Sempre attuale
Mi ci sono voluti giorni per poter riuscire a scrivere qualcosa che ti riguardasse perché la mia indole competitiva ancora non riesce ad ammettere di aver perso, ci ho provato fino in fondo ad adattarmi, a non pensarci, a non pensarti. Ma eri sempre lì che mi impedivi l'ultimo respiro, l'ultimo passo, l’ultima scelta. Prima della fine c'eri sempre tu, il tuo sguardo cupo, la tua cinica risata che mi gridava di riprovarci, che ne valesse la pena ed io dovevo tornare indietro per andare avanti, dovevo tenderti la mano un’ultima volta. Dovevo provare a salvarci per l'ultima volta.
Ora lo so che non ci sarà un prossimo tentativo, era l’ultima occasione persino per me che non mi arrendo mai. Mi hai lasciata senza speranze e senza forze, ed adesso non so se ho più paura di vederti di nuovo o di non vederti più, ecco perché, come una codarda, evito di scegliere, così tutto resta possibile.. e mi aggrappo all’ultimo gesto che mi è rimasto da provare: questa lettera.
Se ultimamente sono in silenzio non è perché non ho niente da dirti ma perché ho già detto tutto e non sono stata ascoltata.. quindi ho pensato che mettendo nero su bianco i miei pensieri ed i miei sentimenti, questi evitino di sfuggirti ancora.
Mi manca l’idea che mi ero fatta di te, quando sentivo che mi avresti capita ed invece ora ho perso anche la speranza di riprovarci.. con il tempo mi hai insegnato a smettere di crederci.
In questi anni ho capito più di quanto ci fosse da capire ed avrei preferito vivere di ipotesi.. perché se adesso potessi leggere la mia mente saresti in lacrime come me.
In questi stessi anni ho mentito a me stessa, ti ho giustificato e difeso perché per me ne valeva la pena provarci, riprovarci. Ho forzato conversazioni, discussioni, chiarimenti, attenzioni, ed ho messo in gioco anche l’ultimo frammento di cuore.
Ma tutto ha un limite ed adesso mi rendo conto di non avere più rispetto per me.
Le tue parole ed i tuoi non gesti mi hanno distrutta da dentro, mi sono sentita un peso, inadatta, mi sono sentita di non meritarti e non lo augurerei neanche al mio peggior nemico. Ed ancora non riesco a capire come tu faccia ad amarmi ed allo stesso tempo a farmi sentire così.
Ho lasciato che tu fossi troppo importante così da abbandonare la mia vita, mi sono calpestata da sola. E non ti addosso tutta la colpa, perché sono stata io a non reagire.. ho accettato tutto pur di non rimanere senza di te.
Ho richiesto il tempo e l’amore quando non dovrebbero essere pretesi, l’amore ti sceglie da subito e si dona spontaneamente.
Per non perderti mi ritrovo sempre ad accontentarmi di essere l’alternativa e non la scelta. Mi sono ritrovata a lottare con le unghie e con i denti una battaglia che non ha motivo di esistere perché l’amore non dovrebbe avere competizioni che tengano. Mi sono messa da parte per troppo a lungo per dar spazio alla tua felicità. Ma con il tempo, le paranoie diventano reali e mi chiedo se la tua massima felicità non dovrei essere io e poi ancora mi chiedo perché tu non tenga alla mia, di felicità, quando io per vederti sorridere faccio l’impossibile, persino rinunciare a me stessa.
Io davvero ce l’ho messa tutta ma alla fine crollo emotivamente e mi comincio a chiedere se ne valga la pena.
La mia vita è in funzione della tua, il mio obiettivo al mattino è quello di farti stare bene, mi muovo in base alle tue necessità, ma poi alle mie chi ci pensa? Quando ne ho bisogno chi c’è? Perché quando sto male ho ancora dubbi su chi poter contare? A questo punto della mia vita ho bisogno di un amore che mi dia risposte, non problemi..sicurezza e fiducia e non dubbi e paranoie. Ho bisogno di una persona che insista, che non molli, che non si spaventi di una piccola discussione costruttiva, che mi tenga stretta e non mi faccia scivolare dalle sue braccia, che non mi faccia elemosinare l’amore, che non cerchi giustificazioni. Ho bisogno di un amore che non mi dia per scontata, che sia pronto a stupirmi ogni giorno ogni minuto, che si comporti semplicemente da persona innamorata, che mi dia ciò che io darei a lui, che mi dia ciò che una ragazza comune si aspetta: delle semplici attenzioni, delle semplici dimostrazioni. Perché chi ti considera davvero importante lo fa, arriva da te in tempo non quando ha tempo, perché poi troppa attesa fa passare la voglia di crederci.
E fidati che se vuoi veramente qualcosa trovi il modo, se non vuoi veramente, non farai altro che cercare una scusa.
