Lei: Sei mai stato, per un attimo, felice con me?
Lui: Perché questa domanda?
Lei: Perché ti sento lontano, lontano da me. E scusami se sono un controsenso, un errore. Come vorrei fosse tutto diverso… Ti vorrei felice insieme a me!
Fa rabbia vedere quanto ti senti solo quando hai 100 persone intorno a te che ti vogliono bene ma quell'unica per cui andresti sulla luna nemmeno ti pensa.
sentirsi vicini a qualcuno, per me significa che sento su di me la responsabilità di quella persona, anche solo in piccolissima parte. Significa che voglio che tu sia felice con me, che tu ti senta libero con me, che tu possa piangere con me e ridere con me e fare qualsiasi cosa ti passi per la testa con me. Significa voler essere la causa del tuo sorriso e la consolazione in un momento difficile, maneggiare i tuoi sentimenti con cura, perché dei tuoi sentimenti m'importa, perché i tuoi sentimenti sono importanti. Significa che ti odio e che non ti sopporto, che ti vorrei il più lontano possibile, ma sempre e comunque abbastanza vicino per stare tranquilla che tu stia bene. Sentirsi emotivamente vicini a qualcuno significa, innanzitutto, che è quel qualcuno ad esserti vicino al cuore.
Sarebbe bello avere un amico di penna, qualcuno con cui scambiare pensieri senza sentirsi giudicato. Che sappia darti un spazio lontano dal mondo racchiuso in quei pochi versi buttati qua e la.
Un anno fa raccontavo ca**ate sul palco insieme a Pantanoemanuele e penso a quante cose sono cambiate in così poco tempo, mi ritrovo in una città nuova, lontano da amici e familiari con 40 kg in meno ad affrontare ciò che la vita mi sta buttando addosso. Avrei voluto fare il comico o il professore di storia, alla fine mi sono appassionato di grafica e social, per poi arrivare qui e fare tutt'altro. Torino mi piace, sia chiaro, ma è come sentirsi lontano dalle proprie radici.
Diicono che c'è ancora tempo, ma la realtà dei fatti è che mi sembra sempre di correre e non aver mai la possibilità di prender fiato. Sono felice della mia vita però mi guardo alle spalle e vedo tante occasioni perse, ma con l'idea che vorrei sentirmi sempre come su quel palco quel giorno. Spensierato, ma soprattutto me stesso.
Ci sono delle esperienze di relazione che non ci siamo mai concessi di vivere con onestà.
In particolare nella dimensione della coppia.
Memori di antiche sofferenze e tradimenti, la maggioranza delle relazioni ruotano intorno ad un senso di perenne "disillusione", mista ad aspettativa e controllo.
In quest'ottica "non è concesso sbagliare", allontanarsi dallo "schema madre", portare ad evoluzione le energie che vogliono trasformarsi. E neppure ripristinare le originali condizioni di connessione.
Non si riesce proprio a considerare la possibilità che ci si possa amare senza il doloroso bisogno di "controllare l'esperienza dell'altro".
Non si coltiva la fiducia reciproca. Né il confine sacro dei rispettivi spazi evolutivi.
Si controlla costantemente l'altro attraverso la sotterranea o manifesta svalutazione, il giudizio, la sottile imputazione della colpevolezza: "Io sto male perché tu non mi vedi, non ti curi di me, non mi sostieni, non mi ami abbastanza".
O al contrario: "Mi stai troppo addosso. Mi togli l'aria".
O ancor peggio: "Io vedo ciò che mi interessa vedere. Io amo il mio bisogno, non la tua essenza",
Tutto ruota intorno a modelli idealizzati, derealizzati, finti, recitati e definitivamente lontani dalla realtà delle cose.
Quante fratture crea la disfunzione di comunicazione! Quanti traumi irrisolti nella sfera emotiva! Quante incomprensioni e accuse!
Amare è un atto di pura accoglienza.
Ed è una profonda scelta d'Anima e di Cuore.
Si ama cio che è. Non ciò che vorremmo che fosse.
Ed è umanamente complesso.
Perchè ci hanno ingabbiato nell'aspettativa del "per sempre", nella vergogna del tradimento, nella favola della principessa salvata dal principe, nella triste e depauperante sensazione che evolvere e lasciare andare una relazione sia un atto di feroce e crudele disamore.
