Tumgik
#preti di strada
gregor-samsung · 2 months
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" Il 1° marzo 1896 un corpo di spedizione di diecimila soldati guidati dal generale Baratieri attaccò ad Adua un esercito di centoventimila etiopi guidati da Menelik. L’Italia subì una pesantissima sconfitta, lasciando sul terreno quasi cinquemila morti. Questa vittoria permise all'Etiopia di rimanere indipendente e insegnò ai popoli africani che gli invasori potevano essere sconfitti. L’Italia cercò allora di mettere le mani sulla Libia, con un corpo di spedizione italiano che sbarcò a Tripoli il 5 ottobre 1911. Ma l’invasione della Tripolitania e della Cirenaica da parte di un corpo militare di oltre centomila soldati italiani fece scattare la rivolta araba. Ne seguì una feroce repressione da parte italiana: migliaia di libici furono impiccati, fucilati, deportati. La resistenza, però, non si piegò e durò oltre vent’anni, nonostante la brutalità della repressione, soprattutto sotto la dittatura di Mussolini. Nel 1930, per ordine del Duce, per isolare i partigiani, vennero deportati dalla Cirenaica e rinchiusi in quindici campi di concentramento almeno centomila libici, in gran parte poi fucilati o impiccati. Fu impiegata anche l’aeronautica, su ordine di Mussolini, per sterminare le popolazioni ribelli, utilizzando le armi chimiche (gas asfissianti e bombe all'iprite). Nel 1931 il leader della ribellione, Omar al-Mukhtar (il “Leone del deserto”), fu individuato e catturato e, dopo un processo sommario, impiccato davanti a ventimila libici. È stata una delle più feroci repressioni coloniali, che costò la vita a oltre centomila persone. Fu allora che Mussolini, dopo aver sottomesso la Libia, decise nel 1934 di conquistare l’Etiopia. Si trattò della più grande spedizione coloniale con cinquecentomila uomini, trecentocinquanta aerei e duecentocinquanta carri armati. Più che una guerra di conquista coloniale, fu una guerra di distruzione del popolo etiope. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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abr · 5 months
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Stessa rivalutazione, confesso, nei confronti dei primi contrari ai "diritti gay", al netto dei preti pedo-omo.: per quelli cresciuti nel clima fluido davvero delle disco anni '80 (altro che peterpan estrogenate botulinizzate ma verginelle di oggi), si trattava di esagerati bacchettoni fissati contro un pericolo inesistente, ma dategliela pure 'sta libertà di far outing, di baciarsi per strada e di indossar parrucca, che vuoi che sia.
POI HAN COMINCIATO AD INTERESSARSI ALLA RIEDUCHESCION DEI MINORENNI NELLE SCUOLE.
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dinonfissatoaffetto · 2 months
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Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un'altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti coi giornali, i suoi guaìti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l'educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall'angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?
Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d'un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?
Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani... pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C'è più onore in tradire che in esser fedeli a metà.
- Giovanni Giudici
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clacclo · 1 year
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Francesco Guccini Cirano
Venite pure avanti, voi con il naso corto
Signori imbellettati, io più non vi sopporto
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
Perché con questa spada vi uccido quando voglio
Venite pure avanti poeti sgangherati
Inutili cantanti di giorni sciagurati
Buffoni che campate di versi senza forza
Avrete soldi e gloria, ma non avete scorza
Godetevi il successo, godete finché dura
Che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
E andate chissà dove per non pagar le tasse
Col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna
Però non la sopporto la gente che non sogna
Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco
E al fin della licenza io non perdono e tocco
Io non perdono, non perdono e tocco
Facciamola finita, venite tutti avanti
Nuovi protagonisti, politici rampanti
Venite portaborse, ruffiani e mezze calze
Feroci conduttori di trasmissioni false
Che avete spesso fatto del qualunquismo un arte
Coraggio liberisti, buttate giù le carte
Tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
In questo benedetto, assurdo bel paese
Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato
Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato
Coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco
E al fin della licenza io non perdono e tocco
Io non perdono, non perdono e tocco
Ma quando sono solo con questo naso al piede
Che almeno di mezz'ora da sempre mi precede
Si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
Che a me è quasi proibito il sogno di un amore
Non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute
Per colpa o per destino le donne le ho perdute
E quando sento il peso d'essere sempre solo
Mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo
Ma dentro di me sento che il grande amore esiste
Amo senza peccato, amo, ma sono triste
Perché Rossana è bella, siamo così diversi
A parlarle non riesco
Le parlerò coi versi
Le parlerò coi versi
Venite gente vuota, facciamola finita
Voi preti che vendete a tutti un'altra vita
Se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito
Guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
E voi materialisti, col vostro chiodo fisso
Che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso
Le verità cercate per terra, da maiali
Tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali
Tornate a casa nani, levatevi davanti
Per la mia rabbia enorme mi servono giganti
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
E al fin della licenza io non perdono e tocco
Io non perdono, non perdono e tocco
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada
Ma in questa vita oggi non trovo più la strada
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo
Tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo
Dev'esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
Dove non soffriremo e tutto sarà giusto
Non ridere, ti prego, di queste mie parole
Io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole
Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
Ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
Perché oramai lo sento, non ho sofferto invano
Se mi ami come sono
Per sempre tuo
Per sempre tuo
Per sempre tuo
Cirano
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rideretremando · 11 months
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"Sì, ho deciso: dopo aver sentito l’omelia del vescovo, o arcivescovo di Milano, che non mi ricordo come si chiama, al funerale di Berlusconi – mi converto. Perché, io atea, ascoltando con sempre più grande meraviglia, via via che parlava, il suo discorso, ho capito, sì ho capito che i preti sono davvero buoni e bravi e non giudicano, e se uno si diverte tanto a fare i bunga bunga, magari con le varie nipotine magari minorenni di Mubarak; e se a uno gli va di frodare il fisco e lo fa; e gli va di comprarsi coi soldi, tanto ne ha tanti, un senatore o un onorevole che gli dà il voto, anche quello va bene; è ‘amore della vita’. È ‘amore della vita’ mentire, frodare, comprare il corpo di una donna, divertirsi a comandare…
Di ‘amore della vita’magari in eccesso, ha peccato forse Berlusconi, era la tesi dell’omelia: ma tale eccesso non preoccupa chi crede in Dio, perché proprio in Dio tale eccesso incontra un limite… Sulla volontà di potenza dell’uomo – specifico: dell’uomo maschio, di cui Berlusconi interpretava alla perfezione tutti i difetti, così dimostrando il suo ‘amore per la vita’ – su tale volontà Dio alla fine non può che prevalere, come si è dimostrato oggi; perché dell’amore della vita decide Lui quando decretare la fine.
Ma allora, se questo ‘è un uomo’, se è un uomo chi mette al primo posto l’ ‘amore della vita’, bene, dateci dentro, uomini. E non preoccupatevi delle leggi umane, della giustizia umana, tanto c’è quella di Dio che alla fine risolve tutto.
Quel tale vescovo l’ho davvero ammirato. Mi sono detta: ha letto il marchese de Sade e Bataille e Nietzsche, altro che il Vangelo. Lui sì che ha trovato la strada al di là del bene e del male.
L’ho detto: quasi quasi mi converto"
Nadia Fusini
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gcorvetti · 4 months
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Non c'è scampo.
Anche quest'anno, come gli altri anni, arriva l'ultimo mese che porta con se feste religiose e indimenticabili momenti di stress e rotture di coglioni, oltre ad un perbenismo così esagerato che basterebbe per il resto dell'anno. Infatti è così, le persone si sforzano di essere buone perché è natale, poi per il resto dell'anno vi vengono in culo, tanto è il vostro. Lo so, è una cosa che scrivo ogni anno e che a molti fa storcere il naso perché è natale e per natale tutti DEVONO essere più buoni, dov'è scritto? C'è una legge che ci obbliga a esserlo? No, e anche se ci fosse sarebbe da eludere a occhi chiusi. Ma come sappiamo e da quello che si vede, l'umanità è prigioniera di un loop scandito dal calendario costruito ad hoc in modo che periodicamente si può allentare la morsa su di loro, tanto a darsi un controllo ci pensano loro stessi. L'ho scritto spesso quest'anno, però vedo che le cose non cambiano, cioè si stagna su questo andazzo errato e si persevera, non si impara più dai propri errori. Si cerca quel piacere effimero che danno le cose in prima battuta, per poi tornare alla solita tristezza non comprendendo che è il metodo sbagliato non l'oggetto in se, perché è un oggetto. Penso a tutti quelli che tornano bravi cristiani e magari durante l'anno fanno cose indicibili per il loro credo religioso (questo vale un pò per tutti quelli sotto oppio da setta), perché se le religioni una volta avevano un senso per il controllo, adesso se ne potrebbe fare a meno, ma ci sarebbero una marea di persone a spasso, papi, pope, preti, imam, suore ecc ecc, dove li metti, chi gli da un lavoro? Allora tutto ristagna così, mentre la società sprofonda in un panettone.
A me non frega niente se tu, si proprio tu che leggi, non sei d'accordo con quello che scrivo, che è solo una parte del mio pensiero, perché se tu mi dici "Però il natale è una tradizione della nostra cultura", ti dico che è una forzatura perché la nostra cultura è laica, ma se andavi contro la chiesa ti bruciavano vivo, senza contare che ad un certo punto della storia codesti signori erano così ricchi che il loro dio in persona si sarebbe vergognato di loro, ma sappiamo che dio non esiste quindi sono delle persone che in qualche modo hanno trovato la strada per fottere il prossimo e lo fanno in discreto silenzio, anche se ogni tanto rompono i coglioni con le loro menate medievali, non sto qua a fare esempi. Se poi insisti e pensi che sia una cosa bella, come la pasqua, il ferragosto, i morti e halloween, allora caro mio il problema non è religioso ma di paraocchi, nulla da obiettare la vita è la tua, ma non mi rompere le palle cercando di convincere più te stesso del tuo credo che me che di base non ci credo.
Detto questo, che come sempre è uno sfogo contro il natale e tutto quello che è connesso al loop in cui siete rinchiusi, come va? Abbastanza bene, sto scrivendo, oggi mi vedo con la Piccoletta così ci facciamo 4 risate in caffetteria, mi sono tagliato i baffi, saranno stati 10 anni che non li toccavo, ma erano rovinati e ci voleva. Fa strano vedersi per tanto tempo in un modo e poi d'improvviso in un altro, questione d'abitudine. Mi sono anche fatto la foto sequenza, ma non la posto perché so cazzi mia, e alcune foto stile Quasimodo (non il poeta, ma il gobbo), e tante tante risate. Vi lascio all'ascolto, alla prossima.