Non basta più dire "ti amo" perché sia vero, non basta più l’amore per tenerci uniti.. Io voglio essere felice, non voglio più accontentarmi..serve esserci, servono le parole giuste. Non basta dire "ti amo", servono i gesti, saper cercare e poi trovare, saper raggiungere chi diciamo di amare anche quando non vuole farsi trovare, l’orgoglio è una valvola che metti sul cuore e ferma l’amore.
E poi servono le mani e servono pronte a curare, a salvare, serve avere voglia di ascoltare, di capire, serve saperci fare con le incertezze, serve correre, se necessario, anche quando siamo impegnati a fare altro.
Non puoi pretendere di dire "ti amo" e poi pensare che il tuo amore non possa mai esser messo in discussione, due ore forzate al giorno non bastano, in confronto alle altre 22 in cui ti penso e ti desidero, voglio la certezza di essere desiderata sempre, voglio la tua presenza quando ne ho bisogno non solo quando ne hai bisogno tu.
Non basta dire "ti amo", serve dimostrarlo perché diventi vero.
Se sono ancora qui, nonostante tutto, è perché io ci tengo davvero alla nostra storia perché io in quelle due dannatissime ore sto bene, ma non vorrei pormi dei limiti, sono in grado di dare molto di più, ho ancora altre canzoni da cantarti mentre ti accarezzo i capelli, ma tu continui a frenarmi e la complicità di quelle due ore non basta per trattenermi, non è mai bastata.
Io così non riesco più ad andare avanti, mi rifiuto di dover vivere per aspettare quel briciolo di attenzione che mi riservi, mi hai deluso ogni volta che ne hai avuto l’opportunità, con le parole dopo una discussione, con delle dimostrazioni di menefreghismo o semplicemente mettendomi tra le ultime priorità... ed io non ho più le forze di far finta di niente.
Io esisto oltre te, oltre noi, oltre la nostra bolla silenziosa. Senza te ce la farei. Non mi servi per sentirmi bene con me stessa e tantomeno per trarre coraggio dalle tue mani. Per darmi forza mi basto io, non ho bisogno di qualcuno che mi tiri su. Mi basta contare fino a dieci, risanare mentalmente le ferite del mio animo e tornare in campo più combattiva di prima, e lo capisco ogni volta che ne ho bisogno e non ci sei.
Non mi servi per proteggermi, sono nata donna ma non debole, bisognosa, costantemente alla ricerca di qualcuno che la salvi.
Senza te me la caverei, ma non sono felice. C'è un sottile velo che divide il benessere e lo stato parziale o totale di felicità. Non ho bisogno di te per essere salvata, sollevata o difesa dai dolori fisici e psichici. Sei semplicemente la persona con la quale ho scelto di dividere il tempo che mi è stato messo a disposizione e non ho intenzione di gettarti al collo zavorre che dovrei indossare io, lasciarti combattere le mie battaglie. Scelgo te non come mio giardiniere, ma come ascoltatore, che nelle sere più nere di altre, nelle giornate più piovose e grandinose, nelle tristezze, mi concede l'arte di essere fragile.
Senza te starei anche bene, ma sarei ignorante ad ogni brivido di felicità.
Ma oggi, davanti a questo amore deserto, io non vivo più quei brividi.. sono arrivata ad un punto in cui andarmene o rimanere mi fa lo stesso effetto perché soffrirei in entrambi i casi. Sono arrivata esattamente al punto in cui nessuno si vorrebbe mai trovare, al punto di indifferenza davanti ad un amore sfrenato. È una bomba che in un modo o nell’altro scoppia e mi ferisce. Io non ho più voce in capitolo, ogni mio passo verso di te è inutile ed ogni mio passo in fuga da te è irrilevante, ed in ogni caso ho osservato il tuo atteggiamento ed è impercettibile, anche tu in un modo o nell’altro non ti smuovi, e questa tua immobilità, forse dettata dall’orgoglio, è la conferma del degrado di questa
storia perché è una forma di menefreghismo che lascia ogni cosa così com’è e da delle risposte chiare e precise.
Questa è la conseguenza del fatto che io per te sia scontata e la colpa è la mia che ho perdonato sempre, ho forzato sempre ho investito troppo ed è così che hai cominciato a perdermi, ed è così che mi sono illusa di aspettarmi da te ciò che ti avrei dato io. Avrei dovuto far si che la relazione facesse il suo corso, che succedesse. Ma io non volevo che andasse a finire male e ho cercato incessantemente di cambiare il finale inevitabile.
Ma oggi la mia stanchezza, ancora una volta, supera di gran lunga l’amore, la felicità breve, i ricordi ed il tuo sguardo..perché a certe cose non mi abituerò mai, ed è meglio così.
Mi sento costretta ad agire come se non me ne importasse niente, anche se mi importa tanto.
