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#linfociti B
medicomunicare · 18 days
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Il nervo vago: l'autostrada che smista i segnali fra cervello e periferia per regolare immunità e disturbi somatici
Mentre il sistema immunitario adattivo ricorda i precedenti incontri con gli intrusi per aiutarsi a resistere nel caso in cui invadessero nuovamente, il sistema immunitario innato attacca qualsiasi cosa abbia tratti comuni ai germi. La relativa semplicità dell’immunità innata le consente di rispondere ai nuovi insulti più rapidamente dell’immunità adattativa. Precedenti studi sugli esseri umani…
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ilsimplicissimusblog · 6 months
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Vaccini e turbo cancro: il rapporto era noto già dal 2020
Nel 2020 uno  studio pubblicato sul Journal for Immunotherapy of Cancer del  British Medical Journal  suggeriva  che avere più anticorpi IgG4 di qualsiasi tipo rende più rapida la progressione dei tumori. Così scrivevano gli autori:”  In una  coorte di pazienti con cancro esofageo  abbiamo scoperto che i linfociti B contenenti IgG4 e la concentrazione di IgG4 erano significativamente aumentati…
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vorticimagazine · 7 months
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Il CIO (Centro di Immuno – Oncologia) e l'immunoterapia oncologica...
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Se dovessimo fissare una data precisa e inziale per illustrarvi una nuova frontiera della medicina, potremmo dire 7 Ottobre 2017. Ed è proprio da quest’ultima che noi di Vortici.it, vogliamo partire per provare a spiegarvi questo nuovo traguardo fino a pochi decenni fa, impensabile. Tenete sempre conto delle date indicate, molto importanti, per avere contezza dei fatti esposti. Una nuova struttura all’avanguardia nell’immunoterapia oncologica è stata presentata nel 2017 a Siena, in occasione del XV congresso interazionale del NIBIT (Network Italiano per la Bioterapia dei Tumori): Il CIO (Centro di Immuno – Oncologia)
Si chiama CIO (Centro di Immuno – Oncologia) diventato, come vedremo, nel corso del tempo un punto di riferimento per la ricerca e la sperimentazione di questo tipo di terapia denominata "immunoterapia oncologica". Al CIO (Centro di Immuno – Oncologia) sono in atto diverse tipologie di sperimentazioni in campo immunoterapico.
Si è arrivati a inserire nei programmi sperimentali almeno il 75% dei più di 3000 pazienti valutati dai medici della struttura. Come già accaduto in precedenza, Siena si pone alla guida della ricerca in campo oncologico.
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L’importanza dell’immunoterapia In un mondo come quello attuale, dove un numero sempre crescente di pazienti si trova a dover affrontare una malattia oncologica, appare evidente l’importanza di trovare delle soluzioni valide al problema. Le possibilità che la medicina utilizza di routine per il trattamento di tumori, vanno dalla chemioterapia alla radioterapia, passando per la rimozione chirurgica di diverse neoplasie solide. Ma queste, spesso, non sono sufficienti.L’immunoterapia è un campo molto interessante che sta conquistando, a suon di buoni risultati, un seguito sempre maggiore. Non a caso è considerata una tra le tecniche da sviluppare per portare avanti una lotta, quella contro il cancro, nella quale ogni giorno si cerca di conquistare anche la più piccola delle speranze. L’idea alla base di questa metodica è un po’ quella che è alla base dei vaccini. Si cerca di “educare” il sistema immunitario di un paziente a reagire contro quelle cellule che sono sfuggite ai normali controlli dell’organismo. Come funziona questa tecnica Come si può educare il sistema immunitario? Sicuramente non è così “semplice” come produrre un vaccino. Si tratta di tecniche che prevedono il prelievo di cellule dal sistema immunitario (linfociti T e B su tutte) che dovranno subire un’ingegnerizzazione prima di essere reinserite nel paziente dove, si spera, vadano ad attaccare il loro bersaglio. La possibilità di rendere queste cellule altamente reattive contro uno specifico bersaglio si basa sul fatto che le cellule tumorali esprimono sulla propria superficie degli antigeni chiamati TAAs (Tumor – Associated – Antigens) oltre che dei peptidi particolari, i quali possono essere studiati e presi come bersagli da assegnare ai linfociti. Il motivo è molto semplice. Le cellule sane non possiedono questi marcatori quindi non saranno attaccate dalle cellule immunitarie. Inoltre è possibile modificare i linfociti in modo che vengano maggiormente espressi e che non vengano limitati da specifici fattori, così da innescare una risposta immunitaria più aggressiva. Una delle caratteristiche che contraddistinguono una cellula tumorale è proprio l’abilità di questa di eludere il sistema immunitario. Non a caso pazienti immuno – compromessi, qualsiasi sia la causa di questa compromissione, mostrano una propensione molto maggiore della norma allo sviluppo di tumori. Condizioni di questo genere, però, vanno tenute in conto quando si pensa di affidarsi a questo tipo di terapie. In questi pazienti, infatti, l’immunoterapia incontra numerose difficoltà. Questo fenomeno si presenta poiché le loro cellule immunitarie vanno incontro precocemente a morte e non hanno il tempo materiale per agire. Facendo un nuovo salto temporale torniamo a Siena. Anno 2022 precisamente l’8 Novembre. Parte da questa città, il primo studio al mondo che combina immunoterapia e farmaci epigenetici per superare la resistenza all’immunoterapia: viene trattato il primo paziente dal Centro d’immuno – oncologia dell’ospedale Santa Maria alle Scotte. Si tratta di un trial clinico sviluppato da Fondazione Nibit con il contributo di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, per testare l’efficacia e la sicurezza di una nuova combinazione di farmaci in quei pazienti con melanoma o tumore al polmone che non rispondono all’immunoterapia.
