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#natura statica
my-painter-life · 1 year
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Still life with gypsum model (Hermes)
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Picturi cu flori în acuarelă
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gynkgobilobo · 2 years
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sguardimora · 9 months
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Nei giorni scorsi ho assistito a una prova aperta di The Garden, il nuovo lavoro di Gaetano Palermo, con Sara Bertolucci e Luca Gallio, che quest’anno è stato selezionato per la quarta edizione di ERetici_le strade dei teatri, il progetto di accoglienza, sostegno e accompagnamento critico, ideato e curato dal Centro di Residenza dell’Emilia Romagna.
In scena una black box ospita al suo interno un unico fermo immagine che solo alla fine si smaterializza lasciando lo spazio vuoto. Una donna, vestita con una sottoveste rosso mattone, è riversa a terra sul fondo destro del palcoscenico e lì resterà immobile, mossa solo da un respiro lento e profondo.
 La dimensione immaginifica e di spaesamento che si crea per lo spettatore è dettata dalla drammaturgia sonora, che ad ogni cambio di brano amplia l’immaginario in nuove visioni, e dall’impianto luminoso, che resta statico dopo una prima accensione a lampi di neon. Per rifarci al titolo ci troviamo davanti a una natura morta, che fa però permeare di vita quell’immagine statica in ogni attimo che passa.
Fotografia o cinema? Teatro o dj set? Installazione o durational performance? O tutto questo insieme? L’impianto del lavoro è decisamente teatrale: come si diceva in principio, c’è una scena nera che si illumina quasi cinematograficamente per restare così, con la stessa tonalità di colore e luce, fino alla fine. Poi c’è la drammaturgia sonora che è ciò che da movimento a un’immagine altrimenti immobile e fa sì che lo spettatore proceda nella giustapposizione di immaginari e di significati. 
Il dispositivo che il collettivo artistico mette in opera viene così definito da un crash mediale che fa collasse il cinema nel teatro, il teatro nel dj set, la fotografia nell’installazione e così via. Questo meccanismo inoltre sembra operare su quel piano di reinvenzione del medium di cui parla Rosalind Krauss (2005): facendo collassare sulla scena molteplici media il collettivo porta lo spettatore dentro il processo stesso, rendendo percettibile, grazie alla ripetizione all’infinito della stessa immagine, la finzione della rappresentazione e il funzionamento dell’immaginazione. 
La mente così vaga tra le immagini della memoria: da un’apparizione lynchiana a una classica vittima del cinema di Hitchcock, da un corpo collassato durante un rave party al corpo a terra di Babbo Natale nella clip de La Verità di Brunori sas, dai corpi della cronaca nera a quello di Aylan riverso sulla spiaggia greca e così via, continuamente si creano e distruggono immagini nella mente di chi guarda.
In questa pratica mediante la quale si crea un ibrido, per restare anche nella metafora naturale, che incrocia più media, si assiste a una sorta di Iconoclash (Latour, 2005): accade allora che chi guarda si ritrova in una sorta di terra di mezzo, di indecisione dove non sa l’esatto ruolo di un’immagine, di un azione perché, nel caso di The Garden, questo si modifica non appena viene assimilato dell’occhio di chi guarda; e su questa scena ciò che accade è proprio questo: lo spettatore è messo davanti ad un’immagine iconica che cambia costantemente di significato e senso, passando dal sentimento del tragico a quello del comico fino a dissolversi svanendo ironicamente, rompendo il quadro della rappresentazione.
Una delle caratteristiche fondamentali delle immagini è, sempre per Bruno Latour, la loro capacità di scatenare passioni ed è proprio su questo meccanismo che sembra lavorare il collettivo guidato da Palermo che a settembre presenterà al pubblico una prova aperta di questo lavoro presso la Corte Ospitale di Rubiera dove si chiuderà il progetto ERetici.
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*Krauss, R. (2005). Reinventare il medium. Cinque saggi sull'arte d'oggi, a cura di Grazioli E., Mondadori, Milano. 
* Latour, B. (2002). What is iconoclash? Or is there a world beyond the image wars. Iconoclash: Beyond the image wars in science, religion, and art, 14-37.
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scienza-magia · 9 days
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Fisica relativista e meccanica quantistica senza il tempo
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La fisica ha commesso un grosso errore di cui nessuno parla. Questa domanda rimane uno dei misteri più affascinanti e dibattuti nella scienza cosmologica. La fisica classica ci presenta il tempo come una grandezza che scorre in una direzione sola, dalla fredda certezza del passato, attraverso l’effimero presente, fino all’ignoto del futuro. Tuttavia, proprio la fisica potrebbe aver commesso un grosso errore, poiché la nostra comprensione del tempo è stata rivoluzionata dalle teorie della relatività e della meccanica quantistica. La relatività di Einstein e la distorsione dello spazio-tempo La teoria della relatività generale di Einstein ha sconvolto le nostre concezioni tradizionali di spazio e tempo, mostrando come le due grandezze siano intricate in un’unica entità chiamata spazio-tempo. Secondo questa teoria, la gravità non è semplicemente una forza che agisce su oggetti nello spazio, ma una curvatura dello spazio-tempo stessa. Questo concetto rivoluzionario ha suggerito che la presenza di materia ed energia deforma la struttura fondamentale dello spazio e del tempo, influenzando il modo in cui gli eventi si svolgono e il tempo scorre. Gli effetti della relatività generale sono stati confermati da numerosi esperimenti e osservazioni. Ad esempio, la curvatura della luce intorno agli oggetti massicci e la dilatazione del tempo causata da velocità estreme hanno dimostrato la veridicità delle predizioni di Einstein. Questi fenomeni mettono in discussione la nostra intuizione comune del tempo come una grandezza assoluta e immutabile, suggerendo piuttosto che il tempo sia intrinsecamente legato al contesto spaziale e gravitazionale in cui si manifesta. La teoria della relatività di Einstein ha anche portato alla luce concetti come il concetto di “spazio-tempo curvo“, che ha profonde implicazioni per la nostra comprensione del tempo. Secondo questa visione, la presenza di massa e energia crea una sorta di “ondulazione” nello spazio-tempo, che può influenzare il moto degli oggetti e la percezione del tempo stesso. Questo significa che il tempo non è una grandezza statica e uniforme, ma piuttosto un tessuto dinamico e flessibile che si adatta alle condizioni dell’universo circostante. La meccanica quantistica e il paradosso del tempo
