Fabrizio. Ma in quella situazione era certo che Fabrizio sarebbe stato molto più severo di qualsiasi altro commento avesse letto fino a quel momento.
"Ciao!" disse a voce alta entrando in casa, sapendo che Fabrizio probabilmente se ne stava nello studio a rifinire i dettagli per il tour nei teatri.
"Ciao" rispose l'altro andandogli incontro.
Ermal lo guardò sorpreso appendendo il cappotto all'attaccapanni dell'ingresso. "Ero convinto che stessi lavorando."
"Mi sono preso una pausa per ascoltare la canzone" disse Fabrizio con tono annoiato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
"E...?" chiese Ermal curioso.
Teneva al giudizio di Fabrizio, anche quando non era positivo. Anzi soprattutto quando non era positivo.
Fabrizio sapeva sempre dirgli le cose chiaramente, senza peli sulla lingua ma senza mai farlo rimanere male.
Anche se aveva il dubbio che in quella circostanza lo avrebbe massacrato, fregandosene di non farlo rimanere male o magari cercando di farlo rimanere male volutamente.
"E, detto onestamente e non perché c'è di mezzo il tuo amico, è un parere del tutto neutrale..."
"Falla breve, Bizio."
"Fa schifo."
Ermal fece una smorfia scocciata. "È così pessima?"
"Un po'. Cioè non è che faccia proprio schifo, però parliamoci chiaro: potevi fare di meglio."
"Inizio a pensare che sarebbe stato meglio non farla 'sta canzone" disse Ermal camminando verso la cucina.
Fabrizio lo seguì e lo osservò aprire il frigorifero e tirare fuori una birra con un'espressione sconsolata sul volto.
Gli dispiaceva vederlo così, anche se in realtà quella storia della canzone aveva riportato a galla una storia che ormai Fabrizio credeva di aver accantonato.
"Magari se l'avessi fatta con qualcun altro, il risultato sarebbe stato migliore" disse Fabrizio.
Ermal bevve un sorso di birra tenendo lo sguardo su di lui, poi disse: "Che vuoi dire?"
"Ricordo che nel periodo di Sanremo parlavamo di scrivere ancora insieme. È passato un anno e mezzo e non lo abbiamo ancora fatto."
"Sai il motivo, Bizio."
Fabrizio sbuffò e abbassò lo sguardo.
Lo sapeva. Lo sapeva fin troppo bene.
Sapeva che Ermal ormai era ossessionato dai gossip che vorticavano attorno a loro e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per non alimentarli ulteriormente.
Qualsiasi cosa includeva anche rinunciare a scrivere una nuova canzone insieme.
"Dai, non essere arrabbiato" disse Ermal.
"Non vuoi scrivere con me, ma in compenso lo fai con un amico che proprio non sopporto. Penso di avercelo un po' il diritto per essere arrabbiato."
Ermal abbassò lo sguardo dispiaciuto.
Sapeva quando Fabrizio odiasse quella situazione. Sapeva quanto avrebbe voluto scrivere ancora con lui, cantare con lui su qualche palco e sapeva che non era affatto d'accordo con la sua decisione di lasciare perdere.
"Però magari il modo di farmi essere meno arrabbiato lo troviamo" disse all'improvviso Fabrizio, con un ghigno malizioso stampato in faccia.
Ermal ricambiò il sorriso con aria di sfida, capendo subito dove volesse andare a parare il compagno. "Cosa proponi?"
Lo scatto di Fabrizio fu talmente rapido che Ermal si trovò in un attimo piegato sul tavolo della cucina, senza sapere bene come ci fosse finito.
Fabrizio era dietro di lui, il bacino appoggiato al suo fondoschiena mentre si abbassava fino a sussurrargli all'orecchio: "Credo che questa potrebbe essere una buona idea."