In questo momento io pongo fine alle mie azioni, mi lascio andare e non lo faccio per me, lo faccio per noi, perché la nostra relazione non può continuare così, le mie scelte fin ora sono state nocive, allora smetto di scegliere, smetto di agire.
Avrò ancora e sempre il batticuore quando sarai nei dintorni, sotto casa tua, e non spererò.. ma ti starò sempre cercando... con l’unica differenza che questa volta non ti troverò, per il mio stesso volere.
Ho smesso di cambiare chi non vuole farlo, non mi aspetto più nulla.. neanche di essere felice perché quando lo sono mi manca quello che dovremmo essere, ma non saremo mai.
Ho smesso di lottare.. c’è un tempo per insistere ed un tempo per lasciar scorrere, ed io ho trovato il coraggio di fermarmi e fare un unico passo indietro.
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Loving him was easier than anything I'll ever do again
Chi non muore si rivede e infatti eccomi qua. Grazie a tuttx per l'amore che lasciate sotto le mie ff. <3
Prompt: Simone chiede a Manuel di fingersi il suo ragazzo per scollarsi uno che continua a provarci, ma alla fine non devono fingere neanche troppo.
Simone non è mai stato l’anima della festa. Può contare le feste a cui è stato sulle dita di una mano. Le Feste con la F maiuscola, quelle nei locali in cui ti lasciano il timbro sul polso prima di entrare e ti offrono un drink gratuito, quelle dove ci sono i divanetti e le piste da ballo gremite di gente sudata che balla, quelle dove alla fine, non si sa come, finisci per paccarti qualcuno che a malapena conosci.
Ecco, a Simone quello non capita di frequente, però ricorda i racconti dei suoi compagni di classe, come si vantassero di essersi fatti così tante ragazze in un'unica sera da non ricordare neanche i vari volti. A Simone non è mai sembrato particolarmente allettante, non capiva cosa ci fosse di così entusiasmante nell’accumulare baci insignificanti come fossero trofei.
L’unica persona che Simone abbia mai voluto baciare ad una festa è Manuel. E forse Laura, ma Laura non conta davvero. Non che Laura non sia importante a modo suo, ma Simone pensa di rado a quei momenti di intimità che l’hanno sempre messo un po’ a disagio.
Ai momenti di intimità con Manuel, invece, ci penserebbe di continuo, se solo ci fossero. Ed effettivamente, i suoi ormoni adolescenziali non gli fanno dimenticare con facilità cosa il suo corpo sia in grado di fargli provare quando sono le mani giuste a sfiorarlo. Quando sono mani dalla carnagione olivastra, dal dorso tanto liscio quanto sono callosi i polpastrelli; mani più piccole delle sue, ma forti e svelte. Mani che ha visto tremare, mani che ha visto sporche di grasso, mani che l’hanno abbracciato, sostenuto, accarezzato e toccato dove solo i suoi sogni potevano arrivare.
La verità è che Simone ci pensa spesso, alle mani di Manuel. Le immagina inanellate, lui che non ha mai avuto una grande passione per i gioielli. Immagina di sfilargli piano un anello e giocarci, provandolo sulle proprie dita nodose finché non trova quello in cui sta alla perfezione. Gli sventolerebbe la mano davanti alla faccia con un sorriso sornione, cantilenando sta meglio a me che a te, e Manuel farebbe spallucce disinteressato, dicendogli di tenerlo pure, se proprio ci tiene. E Simone ci terrebbe eccome. Però Manuel non ha anelli, e Simone non sa se sia il tipo da portarne.
Quindi, se c’è una persona che Simone bacerebbe ad una festa – di nuovo – è Manuel, nonostante abbia passato mesi a cercare di mettere da parte quei sentimenti e vederlo sotto una luce diversa, ovviamente fallendo miseramente, come testimoniano i pensieri che continuano a rimbalzargli da un emisfero all’altro del cervello. Tipo che bacerebbe volentieri non solo Manuel, ma anche le sue mani. E no, non come i mafiosi o come i fedeli in piazza San Pietro con il papa. Semplicemente, a volte Simone non riesce a togliersele dalla testa, insieme a tutte quelle piccole cose che riguardano Manuel, Manuel e ancora Manuel.
Ed è per questo che quella sera, appoggiato al bancone del locale in cui stanno festeggiando il compleanno di Monica, un drink in una mano e l’altra penzoloni accanto a Manuel, non ci pensa due volte prima di afferrargli le dita in una stretta impacciata, avvicinandolo a sé.
È tardi, eppure sono tutti ancora tremendamente allegri ed energici, e forse hanno bevuto un po’ troppo, come a tutte le feste, ma non tanto da stare male, non tanto da non capire cosa stia succedendo e risvegliarsi il giorno seguente con un gran mal di testa e nessun ricordo della notte passata.
“Che cazzo fai?” sibila Manuel.