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È stata eseguita la prima somministrazione al Centro di immuno – oncologia dell’ospedale senese, diretto dal Dottor Michele Maio, professore Ordinario di Oncologia all’Università di Siena e presidente della Fondazione Nibit. “Lo studio – spiega Maio che è coordinatore della sperimentazione – valuterà l’efficacia e la sicurezza della tripla combinazione di due farmaci immunoterapici (ipilimumab e nivolumab) con una nuova formulazione orale di un farmaco epigenetico (Astx727) rispetto alla sola combinazione di ipilimumab e nivolumab, in pazienti affetti da melanoma e tumore polmonare non a piccole cellule, localmente avanzato o metastatico, resistenti ad un precedente trattamento con anti –Pd –1/Pdl –1. Uno studio possibile grazie anche al finanziamento nell’ambito del progetto 5x1000 di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, in collaborazione con diversi centri di ricerca italiani (Int Milano, Ist Genova, Università di Firenze, Napoli e Sassari)”. Lo studio Nibit –Ml1 arruolerà oltre 100 pazienti e rappresenta l’ultimo passo di una lunga storia di ricerca. Nell’ultimo decennio l’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento di molti tumori. “Alcune neoplasie che in passato non lasciavano alcuna speranza – aggiunge – oggi possono essere affrontate con maggiore successo. Nonostante i grandi progressi compiuti, rimane ancora una quota consistente, circa il 50%, di pazienti che non rispondono efficacemente ai trattamenti. Oggi la ricerca in oncologia si sta concentrando nel tentativo di aumentare il numero di pazienti che possono trarre beneficio da questi trattamenti”. Scegliamo di concludere questo nostro affascinante viaggio della speranza, augurandoci che diventi una certezza, proponendovi l’interessante puntata di Petrolio del 21 Ottobre 2023 che illustra in maniera approfondita i traguardi raggiunti fino ad ora in campo immunoterapico. Spenderete bene il vostro tempo e scoprirete quanto sia importante investire e credere nella ricerca scientifica!Immagine di copertina e altre immagini: Pixabay Read the full article
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Leucemia, ok test clinici con cellule modificate da donatore
Bene i primi risultati di uno studio clinico di fase 1 contro la leucemia linfoblastica acuta tipo B: la somministrazione di linfociti T geneticamente modificati (cellule Carcik-CD19) per aggredire le cellule malate porta alla remissione completa di malattia in oltre il 60% dei casi. Il trial è stato condotto dalla Fondazione Tettamanti di Monza e dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo su…
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inpuntadipiedi · 1 year
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libro: i noduli linfoidi aggregati, o placche di peyer, sono ammassi di tessuto linfoide costituiti per la maggior parte da linfociti T e B frammisti a macrofagi ecc ecc che si trovano nell’ileo dove si estendono fino alla tonaca sottomucosa ecc ecc
sbobine: “le palle viola che vediamo nel vetrino”
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memicuvubawa · 2 years
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vintagebiker43 · 2 years
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MUTI, RASSEGNATI, NONROMPETEILCAZZO...e VAFFANCULOAVOIEFAMIGLIA (natale!)
Non sai cosa sia una base azotata. 
Non sai cosa sia un nucleotide. 
Non sai cosa sia un istone. 
Non conosci le differenza tra DNA e RNA. 
Ripeti a pappagallo RNA Messaggero ma non hai mai sentito nominare l'RNA Ribosomiale e l'RNA Transfer. 
Forse sai cosa sia una proteina, ma non sai come si sintetizza. 
Non sai cosa siano i ribosomi e l'apparato di Golgi. 
Non sapevi che i mitocondri possiedono un proprio DNA perché non sai neanche cosa diavolo siano, i mitocondri. 
Forse una volta in terza media hai sentito nominare il Ciclo di Krebs e se godi di buona memoria perfino L'ATP, ma di certo mai di citocromo P450. 
Non sai distinguere un virus da un batterio, un globulo rosso da un globulo bianco, una piastrina da un rinoceronte alato rosa con gli occhiali da sole a forma di cuore, su linfociti B e linfociti T il buio più totale però almeno non hai la minima idea di quanti tipi di immunoglobuline esistono e a cosa servono perché le immunoglobuline non sai nemmeno cosa siano.
Per non parlare del complesso percorso di maturazione,ricombinazione genetica e selezione a cui sono i sottoposti linfociti B naive nel linfonodo.
E si potrebbe andare avanti all'infinito. 
Ora, alla luce di tutto questo: MA COME minchia È CHE DA DUE ANNI FARNETICHI SENZA SOSTA DI vaccino, SIERO GENICO SPERIMENTALE, È SOLO UN'INFLUENZA, FARMACOVIGILANZA ATTIVA E PASSIVA, FASE 4, FARMACO CINETICA, NON C'È CORRELAZIONE, TRA DUE ANNI SARANNO TUTTI MORTI, SU LANCET HO LETTO, EFFETTI COLLATERALI A LUNGO TERMINE, I MACACHI, IDROSSICLOROCHINA, IVERMECTINA E NONCIELODIKONO??LA SCIENZA NON È UN DISCIPLINA DEMOCRATICA.
Famme sto regalo di Natale: se non vuoi vaccinarti,stai muto e passa avanti.O prima me dici il ciclo di krebs a memoria , se no manco puoi parlare   
Perché veramente non se ne può più!!!!
Copiata dal web
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kon-igi · 3 years
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Buongiorno Doc!
Il 16 marzo mi vaccinerò, se non ho capito male useranno il Pfizer. Sentivo colleghi lamentarsi di sintomi “tipo covid” anche della durata di qualche settimana, è prettamente soggettivo o ci sono effetti colleterali con incidenza tipo 1 ogni 10 quindi molto probabili?
Grazie mille e buona giornata
Doc, sono quello dei vaccini... un piccolo errore, dovrò fare quello AstraZeneca, due dosi. C’è scritto sulla nota informativa. Grazie mille comunque!! Buona giornata.
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Se per sintomi simil-covid si intende malessere, dolore muscolare e febbre allora sì, molto probabilmente li proverai.
Ma non è l’infezione da Sars-CoV2 a causarli bensì la risposta del sistema immunitario all’ingresso e al riconoscimento della proteina Spike, evento che attiva tutta una serie di complementi organici di difesa (antigen-Presenting Cell, citochine,T Helper, linfociti B etc) il cui coinvolgimento scatena reazioni non sempre piacevoli.