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P.S. Si nevica e spalo, Sisifo style.
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sciatu · 2 years
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U CADDIDDU - L’amore dei vecchi
A Biagio Manicò la pensione, arrivata quando ancora non aveva l’età a cui andavano tutti gli altri, sembrò subito un emerito scassamentu di paddi! Da quando aveva undici anni, aveva lavorato come garzone nella Rinomata Pasticceria del Cavaliere Paternò, lavorando principalmente la notte per produrre, cornetti, briosce e dolci di varia natura, dagli agnelli di cedro per Pasqua, alla pignolata e ai panettoni per Natale. Durante la notte i suoi clienti erano i nottambuli, le buttane di diversa categoria, i ricchiuni più o meno altolocati, i ladri, gli spacciatori di basso rango, i ragazzi che volevano divertirsi e quegli operai obbligati come lui a lavorare quando gli altri dormivano. Ora d’improvviso si trovava in un mondo sconosciuto, rumoroso e indifferente e tutti i suoi amici notturni erano chissà dove, in quel caos abbagliante che è Messina di giorno. Biagio però non si perse d’animo e convinto che la pensione dovesse avere qualcosa di buono si mise ad aiutare sua moglie Filomena nelle faccende casalinghe. Capì però, dopo che aveva rotto il lampadario della cucina, macchiato il divano con la candeggina e fatto saltare il forno a microonde, che sua moglie non era molto contenta del suo aiuto soprattutto perché girava per casa urlando come un’ossessa ogni volta che scopriva una sua malefatta. Per fortuna Filomena era pia e devota, così un pomeriggio che aveva perso quasi la voce per le urla fatte, andò a confessare a don Nino la sua volontà, secondo lei giustissima e giustificabile, di uccidere il marito. Don Nino, sentendo che nell’elencare i difetti del marito le era tornata la voce, per non farla urlare come una indiavolata anche nel confessionale, le suggerì di mandargli Biagio per aiutarlo in parrocchia, suggerimento che Filomena, accolse come una grazia della Madonna delle Lacrime. Tornò a casa tutta contenta e spiegò a Biagiuccio, come lo chiamava nei momenti di intimità, che don Nino, con la Madonna e tutti i Santi, avevano bisogno di lui. Biagio, visto che non aveva nulla da fare andò a sentire don Nino che prendendolo a braccetto e camminando tra le navate della chiesa, gli spiegò che servire Dio era un dovere e non un lavoro, che come i soldati, non era importante fare la guardia a un fusto di benzina o far saltare un carrarmato, ma che bisognava fare solo il proprio dovere che era fare quello che Dominedio ci diceva di fare. Biagio, non era uno che stava a sentire i preti, ma visto che non aveva niente da fare e che la parrocchia era piena di signore e signorine accettò di passare un po' di tempo ad aiutare il vecchio sacrestano nella manutenzione della chiesa. Si presentava regolarmente ogni mattino e si metteva a passare la cera sulle panche o a pulire gli altari dalla polvere che veniva dalla strada. Ogni giorno faceva una sola cosa perché si metteva a parlare con questa o con quella che passava dalla sacrestia o per le navate e per questo motivo Biagio non aveva tempo di fare altro o di fare troppo. Fisicamente era ben messo (fin da piccolo era stato costretto dal lavoro a fare molto esercizio fisico) e per questo, molte pie donne lo trovavano interessante o piacevole; in aggiunta lo sentivano caratterialmente simpatico perché aveva letto molto per rifarsi delle scuole scarsamente frequentate e quindi aveva una parlantina frizzante e ironica che colpiva le devote fedeli della parrocchia. Biagio quindi non aveva problemi a trovare con chi parlare per far passare il tempo, senza mai permettersi di oltrepassare quella sottile linea oltre la quale l’amicizia diventava qualcosa che avrebbe fatto scatenare la furiosa ira di Filomena. Al Manicò sembrava quasi di essere tornato a quando lavorava di notte in pasticceria e dava i cornetti caldi ai nottambuli che passavano dal laboratorio scambiando con loro quattro chiacchiere. Un giorno, mentre spazzava l’altare di san Giuseppe in attesa di qualche onesta peccatrice con cui scambiare due parole, ecco che vide arrivare una signora alta, vestita come nelle riviste di moda con in mano un IPad e che parlava tutta sollecita (alla svelta) con il povero Don Nino che le camminava dietro come uno scolaretto fa con la maestra. “Queste pareti hanno un colore orribile, non possiamo ritinteggiarle? magari un bianco colomba o Ice-hot? Levando quelle strisciate di equivoco e squallido giallino …. Ahhh e quello cos’è?” Chiese terrorizzata indicando una statua che sovrastava un altare laterale “E’ San Rocco – rispose pronto Don Nino – il protettore dei feriti e dei lazzariati” “Per carità, con tutto il rispetto per i Santi e chi per loro, ma  non vorrà mostrare questa statua con tutto quel sangue in un matrimonio ? No, no, lo ricopriremo con dei fiori” E si mise a scrivere velocemente sull’I-Pad. Biagio la guardava stupito per la sua eleganza, per i fianchi stretti messi su un sedere elegante, ma era anche spaventato dalla velocità con cui mitragliava parole. Lei alzò gli occhi e incontrò quelli di Biagio “E sto coso chi è?” “E’ il nuovo assistente del sacrestano” spiegò paziente Don Nino” “L’assistente del sacrestano? Ma sembra uno scopino senza voglia di lavorare – sottolineò schifata dal quel corpo proletario appoggiato ad una ramazza d’altri tempi – Don Nino, per favore, lo sa che il Commendatore paga per una cerimonia elegante, ordinata ed emozionante. Non possiamo far vedere questo netturbino ecclesiastico in mezzo alle riprese di deputati e giudici…. Per favore – continuò con tono severo rivolta a Biagio – durante le prove aspetti fuori, abbia pazienza, quando finiremo le prove potrà tornare a lavorare, se ne ha mai avuto voglia” E senza dargli tempo di dire “ne schì ne scò” lo spinse con due dita verso la porta a lato della navata e girandosi verso la gente che la seguiva e mentre si puliva con un fazzoletto le dita che avevano toccato Biagio, incominciò a gridare con voce da contralto “I parenti della sposa vadano a sinistra quelli dello sposo a destra secondo lo schema che trovate nel fogliettino che vi ho dato! Ognuno dove è scritto il suo nome…” Biagio guardò Don Nino mostrando la ramazza quasi a chiedere se poteva argomentare il suo disappunto per le parole di quella jarrusa licchittata (malafemmina ben vestita) rompendole in testa il manico della scopa. Don Nino gli fece cenno di lasciare stare e di andare fuori e lo fece alzando gli occhi al cielo per fargli capire che anche a lui la cosa non andava, ma se non rispettavano San Rocco, potevano rispettare all’assistente del sacrestano? Biagio se ne andò scuotendo la testa e si mise a ramazzare nel cortile piccolo, quello circondato dalle mura della chiesa e dell’oratorio dove c’era la statua di Padre Pio. Stava pensando ai cavoli suoi quando vide uscire qualcuno dalla porta laterale della chiesa. Era una ragazza, vestita con maglietta e jeans e una nuvola di capelli neri che le coprivano il volto che comunque non si sarebbe visto perché lei lo nascondeva tra le mani, come se stesse piangendo. Si mise in un angolo del piccolo cortile a singhiozzare senza far caso a Biagio. Lui la guardava disorientato e non sapeva cosa fare. Alla fine si avvicinò lentamente e appoggiandosi alla scopa le chiese “Signorina, mi scusi, non volevo disturbarla, va tutto bene?” Lei continuò a piangere e singhiozzare come se lui non avessero parlato. Biagio si avvicino ancora di più “Signorina, scusi di nuovo – e prendendo un fazzoletto glielo porse – tenga, si asciughi gli occhi che se qualcuno passa, penserà che le ho fatto qualche torto” Lei si girò lentamente e vedendo il fazzoletto lo prese. Il volto era coperto dai capelli e neppure si vedevano le lacrime che eppure scendevano fino a terra “Ecco signorina, io non voglio occuparmi degli affari degli altri, ma vede …  io sono l’assistente del sacrestano, sono un uomo di chiesa e devo aiutare chi ha problemi. Sa la storia del samaritano che trova uno investito sul lato della strada, menzu mottu e lo aiuta. Magari se si sfoga non le verrà più da piangere.” Lei si soffiò il naso e si asciugò gli occhi spostandosi indietro i capelli. “Nooo  … nooon … eeee … ra invvveee … stito. Lo …. aa …. aveva … no ddd ddd … deru … bato” “Matritta bedda – penso tra se e se Biagio – è ghecchia!! (balbuziente) ma ghecchia forte!!!” E continuò ad alta voce “si mi confondo sempre: investito o derubato, era sempre uno che aveva bisogno d’aiuto come a lei ora. Posso fare qualcosa” “nnn … noo … chi … vvvv … voo…li fari? Dooo …  vee… vo … leg…geee …reee … iil … vaa … aan … gelo. Ma aa… pena inco ..miiiin… ciato … sii soono … mmeees… si … a ride … ere … tuu … tuu … tti” E incominciò di nuovo a piangere. Biagio era perplesso. Anche lui avrebbe riso se quella ragazza avesse incominciato a leggere per come gli stava parlando. Ma era una ragazza e non poteva lasciarla li nella sua disperazione. “Signorina ma quelli che ne sanno? Se quella signora che comanda l’ha fatta leggere, vuol dire che lei deve leggere. Quella vuole levare a Santu Rocco, si figuri se non la bloccava immediatamente se leggeva male. E poi nessuno ha il diritto di ridere di una altro. La prima cosa nella vita è il rispetto! San Francesco lo hanno fatto santo perché rispettava tutti, dai passeri al papa. Purtroppo al mondo vi sono più maleducati che foglie sugli alberi” le passo un altro fazzoletto e le spostò i capelli dalla faccia trovando due occhi scuri annegati di lacrime che lo