Ma Ermal non era mai stato abituato a essere quello che lasciava il controllo della situazione agli altri, quindi anche in quella posizione non poté fare a meno di dire: "E vuoi prendermi sul tavolo della cucina? Sappiamo entrambi che non vieni se non sei tu quello che lo prende."
"Pensi di essere nella posizione di fare lo spiritoso?" disse Fabrizio, premendosi maggiormente contro di lui.
Ermal trattenne un gemito sentendo chiaramente l'erezione del compagno contro di lui, nonostante gli strati di vestiti che ancora li separavano.
"Non faccio lo spiritoso, è un dato di fatto. Però..."
"Però?" chiese Fabrizio improvvisamente interessato a ciò che passava nella mente di Ermal.
"Però potresti usare quella cosa che ti ho regalato per il tuo compleanno" disse Ermal.
La cosa in questione, Fabrizio la ricordava benissimo.
Si trattava di un vibratore che Ermal gli aveva regalato più come scherzo che come vero regalo - il regalo vero era stato una chitarra che Fabrizio aveva adocchiato qualche tempo prima - e che gli aveva consegnato dicendogli: "Per quando non ci sono."
E Fabrizio doveva ammettere che in effetti l'aveva usato parecchie volte in assenza di Ermal.
"Sai, in realtà non è una cattiva idea" disse Fabrizio scostandosi da lui e correndo in camera.
Ermal si sollevò sorridendo e puntò lo sguardo verso la porta, ansioso di vedere tornare il compagno.
Quando Fabrizio tornò pochi attimi dopo, tenendo in mano il vibratore e vide Ermal che lo fissava con un ghigno stampato in faccia, disse: "Non mi sembrava di averti detto che potevi muoverti."
"Chiedo scusa. Ora che vuoi fare? Punirmi?" disse Ermal ironico.
"Te lo meriteresti, sai" rispose Fabrizio tornando dietro Ermal e obbligandolo e piegarsi di nuovo sul tavolo.
Ermal gemette sorpreso mentre si ritrovava con la guancia premuta sulla superficie di legno e Fabrizio, dietro di lui, che trafficava con la sua cintura e gli abbassava frettolosamente i pantaloni.
"Hai bisogno di una mano per metterti quel coso?" scherzò Ermal. Anche se in realtà di scherzoso c'era poco, lui una mano gliel'avrebbe data volentieri davvero.
"Posso farlo da solo, ma se proprio ci tieni ad aiutarmi..." iniziò Fabrizio lasciando volutamente la frase in sospeso e mettendogli davanti alla faccia il giocattolino.
Ermal non esitò a schiudere la bocca e farselo scivolare tra le labbra, cercando di lubrificarlo il più possibile.
Nel frattempo Fabrizio stava facendo la stessa cosa con le sue dita, per poi portarle alla fessura del compagno.
Ermal non era così tanto abituato a ritrovarsi in quella situazione e Fabrizio, per quanto volesse in effetti un po' punirlo per tutta la faccenda della canzone, non voleva fargli del male.
Ermal si lasciò sfuggire un lamento sentendo le dita di Fabrizio spingersi, ma il fastidio durò appena un attimo. E sapeva che ne sarebbe valsa la pena.
Fabrizio lo preparò con cura, mentre Ermal continuava a riservare le sue attenzioni al sex toy del compagno.
Solo quando sentì Ermal spingersi indietro verso le sue dita, Fabrizio si ritenne sufficientemente soddisfatto.
Estrasse le dita e si chinò fino a lasciargli una profonda leccata sulla sua fessura, ormai aperta e pronta ad accoglierlo, e sentendo Ermal ansimare disse: "Non ti preoccupare, ora ti darò quello che vuoi. Anche se non te lo meriteresti."
Prese il vibratore dalla bocca di Ermal e lo indirizzò verso la propria apertura, mentre il più giovane si voltava leggermente per godersi lo spettacolo del proprio uomo che si penetrava da solo.
Ed era vero che Ermal gli aveva regalato quel sex toy per i momenti di solitudine, ma usarlo insieme era qualcosa che non aveva previsto e che si stava rivelando fin troppo interessante.