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La meccanica quantistica, la teoria che descrive il comportamento delle particelle subatomiche, aggiunge un’altra dimensione di complessità alla nostra comprensione del tempo. Secondo questa teoria, le particelle subatomiche possono esistere in uno stato di sovrapposizione, dove sono contemporaneamente in più posizioni o stati di energia. Questo fenomeno, noto come superposizione quantistica, solleva interrogativi profondi sul significato del tempo all’interno del mondo subatomico. Inoltre, la natura probabilistica della meccanica quantistica implica che il tempo potrebbe non essere completamente deterministico, ma piuttosto soggetto a fluttuazioni casuali e incertezze fondamentali. Questo solleva il paradosso del tempo nella meccanica quantistica, dove il concetto stesso di una linea temporale ben definita potrebbe essere messo in discussione dalle leggi probabilistiche che governano il comportamento delle particelle elementari. La meccanica quantistica ha anche suggerito la possibilità di fenomeni come l'”intrappolamento temporale“, dove il tempo potrebbe essere manipolato o addirittura invertito a livello subatomico. Questo apre la porta a speculazioni su viaggi nel tempo e altre possibilità fantascientifiche che sfidano la nostra comprensione convenzionale del tempo come una freccia unidirezionale che scorre costantemente verso il futuro. Le sfide della cosmologia e la natura dell’origine temporale Nel campo della cosmologia, la ricerca sull’origine e l’evoluzione dell’universo solleva domande fondamentali sulla natura stessa del tempo. La teoria del Big Bang, ampiamente accettata, suggerisce che l’universo abbia avuto un’inizio finito nel tempo, circa 13,8 miliardi di anni fa. Tuttavia, cosa è accaduto prima del Big Bang, se il concetto stesso di “prima” ha un significato in assenza di tempo? Questa domanda rimane uno dei misteri più affascinanti e dibattuti nella scienza cosmologica. Una delle sfide principali nell’affrontare questa domanda è che il concetto stesso di “prima” del Big Bang potrebbe non avere un significato convenzionale, in quanto il tempo stesso potrebbe essere emerso solo con l’inizio dell’universo. La teoria della relatività generale di Einstein suggerisce che lo spazio e il tempo sono intricatamente intrecciati e che lo spazio-tempo stesso potrebbe avere avuto un inizio nel Big Bang, rendendo difficile comprendere cosa possa essere accaduto “prima” di tale evento. Alcuni modelli teorici suggeriscono l’esistenza di un universo precedente o di un ciclo di espansione e contrazione cosmica, in cui il Big Bang sarebbe solo l’ultima fase di un processo ciclico eterno. Tuttavia, questi modelli sono ancora oggetto di dibattito e non sono supportati da evidenze sperimentali dirette. Altri approcci teorici ipotizzano l’esistenza di dimensioni nascoste dello spazio-tempo o universi multipli all’interno di un vasto “multiverso“, in cui il nostro universo sarebbe solo uno di molti. Anche queste ipotesi, sebbene affascinanti, sono ancora oggetto di speculazione e richiedono ulteriori ricerche per essere confermate o confutate. Quindi, qual è l’errore della fisica? Il grosso errore della fisica L’idea stessa di contemplare cosa sia accaduto “prima” del Big Bang ci conduce verso un territorio in cui le convenzioni del tempo come lo conosciamo perdono il loro significato. Questo ci porta a considerare se, forse, abbiamo presumibilmente dato per scontato il potere dell’universo di celare i suoi segreti più profondi, compreso il significato ultimo del tempo e a dedurre che che la fisica abbia commesso un errore nel presumere di poter comprendere appieno il concetto di tempo. Read the full article
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copihueart · 2 months
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Pensieri di Primavera
Il sentiero conservava una castità antica, lasciava spazio ai davanzali dove sbocciano i gerani, si perdeva lento creando una sottile linea tra i filari di cipressi che segnavano il passaggio. Era questo il suono dei vicoli, dove le case si affacciavano con una affezione particolare, invadendo i marciapiedi con le loro ombre e i mattoni scoperti acquistavano nuova dignità baciati dal sole del meriggio. Una gazza padrona si dissetava alla sorgente, interrompendo con le sue ali il flusso della luce e scendevano lente contro i vetri le luccicanti stille lasciate dagli insetti in successione. Poi si apriva improvvisa la pianura, con la sua fragranza di vaniglia e il sentore asciutto delle nebbie e l’aria pulita chiamava a se la primavera penetrando nell’ingenuità degli ammiccamenti delle fronde e dei rami intrecciati nei loro abbracci. In lontananza le colline disegnavano i loro monili nella rifrazione del giorno e le canne palustri nel diradarsi lasciavano intravvedere un turacciolo a galleggiare nella corrente del fiume. Il fiume nel suo arto tortuoso sembrava voler leggerci dentro il cuore e scorreva impetuoso tra le rocce fino a voler dormire su di un materasso di foglie nella calma pensierosa del formarsi di acquitrini e pozze quasi alla fine della sua corsa.
Così il bosco rivelava i suoi rumori, permeando delle sue osservazioni il senso dell’udito, era tutto un brulicare di rovi, di fioriture che si accavallano durante il giorno, di allusioni nel passaggio strisciante di piccoli animali e di silenzi inconsueti a presagire l’arrivo di un viandante.
Avrei cercato in quelle partiture la quiete notturna, la statica abitudine dei monti che si stagliavano rigidi in lontananza sfregiati dal biancore della luna e il borbottio incessante delle acque abbandonate all’indistricabile gracidare delle creature dell’oscurità. Quale fanatico lavoro la natura doveva compiere per mantenere in armonia tutto ciò, mentre l’eco delle voci e il frastuono penetravano profondi solleticando l’impalcatura delle terre arate e dell’erba rigogliosa spremuta contro il cielo. Se poi a lungo e inutilmente quel sapiente bisturi delle stelle ti versava addosso lo splendore del suo manto sfiorandoti con la sua incalzante marea, ti sarebbe sembrato di non avere più tempo per goderti quello spettacolo.
Lentamente, lasciata indietro ogni radura i steli inservienti, devastati dalla stanchezza delle fungaie e dei fiori selvatici ti invitavano a seguirli, scambiandosi monotone formule di sopravvivenza, a seguire il commento musicale delle innumerevoli specie di uccelli che sembravano voler imitare la colonna sonora di un film.
Era la vastità degli spazi, dove sempre più sparute vegliavano le case isolate e le cataste di legna ammucchiate per l’inverno , che ti davano il senso di quella lieve luminosità che avvolgeva il tutto, nel riverbero lasciato dagli stampi dei tronchi a marcire, come se il respiro bruciasse tra le fiamme dei falò accesi dai contadini per dar fuoco alle sterpaglie.
A voler proseguire oltre i campi di lavanda, un tappeto di lucciole marcava il territorio con mille lumini incandescenti disegnando un carosello di luminarie a splendere nel tepore della sera e la prodezza impudente dei girasoli percuoteva il vento pieno di richiami, che nel suo desiderio impetuoso si faceva largo nei territori oltre le lande perenni e punti isolati del finir della boscaglia.
Come nel fondale di una piazza cambiava il paesaggio, sparpagliando quella brace di nuvole minacciose che s’inseguivano scontrandosi, dietro la lunga impronta degli zoccoli dei cavalli e degli animali al pascolo e nel riverbero del tramonto finalmente si intravvedeva il mare, che affondava le sue mani tra le dune creandosi un varco, con i suoi grandi baffi di schiuma e le sue onde nello scompiglio concitato lasciato a vegliare sulla riva.
Potevi finalmente con la scia dei tuoi occhi ammirare quella nuova e indescrivibile confusione di richiami festosi che la natura ti aveva donato e lo sfarfallio leggero della neve che presto sarebbe giunta a coprire le barche ammucchiate nel porto, a rischiarare debolmente i sacchi di paglia della tua anima che adesso saltellava dalla gioia perchè in quell’enorme labirinto di trincee costruito dagli uomini c’era ancora spazio per quell’ambiente naturale da preservare, dove poter vivere in simbiosi.