Per l’incidenza con Astrazeneca considera questi dati (variabili da persona a persona):
dolorabilità in sede di iniezione (63,7%)
dolore in sede di iniezione (54,2%)
cefalea (52,6%), 
stanchezza (53,1%)
mialgia (44,0%) 
malessere (44,2%) 
piressia - stato febbricitante (33,6%) e febbre >38°C (7,9%) 
brividi (31,9%),
artralgia (26,4%)
nausea (21,9%)
Info: [X]
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bergamorisvegliata · 3 years
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DALL'INTEGRAZIONE ALLA NUTRACEUTICA
Un percorso a sostegno del nostro sistema immunitario
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Con questo, si apre una serie di articoli dedicati alla nutrizione, e soprattutto a come curare il nostro organismo con gli intergratori: "bergamo risvegliata" è ispirata al grande lavoro del Professor Giuseppe Maffi, biologo nutrizionista, studioso di nutraceutica e nutrigenomica, nonchè consulente nel settore cosmeceutico e biofarmaceutico.
Ma intanto...Che cos'è la nutraceutica?
E' un alimento o comunque una parte di sostanze che fornisce benefici medici e opera una forma di prevenzione e di trattamento verso alcune malattie (anche definita "neary tretament").
Vi sono vari tipi di composti nutraceutici, che possono anche essere definiti come "integratori alimentari" e si presentano in forma innaturale come le capsule, le pillole, oppure le fiale di sostanze naturali.
Qualsisia prodotto di composto nutraceutico deve:
-essere di origine naturale;
-apportare un beneficio comprovato;
-essere riproducibile
-non curare nulla, ma prevenire ed essere affiancato ad una dieta/terapia.
ESEMPI:
-prevenire malattie croniche, e ritardarne l'invecchiamento e favorire la longevità;
-esempi di prodotti nutraceutici sono le bacche di goji, il caffè verde, la ganoderma, il riso rosso fermentato, estratti di mela annurca, la berberina, l'omega3 e l'omega6 (presenti nell'olio di lino e in quello di pesce).
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L'integratore alimentare è un prodotto che integra la nostra alimentazione laddove la nostra alimentazione manca di qualcosa.
I nutraceutici supportano gli alimenti e sono inquadrati dalle varie norme internazionali, e rientrano nella categoria degli integratori alimentari.
Per ciò che concerne l'ASPETTO IMMUNITARIO... (fonte dell'indagine "Kantar", commissionata dall'Unione Italiana Food su dati raccolti a gennaio del 2021): vi è stato un cambiamento in quanto alla sensibilità relativa alla modalità di acquisto degli integratori, che agiscono sul sistema immunitario "agendo" sullo stress, sull'ansia e sulla qualità del sonno.
Inoltre...Perchè rinforzare il sistema immunitario?
Per due "componenti", quella
-INNATA che agisce sulla pelle, sulle mucose, sulle ciglia, sul liquido lacrimale e sulla saliva, ovvero: sui cinque sensi
-ACQUISITA che coinvolge gli agenti patogeni e sui linfociti, in particolare B e T.
I nutraceutici ritardano/inibiscono l'indebolimento causato dalla mancanza di esercizio fisico, dalla mancanza di sonno (specie se si dorme meno di 6 ore per notte) e dalla mancanza di idratazione.
Oltre a quelle sopracitate, altre cause di indebolimento del nostro sistema immunitario sono i consumi elevati di alcoo, il fumo delle sigarette e l'aria secca, oltre alla notevole assunzione (circa 100 grammi) di zuccheri.
ALLEATI del sistema immunitario sono:
-le vitamine A, D, (+K2), C, B6 e B12, acido folico;
-i minerali come lo zinco, il ferro e il selenio.
Tra gli alimenti, antivirali naturali sono le spezie aromatiche (peperoncino, rosmarino, basilico, zafferano, zenzero e curcuma) inoltre erbe come:
-ECHINACEA
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-LL-FOGLIE di OLIVO
-ESPERIDINA
-ROSA CANINA
-ACEROLA
-CISTO-
-ELEUTEROCOCCO
-GINSENG
-L-TEANINA
-ALOE VERA
-AGLIO
-ASTRAGALO
-ORIGANO
-ZENZERO
-QUERCETINA
-LIQUIRIZIA
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FINE (alla prossima puntata)
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ostinatoecurioso · 4 years
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Ecco uno studio che presenta un’ipotesi sul perché l’infezione da SARS-CoV-2 abbia le potenzialità di abbattere il sistema immunitario dell’ospite. NKG2A è il recettore della lecitina C che si trova sulle cellule natura killer (NK) e CD8+ (linfociti T citotossici, CTL): il suo ruolo è quello di inibire l’attività citotossica delle cellule NK (quindi è un meccanismo fisiologico per “porre un freno” all’attività del sistema immunitario).
🇬🇧 “We showed that NKG2A expression was upregulated on NK cells and CTLs in COVID-19 patients with a reduced ability to produce CD107a, IFN-γ, IL-2, granzyme B, and TNF-α. Also, the percentage of NKG2A+ cytotoxic lymphocytes was decreased in recovered patients infected with SARS-CoV-2, which strongly suggests that NKG2A expression may be correlated with functional exhaustion of cytotoxic lymphocytes and disease progression in the early stage of COVID-19.”
🇮🇹 “Abbiamo dimostrato che l’espressione di NKG2A era upregolata sulle cellule NK e CTL nei pazienti affetti da Covid-19, con una ridotta capacità di produrre CD107a, IFN-γ, IL-2, granzyme B e TNF-α. Inoltre, la percentuale di linfociti citotossici NKG2A+ era ridotta nei pazienti guariti da infezione di SARS-CoV-2, il che suggerisce che l’espressione di NKG2A potrebbe essere correlata all’esaurimento funzionale dei linfociti T citotossici e alla progressione della malattia nei primi stadi.”
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levysoft · 5 years
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4 novembre 1869. Nel Regno Unito s’inizia a pubblicare un settimanale: Nature, si chiama. Farà parecchia strada. Fino a diventare oggi, insieme alla concorrente Science, una delle riviste scientifiche più importanti e prestigiose al mondo. Di cui Elena Cattaneo parla come “marchio di garanzia della ricerca, contributo prezioso a dibattiti sociali importanti come quelli sui vaccini, terreno che mette a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo dati su cui far crescere la scienza”. Qualche numero e dato: nei suoi 150 anni di storia, Nature ha pubblicato un totale di oltre 400mila contenuti; la proporzione delle autrici donne è aumentata nel tempo (si attesta oggi intorno al 30% sul totale); si è allargata anche la provenienza geografica degli autori così come il numero medio di autori per articolo. All’inizio della storia del giornale, le parole chiave che si trovavano più frequentemente nei titoli e negli abstract degli articoli erano aurora, Sole, meteore, acqua e Terra. Rimpiazzate oggi da cellula, quanto, dna, proteina e recettore. Elogi sperticati (e auguri sinceri) a parte, va ricordato che anche riviste blasonate come Nature e Science non sono immuni da critiche: impossibile non citare l’infuocato j’accuse di Randy Shekman, Nobel per la medicina 2013, che le attaccò sostenendo che “rovinano la scienza mercificandone i contenuti e spingendo i ricercatori ad aggiustare i risultati”, un tema che qui su Wired abbiamo trattato estensivamente. Lasciando da parte le controversie, vi proponiamo i dieci articoli più importanti della storia di Nature, quelli che per un motivo o per un altro hanno segnato profondamente la scienza e il modo di fare ricerca.