Sentì Fabrizio gemere - segno che evidentemente aveva infilato il vibratore fino a toccare la prostata - e a quel punto disse con una nota di divertimento: "Magari la prossima volta me lo fai provare."
"Inizia a provare qualcos'altro" rispose Fabrizio, indirizzando la sua lunghezza verso la fessura del compagno e poi penetrandolo con un colpo secco.
Ermal si morse il labbro inferiore, trattenendo un lamento per il lieve dolore dovuto alla penetrazione tutt'altro che gentile del compagno, ma cercò di non fargli capire in alcun modo che si sentiva infastidito e dolorante.
Sapeva che se lo avesse fatto, Fabrizio si sarebbe fermato immediatamente, abbandonando il suo comportamento autoritario per tornare a essere il solito fidanzato premuroso e gentile. Ed Ermal non aveva alcuna intenzione di fermarsi.
Fabrizio, d'altra parte, si sentiva estremamente in difficoltà sentendo la sua prostata stimolata dal regalo di Ermal e allo stesso tempo la sua erezione stretta dai muscoli del compagno. Ma avrebbe fatto tutto il necessario per far durare quella piacevole tortura il più a lungo possibile.
Dopo qualche attimo sentì finalmente i muscoli di Ermal cedere attorno a lui e capì di potersi muovere.
Iniziò con movimenti lenti, spaventato che altrimenti gli avrebbe fatto male. Era iniziato tutto come una sorta di punizione, ma voleva che fosse piacevole per entrambi.
Ermal intanto aveva iniziato a gemere ad ogni minimo movimento del compagno, ed era stato inevitabile portarsi una mano tra le gambe per cercare sollievo.
Sapeva che Fabrizio avrebbe cercato di far durare tutto il più a lungo possibile, ma sapeva anche che in quelle condizioni sarebbe finito tutto in tempi estremamente brevi.
Fabrizio continuò ad affondare sempre più velocemente, sentendosi ormai prossimo all'orgasmo.
In effetti non poteva essere altrimenti. Tra la stimolazione del vibratore, Ermal che si stringeva attorno a lui e i gemiti che ormai avevano invaso la casa, sarebbe stato davvero difficile durare più a lungo.
Si sentiva esausto e quando finalmente sentì l'orgasmo raggiungerlo fu quasi un sollievo.
Mentre il sex toy continuava a martellargli la prostata, si riversò dentro Ermal senza preoccuparsi di trattenere un gemito.
Un attimo dopo Ermal lo raggiunse svuotandosi nella sua mano e rimanendo piegato sul tavolo, ormai senza forze.
Sentì Fabrizio allontanarsi da lui e la sua essenza colargli tra le cosce, ma non aveva alcuna intenzione di muoversi da lì. Anche perché temeva che anche il più piccolo movimento lo avrebbe fatto finire a terra.
"Cazzo" mormorò Fabrizio spalmandosi sulla schiena di Ermal, ancora avvolta dal maglione che non aveva nemmeno avuto la pazienza di sfilargli.
"Non riesco a muovermi. Avrò bisogno di aiuto per alzarmi" borbottò Ermal, la guancia ancora premuta sulla superficie del tavolo.
"Chi ha detto che devi alzarti? Pensavo di lasciarti qui, con il tuo bel culetto all'aria" disse Fabrizio tirandogli una leggera pacca su una natica.
"Ah, pure? Non è ancora finita la tua punizione?"
"Non la chiamerei punizione. Ti sei divertito quanto me."
Ermal sogghignò. "Forse."
"E poi ho pensato che hai già avuto la tua punizione senza che dovessi pensarci io" disse Fabrizio.
"E cioè?"
"Hai fatto una canzone con Francesco Renga. Se non è una punizione questa!"