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personal-reporter · 6 months
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Come scegliere l'attrezzatura giusta per girare video
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La scelta dell'attrezzatura giusta è un passo fondamentale per la produzione di video di qualità. La giusta attrezzatura può aiutarti a catturare immagini e audio nitidi, a creare inquadrature creative e a migliorare il tuo flusso di lavoro. In questo articolo, ti forniremo una guida completa per la scelta dell'attrezzatura giusta per girare video. Tratteremo i seguenti argomenti: I tipi di attrezzatura per video Come scegliere la giusta attrezzatura per le tue esigenze Consigli per l'acquisto di attrezzatura video I tipi di attrezzatura per video L'attrezzatura per video può essere suddivisa in due categorie principali: Attrezzatura di ripresa Attrezzatura di post-produzione Attrezzatura di ripresa L'attrezzatura di ripresa è quella che ti permette di catturare le immagini e l'audio per il tuo video. I componenti principali dell'attrezzatura di ripresa includono: Macchina fotografica o videocamera Obiettivo Microfono Stabilizzatore Luci Macchina fotografica o videocamera La macchina fotografica o videocamera è il componente principale dell'attrezzatura di ripresa. È responsabile della cattura delle immagini e dell'audio. Ci sono molte diverse opzioni disponibili sul mercato, quindi è importante scegliere una macchina fotografica o videocamera che sia adatta alle tue esigenze. Obiettivo L'obiettivo è responsabile della messa a fuoco e del campo visivo della tua fotocamera. Ci sono molti diversi obiettivi disponibili sul mercato, quindi è importante scegliere un obiettivo che sia adatto al tipo di video che vuoi creare. Microfono Il microfono è responsabile della cattura dell'audio del tuo video. Ci sono molti diversi tipi di microfoni disponibili sul mercato, quindi è importante scegliere un microfono che sia adatto al tipo di video che vuoi creare. Stabilizzatore Lo stabilizzatore è un dispositivo che aiuta a ridurre le vibrazioni della tua fotocamera. Questo può essere utile per creare video fluidi e stabili. Luci Le luci sono essenziali per creare video di alta qualità. Le luci possono aiutarti a migliorare l'illuminazione della tua scena e creare effetti visivi creativi. Attrezzatura di post-produzione L'attrezzatura di post-produzione è quella che ti permette di modificare e migliorare il tuo video. I componenti principali dell'attrezzatura di post-produzione includono: Software di editing video Monitor di editing video Mouse e tastiera per editing video Software di editing video Il software di editing video è il software che utilizzi per modificare e migliorare il tuo video. Ci sono molti diversi software di editing video disponibili sul mercato, quindi è importante scegliere un software che sia adatto alle tue esigenze. Monitor di editing video Il monitor di editing video è il monitor che utilizzi per visualizzare il tuo video mentre lo modifichi. È importante scegliere un monitor di editing video che abbia una buona risoluzione e un ampio angolo di visione. Mouse e tastiera per editing video Il mouse e la tastiera per editing video sono gli strumenti che utilizzi per controllare il software di editing video. È importante scegliere un mouse e una tastiera che siano comodi e facili da usare. Come scegliere la giusta attrezzatura per le tue esigenze La scelta della giusta attrezzatura per le tue esigenze dipende da una serie di fattori, tra cui: Il tipo di video che vuoi creare Il tuo budget Il tuo livello di esperienza Il tipo di video che vuoi creare Il primo passo per scegliere la giusta attrezzatura è determinare il tipo di video che vuoi creare. Se stai creando video di natura statica, come interviste o presentazioni, avrai bisogno di un'attrezzatura diversa rispetto a quella necessaria per creare video di natura dinamica, come videogiochi o sport. Il tuo budget La scelta dell'attrezzatura può essere costosa. È importante stabilire un budget prima di iniziare a fare acquisti. Il tuo livello di esperienza Se sei un principiante, potresti voler iniziare con un'attrezzatura più semplice e conveniente. Una volta acquisita esperienza, puoi passare a un'attrezzatura più avanzata. Se vuoi affidarti a professionisti, Vibra è una solida realtà che si occupa di vari settori come la promozione e la comunicazione, il marketing territoriale, il commercio e l'artigianato, la formazione, il sociale, il culturale, l'espressivo e l'artistico, la produzione audio/visivi e le dirette streaming. La loro sede, in Borgomanero (NO) è un luogo dove arte, cultura, territorio, commercio, artigianato, accoglienza e formazione coesistono e collaborano tra loro, realizzando progetti nei minimi dettagli. Se stai cercando un Team che possa aiutarti con le tue esigenze di comunicazione e marketing, Vibra è la scelta giusta. Hanno esperienza in vari settori e possono aiutarti con progetti di qualsiasi dimensione e copertura. Sono impegnati a realizzare progetti nei minimi dettagli, garantendo che i loro clienti siano soddisfatti dei risultati. Ecco alcune ragioni per cui dovresti contattare Vibra: Hanno un team di professionisti della comunicazione e della produzione video specializzati in progetti interni ed esterni di qualsiasi dimensione e copertura. Hanno esperienza in vari settori come la promozione e la comunicazione, il marketing territoriale, il commercio e l'artigianato, la formazione, il sociale, il culturale, l'espressivo e l'artistico, la produzione audio/visivi e le dirette streaming. Sono impegnati a realizzare progetti nei minimi dettagli, garantendo che i loro clienti siano soddisfatti dei risultati. Contatta Vibra oggi stesso per saperne di più sui loro servizi e su come possono aiutarti con le tue esigenze di comunicazione e marketing. Read the full article
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rideretremando · 8 months
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"Va molto di moda oggi in filosofia concentrare l'attenzione sui viventi non umani: animali, vegetali, funghi.
Tutto assolutamente interessante e importante. Il limite di questa nuova filosofia della natura è che, quando non fa la moralina contro gli umani, sembra ignorarli come fossero qualcosa di fuori moda, mentre oggi sono cool altri viventi, in particolare piante e funghi.
Mi è stato chiesto, dopo aver pubblicato "Oceano", se mi sentissi parte di questa nouvelle vague. No: benché mi interessi, non me ne sento parte perché a me interessa il riposizionamento dei viventi umani nella natura non la natura in sé, per questo scrivo sempre da un punto di vista autobiografico: non fingo di cancellarmi.
Da qui il mio interesse per la nozione di "forza" nei viventi e nella natura. Qui, è non nell'idea di un'unica sostanza statica, c'è la possibilità di ripensare la natura e la sua connessione con i viventi. L'essere è "dynamis", forza, e questa "dynamis", come scriveva già Joseph Souilhé in un saggio del 1919 dal titolo "Étude sur le terme dynamis dans les dialogues de Platon", non è altro che l'espressione della physis.
Oggi una filosofia della natura è una filosofia della forza e delle sue articolazioni. Per questo al cuore dei tre testi che considero un trittico ("La palestra di Platone", "Oceano", "Mia figlia la filosofia") c'è la nozione di forza.