guardavano disperati. Sorrise continuando “Senza rispetto saremmo tutti comi i “cani i Blasi” pronti a scannarci per niente. Non li consideri neanche” E le fece il sorriso migliore che aveva “Lauretta … Lauretta” Apparve una signora alta, elegante, con capelli biondi e ben curati. Quando la vide a Biagio sembrò di riconoscerla “Signora Marisa…” La signora, che intanto aveva abbracciato la ragazza lo guardò stringendo gli occhi per vederlo bene. “Biagio ! – esclamò sorpresa – che ci fai qui?” “Sto aiutando Don Nino qui nella parrocchia. Ma questa è Lauretta? Me la ricordo quando nica nica (da piccolissima) entrava in pasticceria ed io le davo il bombolone con la crema che le piaceva tanto. Mi ricordo che aveva tutta la crema intorno alla bocca ed il naso tutto bianco per lo zucchero.” Sorrise alla ragazza che rispose abbozzando un piccolo sorriso. “Mi ricordo quanto eri carina. Ora non te la devi prendere. Al giorno d’oggi ci sono tanti modi per curare tutte le malattie. Vedrai che per il matrimonio leggerai come una giornalista della televisione!” “Magari -  fece la madre – volevamo che andasse dal Logopedista ma dopo la prima lezione è scappata via perché non ce la faceva neanche a parlare!” Biagio la guardò stupito. “No, non devi fare così! Nella classe di mio nipote Michele c’era una bambina che era come te. Avevano fatto la recita di Natale, lui doveva recitare una poesia e non è riuscita a dire una parola. Signora lei non si può immaginare come si è messa a piangere. -  Intanto Biagio aveva tirato fuori il suo cellulare e sembrava cercasse qualcosa - Invece è andata dal logopedicosu e ha fatto tutte le lezioni e Michele e i suoi compagni a turno l’aiutavano: ognuno di loro stava un pomeriggio con lei a farla esercitare e … ascolti …” Mostrò loro sul cellulare una bambina al centro del palco della scuola che con voce ferma recitava scandendo le parole “Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill'anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto. Per quattro mill'anni s'attese quest'ora su tutte le ore…..” Biagio interruppe la bambina sul cellulare “Ha visto Lauretta, parlava perfettamente e le hanno dato la strofa più lunga propria per farlo vedere a tutti che non era più ghecchia, … volevo dire balbuziente. Anche lei ce la puoi fare” “Maaa … io .. nnnon … ceee … la… pooo … ssso … fffa …re” Rispose triste e sconsolata la ragazza Biagio non si arrese “Posso dirti una cosa, una cosa breve, perché forse dovete andare” La madre rispose “Effettivamente dovremmo andare” Ma non si mosse osservando la figlia che attenta ascoltava Biagio “Nnno … voo ..  glio … ssseen … tire” Rispose decisa la ragazza “una volta ho trovato un caddiddu, che era caduto dal nido. L’ho preso e portato a casa, l’ho messo in una gabbia e lui è cresciuto li dentro. Ogni mattina, appena spuntava il sole, cantava tutto felice. Cantava in un modo meraviglioso che rincuorava tutti quelli che stavano nel mio palazzo. Io lo curavo come un figlio e tutto il mio tempo libero lo passavo con lui. Quando era diventato vecchio, a mala appena riusciva a cinguettare qualcosa e stava fermo sul suo trespolo tutto il giorno. Io mi sono detto che non era giusto, ora che stava morendo, lasciarlo li in gabbia. Perciò un giorno gli aprii la porticina e gli dissi “Vai, vattene, vedi il sole, le nuvole, conosci il vento, scopri il mare, i fiori e le foglie. Prima di morire scopri il mondo per cui eri nato, libero e felice”. Lui invece se ne rimase chiuso nella gabbia. Io allora, con una piccola canna lo spinsi fuori. Lui volò fino al davanzale della finestra. Guardò fuori e poi se ne tornò in gabbia. Vedi, ormai si era fatto l’idea che la gabbia fosse la sua vera casa, pensava che quello che aveva visto dalla finestra, gli alberi, il cielo, le nuvole, il mare lontano, non fosse il suo mondo, la sua vita e se ne era tornato dove era sempre rimasto prigioniero” Biagio si fermò e guardò la ragazza negli occhi. “Non deve fare comu u caddiddu. Quelli che hanno sorriso mentre leggeva, sono la sua gabbia, la vergogna che ha provato, sono le sue sbarre. Il logopedicosu è la sua porticina aperta, quella che dà la fuori, sul mondo per cui sei nata, sulla vita che è sempre una meraviglia da scoprire. Non devi perdere questa occasione, non andare a chiuderti nella gabbia pensando che quella è la tua vera vita e che non meriti altro perché non vali niente. Non è così. Devi farti forza e impegnarti al massimo e vedrai che dopo i primi momenti un po' difficili, tutto diventerà più semplice. Tua madre, tua sorella, tutti t’aiuteranno” Qualcuno uscì dalla porta della chiesa e chiamò “Signora, signora, la Weddings Planner la sta aspettando” “Vengo, vengo – rispose seccata – chi camurria chi è da cristiana! Lauretta, hai sentito il signor Biagio? Se ti impegni e se lo vuoi veramente potrai leggere la lettura per il matrimonio di tua sorella. Grazie signor Biagio, ora dobbiamo andare, ma Lauretta terrà presente il suo consiglio. Non è vero Laura?” La ragazza allungò la mano e quando Biagio gliela strinse, disse velocemente “Graaazie” Biagio le osservò andare velocemente e prima di entrare Laura si giro per salutarlo con la mano, come faceva quando usciva dalla pasticceria. A cena raccontò quello che era successo a Filomena e lei lo informò sul matrimonio “Quella che hai visto è la Weddings Planner che organizza i matrimoni dei personaggi famosi. L’ho vista pure su Telecolor. Il Commendatore Andò ha pagato nu saccu i soddi per farle organizzare il matrimonio della figlia maggiore con il figlio dei Baroni De Requesenz, il direttore del Banco Siculo.” “con tutti quei soldi poteva portare Lauretta da un buon Loguperasta …” “Logopedista, Biagio, no sai diri” “Chiddu chi caddu jè, non poteva portare prima la figlia a parlare bene?” “Che vuoi, hanno avuto gli occhi solo per la figlia grande. Poi figurati alla piccola non sono stati dietro più di tanto e lei si è chiusa in se stessa, non ha amici e non parla mai con nessuno l’hanno sempre considerata un po' cretina, mi ha detto la comare che abita nella loro strada.” “ma comu cretina – disse sdegnato Biagio – per questo parra pi comu parra puvirazza!! Quando uno non si sente considerato non diventa ghecchio: diventa escluso, e se ha già qualche difetto è comu mottu!” E per il resto della serata restò di malu verso. Il malumore gli restò per qualche giorno e appena vedeva Don Nino gli attaccava bottone lamentandosi dell’indifferenza della famiglia Andò per il problema della figlia. Ad un certo punto Don Nino gli chiese “Ma perché t’arraggi (ti arrabbi) pi da carusa? Chi te ne vene a tia?” “Perché quando ero ragazzo a mi prendevano pi babbu (stupido) come a idda!!! Mi chiedevano “come ti chiami?” e jo non arrispunnia perché mia madre mi diceva di non parlare con nessuno e allora la maestra mi metteva in fondo alla classe cu Cicciu u Lampatu (lo stordito) e Cosimu u meravigghiatu a rutta, che stava sempre con la bocca aperta a guardare stupito il mondo come fanno i personaggi del presepe. Se mi avessero dato un’opportunità, se mi avessero considerato, ora magari sarei laureato, avrei lavorato in banca o al Comune! Invece non volevano perdere tempo e mi hanno messo da parte e a dieci anni me ne sono andato a lavorare perché era inutile aspettarsi qualcosa da loro. Ora per lei è lo stesso: fatti a nomina e cuccati cioè fatti una reputazione e non fare più niente perché tutti ti tratteranno per come pensano che sei. Pi sti puvirazzi nun c’è un Cristo che fa un miracolo!!” Don Nino lo guardò stupito. “Ma non c’è bisogno di Cristo per questo: tu hai già fatto un miracolo. Ora la figlia della signora Andò sta andando dal logopedista e sua madre mi ha detto che il merito era tuo” “O veru?” Chiese stupito Biagio “Ca cettu! L’ho sentita io” Biagio fu stupito da quanto il prete aveva detto “Speriamo che almeno lei riesca a trovare la sua via” Disse alla fine. Tornò a casa pensando a quello che gli aveva detto il prete. A pranzo ne parlò con Filomena che disse soddisfatta che almeno quel disastro di suo marito “mezza cosa giusta, nta so vita, l’aveva fatta”. Mentre mangiavano suonò il telefono e Filomena andò a rispondere con Biagio che seguiva il telegiornale pulendo il sugo dal piatto con un pezzo di pane. La moglie arrivò di corsa con il telefono coperto con la mano “È la signora Andò, ti voli parrari” Disse sottovoce tutta eccitata. Biagio si pulì la bocca con il tovagliolo e si schiarì la voce mentre Filomena allungava l’orecchio verso il telefono per sentire “Proontò” “signor Biagio mi scusi se la disturbo all’ora di pranzo, volevo ringraziarla innanzitutto per le belle parole che ha detto a Lauretta. Lo sa che l’ha convinta e che ora va regolarmente dal logopedista?” “ne sono contento signora: è una brava ragazza, molto sensibile” “Infatti, lei lo ha capito e ha saputo usare il giusto tono. Ecco vede ora Lauretta si deve esercitare, deve avere qualcuno con cui mettere in pratica quello che le insegnano. Io le ho detto che poteva farlo con me ma lei ha insistito per chiederle se lei può aiutarla. Non vorrei che la cosa le prendesse troppo tempo ma se potesse dedicarle un’oretta al giorno, le sarei molto grata” “signora mi consideri a disposizione, se posso aiutare Lauretta lo faccio volentieri” E dopo i soliti convenevoli si salutarono. “Vedi che te lo avevo detto: non la considerano a quella povera figlia: chi ci ntrasi tu con lei” Commentò la moglie che aveva sentito tutto “È che ha capito che io parlo per il suo bene” rispose Biagio contento di poter aiutare la ragazza. Per una diecina di giorni si vide quasi ogni