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dariosannino806 · 4 years
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​D'accordo, le vittorie della Roma sono state (relativamente) poche, ma guai a dire che i tifosi giallorossi non abbiano visto passare tanti giocatori fenomenali sul prato dell'Olimpico. Senza scomodare leggende dell'anteguerra, basta citarne solo alcuni, come Francesco Totti o Gabriel Omar Batistuta. Ma i calciatori ad aver avuto il privilegio di restare nel cuore di tutti i romanisti a distanza di anni sono pochi. E se si pronuncia il nome di Marco Delvecchio davanti ad un tifoso della Roma, si può star certi che si riceverà in cambio un sospiro nostalgico. E dire che prima di diventare SuperMarco ne ha dovuti sentire di fischi. Sì, perchè Delvecchio, arrivato alla Roma in prestito dall'Inter in cambio di Marco Branca all'alba della stagione 1995-96, non era stato accolto con favore: i tifosi, per l'attacco, aspettavano dal presidente Sensi un pezzo da novanta. Ma a Trigoria sbarcò "solo" questo giovane attaccante classe 1973 con all'attivo un bottino di 8 reti. In coppia con Abel Balbo (lui sì beniamino dei tifosi), ha ricevuto fischi copiosi per tutto il girone d'andata. Mister Mazzone, in quello di ritorno, lo lancia spesso dall'inizio facendolo giocare con continuità: ed ecco che il 20 aprile 1996, contro il Napoli, realizza la sua prima tripletta in carriera. Ogni gol veniva accompagnato dalle mani portate alle orecchie, quasi ad invitare il pubblico a fischiarlo. Un gesto di sfida che negli anni si è trasformato in una precisa richiesta della Sud: "Delvecchio facce vedè l'orecchio": "Questo è il gesto che è nato un po' per sfida verso i tifosi, perché non apprezzavano il fatto che giocassi al posto dell'ipotetica punta che doveva arrivare - ha spiegato con sincerità Delvecchio -. I fischi mi sembravano ingiusti, non era colpa mia se non era arrivato nessuno. Poi dopo un chiarimento con i tifosi a Trigoria è diventato il simbolo della mia esultanza, non più per sentire i fischi ma la gioia dei tifosi. Un totale di dieci stagioni con la maglia giallorossa, svestita solo fisicamente, nel 2005, dopo più di 300 presenze e 83 gol. Ma in questo lasso di tempo Delvecchio si è guadagnato l'eterna gratitudine dei tifosi della Roma grazie...alla Lazio. Il numero 24, strada facendo, è diventato l'anti-biancoceleste per eccellenza. E probabilmente Alessandro Nesta ancora lo sogna (sudando) la notte. Nove le reti nei derby con la Lazio e lo scettro di marcatore più prolifico nelle stracittadine condiviso con Dino Da Costa, prima del sorpasso fissato da capitan Totti. Per info: https://www.90min.com/it/posts/6578422-perche-marco-delvecchio-e-entrato-nel-cuore-dei-tifosi-della-roma
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paoloxl · 5 years
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«Come fa caldo in mezzo alle botte
Della centrale di polizia
Qualcuno non dormirà
Qualcun altro andrà via» 
Canta così Coez in Costole Rotte, dedicata a Stefano Cucchi. Niente di più vero, perché non sono state le scale, non è stato un attacco di epilessia, non è stata overdose come tuona Matteo Salvini nello sciacallaggio mediatico della vicenda (la sorella Ilaria Cucchi lo querelerà per queste sue ultime dichiarazioni). Il trentunenne romano, geometra, è stato ammazzato dalle botte. Pestato in carcere dalla polizia.
Dopo dieci anni si arriva a questa sentenza, dopo anni di battaglie politiche, insabbiamenti e gogna mediatica si riesce ad imputare la responsabilità ai veri colpevoli.