C’era una volta il kaone
Siamo nel 1947. Due fisici delle particelle, George Rochester e Clifford Butler, che stanno studiando le interazioni tra raggi cosmici e una piastra di piombodel loro rivelatore. E si accorgono di una traccia strana, a forma di V, che nasconde qualcosa di ancora più strano: un piccolo gap tra il vertice della traccia e la piastra di piombo. Il segnale, arguiscono i due, della produzione di una particella invisibile e neutra, circa mille volte più pesante di un elettrone, poi immediatamente decaduta in due particelle neutre. Si trattava del cosiddetto kaone neutro, la cui identificazione darà la stura, a cascata, alla scoperta di molte altre particelle che andranno a comporre il complicato puzzle del Modello standard così come lo conosciamo oggi.
Ecco a voi gli anticorpi monoclonali
1975. Nature pubblica un articolo a firma di due immunologi, Georges Köhlerand César Milstein, in cui si descrive come sia possibile realizzare linee cellulari in grado di produrre anticorpi con una specificità predeterminata. Quelli che passeranno alla storia come anticorpi monoclonali. Ossia anticorpi prodotti da cellule ibride e capaci di riprodursi in vitro all’infinito, in copie identiche o cloni (donde il nome monoclonali): le cellule ibride, o ibridomi, sono a loro volta ottenute dalla fusione tra i linfociti B, un particolare tipo di anticorpi, con cellule di mieloma di topo. Fu proprio questa l’intuizione geniale di Köhler e colleghi – che nove anni più tardi si aggiudicheranno il premio Nobel per la Medicina –: normalmente, infatti, i linfociti B coltivati in laboratorio hanno vita brevissima e quindi non possono essere usati per la produzione di altri anticorpi. L’idea di fonderli con cellule mielomatose, che hanno una sopravvivenza maggiore, rese possibile la produzione di grandi quantità di anticorpi identici e in grado di riprodursi all’infinito. Cambiando così radicalmente la medicina, e in particolar modo l’immunologia e l’oncologia.
Una nuova specie: l’australopiteco
Torniamo indietro al 1925 e cambiamo completamente campo di ricerca, passando alla paleontologia. Raymond Dart, a capo del dipartimento di anatomia della University of Witwatersrand di Johannesburg, in Sudafrica, servendosi dei ferri da maglia di sua moglie estrasse da un pezzo di roccia un fossile piuttosto bizzarro. “Dalla roccia”, racconterà più tardi, “è emersa la faccia di un bambino, con una serie completa di denti da latte. Ero molto orgoglioso del mio bambino di Taungs [Taungs è il luogo di provenienza del fossile, nda]”. Analizzando il reperto, lo scienziato si accorgerà di qualcosa di molto strano. Il fossile ha caratteristiche ibride, simili in parte a quelle di una scimmia e in parte a quelle di un essere umano. Qualcosa di completamente sconosciuto in quel momento. Come racconta su Nature, Dart ipotizzò che il bambino fosse una sorta di anello mancante tra scimmie ed esseri umani e gli assegnò il nome scientifico di Australopithecus africanus. Anche in questo caso, una scoperta del tutto rivoluzionaria.
Dal carbonio al grafene
Si chiama C60, ed è una molecola di carbonio scoperta nel 1985 che appartiene alla stessa famiglia dei più celebri nanotubi di carbonio e del grafene: sono strutture nanoscopiche di atomi di carbonio disposti in un reticolo cristallino. La storia del C60 comincia nel 1970, nei laboratori della Rice University di Houston, in Texas, dove Eiji Osawa, un chimico teorico giapponese, predisse l’esistenza di una molecola stabile di carbonio composta da 60 atomi. La sua intuizione, però, non riscosse particolare interesse dalla comunità scientifica; le cose cambiarono quindici anni dopo, quando il chimico inglese Harry Kroto, esperto in spettroscopia molecolare, si appassionò alla questione e riuscì a identificare con precisione la struttura del C60, esattamente uguale a quella che si vede sulla superficie dei palloni da calcio – una sequenza di pentagoni ed esagoni. È proprio a partire da questa scoperta, premiata con il Nobel per la chimica nel 1996, che si arriverà due decenni più tardi alla scoperta del grafene. E a un altro Nobel, stavolta per la fisica.
C’è un buco nell’ozono
Restiamo nel 1985 e spostiamoci dai laboratori di chimica alla stratosfera sopra i ghiacci dell’Antartide. I dati analizzati da tra scienziati, Joe Farman, Brian Gardiner e Jonathan Shanklin, mostrano senza ombra di dubbio una diminuzione drastica della concentrazione di molecole di ozono sopra due stazioni antartiche, Halley e Faraday. Stando al lavoro dei tre, i livelli di ozono – sostanza indispensabile per schermare il pianeta dalle radiazioni solari – erano cominciati a calare alla fine degli anni settanta, per ridursi di circa un terzo entro il 1984. Un fenomeno che passerà alla storia come buco nell’ozono. E che pare oggi, grazie all’applicazione di protocolli stringenti che hanno vietato la produzione e l’uso di prodotti chimici che si legano all’ozono, essersi fortunatamente ridotto.
Patch-clamp, una rivoluzione per le neuroscienze
Si chiama patch-clamp technique, che forse suona meglio dell’italiano blocco di area, ed è una tecnica sviluppata nel 1976 da Erwin Neher e Bert Sakmann. Una di quelle scoperte che gli anglofoni chiamano breakthrough, rivoluzionaria. E lo è davvero: la patch-clamp technique, con cui si misurano le correnti di ioni che scorrono attraverso i canali posti sulle membrane cellulari, ha consentito ai neuroscienziati di studiare i segnali elettrici con precisione e scala mai raggiungibili prima di quel momento, sia a livello molecolare che di reti di neuroni.