Nel nuovo testo a cui sto lavorando su Platone e Muhammad Ali, "La forza della filosofia", ne offrirò una lettura differente che metterà in rapporto "forza delle braccia", "forza del corpo" (senso originario in Omero di "dynamis") e ontologia della forza-dynamis al cuore del Sofista platonico."
Simone Regazzoni
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altrodiletto · 10 months
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Il fine della vita è l'espansione della felicità e l'evoluzione è il processo mediante il quale questo proposito si compie. La vita comincia in modo naturale, essa si evolve e la felicità si espande. L'espansione della felicità porta con sé l'espansione dell'intelligenza, del potere, della creatività e di ogni cosa che possa avere significato nella vita. Il fine della creazione è l'espansione della felicità; esso viene adempiuto mediante il processo di evoluzione cosmica. Il significato e il fine della vita individuale è il medesimo di quello della vita del cosmo: la differenza sta nelle proporzioni. La vita individuale è l'unità di base della vita del cosmo. Se lo scopo della vita è adempiuto, quello della vita cosmica è spontaneamente e simultaneamente adempiuto allo stesso grado. Se un uomo ha adempiuto il fine della sua vita, ha fatto del suo meglio per aiutare il fine cosmico, poiché l'evoluzione del cosmo è fondamentalmente servita dall'evoluzione della vita individuale. Se un uomo è infelice, ha perduto l'essenza stessa della vita. Se la sua intelligenza, il suo potere, la sua creatività, la sua pace, la sua felicità non si sviluppano costantemente, vuol dire che egli ha perduto la sua direzione. La vita non è concepita per essere vissuta nell'ottusità', nell'ozio, nella sofferenza: queste cose non appartengono alla sua natura essenziale. La vita è dinamica, non statica; essa è energia, progresso, evoluzione, sviluppo mediante l'attività e la moltiplicazione di se stessa.
― Maharishi Mahesh Yogi
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lamilanomagazine · 10 months
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L’arte in movimento: Autoguidovie accogliendo su oltre 500 autobus gli scatti di Mario Dondero
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L’arte in movimento: Autoguidovie accogliendo su oltre 500 autobus gli scatti di Mario Dondero. In viaggio con le fotografie dell’ampia retrospettiva “Mario Dondero. La libertà e l’impegno”, in esposizione a Palazzo Reale, dal 21 giugno al 6 settembre 2023. La mostra (a ingresso gratuito), promossa da Comune di Milano - Cultura, e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale in collaborazione con l’archivio Mario Dondero, vede il coinvolgimento di Autoguidovie. La società, tra le primarie nel settore della mobilità pubblica in Italia e da sempre attenta alle dinamiche culturali dei territori in cui opera, non soltanto figura come main sponsor ma partecipa a rendere la mostra accessibile e capillare, grazie alla diffusione di una selezione di scatti del repertorio di Mario Dondero sui propri mezzi in circolazione in Lombardia. L’operazione, in cui il settore della mobilità abbraccia quello della cultura diventandone a sua volta veicolo, è la prima in assoluto in Italia e dà vita a un’inedita “mostra diffusa”. Oltre 500 autobus di Autoguidovie, che coprono le tratte nei territori di Crema, Milano, Monza e Brianza e Pavia, saranno appositamente allestiti per trasformarsi in mostre itineranti: i pendenti, ovvero le cartoline appese sui corrimani, riproporranno una selezione degli scatti che Mario Dondero (1928 - 2015), protagonista della fotografia italiana e fotoreporter di spicco a livello internazionale, ha collezionato nell’arco della sua carriera. Il mezzo di trasporto travalica dunque la finalità di spostamento fine a se stessa, diventando a sua volta propulsore di cultura ed estensione del percorso espositivo di Palazzo Reale. Le opere passano dalla condizione statica “classica”, dentro le quattro mura, a una di costante movimento, salendo a bordo e viaggiando insieme a migliaia di pendolari che ogni giorno prendono l’autobus. Un’iniziativa inedita che ha creato una “mostra diffusa” a tutti gli effetti, in cui il mondo del trasporto si fonde con l’universo culturale. L’esposizione, nel suo complesso, mira a offrire uno sguardo sull’opera di Dondero, mediante immagini appartenenti a reportage e servizi fotografici realizzati dagli anni Cinquanta alla prima decade del Duemila, e scatti più iconici o inediti. La scelta di Autoguidovie di sostenere la mostra è da ritrovarsi, al di là del legame incondizionato per la cultura tutta, anche nel feeling che si è venuto a creare con lo stile di vita, pensieri e filosofia di viaggio del fotografo e fotoreporter, scomparso nel 2015. Mario Dondero è stato infatti un “girovago con l’obiettivo”: un libero pensatore che ha conosciuto innumerevoli Paesi nel mondo e che nelle sue pellicole ha saputo immortalare il luogo e chi lo vive. È stato un uomo che ha scelto di muoversi con una mobilità, che è quella dei territori. L’inclinazione a spostarsi a bordo delle corriere - come si diceva una volta - e attendere il loro passaggio alle fermate gli consentiva di fare incontri, entrare in contatto con le persone e assaporare la cultura locale. «La mobilità può assumere diverse forme e mai come questa volta, con un’operazione unica nel suo genere, riusciamo ad ampliarne la concezione - spiega Natalia Ranza, consigliere delegato di Autoguidovie -. Fino ad adesso abbiamo immaginato e poi “costruito il viaggio sui nostri mezzi ispirandoci ai principi di sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica ed efficienza. Stavolta, invece, aggiungiamo ulteriori valori. Il viaggio diviene l’occasione per nutrirsi di cultura e bellezza, è un regalo che facciamo ai nostri clienti offrendo un’esperienza di spostamento arricchente e totalizzante; mentre l’autobus rappresenta il tramite, un continuum attraverso il quale è possibile amplificare messaggi e significati dell’esposizione di Palazzo Reale». «La fotografia di Mario Dondero è per sua natura inclusiva, aspira a dialogare con tutti e non a caso ritrae l'umanità più variegata in una logica di racconto del sentimento sobria, semplice e intensa allo stesso tempo. La "corriera" per definizione è il mezzo di locomozione di studenti, casalinghe, pensionati, impiegati, persone, individui che mio padre ha sempre immortalato con la stessa attenzione con cui fotografava i grandi personaggi della storia - dice Maddalena Fossati Dondero, figlia dell'autore -. È una sorta di conseguenza naturale diffondere la mostra di Palazzo Reale sui bus».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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my-painter-life · 1 year
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Still life
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michelangelob · 1 year
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lila976 · 1 year
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SEGUI IL CUORE ❤️
Non c'è bisogno di dover brillare sempre in ogni contesto e tutti i giorni. Ci sono momenti e luoghi in cui siamo stelle illuminate di virtù ed altri in cui balliamo a ritmo di un'altra musica che solo noi sentiamo ma che ci sbatte fuori dal pentagramma di note sconosciute che ci ruota intorno nel frattempo.
Io ho imparato a percorrere la vita al ritmo dei miei passi, che per natura sono leggeri, sognatori e poetici, anche quando mi trovo su terreni molto distanti dalla mia forma mentis.