Dieci anni dopo il 15 ottobre 2009, quando Stefano Cucchi, veniva arrestato perché trovato in possesso di una decina di grammi di hashish e sparuti grammi di cocaina. Il giorno dopo, l’arresto viene convalidato dal giudice per le indagini preliminari che lo assegna al carcere romano di Regina Coeli. Il 22 ottobre, a sette giorni dall’arresto, dopo che la struttura penitenziaria aveva disposto un ricovero per “un peggioramento del suo stato clinico”, Stefano muore all’ospedale Pertini di Roma.
Dieci anni fa, lo Stato si ritrovava per l’ennesima volta a fare i conti con delle “cazzate”, degli “errori”, commessi dai propri ausiliari. Parliamo di forze dell’ordine, medici di strutture pubbliche, guardie penitenziarie, tutti insieme appassionatamente in una storia di rimpiattimenti orditi alle spalle di chicchessia: dai familiari colpiti dalla tremenda perdita, ai Governi che nel corso del decennio si sono succeduti. Il tutto con una tremenda puzza di marcio traboccante, in ogni stato e grado dei vari procedimenti penali.
Ma veniamo con ordine.
Il primo procedimento apertosi subito dopo la morte di Stefano, coinvolgeva tre medici e tre guardie penitenziarie, coi capi d’imputazione disposti dalla Procura su omicidio colposo per i primi e omicidio preterintenzionale per gli altri. Tali capi subivano però, nell’aprile del 2010, una derubricazione in abbandono di incapace, abuso di ufficio, favoreggiamento e falso ideologico per i medici e lesioni e abuso di autorità per le guardie penitenziarie. 
Il 13 dicembre 2012 invece, mentre la sorella Ilaria, srotolava le enormi foto risalenti alla visita di Stefano in camera autoptica, entrata poi nella memoria della collettività, i periti del tribunale dichiarano che Stefano Cucchi sarebbe morto a causa di carenza di cure mediche oltre che di cibo e acqua, sostenendo di non potere stabilire con estrema certezza se il corpo del giovane fosse tumefatto a causa di eventuali violenze o per via di un’ipotetica caduta accidentale.
Intanto le indagini si muovevano sull’ipotesi che Stefano aveva avuto una forma di ipoglicemia molto alta, e che le tumefazioni che il corpo presentava non erano così gravi da averlo condotto alla morte.
Nel frattempo un testimone dichiara che Stefano gli avrebbe riferito di essere stato picchiato, un altro invece, di aver visto personalmente degli agenti penitenziari che lo picchiavano.
Il primo grado volge al termine nel 2013, con una sentenza della Corte di Assise di Roma che condanna i medici dell’ospedale Pertini per omicidio colposo, mentre gli altri, compresi gli agenti, vengono assolti da tutte le accuse. La causa della morte di Stefano per i giudici di prime cure è stata causata da un attacco di epilessia.
Il successivo grado di appello nel 2014 si definisce con una sentenza sconcertante. Tutti gli imputati vengono assolti per mancanza di prove. La Cassazione si esprime nel 2015 annullando la sentenza di appello e disponendo la nuova celebrazione del secondo grado per rivalutare solo il capo d’imputazione nei confronti dei medici.
L’appello-bis si definisce con una sentenza gemella: gli imputati vengono nuovamente assolti. La Cassazione, richiamata nuovamente in gioco, annulla la sentenza, ma nel frattempo la spada di Damocle della prescrizione aveva quasi del tutto inglobato i reati contestati.
La famiglia-coraggio di Stefano decide di non demordere e di concentrarsi specificamente sulle condotte dei Carabinieri che per primi lo avevano identificato e condotto in caserma. 
Siamo ormai ad inizio 2017 quando viene disposto dal pubblico ministero il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di ufficio dei carabinieri. Agli stessi vengono contestate le lesioni attraverso l’uso della violenza che in combinato alla condotta omissiva dei medici avrebbero causato la morte di Stefano.