giorno con Lauretta. Avevano scelto di incontrarsi nella Villa Dante e da li camminavano lungo il viale San Martino fino a Piazza Cairoli, il centro di Messina. Mentre andavano si fermavano sempre in qualche pasticceria o gelateria e lui le comprava sempre qualche dolce, quello che secondo lui era la specialità del negozio. Lei aveva incominciato a dargli del tu e mentre andavano gli spiegava gli esercizi che le facevano fare e poi provava a descrivere la sua giornata, o i suoi compagni di scuola. Biagio, che non stava zitto neanche se era sott’acqua, prendeva spunto da qualcosa che lei diceva per raccontarle dei fatti della sua vita, poi parlava dei libri che aveva letto, dei viaggi che avrebbe voluto fare per mare e le raccontava delle tempeste terribili che aveva visto su Instagram, degli animali esotici visti su Focus ed usava parole tali e similitudini fantastiche e colorate, che lei lo stava ad ascoltare stupita che il mondo fosse così meraviglioso. Poi Biagio le chiedeva cosa avrebbe fatto in questa o quella situazione e lei si sforzava per parlare di sé stessa, di quello che pensava o desiderava e che non aveva mai detto a nessuno e scoprendo, grazie ai commenti ed esperienza di Biagio, che anche le persone normali avevano i suoi pensieri, le sue paure, i suoi sogni e che anche se loro non balbettavano, spesso era come se fossero ghecchi anche loro, perché gli altri li trattavano come si sentiva trattata lei quando parlava. Solo quando sua mamma telefonava per sapere dove era, si accorgeva che era tardi, che doveva andare e lasciava il suo unico amico di malavoglia, perché per una manciata di secondi era fuggita lontano dalla sua gabbia. Biagio però non si dimenticava del suo compito e il giorno dopo la faceva parlare e ridire le parole in cui si era bloccata il giorno prima, oppure la sfidava a ripetere dei sciogli lingua “Prova a dire Tirituppiti e pani rattatu, consami u lettu ca sugnu malatu, sugnu malatu di malincunia, consami u lettu ca vegnu cu tia” “e se lllo dico … cosa … vinco? “Ci prendiamo un beddu cannolu unni Irrera” Allora lei iniziava a ripetere lo sciogli lingua e quando inciampava o si fermava lui le diceva di iniziare di nuovo e lei si arrabbiava e con la faccia rossa rincominciava a voce più alta mentre la gente che passava guardava preoccupata quella ragazza tutta agitata che diceva cose incomprensibile come posseduta da chissà quale diavolo e quell’uomo accanto che la fermava e la incitava a continuare o ad iniziare di nuovo. Alla fine lui le comprò il cannolo e lei mezza stravolta dalla fatica gli disse che forse era meglio che non lo mangiasse. Lui la guardò stupito “E picchì? Nu cannolu nun si deve rifiutare mai soprattutto se è quello di Irrera” “È che se no ingrasso mi vengono i punti in faccia e divento più brutta di quello che sono” Ed abbassò gli occhi dalla vergogna. Biagio la guardò attentamente. La massa di capelli le nascondeva il volto tondo e facevano un tutt’uno con le folte sopracciglia. Dalle tempie le scendeva verso la guancia una peluria appena accennata, ma tanto scura da notarsi immediatamente. Aveva una felpa enorme rosa e una gonna di jeans che finiva in un merletto ridicolo, mentre le gambe rivestite da una calzamaglia nera pesante finivano in un paio di scarpe da ginnastica bordate d’oro e con una suola di quattro centimetri. Biagio si pulì le labbra. “Ti  stai rinchiudendo in un'altra gabbia, peggio du me caddiddu” Lei lo guardò seria “Che vuoi dire” “tutte le donne sono belle, ma le più belle sono quelle che lo sono per sé stesse” Lauretta batté gli occhi non capendo “Vedi se si va da una estetista, questa leva qualche pelo qua e là, pitta le unghie e rende più bella la persona. Se si va da un parrucchiere lui sistema i capelli in un modo più elegante e ordinato, se si va in una boutique, vendono i vestiti costosi dei grandi sarti, una bella borsa di pelle e a questo punto, ti chiedo: la persona che và da questi esperti estetici sarà bella?” “si penso di si, io sarei belli … issima, “No, saresti un manichino che gli altri hanno aggiustato secondo quello che loro ritengono essere la bellezza. Saresti bella come un cannolo con dentro la crema Chantilly che dopo il primo morso nausea - lei lo guardò tutta seria come se pesasse ogni parola che lui diceva - devi cercarti la tua bellezza, quella che ti fa sentire in ordine, pulita, sicura, in grado di presentarsi agli altri senza paure e vergogne perché dentro di te sei a posto e il tuo corpo, i tuoi vestiti, il tuo modo di muoversi sono la parte tangibile, l’evidenza di come sei dentro di te. Una volta che hai raggiunto questa consapevolezza, di mostrarsi per come dentro di te ti senti, allora sarai veramente bella. Prima di tutto per te stessa e poi giocoforza per gli altri. Mia moglie, non glielo dire mai, è un arancino con i piedi. Tonda, bassa, senza nulla di particolare, non si dovrebbe considerare bella, interessante. Ma quando cammina per strada si muove in una maniera che ancora qualcuno si volta. E non lo fa in modo volgare o malizioso o per essere notata. Lei lo fa perché è cosi che le piace essere, è così che si sente bella e sa che io così la vedo bella. Ha trovato il suo modo di interpretare la bellezza. Ci ha lavorato a lungo ma alla fine io posso confermare solo che è bella, non per i vestiti, o il taglio dei capelli ma per come veste di gioia ogni cosa che fa, la gioia che ha dentro di se.” Lauretta continuò a guardarlo anche se lui non parlava più. Dopo qualche secondo disse solo, senza balbettare, “ho capito”
“Dumani è duminica, ci tagliamu a tiesta a Minicu, Minicu un c'è, ccià tagghiamu o re, u re è malatu, ccià tagliamu o suddatu, u suddatu è a guerra, tutti cu culu 'nterra! Ti piace questo sciogli lingua? Me lo ha insegnato il sacrestano. Oggi lo dico a Lauretta e vediamo se lo sa ripetere!” “Lauretta ha chiamato prima ha detto che oggi non viene perché deve fare delle cose” Gli rispose Filomena mentre puliva la cucina. “Comu nun veni?” “dissi chi avi a chi fari cu so matri” Biagio fu sorpreso ma non si stupì; pensò che con l’avvicinarsi del matrimonio le cose da fare a tutta la famiglia Andò non dovessero mancare. Il giorno dopo però Lauretta gli scrisse sul telefonino che era presa e che si sarebbero rivisti la settimana dopo. Biagio si giustificò il tutto con il fatto che ormai Laura sapeva controllare il suo modo di parlare e tornava a balbettare solo quando qualcosa la turbava. Tornò alla vita di tutti i giorni e rivide Lauretta solo due settimane dopo. Biagio era al solito posto dove si incontravano e si ripeteva lo sciogli lingua che voleva farle dire quando una ragazza si avvicino e lo salutò. “Ciao Biagio” Lui la guardò stupito, solo guardandola bene la riconobbe per il taglio degli occhi e il sorriso “Lauretta!” Fece Biagio stupito. Lei sorrise felice “Anche tu non mi rico..noscevi” “ma sei cambiata completamente… e i capelli?” “Visto, li ho ta..gliati e colorati di biondo, ho sfoltito le sopracciglia e ho levato tutta la peluria” Biagio la guardò stupito. Indossava un jeans elastico che esaltava tutte le sue forme e un giubbino di cuoio sopra una camicia elegante aperta a far vedere l’inizio del seno. Degli stivaletti con tacco a spillo e punta dorata e le unghie curatissime completavano il suo salto dalla profonda adolescenza alla prima splendente giovinezza. Biagio dentro di se era affascinato da quel corpo che aveva sempre visto nascosto dentro a vestiti goffi e fuorimoda. Lei lo prese sottobraccio e lui sentì una ventata di profumo sottile e delicato. “Ho seguito il tuo consiglio, mi sono fatta portare dall’estetista e dal parrucchiere” “Ma non era questo il mio consiglio” “I..infatti. Ho detto loro come volevo essere e… e non … mi sono fatta consigliare. Ti piace il risultato?” Biagio la guardò “ Mi piace la luce che viene da dentro di te, è questa  la tua bellezza” “ Si, sono co..oontenta. Ora faccio palestra, una dieta terribile, ma sono come volevo essere, fi.. nalmente” “se sei contenta, lo sono anch’io. Non vuoi ripetere perciò lo sciogli lingua che ho pensato….” “No, vvoglio chiederti un'altra cosa” “chiedi pure, poi però il cannolo lo offre tu” “non mangio più cannoli, solo spremute! Ti volevo chiedere questo: come capisci se ami qualcuno?” E lo guardò con una malizia che lui non aveva mai visto nei suoi occhi. Biagio si fece serio. “Non posso parlarti d’amore” “e perché?” “Perché io sono vecchio e tu sei giovane” “e cosa c’entra che io sono giovane: l’amore sempre amore è” Biagio ai sedette su una panchina della villa in cui stavano camminando “no, non è vero. Quando si è giovani, l’amore è il presente. L’aspettarla, il desiderarla, l’abbracciarla, il baciarla, il camminare con lei mano nella mano senza aspettare o desiderare altro che non sia lei. Vivere del desiderio quando l’aspetti, della passione quando l’abbracci, del nulla che il mondo intorno a voi diventa quando è tra le tue braccia ed i suoi occhi sono nei tuoi. Ma quando si è vecchi, l’amore è il passato, sono le assenze che lei riempie, i dolori che cancella, il futuro che nasconde.” Lauretta lo guardò e aggrottò le sottili sopracciglia ben curate e alla fine disse “Non capisco” “vedi, io e degli amici eravamo andati a capo Milazzo per fare un bagno. Allora correvo dietro ad una ragazza, alta, bionda, con i fianchi stretti e un seno pieno, ma mentre eravamo li, lei si imbosca con un suo amico di Rometta. I miei amici erano a nuotare ed io seccato mi ero seduto sulla spiaggia accanto a Filomena che cercava inutilmente di mettersi la crema solare nelle spalle. Mi siedo dietro di lei e gliela