Buchi, buchi, nanobuchi
Trent’anni fa nasce una nuova classe di nanomateriali. Tutto grazie alla formulazione di un principio chimico tutto sommato molto semplice, pubblicato (ovviamente) su Nature: dei template multimolecolari che consentivano l’assemblaggio ordinato di materiali con pori di diametro compreso tra 2 e 50 nanometri. I cosiddetti materiali mesoporosi, che nei decenni successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri, hanno trovato larghissimo impiego e applicazioni, specie nel campo del trasporto dei farmaci e della separazione molecolare.
Le cellule diventano riprogrammabili
In principio siamo una sola cellula. Da cui, poi, si originano tutte le altre, che diventano man mano più specializzate e adatte a compiere una particolare attività. È la cosiddetta differenziazione cellulare, un processo che fino agli anni cinquanta si credeva essere sostanzialmente irreversibile. Il lavoro pubblicato nel 1958 da John Gurdon e colleghi cambiò tutto, suggerendo che forse effettivamente poteva esserci un modo per riprogrammare le cellule: una scoperta di importanza epocale per la biologia, da cui deriveranno, in tempi più recenti, i lavori di Takahashi e Yamanaka, che sono riusciti nel 2006 a resettarecellule di topo differenziate e riportarle allo stato pluripotente, quello da cui può originarsi qualsiasi cellula del corpo.
Due eliche, un dna
È probabilmente il paper più famoso della lista, senza voler far torto agli altri. Una paginetta pubblicata il 25 aprile 1953 a firma James Watson e Francis Crick, dal titolo “Molecular structure of nucleic acids: a structure for deoxyrobose nucleic acid”. Tradotto per i non addetti ai lavori: i due scienziati (con la collaborazione di Rosalind Franklin, i cui meriti non sono stati riconosciuti fino ai tempi recenti: ma questa è un’altra – brutta – storia) erano venuti a capo di un mistero rimasto irrisolto per 84 anni. Ossia la struttura dell’acido desossiribonucleico, conosciuto meglio come dna, sede del patrimonio genetico di ogni essere vivente: una doppia elica. E doppio Nobel per la medicina.
Il primo esopianeta attorno a un simil-Sole
Questa è storia più recente, appena tornata agli onori delle cronache. Siamo nel campo dell’astrofisica, e più precisamente nell’ambito della ricerca degli esopianeti, corpi esterni al nostro Sistema solare qualcuno dei quali – si spera – possa avere caratteristiche abbastanza simili alla Terra al punto tale da farci sperare che possa essere la dimora di altre forme di vita. E a questo proposito nella top ten di Nature non poteva mancare il lavoro di Michel Mayor e Didier Queloz, scopritori di un esopianeta orbitante attorno a una stella molto simile al nostro Sole. Il primo del suo genere, distante 50 anni luce dalla Terra, poi battezzato 51 Pegasi b, dal momento che la sua stella si chiama 51 Pegasi.  La loro scoperta ha rappresentato una grande rivoluzione nel campo: da allora, le osservazioni terrestri e quelle effettuate dai telescopi in orbita hanno permesso di scoprire migliaia di nuovi mondi, differenti per forma, dimensione, orbita, tipo di stella madre, ampliando significativamente la nostra conoscenza in materia di formazione planetaria. E aiutandoci a capire dove guardare per cercare altre forme di vita.
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medicomunicare · 2 years
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Medicina rigenerativa (III): quando la terapia genica fallisce la biologia cellulare può essere migliore
Medicina rigenerativa (III): quando la terapia genica fallisce la biologia cellulare può essere migliore
Si ritiene che l’eziologia del T1D sia causata dalla distruzione dei linfociti B del pancreas immuno-mediata. Sebbene la terapia insulinica sia stata ampiamente utilizzata per gestire i livelli di glucosio nel sangue nei pazienti con T1D, l’ipoglicemia correlata al trattamento e le iniezioni per tutta la vita evidenziano la necessità di migliori opzioni di trattamento. Poiché la perdita di…
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loveflipout4ms-blog · 7 years
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Due casi di grave infiammazione al cervello sollevano questioni sulla sicurezza di Lemtrada
Due casi di grave infiammazione al cervello sollevano questioni sulla sicurezza di Lemtrada
Cari lettori, per l’articolo di approfondimento di oggi parliamo ancora una volta di farmaci ed effetti collaterali, in particolare del noto Lemtrada. Un recente resoconto di un gruppo di ricercatori afferma che due pazienti con sclerosi multipla hanno sviluppato una grave infiammazione del cervello dopo essere stati trattati con Lemtrada (alemtuzumab). Il fatto ha sollevato svariati dubbi sulla…
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mezzopieno-news · 5 years
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LA NUOVA CURA PER IL TUMORE CURA ANCHE I MIELOMI
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Un nuovo trattamento per il cancro che inganna il corpo nella lotta contro il proprio cancro. La terapia CAR-T è stata approvata in Europa, negli Stati Uniti e in Australia per curare pazienti con determinati tumori a cellule linfociti B per i quali altri trattamenti hanno fallito. La terapia ha dimostrato un’efficacia molto alta, con un tasso di sopravvivenza privo di recidive del 62%. 
Il nuovo approccio terapeutico, Chimeric Antigen Receptor T-cell, identifica una sofisticata procedura di immunoterapia cellulare adottiva nella lotta ai tumori, applicato per alcune malattie del sangue.
Per la prima volta in Italia una terapia con cellule CAR-T è stata utilizzata nel mieloma multiplo. Al policlinico Sant'Orsola di Bologna un paziente è stato curato e dimesso mente un secondo è stato sottoposto al medesimo trattamento con risultati incoraggianti. I linfociti T vengono raccolti, geneticamente modificati per riconoscere le cellule neoplastiche e poi reimmessi nell’organismo malato per colpire selettivamente il tumore.  La terapia è stata eseguita dall'equipe dell'Unità operativa di Ematologia diretta dal professore Michele Cavo.
Fonte: Ansa - 20 dicembre 2018
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pedrop61 · 3 years
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Paolo Bellavite Professore di Patologia Generale all'Università di Verona
“Teorie” sul vaccino mRNA: errori fatali?