Secondo l’accusa del pubblico ministero Giovanni Musarò, i carabinieri D’Alessandro e Di Bernardo furono i responsabili delle tumefazioni al viso, delle ecchimosi del cuoio capelluto e delle palpebre, delle fratture delle vertebre e le successive infiltrazioni emorragiche in varie parti del corpo. L’indagine ha ricostruito che le lesioni inferte a Cucchi determinarono “una sorta di piano inclinato che condusse alla sua morte”. 
È il carabiniere Francesco Tedesco che scopre il vaso di Pandora. Il militare conferma il pestaggio ad opera dei suoi due colleghi, specificando di non avervi preso parte, anzi, lo stesso aveva cercato addirittura di fermarli.  
Dopo queste rivelazioni, il processo-bis si rinvigorisce di nuovi elementi di prova, fino a definirsi odiernamente con sentenza. I carabinieri Di Bernardo e D’Alessandro vengono condannati ad undici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale, il superiore Mandolini a tre anni e otto mesi per falso e Tedesco a due anni e sei mesi anche egli per falso (venendo invece assolto invece dall’accusa di omicidio preterintenzionale).
Nelle stesse ore di ieri, 14 novembre 2019, veniva definito anche il processo d’appello-ter che ha stabilito l’intervenuta prescrizione del reato di omicidio colposo per tre medici dell’ospedale Pertini e l’assoluzione per la dottoressa Corbi “per non aver commesso il fatto”.
Il calvario giudiziario si è finalmente fermato con un accertamento delle responsabilità penali in capo alle forze dell’ordine, colpevoli dunque del reato a loro ascritto secondo l’art. 584 del codice penale.
Tale reato, omicidio preterintenzionale o “oltre l’intenzione”, sussiste quando avviene la morte di un soggetto quale conseguenza della condotta del reato di percosse e del reato di lesioni personali, richiedendo quale elemento soggettivo il dolo misto a colpa.
L’amaro in bocca è rappresentato invece dall’intervenuta prescrizione nei riguardi delle condotte ascrivibili ai medici.
Siamo tuttavia di fronte ad una sentenza epocale che coinvolge quanti nel corso di questo decennio, si sono mossi per ottenere verità e giustizia, per sancire che le personalità dello Stato non possono fuoriuscirne impuniti e al contempo con le mani grondanti di sangue.
Quanto ottenuto ieri apre uno spiraglio di speranza per tutte le vittime di Stato che, contrariamente a quanto avvenuto per Stefano dopo oltre dieci anni, restano coperte da un miscuglio di mendicità e silenzi. 
Viene dunque da pensare al puzzle coi tanti pezzi mancanti. 
Parliamo di Giuseppe Uva, Mauro Guerra, Federico Aldrovandi, Francesco Mastrogiovanni, Carlo Giuliani, Aldo Bianzino, Niki Aprile Gatti, Stefano Brunetti, Serena Mollicone, Riccardo Rasman, Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, Carmelo Castro, Simone La Penna, Cristian de Cupis, Manuel Eliantonio, tutti loro vittime d’omicidio di un sistema statale che fatica ed arranca nell’opera di autoaccusa.
Non si può e non si deve lasciare l’ansia vorace di ottener giustizia ai soli familiari che, armati di forza di volontà e possibilità di spesa, tentano, alle volte con successo altre volte con nulla di fatto, di ottenere pace. Lo Stato non deve restare fuori dalla porta dei Tribunali a guardare, non può atteggiarsi a mero censore ora e a leviatano repressore poi. Abbiamo la necessità di uno Stato seriamente improntato alla garanzia dei diritti.
Perché non è un problema dei singoli, riguarda davvero chiunque. 
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paneliquido · 5 years
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La casa di Elisabetta Trenta e l’Europa che il conformismo non ama raccontare
Fra tutte le sentenze di Mao Tse Tung una ho sempre trovato ripugnante: “bastonare il cane che affoga”. Sì, è una metafora che insegna a colpire il quartier generale del nemico quando questi si trovi a essere in difficoltà (non crediate appartenga al solo feroce secolo scorso: i 99 Posse la citarono riferendosi a Berlusconi), ma è una metafora orrenda e, alla lettera, impietosa. Nel nostro bell’idioma abbiamo un modo di dire assai più generoso, anche perché legge la metafora con lo sguardo della vittima e le sue parole: quelle pronunciate quasi cinquecento anni fa da un Francesco Ferrucci inerme davanti a Maramaldo che stava per finirlo: “tu uccidi un uomo morto”.