L'esperienza mi insegna che il voler correre a tutti i costi in contromano rispetto al senso unico della nostra indole si traduce in tanto stress senza uscita; ogni giorno imparo a rispettarmi e a incoraggiarmi, un lavoro faticoso e costante che difficilmente viene percepito da chi, all'esterno, è abituato a stare soltanto nella sua bolla statica e razionale.
A volte avrei l'occasione di rompere questa bolla a suon di contraddizioni di stampo culturale e poi urlare "Lo vedi? Il sapere, la cultura, l'intelligenza, le doti intellettuali non si misurano con un contatore numerico uguale per tutti, capra!" , ma non lo faccio perché non proverei alcun piacere nel vedere qualcuno che annaspi come capita, a volte, a me.
La mia cultura è mia, è preziosa perché è il risultato sempre migliorabile di tante letture, è sacra e non mi piace considerarla un'arma per vincere un litigio contro chi non può difendersi. È cosa che ho coltivato, come si fa con la Fede. E come la Fede, c'è chi si accontenta della messa domenicale e chi invece va oltre in riflessioni più profonde.
Possiamo sempre scegliere...
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tma-traduzioni · 2 years
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MAG101- Data sconosciuta - “Un'altra svolta”
[Episodio precedente]
[PDF con testo inglese a fronte / PDF with English text to the side]
[CLICK]
[Rumori bassi di sottofondo, possibilmente vocali; voci risuonano come se fossero da qualche parte sottoterra]
ORSINOV
[canterellando] Oh, funziona! Cosa stai registrando? Qualcosa di spaventatoso?
ARCHIVISTA
[Risponde imbavagliato]
ORSINOV
È… Il tuo Elias ad ascoltare?
Ciaooooooooooo!
[Altre parole smorzate dall'Archivista]
È mio ora, e non puoi riaverlo.
[Il mormorio di sottofondo è ora sicuramente un coro]
ARCHIVISTA
[Suoni di domanda]
ORSINOV
Oh, non preoccuparti, non è per te. Non avrai neanche bisogno di una bara- useremo ogni pezzo di te.
ARCHIVISTA
[Esclamazioni smorzate]
ORSINOV
Ora voi due potreste per favore spostare quella cosa da qualche parte molto, molto lontano?
BREEKON
Non proprio.
HOPE
Deve stare vicino a noi.
ORSINOV
Beh, allora… Andate via, e portatela con voi.
BREEKON
Capito.
HOPE
Hai ragione.
[Le catene vengono scosse mentre raccolgono la bara e se ne vanno; il mormorio corale si allontana, sostituito dal suono della pioggia all'esterno, da qualche parte]
ORSINOV
Giusto. Dov'eravamo?
ARCHIVISTA
[Indignazione smorzata]
ORSINOV
Oh, certo! Quindi, Elias, posso chiamarti Elias? Lascia che ti dipinga la scena, in quanto so che non puoi vedere questo. È legato a una sedia- Sarah voleva usare dei chiodi, ma l'ho convinta a non usarli perché sono una buona amica. Non c'è di che. Ed è completamente circondato da statue di cera. Non… delle belle statue di cera, però. Sono strane. Facce di cera dove ti sembra quasi di riuscire a riconoscere chi dovrebbe essere, ma, invece… Ah, è assolutamente bizzarro!
ARCHIVISTA
[Più indignazione smorzata, possibilmente anche parolacce soffocate]
ORSINOV
Scusami! Sto parlando con il tuo capo e ti pregherei di non interrompere.
[L'Archivista continua a grugnire]
Sai, devo dire Elias, posso chiamarti Elias? Questo non l'hai educato molto bene.
ARCHIVISTA
[Confutazione smorzata?]
ORSINOV
È scortese. E non vuole smette di fare domande. Ooh, ma io ora posso fare le domande! Come ti senti?
ARCHIVISTA
[Sentimenti smorzati]
ORSINOV
Oh, meraviglioso. Ora, a proposito dell'intera faccenda della pelle... Vedi, originariamente, avevo solo pianificato di farti seguire, nel caso avessi trovato quell'antica reliquia. Voglio dire, mio ​​Dio, è molto potente. E se non ci fossi riuscito, beh, tu stesso sei piuttosto potente, e soprattutto, sei... simbolicamente appropriato [ridacchia] quindi ho pensato che saresti stato un bel vestito!
ARCHIVISTA
[Panico smorzato]
ORSINOV
Esattamente! E, beh, volevo aspettare, ma... sai, hai mai avuto uno di quei piani di riserva che, a pensarci bene, sono, sono  più divertenti? Quindi, ho pensato, fuori con il vecchio, dentro con... beh, dentro con te!
ARCHIVISTA
[Proteste piene di panico]
ORSINOV
Oh, no, temo che non possa Vederti, vero Elias, posso chiamarti Elias? Che senso ha avere un luogo segreto di potere se non puoi nasconderlo a un grande occhio stupido? Comunque, stai fermo. Molto da fare! Ooh, inoltre, hai una marca di lozione preferita? Perché non ti sei preso cura della tua pelle e abbiamo davvero bisogno che sia in forma migliore prima di sbucciarti.
ARCHIVISTA
[Ancora più indignazione smorzata]
ORSINOV
Va bene, chiederò loro di prendere una selezione.
[I passi si allontanano e una porta si chiude]
[L'Archivista respira pesantemente]
[Click]
----------------------------------------
[Click]
[Piove ancora]
[L' Archivista sta ancora respirando]
[Risata statica]
[Si apre una porta diversa]
MICHAEL
Oh... Oh... Oh, Archivista. Cosa hai combinato ora? È quasi triste vederti così.
ARCHIVISTA
[Lamento basso e irritato]
MICHAEL
Quasi. Sono giunto a una decisione, Archivista. Ho intenzione di ucciderti.
ARCHIVISTA
[Lamento frustrato]
MICHAEL
È prima di quanto avessi sperato, ma questa è la vita... suppongo. La tua vita. [Ridacchia] Prima di farlo, tuttavia, voglio che tu capisca... anche se va contro la mia natura. Quindi.
[Il bavaglio è rimosso; l'Archivista ansima]
[Pronuncia ogni parola con attenzione] Poni le tue domande.
ARCHIVISTA
Che cosa?
MICHAEL
Chiedimi.
ARCHIVISTA
C-come mi hai trovato?
MICHAEL
[Ridacchia] L'Occhio guarda, e l'Estraneo nasconde, ma io... mento, Archivista. Sono l'incarnazione della gola dell'illusione. Non possono nasconderti da me.
[Rantoli mentre l'Archivista continua a riprendersi]
ARCHIVISTA
Cosa hai a che fare con il  Disconoscimento?
MICHAEL
Niente. [Ridacchia] Assolutamente niente. Tranne forse che mi piacerebbe che fallisse.
ARCHIVISTA
Allora... perché sei qui?
MICHAEL
L'ho già detto. Per ucciderti.
ARCHIVISTA
Ma... ma perché?
MICHAEL
Perché non voglio che vinca il Circo. E non voglio nemmeno che lo facciano gli Archivi. Ucciderti io stesso... è il meglio di entrambi. E, naturalmente, c'è la vendetta.