spalmo sulla schiena e intanto parliamo delle solite cose. Ecco mi ricordo la sua pelle bianchissima e morbidissima. Lei poi si sdraia ed io insisto per metterle la crema sulla pancia. Aveva una pancia grossa, bianca e morbida, più soffice dell’impasto delle brioche.” Biagio si fermò come se il ricordo ancora lo colpisse. “ Sai, noi uomini nella testa – fece toccandosi con l’indice la tempia -  abbiamo un labirinto chiamato sesso in cui ogni ragionamento si perde. Il mio pensiero, a sentire quella carne delicata e leggera come schiuma, a vedere gli occhi pieni di gioia e furbizia di Filomena e la sua bocca che rideva, si perse completamente nella voglia e nel desiderio e le chiesi cosa avrebbe fatto la sera. Da lì inizio tutto quanto. Questo è l’amore dei giovani, se chiedessi al Biagio di allora cos’è l’amore lui risponderebbe: desiderio, passione, sesso, bellezza, piacere, un po' di minchioneria e tanta voglia di stare sempre insieme, di navigare incoscientemente verso il futuro di cui non si sa mai nulla.” Biagio si mise le mani in tasca e prese un fazzoletto con cui velocemente si asciugò la bocca. “se invece lei chiedesse a questo Biagio, che è insieme a Filomena da un tempo che lui non conta più, che cos’è l’amore, questo vecchio non risponderebbe così. Direbbe che l’amore erano le briosce calde che portava al mattino a casa quando finiva il turno e moglie e figlia lo aspettavano per fare colazione e l’odore di vaniglia o di crema riempiva la casa prendendo il posto dell’odore caldo di sonno. L’amore era la stanchezza della moglie che tornava a casa dopo una giornata che puliva le case dei ricchi e che seduta al tavolo della cucina aspettava che le versassi la pasta nel piatto e che aspettando si addormentava, così che dovevo svegliarla per mangiare con lei prima di uscire ed andare in pasticceria a lavorare, lasciandola sola nel letto con la sua stanchezza e la nostra solitudine. Questo è l’amore di noi vecchi: il senso di fatica, i sacrifici, i baci non dati, i silenzi, i litigi spenti per rassegnazione, i problemi, le difficoltà e dall’altra parte i compleanni, la nascita dei nipoti, il loro crescere, il nostro invecchiare curandoli e amandoli perché l’amore dei vecchi è un amore distribuito, dato a tante persone anche se nasce a ragione di una sola e di cui tanti, forse, non se ne rendono neanche conto perché trovano quell’amore come una cosa normale, dovuta.” Biagio si zitti guardando il fazzoletto che stringeva tra le mani e iniziò a parlare più lentamente “L’amore è la mano di Filomena stretta nella mia in ambulanza. Una mano pallida, fredda, perché aspettava il figlio maschio che desiderava e ha avuto un aborto spontaneo ed io la trovai nel salotto di casa, nel sangue, svenuta e senza forze. Io guardavo quella mano e sentivo lei piangere e avrei voluto darle tutto quello che c’è nel mondo per non farla piangere più e renderla felice per come la volevo vedere. Felice, per com‘era quando ci eravamo conosciuti e per come vive nei miei ricordi. Ed invece ormai non potevo farlo più, non avevo più modo e tempo per donarle quello che voleva. Anche se sei il più ricco del mondo, se non puoi asciugare le lacrime di chi ami, sei solo un povero Cristo come tanti. Questo è l’amore dei vecchi, quello che potevamo dare contro quello che abbiamo veramente dato e il senso di impotenza che ne deriva perché non c’è più tempo. Questo è l’autunno dell’amore: quello che ci è stato dato contro quello che avremmo voluto avere. Lo so che è stupido fare questi bilanci ma lo dico per te, perché tu comprenda che il più grande nemico dell’amore è il tempo. Il tempo che odia l’amore perché l’amore lo vince e lo neutralizza, il tempo che dell’amore falso, rivela l’incapacità, l’ipocrisia e lo rende distacco, solitudine, sofferenza, ma che non potrà mai vincere o negare quanto non può rubare, l’amore vero, quello che ti fa sfottere la morte perché quel tesoro che hai vivrà più a lungo di te. “ Biagio si voltò e guardò Lauretta negli occhi “Devi prendere seriamente l’amore perché ha una forza spaventosa, può distruggerti o renderti immortale, questo noi vecchi lo abbiamo capito quando era troppo tardi e voi giovani non riuscite neanche concepire questo senso drammatico e necessario di amare” Lei lo guardò senza capire e lui vedendo la sua difficoltà a seguirlo sospirò e le chiese: “perché u caddiddu è tornato nella sua gabbia?” La ragazza sorrise “Perché aveva paura di cambiare” “questo è quello che ho pensato io che da sempre, voglio vedere cosa c’è dopo l’orizzonte. Lo sai cosa ha detto mia moglie?” Lauretta lo guardò e scosse la testa “che u caddiddu è tornato nella gabbia perché non voleva lasciare chi lo amava, chi lo aveva sempre accudito e chi ogni giorno gli parlava e sorrideva. Ha rinunciato alla libertà, il suo bene più prezioso, per restare con me. Capisci? Filomena ha risposto quello che lei avrebbe fatto, rinunciando a vedere l’altra parte della vita, per amore. Malgrado tutto quello che abbiamo passato, malgrado le parole, gli sfottò che ci diciamo, lei non mi lascerebbe mai: questo è l’amore che non conosce il nulla che divora le vite. Quell’amore che riempie quegli istanti che altrimenti non avrebbero senso, la lancetta corta della nostra vita che  indica lo scorrere del  tempo e vince la consapevolezza di essere di passaggio.” Lauretta abbassò gli occhi e poi tornò a guardare quelli di lui. “perciò non ameresti mai un'altra” “Perché dovrei? Per fingere di essere tornato ragazzo ed illudermi di avere una vita di fronte a me? Per illudere qualcuno di aver raggiunto un paradiso che sarebbe solo provvisorio? Sarei ridicolo non solo per l’età ma perché non saprei amare per come ho amato. Reciterei una parte dove tutto è già scontato, è già stato detto, senza alcun fuoco e scopo” Lauretta lo guardò intensamente tutta seria, quasi contrariata. Poi d’improvviso tirò fuori dal giubbottino una busta. “Mamma gradirebbe molto se tu e Filomena verreste in chiesa per il matrimonio . Ti manda questo invito, ti prego vieni, vedrai come leggerò bene” E sorrise in modo freddo e formale ma con gli occhi pieni di tristezza. “ne sono certo, venirti ad ascoltare è la cosa che in questo momento desidero di più” Il sorriso di lei si allargo, caldo e tenero “Vedrai, sarai orgoglioso della tua allieva” Si alzò nervosamente ma lui la fermò afferrandole una mano “Io non so che risposta volevi sull’amore. Non lo voglio sapere perché sono vecchio ma proprio per questo sono onesto e sincero. Visto che te ne vai un po' seccata, ti prego di una sola cosa: non credere a chi ti promette tutto quello che desideri. Ama chi saprà darti le cose vere di questa vita. Perché se affronti l’amore come se fosse un sogno, un desiderio, una voglia da saziare, ti distruggerà” Lei lo guardò poi tirò il braccio per liberarsi dalla sua mano, si girò e camminando in fretta, se ne andò.
Biagio era a letto e nel buio della stanza, cullato dal respiro di Filomena che gli mostrava la schiena e che probabilmente, appena aveva toccato con la testa il cuscino, si era addormentata. Stava ripensando agli avvenimenti della giornata. Per prima cosa pensò a come Laura lo aveva guardato quando era arrivata alle domande che gli aveva fatto. Forse si aspettava una risposta diversa, perché in cuor suo voleva che le confermasse che poteva amare qualche d’un’altra, magari a lei. Aveva fatto bene a disilluderla. Lei meritava una vita da scoprire e creare giorno per giorno. Aveva bisogno, di un amico, un compagno d’avventure, un amore della sua età e con i suoi stessi desideri. Non di un vecchio come a lui che neanche chi gli stava accanto sopportava perché dopo quarant’anni di convivenza, ne vedeva solo i difetti. A questo punto pensò a Filomena e ricordò il momento in cui aveva dato alla moglie l’invito per il matrimonio. Lei lo aveva guardato stupita e spalancando gli occhi aveva chiesto “puru nui? Puru nui amu annari?” “Filomè è la terza volta che me lo chiedi! Lo vedi l’invito? Dice che ci aspettano in chiesa alle 11:00  e di occupare il posto S 301 e S 302 dove S sta per sinistra” “Oh Signuruzzu, ma non ho niente da mettermi…0ra chiamo tua figlia e le dico se andiamo a Catania a comprare un vestito” e corse in salotto ciabattando cercando il telefono ma senza lasciare l’invito della famiglia Andò e dei Baroni Requesenz a partecipare con loro all’amore di Serena e Gilberto. Biagio si girò nel buio del letto e dopo averla guardata abbraccio la sua vecchia Filomena. Si, si incazzavano, si mandavano a fanculo, ma non  potevano lasciarsi. L’abbracciò e sottovoce, quasi un sospiro, le chiese “Filomè, Ma tu mi vò ancora beni” “Cettu  -  rispose lei con gli occhi chiusi e con una voce sottile sottile impastata di sonno - se no a quest’ora ti  buttavo fuori dalla finestra” Biagio sorpreso che fosse ancora sveglia sorrise e chiese ancora “ Ma picchì mi vo beni?” “Comu picchì, l’amuri nun avi nu picchì. Si sapiria chi è,  l’amuri saria una cosa precisa, matematica, sicura, invece è na cosa che nessuno sa, che nessuno può dire è grande così …, pesa tanto … picchì è amuri. Jo sacciu sulu chi senza i tia muriria e basta, come si mi finiria l’aria o si stutiria u suli. E ora lassami dommini e non pinsari a sti cosi i carusi” E si spinse contro di lui a sentirlo lungo tutta la sua schiena. Biagio pensò che magari le avrebbe accarezzato il sedere e con la scusa di stringerla avrebbe fatto scendere la mano fino laggiù, sotto la mutanda come faceva da giovane per farle venire voglia. Ma la mano arrivò a metà della pancia e lui, avvolto nel tepore del corpo di Filomena, si addormentò.