Evolvere è fondamento della natura umana. Cambiare, crescere, scoprire nuove parti di noi stessi, manifestare nuovi desideri.
Non tutte le relazioni debbono forzatamente durare "per sempre".
L'Amore dura per sempre. Non la relazione.
E l'Amore sente sempre quando il compito evolutivo condiviso è concluso.
Quando è necessaria una separazione per poter permettere ad entrambi una nuova esperienza di se stessi.
Il "per sempre" è nel Cuore.
Se hai amato veramente qualcuno, seppur la relazione fosse minata dalla classica dinamica distruttiva e disfunzionale, quella memoria affettiva ed emozionale non morirà mai.
Perché amare è un atto interiore potente e personale, non appartiene all'altro. Ma a noi stessi.
E come tale ritorna sempre a chi l'ha generato. Sempre.
Perciò lasciate che tutto si rompa quando è destinato a concludersi, quando l'esperienza ha esaurito la sua funzione.
Non è negando l'Amore che si passa oltre, ma riconoscendo la fine di un viaggio insieme.
Ciascuno dovrebbe benedire la strada che l'altro ha scelto di percorrere lontano da noi.
E riempire d'amore e di curiosità la propria.
Ci sarà un momento in cui le Anime si re-incontreranno e si inchineranno l'una all'altra, come segno di rispetto e di devozione reciproca all'altrui spazio evolutivo. Senza giudizio, senza rancore, senza recriminazione. Con Amore, Riconoscimento e tanta tanta Gratitudine per l'esperienza condivisa.
Forse non subito. Non adesso.
Ma accadrà.
Perché non siamo qui per soffrire o per sacrificare i nostri Doni alla gabbia sistemica.
Siamo qui per manifestare la nostra Bellezza.
Per risplendere dei nostri Doni.
Per sperimentare attraverso l'Altro la nostra crescita ed evoluzione.
Per spronare chi amiamo a sentirsi libero di vivere, di sperimentare, di espandere il proprio sogno interiore.
Non certo prigioniero e costretto ad asservirsi alla nostra Ferita.
A quella ci pensiamo noi. Siamo adulti.
In una reciprocità che non ricatta, non sminuisce, non spegne il fuoco interiore.
Pulcinella era la marionetta più irrequieta di tutto il vecchio teatrino. Aveva sempre da protestare, o perché all'ora della recita avrebbe preferito andare a spasso, o perché il burattinaio gli assegnava una parte buffa, mentre lui avrebbe preferito una parte drammatica.
- Un giorno o l'altro, - egli confidava ad Arlecchino, - taglio la corda. E così fece, ma non fu di giorno. Una notte egli riuscì a impadronirsi di un paio di forbici dimenticate dal burattinaio, tagliò uno dopo l'altro i fili che gli legavano la testa, le mani e i piedi, e propose ad Arlecchino:
- Vieni con me.
Arlecchino non voleva saperne di separarsi da Colombina, ma Pulcinella non aveva intenzione di portarsi dietro anche quella smorfiosa, che in teatro gli aveva giocato centomila tiri.
- Andrò da solo, - decise. Si gettò coraggiosamente a terra e via, gambe in spalla.
«Che bellezza, - pensava correndo, - non sentirsi più tirare da tutte le parti da quei maledetti fili. Che bellezza mettere il piede proprio nel punto dove si vuole».
Il mondo, per una marionetta solitaria, è grande e terribile, e abitato, specialmente di notte, da gatti feroci, pronti a scambiare qualsiasi cosa che fugge per un topo cui dare la caccia. Pulcinella riuscì a convincere i gatti che avevano a che fare con un vero artista, ma ad ogni buon conto si rifugiò in un giardino, si acquattò contro un muricciolo e si addormentò.
Allo spuntare del sole si destò e aveva fame. Ma intorno a lui, a perdita d'occhio, non c'erano che garofani, tulipani, zinnie e ortensie.