Nella relazione presentata alla FDA per l’autorizzazione del vaccino mRNA-1273 - Moderna (December 17, 2020 Meeting Presentation - Emergency Use Authorization Application) si vedono una serie di figure che “cantano le meraviglie” del vaccino, tra cui quella che qui riporto (i punti interrogativi sono miei). File originale https://www.fda.gov/media/144583/download
Una certa Melissa J. Moore, Chief Scientific Officer, mostra una figura in cui si vede la famosa NANOPARTICELLA LIPIDICA (LNP) con mRNA che entra in una “antigen presenting cell” (APC, per lo più cellule dendritiche e macrofagi) circondata da linfociti B e T. Ad un patologo che ha insegnato immunologia tutta la vita e le cellule le conosce bene perché le ha avute tra le mani spesso, questa teoria appare alquanto sballata, o quanto meno monca e traballante. Cerco si spiegare perché in modo divulgativo, soffermandomi sui due punti interrogativi indicati (?). Non tratto il terzo (la trascrizione inversa da mRNA a DNA che ritengo molto improbabile anche se non del tutto impossibile). Ma ce ne è abbastanza per preoccuparsi, come vedremo.
PUNTO DI DOMANDA 1. Si sostiene che il mRNA “fornisce istruzione direttamente al sistema immunitario (proteina Spike”). Ma come avverrebbe tale “istruzione”? Secondo loro la nanoparticella lipidica LNP entrerebbe nella “antigen presenting cell” la quale produrrebbe la proteina spike (rossa a forma di Y) che andrebbe poi a stimolare il sistema immunitario (B cell, CD4+ cell, CD8+ cell). Ma qui le cose NON TORNANO. In breve e per sotto-punti:
1A. Le cellule B sono quelle che faranno anticorpi e non si vede cosa ci stiano a fare qui a contatto con la APC. I linfociti B possono certo fare loro da APC, ma metterli a contatto con le APC sulla membrana delle quali riconoscerebbero la “spike” è una visione alquanto bizzarra della teoria. Forse non del tutto sbagliata, ma certo bizzarra. Ma non è questo il punto più grave.
1B. Le cellule CD4+T sono i linfociti “Helper”, i quali certamente sono implicati nell’attivazione del sistema immunitario da parte delle APC. Ma qui la “teoria” della Moderna traballa fortemente per un’altra ragione: L’IMMUNOLOGIA (almeno fino alla fine del 2020) insegna che le APC presentano gli ANTIGENI CHE VENGONO DALL’ESTERNO (cioè i virus e i batteri presi dall’ambiente esterno, quindi uccisi, processati, fatti a pezzi e poi esposti sulla membrana associati all’HLA di classe II). Nella teoria qui presentata, invece, la proteina non viene dall’esterno, ma verrebbe prodotta nel citoplasma cellulare dalla stessa APC, che ha avuto l’inoculo del mRNA. L’immunologia insegna che le proteine prodotte all’interno vanno montate su HLA di classe I, che è tutt’altra cosa anche se ha un nome simile, e non reagisce affatto con le CD4+T. Quindi la teoria dei produttori del vaccino non collima con quella dell’immunologia corrente. La teoria del produttore presuppone che la APC sia così stupida da non riconoscere se una sostanza estranea viene dall’esterno o dall’interno. Chi conosce queste cellule non può non restare perplesso; uno studente di medicina che sviluppasse una teoria del genere non passerebbe l’esame.
1C. Le cellule CD8+T sono i linfociti “citotossici”, o "killer", quali sono responsabili del rigetto dei trapianti, dell’attacco contro le cellule infettate dal virus e contro le cellule con mutazioni cancerose. Ma qui la “teoria” della Moderna fa apparire i CD8+T come cellule cui la proteina spike sarebbe presentata dalle APC, facendo intendere che siamo nella fase di innesco del sistema immunitario (infatti al punto 1 la spike darebbe “istruzioni” direttamente al sistema immunitario).
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Ma secondo l’immunologia conosciuta fino al 2020 i linfociti citotossici non sono affatto stimolati dall’antigene, si comportano invece come “Killer” della cellula dove riconoscono l’antigene stesso. Ecco quindi perché il punto 1 è sbagliato.
PUNTO DI DOMANDA 2. Nel punto 2 dicono che il vaccino “crea efficientemente una memoria specifica in un contesto naturale (in situ)”. Ma come fanno a dire una cosa del genere? Quali prove forniscono? Bisogna sapere che il contesto naturale del sistema immunitario NON E’ IL MUSCOLO dove viene iniettato il vaccino, ma il sistema immunitario (soprattutto i linfonodi, ma anche le tonsille e il sistema linfatico intestinale o polmonare). Pertanto, ecco le mie perplessità sulla teoria "moderna", nei sotto-punti:
2A. la teoria è traballante perché il vaccino è iniettato nel muscolo e quindi non “in situ”. Certamente, dopo aver creato un focolaio infiammatorio nel punto di iniezione (tanto è vero che fa male, ad alcuni molto male), la linfa può trasportare le nanoparticelle e le proteine spike nel sistema immunitario, ma questo è OVVIO per qualsiasi vaccino. Qui però si fa intendere che le cose siano chiare e semplici MA NON SONO AFFATTO CHIARE, NE’ SEMPLICI. “In situ” è una balla cui possono credere gli inesperti.
2B. Il punto più critico di tutta questa teoria traballante è il seguente: normalmente le APC captano le sostanze estranee nell’ambiente esterno (pelle, mucose, tessuto connettivo o linfonodi), le processano come si è detto e le presentano ai linfociti associate al HLA-II. Questa “captazione” avviene con un procedimento recettoriale (ci sono tanti recettori più o meno specifici, ma sono sempre recettori). INVECE le nanoparticelle non sono riconosciute da recettori ma “ENTRANO” nelle cellule direttamente attraversando la membrana, ed entrano IN TUTTE LE CELLULE con cui vengono a contatto. Quindi la proteina SPIKE può essere prodotta NON SOLO dalle APC ma da qualsiasi cellula. ”Specific” è una balla, incredibile per un qualsiasi patologo.