“Hai visto? C’è la dottoressa Mizzichè, a direttrici du Papardu e u prufissuri Contini, il senatore, vadda, vadda c’è anche il Principe Stagno d’Alcontres.” Come faceva Filomena a conoscere tutta l’aristocrazia della città Biagio non lo sapeva. Era voluta venire un ora prima e dopo aver attraversato la Security sventolando l’invito, aveva preso possesso dei posti S301 e S302 dove S voleva dire sinistra, a due passi dalla  porta d’ingresso. Da li poteva vedere la sfilata degli invitati e uno ad uno gli spiegava l’importanza e il rango. Lui si sentiva un po' a disagio perché le sue frequentazioni erano di tutt’altra importanza ed andavano da Cocimo Pizzino che era stato dietro le sbarre di tutte le aule bunker dell’isola, oppure la bionda Principessa dal vestito da sera con un lungo spacco e gran un pomo d’adamo, fino a Teresa-Aggratis nota per la generosità con cui rendeva felice gli uomini malgrado i suoi non ancora sessantotto anni. Finita la sfilata degli aristocratici invitati vi fu quasi un ora di attesa fino a che un trambusto sul portone della chiesa e l’apparire della Wedding Planner nemica di San Rocco, non anticipò l’arrivo della sposa. L’organo incominciò a suonare e la sposa, elegante e bellissima entrò accompagnata dal padre che per l’emozione aveva il naso a patata rosso come se si fosse bevuto un litro di nero d’avola. La cerimonia era organizzata in ogni particolare e persino il coro parrocchiale degli Angeli Canterini, dall’età media sopra i sessanta e con un’ampiezza vocale di solo tre note, era stato sostituito da un gruppo di efebi in saio bianco che cantava con una estensione infinita, soave e delicata su cui si adagiava la voce potente e vibrante di un tenore che quando intonò l’Ave Maria d’ingresso fece commuovere Filomena. Il vecchio organo, acciaccato e mal funzionante, era stato sostituito da un nuovo organo spaziale elettronico, con quattro tastiere, degno dei concerti dei grandi cantanti ed era accompagnato da un violinista vestito in frac che qualcuno diceva essere venuto direttamente dal Bellini di Catania. Gli altari laterali erano un tripudio di rose e tuberosa che riempivano la chiesa di un profumo intenso e piacevole. Santu Roccu era avvolto in ghirlande di fiori che coprivano le piaghe e le ferite, lasciando intravedere soltanto suoi occhi sconcertati di sembrare con i capelli lunghi, la lunga barba e tutte quelle ghirlande profumate, un figlio dei fiori di altri tempi. Biagio però, nel mezzo di tutta quella nobiltà, aveva occhi solo per Lauretta che sfilava con le damigelle della sposa, tutte vestite con un delicato rosa. Appena lei lo vide lo salutò con le quattro dita con cui teneva un bouquet di fiori e un largo sorriso, attenta a non farsi vedere dalla Wedding Planner che controllava ogni cosa. La cerimonia incominciò dopo che il padre ebbe affidato la figlia al futuro marito e il vicario del vescovo, parente degli sposi, li accolse felice sorridendo. Filomena aveva fatto comunella con la sua vicina di sedia e commentavano con sguardi compiaciuti o di sorpresa ogni passaggio della cerimonia, dal canto del coro al vibrato del tenore o le vesti eleganti degli invitati. Quando arrivò il momento in cui Laura doveva leggere, la vicina si rivolse a Filomena dicendo sottovoce “Ora ridiamo” Lei le risposte puntuta “No signora, ora vedrà” E si giro verso Biagio facendo una faccia di disapprovazione. Lauretta si aggiustò la pagina ed incominciò a leggere lentamente, seguendo la punteggiatura e colorendo le frasi. Vi fù un movimento di teste lungo tutta la navata perché chi la conosceva diceva al vicino “Sintisti? Parra bonu” e l’altro chiedere “Ma nun era ghecchia?” Quando finì la lettura, Filomena si girò verso la vicina “ha sentito come parla bene? L’ha guarita mio marito” “È logopedista?” “di più, di più…” Rispose con non curanza Filomena fingendosi interessata a quanto avveniva sull’altare per non aggiungere altro. Biagio si era intanto perso nell’osservare Laura tornare al suo posto raggiante per aver letto la lettura evangelica senza fermarsi e con soddisfazione della sorella e dei genitori. Rispose alle congratulazioni delle damigelle sedute vicino a lei e poi cerco nella chiesa finché non incontrò gli occhi di Biagio e gli sorrise felice. Fu in quel momento che, come le aveva spiegato tempo prima, la ragione di Biagio si perse nel labirinto dei desideri e delle voglie e partendo dalla banale constatazione che era bellissima e che aveva un bel sorriso incominciò ad incamminarsi lungo i viali del piacere in cui si chiese se quelle labbra che sorridevano cosi bene fossero morbide e soffici, e se la lingua di una ghecchia fosse più lunga o più corta, più vogliosa o meno di chi non aveva problemi a parlare. Il pensiero passò al collo, alla sua pelle e stava scendendo più giù, verso le stanze sempre più oscure del piacere rinchiuse nei viali più torbidi del labirinto, dove Lauretta non era più la bambina che Biagio aveva in memoria ma una fonte di piacere, da quello di distruggere un fiore appena sbocciato a quello di trasformare l’innocenza in eros lascivio e volgare. A quel punto senti un dolore sul fianco e guardò verso il basso e vide il gomito puntuto di Filomena che aveva colpito il suo fegato “finiu i leggere (ha finito di leggere)” Gli ricordò Filomena che guardava l’altare tutta seria. Biagio sbuffò e si mise a seguire la cerimonia concentrandosi sul candido sedere della sposa perché ormai, una volta entrato nel labirinto, non ne usciva più facilmente. La cerimonia continuò in modo preciso e impeccabile con Filomena che ora piangeva e ora rideva, l’organo che ora suonava solenne ed ora allegro ma non troppo ed il coro dal sesso indefinito che con i vocalizzi ora saliva fino all’eterno ed ora se la sbrigava con un alleluia a tempo di charleston. Finalmente il vicario-parente disse agli sposi di andare in pace e tutto piombò nel caos con gli sposi che dovevano firmare i documenti ed i parenti che volevano farsi un selfie con gli sposi, con i decori floreali o con gli altri parenti impazienti di riempire i social di attimi indimenticabili presto sostituiti da piatti di pasta alla carbonara o gattini amorosi. La prima a partire a caccia di selfie fu Filomena che istigata dalla signora a lato volò spedita verso l’altare maggiore con il cellulare già convertito a porta multimediale per raccontare a tutto il suo parentado e a quelle invidiose delle sue comari, com’era un matrimonio da ricchi. Biagio restò in fondo alla chiesa, vicino alla fonte battesimale con l’enorme borsa e la giacchettina della moglie. Fu li che lo trovò Lauretta “Ciao – disse subito felice – come stai?” “Bene – rispose lui osservandola splendente e felice di una bellezza da donna che non ricordava e che scopriva adesso, intesa e seducente – e tu come stai? “Bene – disse lei solare e golosamente carnale – voglio presentarti Alessandro” E fece venire avanti un ragazzone alto dalle spalle larghe e la testa piena di capelli corvini che diventavano una barba ben tagliata e curata “Signor Biagio è un piacere conoscerla, Laura mi ha parlato tantissimo di lei: se lei è felice e se io lo sono con lei, è grazie alla sua buona volontà” Lo diceva senza enfasi ma con sincerità e il piacere di dirlo, di ringraziare qualcuno che aveva aiutato chi amava “Piacere ….” Disse stupito Biagio “Ci siamo fidanzati – disse felice Laura – l’ho incontrato l’ultima volta che ci siamo visti; quando ti ho lasciato sono andata al bar Irrera. Volevo farmi del male con due cannoli e lui vedendomi con il piatto pieno di dolci mi ha chiesto cosa festeggiavo” “Si è vero, poi li ha fatti mangiare a me ed io ho pensato che per lasciarmi mangiare i suoi cannoli doveva considerarmi tantissimo e l’ho invitata ad uscire. È stato un colpo di fulmine! Da allora non ci siamo più lasciati” “Buonasera signorina Laura, lei a mio marito Biagio lo trova sempre …” Tuonò la voce di Filomena con una forte sottolineatura di “mio marito”. “Filomena guarda c’è il ragazzo di Laura, Alessandro…” Fece pronto Biagio per evitare spargimenti di inutile gelosia e sciabolate di educati insulti “Piacere signora, lei deve essere Filomena, la moglie del signor Biagio. Laura mi ha detto che suo marito l’ama moltissimo” “ davvero? A volte se lo dimentica” Rispose Filomena presa in contropiede “ Io sono Alessandro Franza il fidanzato di Laura” Gli occhi di Filomena si allargarono stupiti “ Parente dei Franza dei traghetti ….?” “Alla lontana” “Oh che bel ragazzo si è scelta signorina Laura, proprio bello, alto e simpatico, come piacciono a me” Disse soddisfatta Filomena divorando con gli occhi Alessandro e tutti i suoi muscoli visibili o meno. Biagio guardò la moglie sconcertato e preoccupato per l’inadeguato primordiale desiderio che brillava nei suoi occhi. Laura si girò a prendere una qualcosa da una sedia dietro di lei. “ecco volevamo ringraziare il sig. Biagio per l’aiuto, che mi ha dato e tutto il tempo che mi ha dedicato. La prego, prenda questa che è la bomboniera che diamo ai nostri parenti più intimi, un modo per dirle grazie da parte mia e un grazie enorme dalla mia famiglia” E passò loro una scatola grande, tutta bianca con un enorme nastro rosa e dei fiori secchi colorati “Ma non c’era bisogno – disse Filomena afferrando al volo la bomboniera – Biagio è stato contento di farlo” E guardò con cupidigia la bomboniera già pensando in quale angolo della casa poteva metterla perché tutti la notassero e soprattutto la vedesse quella “Strammata scassaminchia” che era la suocera di sua figlia. “Amore vieni che devi fare le foto con gli sposi sull’altare” La sollecitò Alessandro Laura salutò Filomena ormai ipnotizzata dalla bomboniera e allungò la mano verso Biagio “Grazie …. Di tutto!” Gli disse sorridendo Lui la guardò e in quel momento la trovò ancora una volta bella come l’illusione di una nuova vita che ormai era persa, perché alla fine nessun caddidu torna indietro quando si apre la porta della sua gabbia e al di la di essa trova l’amore che cercava.
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crazy-so-na-sega · 2 years
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La Fierucola dei trabiccoli
Il singolare mercato si svolgeva fino a primi anni del novecento, l’11 novembre per la festività di San Martino sul Ponte Santa Trinita (con estensione anche della parte iniziale di Maggio) oltre ad avere la caratteristica del luogo, il ponte dell’Ammannati, possedeva anche la tipica ed esclusiva della merce trattata: i “trabiccoli”. Questi necessari attrezzi per uso domestico, consistevano di un insieme di stecche leggere di legno che formavano una strana grande gabbia a forma di cupola sotto la quale c’era un gancio, dove si appendeva uno scaldino [1] per rendere caldo il letto o anche per asciugare i panni o la biancheria, soprattutto quella dei bambini.
Giuseppe Conti, Firenze Vecchia:
“[...]La fiera di San Martino, che si faceva l'11 novembre sul Ponte Santa Trinita e in Via Maggio, aveva anch'essa la sua nota caratteristica. La specialità di tal fiera erano i trabiccoli, e gli altri scaldaletti chiamati preti, zane, cestini da bambini, paniere da biancheria, e panieri d'ogni genere. Ed era curiosa la processione delle donne da casa e delle massaie, che tornavan coi trabiccoli o i preti; e le paniere, le zane e i cestini che si facevan portare dai ragazzi, i quali, per fare il buffone, se le mettevano addosso nascondendocisi dentro, baciando e correndo come se quelle zane camminassero da sé [...]” 