Non alza la voce e Simone gliene è grato. Dà uno strattone per liberare le dita dalla sua presa, ma Simone stringe più forte, sistemandosi in modo che tutta la sua mano circondi quella di Manuel, morbida e un po’ sudata. Manuel si guarda attorno per controllare che non ci sia nessuno nei paraggi.
“Simo’, che cazzo fai?” ripete, ma non c’è traccia di rabbia nella sua voce.
Simone lo guarda con gli occhi grandi e allarmati, piega le sopracciglia in una preghiera silenziosa, e Manuel sente ogni goccia di alcol fuoriuscire dal suo sistema. Non si è mai sentito tanto sobrio in vita sua.
“Ti prego, sta’ al gioco,” sussurra Simone, e si morde il labbro con nervosismo, torturandosi una pellicina.
Manuel non fa in tempo a chiedergli a cosa si riferisca, che un ragazzo sorridente e decisamente brillo si avvicina a loro, urlando il nome di Simone con entusiasmo. È basso, ha gli occhi così scuri che è impossibile distinguere la pupilla dall’iride, e i capelli biondo ossigenato tirati indietro col gel.
Manuel sposta lo sguardo da lui a Simone, le sopracciglia corrugate e le labbra arricciate in una posa di fastidio che non riesce proprio a nascondere.
“Ciao Alberto,” dice Simone mostrando il sorriso più falso che Manuel gli abbia mai visto.
Sente la mano di Simone stringere un po’ più forte la sua, sente ogni singolo dito avvolgere il suo palmo, saldo e bollente, sente l’indice picchiettare nervosamente sulla sua pelle. D’istinto, Manuel accarezza il dorso della sua mano con il pollice, lentamente, quasi senza accorgersene. Si accorge però di come Simone si rilassi istantaneamente, vede il suo petto abbassarsi in un respiro profondo che forse stava trattenendo, sente il braccio di Simone premere contro il suo con più naturalezza, meno rigidità.
“Simone!” urla Alberto con l’enfasi di chi ha bevuto qualche bicchiere di troppo. “Cazzo, Simone, ciao! Ci continuiamo a incontrare, eh?”
La voce di Alberto è pungente, penetra indesiderata nelle orecchie di Manuel, acuta e fastidiosa come il fischietto del loro insegnante di ginnastica. Strascica le parole, pronunciando ogni sillaba lentamente, allungando le vocali. A Manuel dà già sui nervi.
Simone continua a sorridere con quel sorriso di circostanza che non raggiunge gli occhi, e sposta il peso da una gamba all’altra, come se non aspettasse altro che fuggire.
“Già,” dice solamente, e a Manuel verrebbe da ridere per la sua goffaggine se non fosse troppo impegnato a scrutare quell’Alberto in ogni suo particolare, a chiedersi chi sia, da dove diamine spunti e cosa voglia da Simone.
Alberto ride come se Simone avesse detto la cosa più divertente del mondo, e si avvicina per tirargli una pacca sulla spalla, facendolo barcollare.
“Che ci fai qui?”
“Sai, la festa di Monica…” risponde Simone, la voce monotona di chi non vede l’ora di terminare la conversazione.
Alberto sussulta come se si fosse ricordato solo in quel momento dove si trovasse. “Cazzo, Monica! Non le ho fatto gli auguri!” esclama.
Simone ridacchia imbarazzato. “Puoi sempre andare ora.”
Alberto scuote la testa con energia. “No, adesso sto qui con te!”
Poi guarda Manuel, come se l’avesse notato solo in quel momento. “E questo chi è?” urla indicandolo con un cenno del capo.
Simone lancia un’occhiata nervosa a Manuel.
“Ma chi è ‘sto cojone?” borbotta Manuel senza preoccuparsi di essere sentito.
“Piacere, Alberto!” risponde quello tendendogli la mano, il sorriso di chi è troppo ubriaco per capire di essere appena stato insultato. “Io e Simone siamo graaandi amici!”
Manuel alza un sopracciglio poco convinto e guarda Simone aspettando una spiegazione.
Simone sospira. “Poi ti spiego.”
“In realtà me lo vorrei fare, però non dirglielo,” dice Alberto avvicinandosi a Manuel, come se gli stesse rivelando un segreto. Cerca di sussurrare, ma finisce per parlare con la solita voce squillante.
La stretta di Manuel si fa più intensa intorno alla mano di Simone. Non risponde, e con la coda dell'occhio vede Simone arrossire.
Poi Alberto si rivolge di nuovo a Simone, con quell'aria sorridente e ubriaca fradicia.
“Ci beviamo qualcosa?” gli chiede, e Simone sente Manuel far schioccare infastidito la lingua contro il palato.
“Ecco, veramente… sono qui con il mio... ragazzo,” dice Simone cercando di nascondere il tremore nella voce, ma questa si incrina proprio sull’ultima parola.