- Pazienza, - si disse Pulcinella e colto un garofano cominciò a mordicchiarne i petali con una certa diffidenza. Non era come mangiare una bistecca ai ferri o un filetto di pesce persico: i fiori hanno molto profumo e poco sapore. Ma a Pulcinella quello parve il sapore della libertà, e al secondo boccone era sicuro di non aver mai gustato cibo più delizioso. Decise di rimanere per sempre in quel giardino, e così fece. Dormiva al riparo di una grande magnolia le cui dure foglie non temevano pioggia né grandine e si nutriva di fiori: oggi un garofano, domani una rosa. Pulcinella sognava montagne di spaghetti e pianure di mozzarella, ma non si arrendeva. Era diventato secco secco, ma così profumato che qualche volta le api si posavano su di lui per suggere il nettare, e si allontanavano deluse solo dopo aver tentato invano di affondare il pungiglione nella sua testa di legno.
Venne l'inverno, il giardino sfiorito aspettava la prima neve e la povera marionetta non aveva più nulla da mangiare. Non dite che avrebbe potuto riprendere il viaggio: le sue povere gambe di legno non lo avrebbero portato lontano.
«Pazienza, - si disse Pulcinella, - morirò qui. Non è un brutto posto per morire. Inoltre, morirò libero: nessuno potrà più legare un filo alla mia testa, per farmi dire di sì o di no».
La prima neve lo seppellì sotto una morbida coperta bianca.
In primavera, proprio in quel punto, crebbe un garofano. Sottoterra, calmo e felice, Pulcinella pensava: «Ecco, sulla mia testa è cresciuto un fiore. C'è qualcuno più felice di me?»
Ma non era morto, perché le marionette di legno non possono morire. È ancora là sotto e nessuna lo sa. Se sarete voi a trovarlo, non attaccategli un filo in testa: ai re e alle regine del teatrino quel filo non dà fastidio, ma lui non lo può proprio soffrire.
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Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi (collana Gli struzzi n°14), 1973⁷; pp. 107-108.
[Prima edizione: 1962]
La maturità mi ha portato a capire che non posso decidere di allontanare la tristezza derivante da problemi gravi o malattie. La vita mi ha schiaffeggiato senza pietà e senza tenere conto della mia sensibilità , del mio poter reggere o meno le situazioni. Arrivavano problemi gravi e li dovevo gestire.
Poi è arrivata la solitudine reale, cioè l’assenza di persone al mio fianco, la perdita delle persone care, il tradimento di chi doveva restarmi accanto come recitava nelle commedie destinate a più donne. Ma Esser soli non è sentirsi soli.
Preferisco l’assenza di persone a presenze cui non risulto gradita o che non gradisco io.
Voglio e posso decidere di cosa e di chi deve essere fatta la mia serenità.
Non sono più disposta a subire cattiverie gratuite o ghigni, ho imparato a destreggiarmi togliendomi dalle situazioni inutili.
Conosco la mia anima e non so mai anticipare le miserie degli altri, non so riconoscere le falsità e devo stare al gioco, ma sono diventata capace di svanire e sperare che la mia presenza sia sostituita dal peggio, o dal male che non ho mai commesso. Poi il tempo che mi rimane è poco e devo finire di conoscere chi sono diventata piuttosto che cercare affetto , comprensione o amicizia in chi è lontano dal mio modo di essere e concepire la vita. Non mi piacciono le apparenze ma la sincerità e la buona fede.
E poi ti rendi conto che ne vale sempre la pena. Nonostante le lacrime, lo sconforto, i mal di stomaco e i mal di testa, gli occhi gonfi e la voglia di scappare lontano, via da tutto, ne vale sempre la pena.
Perché quando si ha l'anima buona, il cuore pieno di amore da dare, si fa sempre del bene senza voler ricevere nulla in cambio. E il sentirsi bene con la coscienza pulita e limpida, ripaga ogni dolore, ogni mancanza, oggi allontanamento e ogni addio.
E nonostante i denti stretti, la solitudine e le carezze mancate, io, Donna, mi ci sento fin dentro l'anima.
"...si accese un'altra sigaretta e guardando le volute di fumo perdersi nella notte calda pensò a quanto gli fosse mancata quella voce. Per tutta la giornata aveva cercato di tenere lontano quel pensiero ma ora, in un momento senza tempo, il suo viso aveva preso il sopravvento sulla ragione. Un brivido di piacere le percorse il corpo...avrebbe voluto sentire il suo profumo, avrebbe voluto accarezzare la sua pelle...avrebbe voluto sentirsi ancora sua...."