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"prete" con cècia
I trabiccoli avevano più forme, ma le più usate erano di due tipi: il trabiccolo a cupola, il più conosciuto “prete” bislungo a forma di ellisse, dove al centro in alto si appendeva un recipiente di terracotta, la “cecia” con dentro la brace accesa. Come è facile intuire se c’erano più tipi di scaldini, almeno due: i “veggi” e le “cece”, i primi erano più esili e snelli ed erano portati a mano dalle donne per riscaldarsi durante le fredde giornate, oppure se sedute, venivano posti vicino ai piedi per fare in modo che il calore salisse sotto le gonne. Le ciecie invece erano più basse dei veggi, e per questo venivano preferibilmente attaccate ai trabiccoli messi sotto le lenzuola, e le nonne, con gli immancabili “scialli” [2], li preferivano ai primi perché erano meno ingombranti.
Giuseppe Conti ci racconta che l’uso dello scaldino era anche un modo per fare contrabbando: “[…] Certe altre poi, si lasciavan frugare tranquillamente perché sapevano di non aver nulla addosso; e lo stradiere non si accorgeva, ed era quasi impossibile, che quello che cercava era nel veggio o scaldino ch'esse figuravan di portare per scaldarsi, e dentro era pieno di spirito chiuso in una piccola bombola, fatta a modello, coperta da un po' di brace e della cenere, che nascondeva perfettamente il frodo […]”
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"Veggio" in rame con lungo manico
Negli inverni più freddi non era difficile vedere per strada le donne che si portavano lo scaldino come oggi portano la borsa, per evitare che le mani, più esposti al freddo, potessero essere colpite dai “geloni” [3]. Bisogna ricordare che soltanto i ricchi potevano permettersi la propria casa riscaldata con stufe e caminetti, mentre quella della povera gente rimaneva fredda, anche se stemperata dal “caldano” [4] o braciere in terracotta o metallo, pieno di tizzoni ardenti e brace. La fierucola di San Martino era fatta da piccoli commerci e artigianato povero, oggi è tanto folkloristico, e richiamava tanti possibili compratori, spesso di oggetti fatti dagli stessi venditori. La voglia di lavorare per vivere era così tanta che alcuni intraprendenti individui, per sfruttare il fresco estivo sul Ponte Santa Trinita, inventarono un lavoro decisamente bizzarro: il “pancaio”. Infatti chi voleva prendere il fresco sui Lungarni, meglio sui ponti, come se fossero ad un caffè oppure ad una osteria, venivano poste, dagli intraprendenti pancai, delle panche con spalliera poste lungo i parapetti dei ponti, ovviamente con un pagamento di pochi centesimi.
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decadence-brain · 2 years
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Ricordo con piacere gli amici della squadra quando parlando di me dicevano capitan Cirano, ho sempre amato quel personaggio guascone dall’animo innamorato, oggi mi hanno chiamato per ricordarmi che loro sono me ed io loro e mi sono commosso davvero molto a sentirmi buttare addosso tutto questo affetto.
Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto! Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria ma non avete scorza ; godetevi il successo, godete finché dura ché il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe. Io sono solo un povero cadetto di Guascogna però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli? L'arrivismo? All'amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti; venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatti del qualunquismo un arte; coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto assurdo bel paese. Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato; coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Ma quando sono solo con questo naso al piede che almeno di mezz'ora da sempre mi precede si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore; non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le donne le ho perdute e quando sento il peso d'essere sempre solo mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo, ma dentro di me sento che il grande amore esiste, amo senza peccato, amo ma sono triste
perché Rossana è bella, siamo così diversi; a parlarle non riesco, le parlerò coi versi.
Venite gente vuota, facciamola finita: voi preti che vendete a tutti un'altra vita; se c'è come voi dite un Dio nell'infinito guardatevi nel cuore, l'avete già tradito e voi materialisti, col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti. Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco.
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada ma in questa vita oggi non trovo più la strada, non voglio rassegnarmi ad essere cattivo tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo; dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto. Non ridere, ti prego, di queste mie parole, io sono solo un'ombra e tu, Rossana il sole; ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora ed io non mi nascondo sotto la tua dimora perché ormai lo sento, non ho sofferto invano, se mi ami come sono, per sempre tuo Cirano.
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gregor-samsung · 4 months
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" Il 14 gennaio 1990 lasciai il Centro giovanile, dove vivevo e, zaino in spalla, mi incamminai per Korogocho. Fu la mia “discesa agli inferi”! Era la domenica del Battesimo di Gesù e celebrai con i pochi cristiani l’Eucaristia. Spiegai loro con il mio povero kiswahili (lingua ufficiale in Kenya) che avevo scelto proprio quel giorno perché avevo bisogno di essere battezzato da loro. Mi sentivo un piccolo-borghese che aveva necessità del battesimo degli impoveriti. Scelsi di vivere come tutti loro: in una baracca, mangiare quello che loro mangiavano, andare a comprarmi l’acqua con una tanica, vivere la loro realtà quotidiana, spesso violenta e drammatica. Persi subito i venti chili in più che noi occidentali accumuliamo. Soprattutto, gli orrori umani che incontravo mi facevano impazzire. Quante volte fui preso da un profondo sconforto, dal desiderio di sbattere la testa contro i muri della baracca! In quell'immensa distesa di lamiere che è Korogocho si palesava tutta l’assurdità del nostro mondo. Dai buchi della mia baracca potevo vedere i grattacieli di Nairobi, mentre a soli quattro chilometri da Korogocho c’è Muthaiga, la zona residenziale più bella e lussuosa della metropoli, con ville da sogno. Nairobi è una città nella quale, in pochi chilometri, si passa dal paradiso all'inferno. O meglio agli inferi: ce ne sono tanti in quell'area! Il più terribile, forse, sorge a fianco della baraccopoli: l’enorme e spaventosa discarica di Dandora, dove arrivano i rifiuti dei ricchi della capitale, per l’esattezza i rifiuti dei rifiuti; vi lavorano migliaia di persone chiamate “scavengers” (i raccoglitori di rifiuti).
Un giorno, mentre camminavo fra le baracche, fui bloccato da un uomo della discarica, un “gigante” che mi guardò dall'alto in basso: «Muthungu» (bianco), mi disse, «sei il primo bianco che ha avuto il coraggio di vivere qui. Ma chi siamo noi che non ti degni neanche di venire a trovarci?». «È da poco che sono arrivato qui,» gli risposi, «ma hai ragione! Domani, sarò da voi!» Quella sera una delegazione di cristiani venne a trovarmi. Erano visibilmente preoccupati: «Padre, abbiamo saputo che domani vuoi andare in discarica. Non puoi andarci, quelli sono criminali. Ti ammazzano». Restai qualche istante in silenzio, riflettendo su quelle parole: «Io non sono venuto a Korogocho per i santi,» risposi, «ma per i criminali». L’indomani presi lo zaino e mi incamminai. Arrivato in cima alla collina, fui accolto da uno stormo di avvoltoi, davanti a me si spalancò uno spettacolo infernale: un’immensa spianata con montagne di immondizie, ovunque fuochi, centinaia di scavengers: uomini e donne di ogni età, anziani e bambini… Fui preso dal terrore, il primo istinto fu quello di scappare. Per fortuna vidi quel gigante che mi aveva sfidato ad andare in discarica, Jeremias. Gli corsi incontro, quasi per cercare protezione. Quando mi vide, mi guardò con un sorriso ironico: «Muthungu, non pensavo che voi bianchi manteneste le vostre promesse!». "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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bergamorisvegliata · 1 month
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da "UN CORSO IN MIRACOLI SEMPLICE" -di Leyla Tommasi-
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"Il mondo dell' ego e' costruito sulle lamentele. Crede che lamentarsi voglia dire vincere,mentre e'proprio il contrario. L'occhio spirituale guarda attraverso lenti diverse. Vede tutto come motivo di gratitudine, la strada piu' breve al successo e alla realizzazione. La resistenza non e' qualcosa che ti accade. E' qualcosa che scegli perche' credi di averne un vantaggio. Quando il vantaggio che percepisci nello STAR BENE e' maggiore di quello che percepisci nello star male, potrai raggiungere la pace interiore" ( da Un corso in miracoli semplice).
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Io sono stata per lunghi anni tutte queste cose.🤷‍♀️ Lo so bene come si fa a vivere in guerra con la vita, in opposizione, in costante vittimismo e lamentela: non fai altro che attrarre un disastro dopo l' altro, nuovi motivi per essere arrabbiata delusa, triste, depressa, o malata…. Quando invece decidi di arrenderti alla saggezza della Vita e a fidarti, quando sei grata nonostante ti trovi in mezzo a difficolta'…ecco che succedono i miracoli e inizia a cambiare la linea del destino ,come dice Vadim Zeland. Se fluisco e ringrazio, divento una calamita che attira solo cose belle e ,cavolo, quando sperimenti un benessere interiore grazie ad una nuova visione spirituale dell' esistenza, sarebbe da pazzi tornare indietro! 🙌❤️ La Pace e la Gioia di vivere sono troppo importanti per me!
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Ma come cavolo ho fatto a sprecare 45 anni della mia vita nella rabbia e nella tristezza? Qualcuno adesso potrebbe obiettare che sono discorsi facili per chi vive e gli va tutto bene… No non funziona cosi'. Io ho vissuto delle tragedie e dei traumi fin da bambina piccola che mi hanno segnato l' esistenza e che non auguro a nessuno. E poi altri drammi veri anche da adulta…. Qualcuno che conosce la mia storia mi ha detto: tu sei una sopravvissuta! 🤷‍♀️ Ma la bella notizia e' che ci si puo' affrancare da tutto cio'. Noi non siamo quello che ci e' successo. Noi non siamo nemmeno le malattie che abbiamo. Niente dura per sempre, e quindi nemmeno le cose brutte. Sta a noi scegliere come reagire agli eventi e questo cambia letteralmente il futuro che avremo. La vita che vivo oggi e' il risultato dei pensieri che ho fatto ieri poiche' i pensieri sono creanti, creano la mia realta'…. In questo modo posso decidere da sola se la mia vita sara' un Paradiso o un inferno.. Io scelgo di avere fede qualsiasi cosa succede…
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Avere fede per me non significa credere ciecamente a preti o guru spirituali di qualsiasi specie, o seguire una pratica religiosa….Ci puo' essere anche quella ( la pratica) ma conosco gente che va in chiesa ogni giorno ed e' depressa ugualmente… Avere fede per me significa riconoscere e sentire nel profondo di me stessa l' appartenenza ad una verita' che mi trascende, sentirmi figlia della Vita, la Fonte, Dio, Universo o come vi piace chiamarlo, e in quanto figlia poiche' creata, sentirmi sostenuta in ogni istante da una forza inesauribile che e' l' essenza di quello che io chiamo Dio: L' AMORE. ❤️
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Leyla ©️
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girasoleazzurro · 2 months
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Il primo tema di cui parla Faeti nell'introduzione spiega già quasi tutto.