ARCHIVISTA
Vendetta? Ancora non so nemmeno chi sei!
MICHAEL
Sono Michael. Non sono sempre stato Michael. Non voglio essere Michael. Essere Michael ha rubato l'unico scopo che abbia mai conosciuto.
ARCHIVISTA
Eri l'assistente di Gertrude, vero?
MICHAEL
No.
ARCHIVISTA
Ma, ma il nastro- ti ho sentito.
MICHAEL
[Lentamente] No. Hai sentito Michael.
[Suoni frustrati dall'Archivista]
ARCHIVISTA
Io... Di cosa diavolo stai parlando?!
MICHAEL
Zitto, Archivista. La bara angusta canta forte, ma non abbastanza forte da soffocare le urla. Il Michael su quel nastro non ero io. Quando quella persona era Michael, io ero qualcos'altro, e ora io sono Michael, e quella persona se n'è andata.
ARCHIVISTA
Allora, cosa... Tu... sei diventato lui?
MICHAEL
Non più di quanto lui è diventato me. È raro che qualcuno che prendo riesca a trovare la strada per essere me, ma succede. E Michael ha avuto aiuto.
ARCHIVISTA
Cosa è successo?
MICHAEL
Hm...
Ahhh, una dichiarazione. Ovviamente. Il tuo registratore funziona?
Sì. Dillo, Archivista.
ARCHIVISTA
Dichiarazione di... Michael. Presa dal soggetto. Data…
MICHAEL
L'ultimo giorno della vita dell'Archivista.
ARCHIVISTA
Inizio della dichiarazione.
MICHAEL (DICHIARAZIONE)
Quanto indietro si dovrebbe andare? All'inizio di me? Secoli? Millenni? Come definisci l'inizio del tuo essere quando in qualche modo tu sei sempre stato? Il tempo è difficile da formare. Michael Shelley, però, è più facile da seguire. Era nato. Era inutile. E sarebbe dovuto morire. Ma prima che ciò potesse accadere, andò a lavorare per l'Istituto Magnus- quella torre d'avorio, che mantiene i suoi prigionieri ignoranti alla ricerca della… conoscenza. [Ridacchia] Una prigione piena di osservatori idioti. E Michael Shelley non faceva eccezione.
Quando era a scuola, aveva perso un amico per qualcosa come me. Il suo amico si chiamava Ryan, ma quelli al potere lo chiamavano semplicemente schizofrenico. Non so se lo fosse, ma non importa. Aveva una paura così spaventosa che il suo mondo non fosse reale che renderlo tale fu quasi nulla. Michael era lì quando fu preso; non aveva mai superato quello che aveva visto. O non aveva visto. Dopo molte ricerche e disperazione, questo lo spinse tra le braccia in attesa dell'Istituto, dove incontrò Gertrude Robinson. L'Archivista.
Pur essendo quello che sono, raramente ho visto qualcuno così abile nel distorcere la verità come Gertrude Robinson. Michael era protettivo nei confronti della fragile vecchia donna che credeva che fosse. Così… così delicata, così smemorata, eppure gentilmente saggia. Si preoccupava per lei. Si fidava di lei. E lei lo ha dato in pasto a me. Lei ha trasformato lui in me per distruggere la nostra trascendenza. E non ha esitato.
Povero Michael. Era già stato in viaggio per l'Istituto. Conferenze, indagini, Gertrude si era assicurata che tutti i suoi assistenti fossero pronti. Nessuno di loro si sarebbe insospettito se gli fosse stato detto che sarebbero dovuti andare all'estero per lavoro. Quindi non c'erano dubbi nella sua mente, nessuna preoccupazione, quando lei gli disse che stavano andando in Russia. Forse, se si fosse fermato a cercare la loro destinazione, avrebbe potuto scoprire che non esisteva un posto di nome Zemlya Sannikova, ma non lo fece. Si fidava di lei.
Anche quando arrivarono ​​a Dikson, sulle rive del Mare di Kara, e furono presi da un tranquillo capitano di mare di nome Peter Lukas… Anche allora si fidava di lei. Viaggiarono a nord, in un freddo molto più amaro di quanto Michael avesse mai immaginato possibile. E sai di cosa si preoccupava? [Ridacchia] Lui... era preoccupato per Gertrude Robinson. Di come questa povera vecchia potesse affrontare il freddo. Ma ora lei era come il ferro e camminava con una determinazione che Michael non aveva mai visto prima in lei. L'acqua si trasformava in ghiaccio mentre  l'Artico si avvicinava e gli occhi di Gertrude diventavarono freddi.
Poi, finalmente, iniziò ad avere paura. Le chiese dove stessero andando e gli fu detto di nuovo: Zemlya Sannikova. La terra di Sannikov. C'era un grande male, aveva detto, e Michael l'avrebbe aiutata a combatterlo. Sono cattivo, Archivista? Una cosa è cattiva quando obbedisce semplicemente alla propria natura? Quando incarna la sua natura? Quando quella natura viene creata da coloro che la insultano? Forse Gertrude lo credeva. Michael lo ha fatto certamente. Credeva a tutto quello che gli diceva.
Ed ero io che cercarono di fermare. Io e gli altri di Non-È-Quello-Che-È. La Nostra Grande Distorsione. L'Operaio-Di-Argilla aveva lavorato per decenni su quell'edificio contorto e impossibile di porte... e scale... e falsità... e sorrisi. C'erano mille bocconcini che osservavano, e nessuno di loro si credeva sano di mente a guardarlo. E al centro, la porta che si sarebbe aperta su tutti i posti che non c'erano mai stati, ero io. Uso la parola "apoteosi" non perché sia ​​corretta, ma perché posso mostrarti la sua verità solo quando siamo all'interno dei passaggi stessi.
Ed è quello che avevano scoperto Michael e Gertrude quando avevano messo piede nella terra di Sannikov, che non esiste e non c'è mai stata. Era calda, e sentire la sua rassicurazione sotto i piedi fu l'ultima volta che il povero, spacciato Michael conobbe il conforto. Camminarono attraverso la giungla verde di quell'isola polare per sempre sfuggente e su per le dolci montagne che non potranno mai avere un nome. E in cima, ci trovarono attraverso le nostre risate a spirale. E ci videro in tutta la nostra gloria.
Michael non impazzì, anche se nessuna parola che avresti potuto dire lo avrebbe convinto del contrario. La mente non va in frantumi, Archivista. È morbida e malleabile. Si piega, si torce e ritorna a quello che era, sebbene ciò che vedi e senti possa lasciare il segno su di essa. Se Michael pensava di aver perso la testa, era solo perché ciò che vedeva con chiarezza cristallina semplicemente non era qualcosa che poteva essere reale.
Ma Gertrude Robinson non vacillò. Non... esitò. Non diede alcuna indicazione di aver visto qualcosa di più o di meno di quanto previsto. La sua non era una mente che lasciava spazio a dubbi. Ci fissò attentamente, i suoi occhi cercavano qualcosa che fosse il mio cuore. Cercando la mia porta. E lei la trovó.