Gli suda la mano e spera solo che Manuel non la ritragga all’improvviso. Invece Manuel sussulta, Simone lo sente inspirare sorpreso, ma non allenta la presa.
Col fiato corto e il cuore che batte più velocemente di Gianni Morandi che va a trovar la bimba sua, Simone aspetta che qualcuno parli, che quell’alone di sgomento si diradi, lasciandoli riprendere fiato.
La bocca di Alberto si schiude in un’espressione stupita, sbatte gli occhi rapidamente, solleva comicamente le sopracciglia. Cerca di parlare, ma boccheggia.
“Beh, non c’è bisogno che lui lo sappia,” mormora alla fine con una voce che dovrebbe essere suadente, ma che risulta pateticamente brilla.
Simone resiste all’impulso di alzare gli occhi al cielo e sbuffare. Sente Manuel fremere accanto a sé, e sa che la sua pazienza ha un limite.
“Senti,” dice infatti Manuel avvicinandosi a lui. “Te sto chiedendo de annartene in maniera educata, ma se mo non te levi dal cazzo giuro che t’allontano io con le mie mani.”
Alberto lo guarda confuso. Lo squadra per un attimo, facendosi aria con i lembi della camicia, i primi bottoni aperti. Lo scruta con gli occhi socchiusi, come se stesse cercando di metterlo a fuoco, con l’espressione un po’ persa di chi sta cercando tutti i puntini della Settimana Enigmistica da collegare tra loro.
Poi spalanca gli occhi, come se finalmente avesse capito. “Ma saresti tu il suo ragazzo?”
Manuel ha la tentazione di tirargli una capocciata. “Sì,” risponde a denti stretti.
“Sì va beh, non ci credo che te sei gay,” dice Alberto ridendo.
“Forse te conviene farte un po’ meno i cazzi degli altri, che dici?” esclama Manuel, e abbandona la mano di Simone per dargli una spinta.
“Cristo, Manuel,” sospira Simone prendendolo per le spalle.
“Famo che non rompi er cazzo al mio ragazzo e te levi dalle palle, eh?” dice Manuel ignorando Simone, resistendo all’impulso di dare un pugno ad Alberto quando questo gli mostra il dito medio.
Alberto se ne va e la musica attorno a loro continua a suonare, alta e incurante di quanto successo, rimbombando nelle loro orecchie e dando un ritmo al battito dei loro cuori.
“Ma Martin Garrix va ancora de moda?” dice Manuel dopo un po’ per stemperare la tensione che si è improvvisamente creata tra loro, mentre il remix di una canzone di cui non ricorda il titolo gli risuona in testa.
Simone lo guarda, mordendosi l’interno della guancia, pregando che Manuel non gli si scagli contro. Poi vede il suo sguardo benevolo, quel sorriso appena accennato sulle labbra, la posa un po' rigida contro il bancone del bar, e scoppia a ridere. Una risata piena, di quelle che ti fanno buttare indietro la testa, ti fanno venire le lacrime agli occhi e male alla pancia.
Simone ride e Manuel lo imita, ma si perde a guardare gli occhi chiusi di Simone e le rughe che si formano ai lati, guarda le sue fossette e il modo in cui arriccia il naso mentre cerca di riprendere fiato. E pensa che è proprio bello, con quella camicia blu leggermente sbottonata e le goccioline di sudore che gli imperlano il collo. Pensa che gli piace tenergli la mano e stare pressato contro di lui, e gli piace difenderlo almeno tanto quanto gli piace prenderlo in giro quando sono soli.
E mentre lo sguardo di Manuel segue il profilo del suo naso, immaginando di tracciarlo con le dita, il suo cuore perde un battito, e lo sente pompare il sangue frettolosamente, riscaldandogli le vene di audacia.
“Quindi io sarei il ragazzo tuo?” chiede allora con un sorrisetto.
Simone alza gli occhi al cielo senza guardarlo. “Era solo per levarmi quello di torno,” borbotta.
“Ma chi era?”
“Un mio compagno delle medie. L’ho beccato qualche giorno fa in giro, e a quanto pare è amico di Monica.”
“E perché ti sta così addosso?”
Simone sorride. “Che c’è, sei geloso?” chiede ironicamente.
Manuel gli dà una spallata. Forse un po’, pensa, ma non lo dice perché sa cosa implicherebbe, sa cosa significherebbe per Simone, e non sa se è pronto a quello che verrebbe dopo. Anche se sa di volerlo. Anche se lo sa da mesi.
“Mi sa che Monica gli ha detto qualcosa. Tipo che sono gay, o cose così. Non sapevo lo fosse anche lui.”
Manuel annuisce. “Ma ‘n te interessa, no?”
Simone ride. “Ho fatto finta di stare co’ te per mandarlo via, direi di no.”