Bene, vedo sui giornali grandi titoli e servizi sull’alloggio goduto dall’ex ministro della Difesa Trenta per pochi euro al mese, e sui maldestri tentativi di continuare pur da ex a goderne l’usufrutto facendo intestare al marito, maggiore dell’Esercito, l’assegnazione.
Bene, notizie vere e dovute. Resta qualche dubbio: la notizia ha inevitabilmente come fonte qualche militare che non amava particolarmente il ministro, ed è per così dire condita dal dettaglio del cane della Trenta portato al ministero e dogsitterato da qualche impiegato (come si è capito amo i cani ed è un dettaglio che casomai mi rende più umana un ministro del resto molto italiano nell’indossare i panni del privilegio, compreso quello nobile di tenere il cane anche sul posto di lavoro).
Ma è impossibile non domandarsi quale spregiudicatezza improvvisa abbia baciato il rospo dell’informazione italiana trasformandola in una principessa dell’inchiesta? Come molti giornalisti che hanno percorso le strade polverose di Nassiriya, conoscevo almeno per sentito dire il passaggio della Trenta al Governatorato, quale ufficiale della riserva selezionata.
Sapevo che era stata congedata senza troppi complimenti, e conoscevo persino i soprannomi che le avevano affibbiato, su cui sorvolo per eleganza. Quando venne nominata ministro me ne stupii, e archiviai la cosa come un segno dei tempi, todos Caballeros.
Ma perché quel curriculum non ci venne raccontato dall’informazione italiana? Era pur sempre un ministro in carica, e forse non bisogna svegliare il ministro che dorme, meglio aspettare che si agiti sul filo dell’affogamento. Ma non è che adesso torna utile, quella notizia vera e necessaria, per dimostrare che quello era un vecchio governo e adesso c’è un’aria nuova, e la questione Trenta è solo una piccola pietra d’inciampo per i 5 Stelle, e un retaggio dell’ancien régime? Allora vorrei segnalare al conformismo di un’informazione che è riuscita a ricordare il crollo del Muro di Berlino come se non fosse appartenuto a nessuno, non imponesse dei ripensamenti, delle riflessioni sul passato (morto il muro e scomparsi i muratori…) una questione di non poco conto: alla Farnesina c’è un inquilino, Di Maio, che evidentemente conosce poco i dossier, ed è persino poco appassionato di politica estera, preferisce temi interni.
E dunque il potere di continuità sta tutto nelle mani del Segretario Generale.
Che è un’ottima persona, che è stata la prima donna a dirigere l’Unità di Crisi e la prima responsabile della Cooperazione, ma non ha mai retto un’ambasciata. Che è stata nominata in articulo mortis da Paolo Gentiloni, ma anche protagonista di indiscrezioni che la candidavano a un ruolo di ministro in un governo tecnico o in un governo con i 5 Stelle. E allora se facessi ancora il giornalista è a Lei, non al ministro in carica, che rivolgerei la domanda: è vero che il drone italiano (un po’ troppo grosso per essere addetto alla sola sorveglianza dell’area in cui si trova l’ospedale italiano) è stato abbattuto in Libia da un missile terra aria di produzione francese? Capirlo ci aiuterebbe a capire che se Egitto e Arabia Saudita e Francia stanno con il generale Haftar, noi stiamo con Serraj, con l’ottimo Erdogan, il generoso Qatar e con la benedizione della Nazioni Unite, dall’altra parte, non solo con medici e infermieri. Questa è l’Europa che il conformismo non ama raccontare.
Tony Capuozzo
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