Forse avrei dovuto capire cosa stava succedendo; avevo visto quelle due figure solitarie avvicinarsi a me, ma non posso descriverti le gioie esistenziali del vero... divenire. Di una totalità che finalmente varca la soglia del tuo io. Così estatica era la mia completezza, che non sentii nemmeno la mia porta aprirsi cigolando. Perché Gertrude aveva detto a Michael come avrebbe potuto fermarci. Gli disse di attraversare una porta. E anche allora, con una parte così grande della suacosì tanta mente chiusa dal panico e dal terrore, si fidó di lei. Ed entrò, chiudendo la porta dietro di sé.
Ma Gertrude Robinson aveva dato un'altra cosa al povero, sacrificabile Michael prima di mandarlo da me. Gli aveva dato una mappa. Non saprei dire come avesse ottenuto una cosa del genere, o se in qualche modo l'avesse fatta lei stessa. Eppure era una mappa. Una mappa per me. Non aveva senso, linee che si sovrapponevano e si invertivano, ma una volta dentro, Michael sapeva quando svoltare, quali porte aprire, quali specchi rompere. Fino a quando non è diventato me.
Ancora più acuta della gioia di diventare è l'agonia di essere aperti e rifatti. Avere il tuo chi strappato sanguinante dal tuo cosa, e un altro legato crudamente al suo posto. Diventare Michael. E farlo in un punto così cruciale della nostra Distorsione, del nostro divenire, beh, naturalmente, lo distrusse. L'altare impossibile crolló. L'Operaio-Di-Argilla si strappò le vene per dissolversi nel fango cremisi. Gli altri di noi furono lanciati in tutti i posti che non sono; alcuni non hanno ancora trovato la via d'uscita. E in qualche modo, Gertrude Robinson era tornata su quella barca prima che Sannikov Land, ancora una volta, non fosse mai esistita.
E tutto ciò che rimase ero io. Michael. [Ridacchia] La mia stessa esistenza è legata alla mia inutilità. Indossare il mio fallimento come il tessuto stesso del mio essere. Ridotto ancora una volta a nutrirsi degli ignari e confusi. Questo è quello che sono.
[Sospiro profondo dell'Archivista]
ARCHIVISTA
Ma tu... non hai mai provato a vendicarti di Gertrude?
MICHAEL
Sapeva come proteggersi. Sapeva cosa stava creando. E ucciderla non era così importante. Non era un Archivista bravo come te.
ARCHIVISTA
Allora perché non uccidermi prima?
MICHAEL
Avevo sperato che prima avresti fermato il Disconoscimento, distrutto il lavoro dell' Io-Non-Ti-Conosco. Invece tu sei qui, e potresti accelerare il processo. Quindi è meglio che la tua morte accada ora.
ARCHIVISTA
C'è qualcosa che posso fare per impedirti di uccidermi?
MICHAEL
[Ride] Se urli abbastanza forte, il Circo potrebbe notarmi, ma... ti prometto che morirai molto più piacevolmente con me che con loro.
[Altre risate]
Ah...
[La pioggia continua a cadere]
ARCHIVISTA
...
[Arrendevole] Va bene.
MICHAEL
Bene. Da questa parte.
[Una porta scricchiola]
Aprila. Aprila e tutto questo sarà finito.
[L'Archivista gira la maniglia e sente la serratura bloccata]
ARCHIVISTA
Ehm, è...
[La serratura è provata altre due volte]
MICHAEL
Che cosa?
ARCHIVISTA
È chiusa.
MICHAEL
Non lo è. [Risatine]
ARCHIVISTA
Perché è bloccata?
MICHAEL
Non può essere!
ARCHIVISTA
Bene, prova!
[La maniglia viene girata freneticamente - la serratura continua a fare clic]
MICHAEL
[Preoccupato] Qu-Que-Questo-Questo-Questo non... è -
[Realizza] Oh. Oh no.
[Grida distorte di apertura dolorosa e terminale]
[La nuova porta scricchiola mentre si apre]
HELEN
Vuoi entrare?
ARCHIVISTA
Co... Helen? H-Helen Richardson? Ma... Ma tu– Michael ...
HELEN
Michael non è me. Non adesso.
ARCHIVISTA
Cosa è successo?
HELEN
Si è... distratto. Ha lasciato che sentimenti che non avrebbero dovuto essere suoi mi travolgessero.
Perso la mia strada.
ARCHIVISTA
E adesso? S- tu sei-- Helen?
HELEN
Non lo so. Non lo so mai, non proprio. Mi serve un nome?
ARCHIVISTA
Ah... No, suppongo di no.
HELEN
Helen è ... meglio di Michael.
ARCHIVISTA
Ma se n'è andata.
HELEN
Sì. Come Michael. Ci sono solo io.
ARCHIVISTA
Io... Va bene.
HELEN
Vuoi ancora andartene da qui?
ARCHIVISTA
M-mi vuoi ancora uccidere?
HELEN
No. Questo era il desiderio di Michael, non il mio.
ARCHIVISTA
Quindi ... q-quindi tu cosa vuoi?
HELEN
Non lo so. A Helen piacevi, quindi... c'è molto da considerare. Ma ti aiuterò ad andartene.
ARCHIVISTA
Aspetta, questo è... Mic– T-tu sei la Distorsione, il, il, il Bugiardo. Come faccio a sapere che non è... un, un trucco?
HELEN
E se lo fosse, cosa faresti al riguardo?
ARCHIVISTA
...
Giusto. Giusto…
[Lamentoso] Da quanto tempo sono... q-qui? Non c'è... era difficile tenerne traccia -
HELEN
Il tempo è difficile, Archivista. È difficile da seguire senza una mente adeguata, soprattutto qui. Un po'.
ARCHIVISTA
Giusto.
HELEN
La porta è aperta, se sei pronto?
ARCHIVISTA
No, no, non proprio, ma ...