“Meglio così,” bofonchia Manuel.
“Ah sì? E a te che te frega?” chiede Simone curioso, dando un’altra spallata a Manuel.
“Beh, so’ il tuo ragazzo, me preoccupo della gente che vedi,” risponde, e la sua testa sa che stanno solo scherzando, ma il suo corpo non è d’accordo, e le sole parole gli fanno stringere lo stomaco.
“Premuroso da parte tua,” dice Simone con un sorriso, ed è strano riuscire a scherzare così su una cosa che gli fa tanto male. Su una cosa che vuole così tanto ma che non potrà mai avere.
“Scusa se t’ho messo in una situazione scomoda,” dice poi. “Ma quello continua a scrivermi pure su Instagram e non sapevo che fare.”
Manuel scrolla le spalle. “Non m’ha dato fastidio.”
“Okay,” dice Simone.
“Okay,” risponde Manuel.
“Quindi stiamo insieme?” continua Manuel dopo un po’, e Simone quasi si strozza col suo drink. “Voglio di’, se me becca pe’ strada e me riconosce, glie devo di’ che stiamo insieme?”
Simone tossisce e Manuel gli dà qualche colpetto sulla schiena, e Dio, che voglia incredibile che ha di scappare, perché Dio lo sta senz’altro prendendo in giro, è tutta una grande farsa architettata per vedere quanto sia in grado di resistere senza fare altre cazzate imperdonabili. Poco, probabilmente.
“Sì, cioè, se vuoi, nel senso, non per forza, ma se lo incontri e te lo chiede, però pure no, voglio dire-”
“Non se capisce ‘n cazzo de quello che stai a di’,” lo interrompe Manuel ridendo. “Fatte ‘na canna, Simo’, che me pari agitato.”
Simone beve un altro po’ del suo drink e spera solo di tornare a casa presto, mentre sente la mano pizzicare al ricordo delle dita roventi di Manuel tra le sue.
E se quella sera credeva che l’universo si stesse facendo beffe di lui, qualche giorno dopo ne ha l’assoluta certezza, e vorrebbe solo scalare l’Everest e urlare fortissimo sperando di essere fulminato da Zeus, o in alternativa buttarsi di testa senza imbracatura e vedere che succede.
Perché qualche giorno dopo è in giro con Manuel, e non sanno neanche loro dove stiano andando di preciso o perché stiano bighellonando in centro a Roma, ma è primavera e il sole è tiepido ed è domenica pomeriggio, e Simone crede di non essersi mai sentito così in pace. Finché non vede una figura familiare dai capelli biondo ossigenato poco distante da loro.
“Cazzo,” mormora, e tiene lo sguardo piantato a terra facendo finta di niente, sperando che Alberto non lo noti, che non vada a parlare con lui.
“Che c’hai?” chiede Manuel, piegandosi per cercare il suo sguardo.
Sono seduti sul muretto di un’aiuola, Simone che strappa fili d’erba intrecciandoli tra loro, Manuel che scrolla annoiato su Instagram mostrandogli qualche post divertente di tanto in tanto. Sono seduti vicini, ma non abbastanza da toccarsi.
“Alberto a ore due,” risponde Simone a denti stretti, e Manuel si guarda attorno confuso.
“Simo’, non l’ho mai capita ‘sta cosa delle ore, ma ‘ndo sta?”
“Di là,” dice Simone indicando a destra con un cenno del capo.
Ed è eccolo lì, i capelli a tendina che gli ricadono soffici ai lati della fronte, maglietta grigia e giacca di pelle nera, sigaretta tra le dita. Sembra terribilmente calmo, a tratti misterioso, così diverso dalla persona dalla voce squillante che li ha importunati qualche giorno prima.
Manuel sospira, e prima che Simone possa parlare di nuovo, si avvicina a lui e gli circonda la vita con le braccia, posando la testa sulla sua spalla e continuando a guardare il telefono con aria indifferente, come se nulla fosse, come se toccarlo fosse un dovere e non un istinto che emerge ogni volta che gli è vicino, e che cerca di reprimere per non ficcarsi in casini che non riuscirebbe a gestire.
“Ma che fai?” chiede Simone in un sussurro, e i battiti del suo cuore quasi coprono la risposta di Manuel.
“Hai iniziato te co’ sta storia, Simo’, mo stacce.”
Tiene una mano sullo stomaco di Simone, le dita che giocano con la sua maglietta leggera. Simone trattiene il fiato ogni volta che la mano di Manuel gli solletica la pelle, sente il calore dei suoi polpastrelli attraverso quel sottile strato di stoffa, e nella sua mente c’è solo foschia mentre cerca di ricordarsi che non è reale, che è solo uno spettacolo per Alberto, una farsa che avrà vita breve. Ma se continua a trattenere il respiro così, anche Simone avrà vita breve.