2C. Quando una QUALSIASI cellula (non solo APC) produce una sostanza estranea (come un virus o una sua parte, nel nostro caso una proteina spike), la “mostra” sulla propria membrana associata all’HLA di classe I. Si dà il caso che HLA di classe I sia quello che i linfociti CD8+T riconoscono come “BERSAGLIO” per il loro attacco citotossico. L’HLA-I è quello che viene riconosciuto come estraneo anche nei trapianti incompatibili e fa partire il rigetto. Ecco quindi che la “teoria” di Moderna TRASCURA DI DIRE una cosa fondamentale: se una cellula “QUALSIASI” (non APC) produce una proteina spike e la mostra sulla sua membrana associata all'HLA-I, essa sarà attaccata e distrutta dalle cellule CD8+T. Le conseguenze per l’ospite (nella fattispecie il vaccinato) saranno più o meno gravi secondo il tipo e il numero di cellule colpite, il tessuto dove avviene la reazione, o l’organo. Si potrà andare da un semplice malessere transitorio, al blocco di un organo, ad una reazione autoimmunitaria sistemica.
Si badi bene: NON HO DETTO che il vaccino è "inefficace", anzi sono convinto che un po' di efficacia ce l'abbia, forse non il 90% o 95% (dichiarato dal produttore) lo ho già detto e scritto. Il problema non è l'efficacia, è la SICUREZZA, e i metodi per valutarla. Da questo punto di vista, la "teoria" immunologica sottostante ai vaccini mRNA non è affatto tranquillizzante come si vorrebbe far credere.
Ho spiegato a sufficienza le preoccupazioni che nascono dal vedere la teoria che è stata presentata alla FDA per far accettare il vaccino. I casi sono due: o il dossier è stato esaminato da “esperti” poco “esperti” di immunologia, o se c’erano essi hanno chiuso più di un occhio. Ma applicare frettolosamente una teoria sballata non può essere privo di conseguenze deleterie. Termino dicendo che mi auguro sinceramente di aver torto, ovvero che la teoria di Moderna sia giusta. Altrimenti le reazioni immunopatologiche saranno inevitabili, purtroppo. Faccio appello agli immunologi più importanti di me e che mi leggono perché valutino quanto ho scritto e se ho torto me lo dicano. Se ho invece ragione, lo dicano cortesemente all’AIFA, forse loro saranno ascoltati più di un vecchio patologo pensionato. Ne va della salute immunologica del popolo italiano.
Paolo Bellavite
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scienza-magia · 4 years
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Tanti vaccini per il covid-19 ma ancora nessuna certezza
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La difficile strada verso un vaccino per il coronavirus. Lo sviluppo di un vaccino sembra la strada più razionale per contrastare la pandemia di coronavirus, ma le incertezze sulla sua efficacia e sulla sua durata sono varie. Inoltre, come spiega uno dei massimi esperti mondiali di biotecnologie, i tempi per la sua produzione e la distribuzione a tutta la popolazione mondiale potrebbero essere lunghi, e il costo estremamente elevato. In caso di epidemie di malattie infettive, il pensiero corre subito ai vaccini, per una buona ragione. Sono sicuri, relativamente costosi e hanno funzionato bene per malattie come il vaiolo, la polio, la febbre gialla e, più di recente, Ebola.
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Un vaccino arriverà altrettanto facilmente per il nuovo coronavirus? La risposta è forse sì, forse no. Il "forse sì" deriva dall'osservazione che negli studi sugli animali i coronavirus stimolano forti risposte immunitarie, che sembrano in grado di mettere fuori combattimento il virus. Il recupero di chi si ammala di Covid-19 può essere in gran parte dovuto a una risposta immunitaria efficace. Il "forse no" deriva dall'evidenza altrettanto forte, almeno con i precedenti virus SARS e MERS, che l'immunità naturale a questi virus è di breve durata. In effetti, alcuni animali possono essere reinfettati esattamente con lo stesso ceppo che ha causato la precedente infezione. Questo solleva altri interrogativi cruciali con risposte altrettanto ambigue. Se un vaccino si dimostrasse efficace, lo sarebbe a lungo? Ora come ora, non possiamo esserne sicuri. Quanto tempo ci vorrà perché sia sviluppato? Possiamo sperare che sarà sviluppato rapidamente, ma non possiamo essere certi. Per capire meglio questo, è importante capire in che modo il corpo si protegge dagli organismi invasori. Come il nostro corpo ci protegge dalle malattie Alcune barriere fisiche e chimiche – pelle, muco, acido gastrico – proteggono il corpo dalle infezioni 24 ore su 24. La prima linea di difesa è l'immunità innata, una risposta immunitaria immediata e non specifica alle moltitudini di virus e batteri estranei, o agenti patogeni, che incontriamo ogni ora di ogni giorno. Questa immunità include le difensine, le antiche proteine antimicrobiche che mobilitano le vie cellulari nella lotta contro gli agenti patogeni, e i macrofagi, i globuli bianchi che vanno a caccia di tutto ciò che è estraneo per divorarlo. L'obiettivo finale di una risposta immunitaria innata è quello di essere ampiamente efficace. Di solito ci riesce, ma non sempre.