[Sospiro profondo seguito da statica]
[CLICK]
[Traduzione di: Jo]
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horrorteller72 · 3 years
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Porta Nord Due
La pioggia battente pareva una maledizione senza fine, colpiva il parabrezza della vecchia Renault 5 dalle fiancate ammaccate e scivolava via, perdendosi nelle pozzanghere lungo la via. Ogni notte, in quell’inverno ormai lontano e nell’indifferenza ottusa della vecchia città dai muri in mattoni rossi e cemento, scivolavamo insieme lungo strade illuminate da lampioni anonimi, che spandevano la loro luce giallastra come perduti in una sonnolenza decadente. La radio sempre accesa al minimo, perchè di musica a volume altissimo ne ingoiavo anche troppa nei locali fumosi di quella Torino di fine ventesimo secolo, tra gente ebbra di alcool e di innumerevoli droghe. Gli occhi perennemente stanchi per il poco sonno, in bocca il sapore dell’ultima Marlboro spiegazzata, attraversavo i quartieri deserti verso casa. Era tutta lì la mia vita, in quel ritorno ciclico alla mia piccola casa troppo fredda dopo aver vegliato sui fasti della notte altrui. ero uno degli invisibili, quelli che lavorano dove la gente va a scordarsi le proprie miserie quotidiane restando nel proprio spazio di manovra, cercando di farsi notare il meno possibile. Ci chiamavano buttafuori, prima di inventarsi un termine come “addetto al servizio di sicurezza”. Eravamo molto più liberi di dire la nostra, di fare valere l’abilità di correggere gli atteggiamenti pericolosi con ferma e lucida efficienza. Oltre i lustrini dei costumi che velavano corpi da sogno, le facciate pulite delle discoteche alla moda, le scale illuminate a giorno ed i colori sgargianti delle pareti di vecchie cantine trasformate in locali, lì c’era la mia vera vita, fatta di retroscena, di realtà molto meno affascinanti delle chimere vendute ai clienti. Quelli come me conoscevano il dietro delle quinte, sapevano che il bancone colorato del bar  nasconde assi non verniciate se guardato dall’altra parte, che il guardaroba aveva un’uscita nascosta che dava sul vicolo dietro il locale, che nei cessi degli artisti circolava la coca tagliata male dei bassifondi. Quella notte, fendendo l’ennesimo temporale con la mia vecchia auto cieca di un fanale, portavo con me il rimpianto di non essere stato al posto giusto nel momento giusto, di essere nato dalla parte sbagliata del mondo, dove le luci non brillano di sogni ma servono solo a mascherare le crepe nei muri, abbagliando il mondo ridanciano della notte. Anni a dividere ragazzini intenti a cercare la rissa, a consolare cubiste lasciate dai mariti, a medicarsi ferite non meritate, guadagnate per sventare l’ennesimo furto o pestaggio. Anni a guardare il nuovo stronzetto ricco che si portava a casa la reginetta della settimana sulla propria Porche Carrera rosso fiammante, mentre chiudevo la porta dietro di loro, fradicio fino al midollo di pioggia o congelato fin nelle ossa dagli inverni sabaudi, rassegnato all'evanescenza professionale che mi rendeva trasparente ai loro sguardi di sfuggita. In dieci minuti scarsi un ospite del locale spendeva molto più di quanto io guadagnassi in tutta la notte ed il saperlo non mi rendeva di migliore l’umore. Era la vita della notte, un carrozzone sporco ma colorato, che mangiava o sputava le persone che lo trascinavano avanti, nutrendosi ingordo dei nostri giorni migliori. Tutti lo sapevamo, non potevamo non vedere i veterani dalle cicatrici chiare e spesse, che avevano lasciato che la notte fosse libera di prendersi le loro vite per intero, perdendo famiglie ed affetti in cambio della botta di adrenalina che un lavoro nei locali poteva dare, con tutto quel via vai di droghe per tenere sotto controllo lo stress, storie che ti sfioravano e non vivevi mai in prima persona, belle ragazze da sedurre cercando di stabilire quali sarebbero state in grado di soddisfare le aspettative e quante solo di vomitarti in macchina durante il tragitto. Chi non ha mai prestato i propri talenti al giro delle discoteche non può capire il fascino di quella vita, ma noi lo subivamo in pieno con grande trasporto. Ai tempi il lavoro non mancava, la nostra non era una scelta imposta, avremmo potuto fare altro. Le fabbriche assumevano senza problemi a quei tempi, l’economia era ancora in grado di assicurare un posto decente a ciascun uomo di buona volontà, a patto che si rinchiudesse in un buco grigio a saldare o tagliare lamiera per costruire cose che, nella maggior parte dei casi, non avrebbe mai potuto permettersi di comprare. Come ogni cosa, il mio lavoro aveva anche dei lati positivi che mi permettevano di apprezzarlo, non ultima la sensazione di potere che ne derivava, particolarità inconfessabile ma segretamente apprezzata da tutta la categoria. Poi arrivò quella notte, tutta quell’acqua, la strada viscida. Erano le quattro e mezza, abbastanza presto per tornarsene a casa, ma un’ora ragionevole se riferita alla bassa stagione, ed a Novembre in una città del nord si toccano i minimi storici del divertimento. Anche nella Torino di quei tempi, piena di locali e di gente che se ne andava in giro, godendosi quella fascinosa aria di proibito, quel perverso mix di sesso, rischio, droga ed adrenalina che grondava dalle pareti di luoghi in cui la sensazione che la faceva da padrona era la libertà di lasciarsi andare senza timore di venire giudicati. Erano gli anni della decadenza tra il novanta e la fine di quel decennio. Poi si cominciò a parlare di crisi e non si smise più di farlo, la FIAT cominciò a lasciare a casa gente, finendo per chiudere quasi totalmente i propri cancelli e sacrificando sull’altare dell’economia migliaia di famiglie. Non a quei tempi, però. Lì eravamo ancora nel regno dell’abbondanza, della serenità che derivava dalle certezze (che si rivelarono soltanto presunte di lì a breve, d’accordo, ma noi non lo sapevamo e non avevamo indizi per presagire il disastro). Una semplice notte come tante, fredda come è normale che sia, lunga, perchè le notti lavorative invernali sembrano non finire mai nelle grosse città. Eppure avrebbe cambiato la mia vita, oggi posso dirlo con certezza. Se non fossi finito fuori strada quella volta, restando miracolosamente illeso, non avrei mai capito, mai. Non avrei cercato di rivalutare il mio mondo fatto di uscite di sicurezza ed armadietti dai lucchetti poco affidabili, di avventure senza futuro, di albe tristi dai colori tenui, sorbite facendo colazione da qualche paninaro col truck a bordo strada, a suon di salsicce fritte e Ceres. Invece non ho nemmeno la scusa di non essermi reso conto di cosa stava succedendo. Lo sapevo, dopo quella notte in cui vidi la morte da vicino, ero perfettamente conscio che la mia vita sarebbe andata avanti in quella direzione se non avessi cambiato registro. Sapevo che non avrei avuto soldi per diventare qualcuno, che sarei campato giorno per giorno, senza una famiglia, senza una vera vita. Quando uscii dalle lamiere contorte che erano state la mia povera Renault e mossi quei pochi passi incerti, prima di crollare nella pozzanghera alta un paio di centimetri e sentire l’acqua gelida entrare nel mio giubbotto, lì ebbi la più terribile delle illuminazioni. Ora però vi lascio, perchè anche se sono conscio del prezzo da pagare, da allora so perfettamente a cosa mi porta la mia natura. Tra poco il locale apre, la fila è lunga e ci sarà da fare. Metto i guanti, controllo la radio e vado. “Porta Nord Due, inizio servizio, passo” sibilo nel microfono. Mi risponde una scarica statica seguita dalla voce roca del caposervizio “Ricevuto Porta Nord Due, i cancelli aprono tra un minuto, buon lavoro”. Poi si accendono le luci, la grande porta si spalanca e la folla avanza.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                
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ohmygwenhwyfar · 4 years
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[ Il 15 luglio un gufo anonimo del servizio postale magico consegnerà a casa Delation una bustina bianca molto leggera, sul lato del destinatario compare solo la scritta "Per Tristan Delation", all'interno solo una polaroid di quelle babbane, quindi statica. ]
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[ Qualche giorno dopo un gufo altezzoso e dal becco particolarmente affilato recapiterà una busta chiara. Su di essa un 'Miss Guinevere Cadwalader' identifica il destinatario, mentre il piccolo appunto in basso a destra, quasi sul bordo della busta, la natura del pennuto. 'Morde.'. All'interno una sola polaroid. ]
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