“Non c’è bisogno che tu lo faccia.”
Manuel sorride. “So’ il tuo ragazzo o no, Simo’? Guarda che nun me dà fastidio toccarte, eh.”
E a me non dà fastidio che me tocchi, vorrebbe rispondere Simone. Se chiude gli occhi e isola i rumori della città – i passi della gente attorno a lui, le loro voci che si accavallano, una moto che sgomma – gli sembra quasi di essere in camera sua, sul suo letto, tra quelle mura famigliari e un paio di braccia che lo stringono lontano dagli occhi di tutti solo perché vogliono farlo.
Apre gli occhi, vede che Alberto è più vicino e li ha notati, li sta guardando con quell’espressione un po’ triste e un po’ rassegnata che Simone ha già visto tante volte allo specchio, e per un attimo pensa che potrebbe provarci, che dopotutto non sarebbe un male cercare l’amore in altre persone.
Ma poi sente il naso di Manuel che gli solletica il collo. Ha messo da parte il telefono e se ne sta lì, gli occhi chiusi e l’espressione beata, e forse anche lui sta ignorando il posto in cui si trovano, fingendo di non sentire ciò che li circonda, fingendo che siano solo loro due e che questa non sia una stupida pantomima.
Simone sorride e passa la mano tra i capelli di Manuel senza pensarci, dolce e delicato come solo un ragazzo innamorato sa essere.
“Che fai?” borbotta Manuel.
Simone arrossisce lievemente, ed è lieto che Manuel non lo stia guardando.
“Alberto ci sta fissando,” dice, come se fosse una scusa.
“Se sta a guarda’ vor di’ che glie piace,” commenta Manuel.
“Ne dubito.”
“A te piace?”
Simone deglutisce, preso alla sprovvista. “Cosa?”
“Questo,” risponde Manuel con un vago gesto della mano. “Quello che stiamo facendo.”
“Sì,” mormora Simone esitante, la voce piccola, le spalle curve, come a volersi nascondere.
“Okay,” dice Manuel, e si accoccola ancora di più a Simone, la faccia nascosta nel suo collo, il suo respiro che gli scalda la clavicola e gli fa venire i brividi. Tiene una mano sulla coscia di Simone, e se non fossero in pubblico, Simone vorrebbe che andasse più su, lasciando una scia bollente lungo tutto il suo corpo.
Alberto se n’è andato, ma Simone non si preoccupa di avvisare Manuel. Si lascia coccolare, lascia che la mano di Manuel disegni cerchi invisibili sulle sue braccia, sul suo fianco, su ogni parte del corpo riesca a raggiungere, lasciando una traccia di pelle d’oca ovunque vada. Lascia che il naso di Manuel gli solletichi la mandibola, mentre la sua barba gli pizzica il collo, arrossando leggermente la pelle delicata.
Non c’è nulla di erotico in quello che stanno facendo, non c’è traccia di sensualità, nessuna effusione esplicita, eppure Simone si sente avvampare.
“Manuel,” mormora.
“Mmh?” gli risponde l’altro, il respiro rilassato e gli occhi ancora chiusi, come un bambino cullato dalle braccia dell’amore.
“Alberto se n’è andato.”
Manuel apre gli occhi. “Ah, già. Alberto.”
Si schiarisce la voce imbarazzato, staccandosi da Simone. Si passa una mano tra i capelli con una goffaggine che non gli appartiene, mentre le sue orecchie si tingono di rosso. Evita gli occhi di Simone, tenendo lo sguardo fisso sulle proprie mani, ispezionandosi le unghie con finta minuziosaggine. Il suo telefono è sulla coscia di Simone, dove lo aveva poggiato un attimo prima, preso da quel momento di tenerezza che in realtà non aveva nulla di artificiale, ma non ha il coraggio di allungare la mano per prenderlo. Non ha il coraggio di sfiorare di nuovo quel corpo e fingere che per lui non sia la cosa più giusta e naturale di sempre.
“Vuoi… vuoi fermarti da me stanotte?” chiede Simone sottovoce, come se parlare normalmente potesse spaventare Manuel e farlo correre via.
Manuel lo guarda di sottecchi, cercando di nascondere le guance ancora calde di imbarazzo.
“A dormire?” chiede, e si morde la lingua all’implicazione che quella domanda nasconde.
Simone ridacchia. “Sì, certo. Se ti va. Se preferisci possiamo giocare a briscola, però.”
Manuel sbuffa dal naso. “Okay.”
“Okay?” ripete Simone con una nota di speranza che tiene il cuore di Manuel in una stretta.
“Okay.”
Simone sorride, e all’improvviso a Manuel sembra tutto più facile di quanto avesse creduto in precedenza. Più facile di quella sera alla festa di compleanno di Simone, più facile delle settimane passate fingendo che non fosse successo nulla, più facile delle litigate che continuava a cercare solo per sentire qualcosa di diverso dalla confusione che lo attanagliava.