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La seconda linea di difesa è l'immunità adattativa, in cui l'organismo sviluppa una risposta protettiva di lunga durata, specifica contro ciò che ha visto in precedenza. Essa sfrutta due branche del sistema immunitario: i linfociti B che producono anticorpi, e i linfociti T, che attaccano e uccidono i microrganismi invasori o le cellule colpite da questi microrganismi. In molti casi, l'immunità adattativa a una malattia dura a lungo: a volte dura una vita, spesso 10 anni o più. Altre volte la risposta immunitaria è di breve durata, come sembra nel caso del nuovo coronavirus, stando ai primi esperimenti. Non tutti possono tollerare di superare le due-otto settimane necessarie perché l'immunità adattativa si completi gradualmente, ed è qui che entra in gioco la vaccinazione. I vaccini prevengono la malattia simulando l'infezione, insegnando al sistema immunitario a riconoscere, ricordare e combattere un determinato agente patogeno prima che si verifichi l'infezione vera e propria. Anziché scatenare organismi virulenti nell'organismo, un vaccino costruisce l'immunità usando gli antigeni, le molecole virtualmente innocue che si trovano sulle superfici del patogeno. Gli antigeni sono abbastanza estranei da innescare la produzione di anticorpi, ma non abbastanza pericolosi da causare malattie. Grazie alla vaccinazione, ciò che il corpo normalmente imparerebbe a sue spese – in modo inaspettato, doloroso e con costi enormi  – può essere assimilato in condizioni controllate e con relativa facilità.   Tipi di vaccini Ci sono molti modi per sviluppare un vaccino in grado di contrastare con successo le malattie infettive. Il primo a essere inventato, il vaccino contro il vaiolo, utilizzava un Vaccinia virus vivo, abbastanza simile all'agente infettivo originale, ma non del tutto. A differenza della sua controparte che causa la malattia e che ha ucciso circa 300 mil
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ioni di persone nel suo periodo di massimo sviluppo, il Vaccinia virus causava solo sintomi lievi in pazienti sani. Questo metodo può essere replicato identificando un virus "simile" che innesca la risposta immunitaria desiderata senza scatenare effettivamente la malattia. Un'altra opzione è un ceppo attenuato del virus, utilizzata per sviluppare il vaccino contro la febbre gialla. Poiché il virus è ancora vivo, anche se indebolito, dà all'organismo un'istruzione duratura su come neutralizzarlo. L'immunità protettiva che ne risulta potrebbe durare decenni. Il problema principale di questo tipo di vaccino è che non tutti hanno un sistema immunitario abbastanza sano da gestire il virus vivo, a prescindere quanto è diventato debole. Nei vaccini morti, come il vaccino antipolio, il virus è stato inattivato e quindi non può replicarsi, il che significa che di solito devono esserne somministrate diverse dosi nel tempo. Nel caso dei vaccini subunitari, come quelli disponibili per l'epatite B e il papillomavirus umano (HPV), si iniettano nei muscoli specifiche porzioni del virus. Di solito vengono somministrati con adiuvanti, dosi di richiamo che inondano strategicamente il sito di iniezione di cellule immunitarie causando l'infiammazione. A differenza di altri tipi di vaccini, che possono causare complicazioni o addirittura morte in persone con immunodeficienze croniche o altre comorbilità, quasi tutti possono resistere alla risposta immunitaria innescata da un vaccino subunitario.
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Per rilasciare in modo sicuro i frammenti virali che costituiscono una sottounità vaccinale, gli scienziati purificano i composti proteici e li inseriscono in un virus innocuo, destinato a non sopravvivere a un pericoloso viaggio attraverso il corpo umano. Noti come vettori virali, questi sono stati utilizzati per creare il vaccino contro Ebola. Nel caso del nuovo coronavirus, per esempio, il vettore adenovirus sarebbe una scelta azzeccata. Per molti anni, le aziende biotecnologiche hanno tentato senza successo di produrre vaccini genetici, che usano il codice genetico al posto del virus vero e proprio o delle sue singole parti. Un candidato importante per il vaccino Covid-19 è basato sull'RNA, che il virus usa come codice genetico, ma non è ancora stato sperimentato. Poiché siamo nel campo dell'ignoto, non sappiamo quale tipo di vaccino funzionerà e la strategia migliore è quella di provarli tutti, compiendo uno sforzo enorme che fortunatamente è già in corso. Perché lo sviluppo del vaccino richiede così tanto tempo Perché Anthony Fauci dice che potrebbero volerci 18 mesi per produrre un vaccino sicuro e perfettamente funzionante? La difficoltà è trovare un vaccino che funzioni contro una malattia molto particolare, da un lato, e per tutta l'umanità dall'altro. Per questo motivo, normalmente lo sviluppo di un vaccino procede a un ritmo estremamente lento rispetto ad altri prodotti farmaceutici: non per mancanza di tentativi o di innovazione, ma perché la sicurezza dev’essere dimostrata al di là di ogni dubbio. I farmaci generalmente sono prescritti a persone malate in base alle necessità; i vaccini generalmente sono somministrati in massa a persone sane.  Quando si somministrano trattamenti sperimentali a pazienti ricoverati in ospedale ci vogliono un paio di giorni per determinarne la sicurezza e l'efficacia; quando si iniettano i vaccini in soggetti non ancora malati, potrebbero volerci anni. Aggiungete la sfida a più livelli di produrre e distribuire un bene confezionato in un mercato globale volatile, considerate una stima di centinaia di milioni di dollari di costi, e voilà: capirete perché molti esperti dubitano che avremo un vaccino Covid-19 già in autunno.
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L'autore Biologo, imprenditore e filantropo, William A. Haseltine è stato professore alla Harvard Medical School e alla Harvard School of Public Health, ed è noto per le sue ricerche pionieristiche su cancro, HIV/AIDS e genomica. © www.williamhaseltine.com Sappiamo che alcune risposte anticorpali possono realmente peggiorare una malattia. E' stato così molto di recente per il virus della dengue nelle Filippine, e c'è qualche indicazione che problemi di questo tipo potrebbero sorgere con il nuovo coronavirus. Se un vaccino deve essere somministrato a una parte considerevole della popolazione umana, spetta a noi procedere con la massima cautela. Dobbiamo comunque muoverci il più velocemente possibile con il maggior numero possibile di risorse, ma dobbiamo farlo con prudenza, o rischieremmo di esacerbare la diffusione dell'attuale pandemia. Dobbiamo testare rigorosamente le decine di candidati al vaccino in corsa per trovarne uno che funzioni, e questo richiederà ingenti finanziamenti. In media, sottoporre un vaccino ai test clinici può costare 25.000 dollari o più a partecipante. E potrebbero essere necessari anche decine di migliaia di partecipanti per garantire che un candidato al vaccino sia efficace e sicuro. Ciò significa che servirebbero oltre 250 milioni di dollari solo per reclutare soggetti per un singolo candidato al vaccino. Moltiplicando quei 250 milioni di dollari per 10 – il numero minimo di vaccini, a mio parere, che devono raggiungere questo stadio – e aggiungendo i costi della ricerca e dello sviluppo di un processo di produzione, e la somma totale potrebbe essere di circa 10 miliardi di dollari. Ma anche 10 miliardi di dollari sarebbero un prezzo basso da pagare per sviluppare un mezzo in grado di fermare una pandemia che sta paralizzando le economie di tutto il mondo. Qualunque sarà la cifra necessaria per sviluppare un vaccino valido, ne varrà la pena. Non possiamo permetterci di non farlo.  (L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Scientific American" il 6 aprile 2020. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.) 
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