Guardando quelle labbra, i denti appena visibili, gli occhi grandi, Manuel non può fare a meno di pensare che in realtà sia facile, e che lui sia un gran coglione. Perché amare Simone è facile, quando lui lo guarda così, pendendo dalle sue labbra, come se bastasse un suo sorriso a migliorargli la giornata. Come se fosse pronto a fare qualsiasi follia per lui, e Manuel sa che è così, perché le hanno già vissute, le follie, più di quante dovrebbero, e ne sono sempre usciti insieme.
Si rende conto che amare Simone è il problema più facile che abbia mai dovuto affrontare, e che forse gli mancava solo la formula giusta per risolverlo, ma era troppo spaventato da quell’incognita per riuscire a concentrarsi. Come quando finalmente inizi a capire la matematica, e poi si aggiungono tutte quelle lettere, e pensi che forse di matematica non ci hai mai capito un cazzo. Lui continuava a fare calcoli su calcoli, cercando una via di fuga attraverso stratagemmi inventati che farebbero rivoltare qualsiasi matematico nella tomba, eppure la formula giusta era lì davanti al suo naso.
“Che c’è?” chiede Simone, e fa quella faccia confusa, quella che fa quando corruga le sopracciglia e scuote leggermente la testa, facendo muovere i ricci accanto alle orecchie. Quella che piace tanto a Manuel.
“Niente,” risponde Manuel.
Poi lo bacia.
Su quel muretto, nel bel mezzo della piazza, con le persone che non fanno caso a loro, e loro che non fanno caso alle persone, Manuel si avvicina di nuovo, allungando le mani verso il suo viso, e il tempo sembra scorrere al rallentatore. Vede Simone strabuzzare gli occhi mentre Manuel posa le mani sulle sue guance, e le sente più fredde di quanto pensasse. Vede Simone leccarsi le labbra, facendo cadere l’occhio sulle sue, che si curvano in un sorriso appena accennato, un po’ timido ma sicuro di sé. Vede il petto di Simone alzarsi sempre più velocemente, lo sente inspirare profondamente, e Manuel si sente come un felino che gioca con la sua preda.
Continua a sorridere e avvicina piano il suo viso a quello di Simone, inclinando leggermente la testa, lasciandogli tutto il tempo di ritrarsi. Ma Simone lo anticipa e chiude gli occhi, afferrando Manuel per i lembi della felpa per tirarlo a sé come se non aspettasse altro, chiudendo quella distanza che si stava accorciando sempre di più.
Manuel chiude gli occhi, e gli sembra di perdere quel poco autocontrollo che gli era parso di avere. Non sente fuochi d’artificio o campane suonare, non vede luci stroboscopiche né le porte del paradiso spalancarsi davanti a sé, non succede nulla di quello che dicono nei film o nei libri.
Però le labbra di Simone sono morbide e sanno di dolce, un sapore simile al burrocacao che gli riporta alla mente cantieri e luci rosse. Gli ricorda di liti furiose e canne notturne, di fughe in motorino e cazzate illegali, di videochiamate e birre condivise. E gli ricorda di discorsi mai fatti e lacrime mai versate, di parole non dette, storpiate in altre più cattive, soffocate dal peso di sentimenti estranei che mai avrebbe pensato di poter provare, e che non riusciva a sopprimere.
Sente le mani di Simone ai lati del collo, sente le sue dita fredde sfiorargli la mandibola, i lobi delle orecchie, i capelli, lasciando una scia gelida che gli mozza il fiato. È il bacio più semplice che Manuel abbia mai dato in vita sua, ma Simone è in grado di renderlo terribilmente simile alla perfezione, con quel suo modo di fare che pare uscito da un film Disney.
Quando si staccano, Manuel sente già la mancanza della pressione delle labbra di Simone sulle sue, ed è tentato di baciarlo di nuovo.
“Quindi non vieni da me solo per dormire, eh?” scherza Simone.
Manuel ride, stampandogli un bacio veloce sulle labbra arricciate in una smorfia divertita. Poggia la fronte su quella di Simone, inspirando il suo respiro, mischiandolo col suo.
“La sai ‘na cosa?” chiede, e Simone scuote la testa.
“Forse so’ sempre stato un po’ il tuo ragazzo e non me ne so’ mai reso conto,” sussurra Manuel, guardandolo attraverso le ciglia lunghe.
Amarti è facile, vorrebbe dirgli Manuel. Così facile che è successo prima che me riuscissi a ferma’.
Ma non lo dice. Si limita a guardarlo negli occhi, accarezzandogli i capelli alla base del collo, dolce e delicato come solo un ragazzo innamorato sa essere.
Ed è vero, lui di matematica non ci capisce un cazzo, però forse Simone può spiegargli qualcosa.
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