Si parla di imagerie popolare, iconografia con un lungo passato, nata nelle piazze e radicata nel volgo italiano. E di quelle figure che si muovono in questo ambito: i Figurinai, originariamente venditori ambulanti di figurine, intesi qui come un gruppo definito di illustratori con definite caratteristiche ed affinità con questo tipo di immaginario.
Si fa riferimento a quella antica tradizione che riguarda le stampe popolari e la letteratura ad esse collegata - accostabile ai chapbook inglesi, i bilderbogen tedeschi e la litterature de colportage francese. Erano libretti portati nelle città e nelle campagne da venditori ambulanti. attraverso i quali poteva comporsi una cultura popolare fondata su prodotti artigianali, diversi da quelli offerti dall'editoria moderna. Erano arrangiamenti, manipolazioni, riassunti tratti da opere più complesse ed inserite in grandi e famosi filoni: romanzi, aneddoti, descrizioni di miracoli, episodi storici, biografie di personaggi illustri. La loro più evidente caratteristica era la presenza dell-immagine, che doveva convincere, esporre, spiegare. Le immagini venivano spesso appese alle pareti {da cui la definizione di letteratura murricciolaia}, dalle quali potevano trasmettere il loro messaggio, che spesso risultava decisamente alternativo rispetto ai contenuti pedagogicamente diffusi dall'autorità costituita.
Questa spinta si incarna nelle immagini “capovolte” quelle che rendono protagonisti coloro che sono abitualmente disprezzati, odiati o temuti: Il mondo alla rovescia, L'albero della cuccagna, La gran compagnia de-rovinati, sono alcuni esempi, a cui si può facilmente accostare la mia idea di un carnevale dove la luna si mostra girata al contrario. Queste storie nascono poi nelle piazze, dai racconti dei cantimbanchi, dove nascono anche le maschere del carnevale della commedia dell'arte.
La fine dell'ottocento il momento in cui questa tradizione inizia ad essere sostituita, in parte integrata, con quella che oggi definiamo come letteratura per l'infanzia. Il caso di Salani è emblematico perché si pone al confine di quest'epoca, ed è anche l'editore del corpo principale di opere illustrate da Chiostri che compongono la mia ricerca. La tendenza di Salani era di inserire nell'ambito della letteratura popolare, prodotti che rinnovassero questo repertorio senza del tutto abbandonarlo, seguendo così un itinerario secondo il quale la letteratura per l'infanzia si approprierà di contenuti che gli adulti hanno ormai abbandonato. Un esempio di questo territorio condiviso tra letteratura popolare e libri per bambini sono le Novella della Nonna di Emma Perodi, in cui la fiaba si appropria di contenuti da feuilletton, sempre illustrate da Chiostri.
Analizzando il segno di autori come Chiostri e Mazzanti risulta chiaro come derivi da quello degli anonimi autori delle antiche stampe vendute per strada. La chiarezza del loro segno ripropone la simbolica fissita’ delle immagini dei santi, mentre allude ambiguamente all'ambito opposto, dell’imagerie popolare, con i suoi preti peccatori, e il suo gusto per il blasfemo {che è forse una delle prime espressioni di voglia di sovversione?).
...
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Penso che il rapporto con l'immagine sacra sia uno di quegli elementi cuciti sottopelle che sto cercando di raccontare in questo progetto, che forse è anche un modo di riappropriarsi e ri-ambientarsi in un luogo, un tempo, una cultura, concreta e spirituale.
É fondamentale la sacralità della Luna all’interno del mio racconto, incarna una divinità femminile come la madonna e la fata turchina. Così come fondamentale il senso di sovversione e di rovesciamento. In questa dicotomia tra aderenza ad una cultura cattolica profondamente radicata {e un rigido sistema pedagogico}, e spinta sovversiva, quasi blasfema, presente nella letteratura Murricciolaia, sento espresso quel senso di appartenenza ed al tempo stesso di messa in discussione della religione, con il suo carico di immagini, simboli, ricorrenze e modi di scandire la vita famigliare, soprattutto nel periodo dell’infanzia, soprattutto la mia.
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da Corpo Celeste, di Alice Rohrwacher, 2011. (Dopo ne parliamo).
Marta che accarezza il crocifisso –
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daimonclub · 4 months
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Libri e lettori
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Quanto a me, povero diavolo, la mia biblioteca era un ducato anche troppo vasto! Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che è offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso. Marcel Proust A book must be an ice-axe to break the seas frozen inside our soul. Franz Kafka Quanto a me, povero diavolo, la mia biblioteca era un ducato anche troppo vasto!... Così, per sua gentilezza, sapendo che amavo i miei libri, non mi separò dalla biblioteca i cui volumi hanno per me un valore maggiore del mio regno! Prospero nella Tempesta di William Shakespeare. Il migliore scrittore sarà colui che ha vergogna di essere un letterato. Friedrich Nietzsche Noi crediamo infatti, come sostengono anche i grandi innovatori della filosofia tecnologica e commerciale della rete, che il mondo del business nella sua essenza profonda, è fondamentalmente umano, e che la tecnica senza estetica alla lunga non interessa nessuno. Il vero linguaggio del commercio del resto è la naturale conversazione tra degli esseri umani. Carl William Brown Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore. Joseph Conrad I libri sono vivacemente e vigorosamente produttivi come quei favolosi denti del dragone che piantati qua e là possono far germogliare uomini armati. John Milton Dai libri imparo meno che dalla vita; un solo libro mi ha molto insegnato: il vocabolario. Ma adoro anche la strada, ben più meraviglioso vocabolario. Ettore Petrolini I libri hanno gli stessi nemici dell'uomo: il fuoco, l'umidità, il tempo e il proprio contenuto. Paul Valéry Vita Cartesii est simplicissima ... La bêtise n'est pas mon fort. J'ai vu beaucoup d'individus, j'ai visite quelques nations, j'ai pris ma part d'entreprises diverses sans les aimer, j'ai mangé presque tous les jours, j'ai touché à des femmes. Je revois maintenant quelques centaines de visages, deux ou trois grands spectacles, et peut-être la substance de vingt livres. Je n'ai pas retenu le meilleur ni le pire de ces choses : est resté ce qui l'a pu. Paul Valéry Così aveva stabilito Gargantua. La loro regola consisteva in questo solo articolo: FA' QUELLO CHE VUOI. Perché persone libere, bennate, ben istruite, che frequentano oneste compagnie, sentono per natura un istinto e inclinazione che sempre le spinge ad atti virtuosi e le tiene lontane dal vizio: ed è ciò che essi chiamavano onore. F. Rabelais I libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di familiarità attiva e penetrante. Fernando Pessoa I miei libri sono stati scritti per far divertire chi già sa che l’uomo è stupido, per far arrabbiare chi ancora non lo sa e per far riflettere chi si ostina, contro ogni evidenza, ad avere sempre dei dubbi. Carl William Brown Notte Una piccola stanza gotica, con una volta alta. Faust, inquieto, sulla sua poltrona, davanti al leggio FAUST. Ahimè!, ho studiato, a fondo e con ardente zelo, filosofia e giurisprudenza e medicina e, purtroppo, anche teologia. Eccorni qua, povero pazzo, e ne so quanto prima! Vengo chiamato Maestro, anzi dottore e già da dieci anni meno, per il naso, in su ed in giù, in qua ed in là, i miei scolari. E scopro che non possiamo sapere nulla! Ciò mi brucia quasi il cuore. Ne so, è vero, un po' più di quelli sciocchi, dottori, maestri, scribi e preti; non mi tormentano né scrupoli, né dubbi, né ho paura del diavolo o dell'inferno. Però mi è stata tolta in cambio di ciò ogni gioia; non mi metto in capo di sapere qualcosa di buono, non mi illudo di poter insegnare qualcosa, di saper render migliori o convertire gli uomini. Oltre a ciò non ne ho né beni, né danari, né onori, né le pompe del mondo. Nemmeno un cane potrebbe continuare a vivere cosi. Mi sono dato pertanto alla magia, se mai il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche segreto. Per non dover dire, dopo così amare, sudate fatiche, quello che non so, per poter scoprire ciò che, nel profondo, tiene insieme l'universo e contemplare ogni attiva energia ed ogni primitiva sostanza e smetterla di rovistare nelle parole. Johann Wolfgang von Goethe Già, quello che si chiama sapere! A chi è permesso chiamar le cose con il loro nome? I pochi che ne capirono qualche cosa e, abbastanza ingenui, non frenarono l'empito del loro cuore e rivelarono alla folla i loro sentimenti e le loro visioni, li hanno sempre messi in croce o sopra un rogo. Vi prego, amico, è notte fonda, per questa volta dobbiamo interrompere. Goethe Faust Anche la vecchia pelliccia pende al vecchio chiodo e mi ricorda le sciocchezze che insegnai, allora, a quel ragazzo e delle quali egli, un giovanotto ormai, si nutre ancora oggi. O cappa dal lungo pelo, mi prende veramente il desiderio di darmi, ancora una volta unito a te, l'importanza del docente, come quando si pensa di aver completamente ragione. Ai dotti ciò riesce, al diavolo è passata la voglia da un pezzo. (Scuote la pelliccia che ha tirata giù dal chiodo. ne vengono fuori tignole, scarafaggi e farfallette.) Mefistofele Goethe Scarica gratis degli e-books interessanti. Ars longa, Vita brevis Aforismi Volume I L'Italia in breve Aforismi Geniali Aforismi contro il potere Daimon Library Books Read the full article
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giancarlonicoli · 7 months
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18 set 2023 09:49
“LA CHIESA VUOLE I MIGRANTI CON LA MANO TESA. QUI NON VIVIAMO DI ELEMOSINE, MA DEL NOSTRO LAVORO” – LA VICENDA DI LUCA FAVARIN, SACERDOTE DI PADOVA CHE È STATO SOSPESO DALLA CURIA PER GLI INCASSI (QUASI 2 MILIONI DI EURO L’ANNO) DELLA COOPERATIVA DI CUI È PRESIDENTE, CHE DA’ LAVORO A MIGRANTI E AIUTA I MINORI - “NEL 2020 MI HANNO DETTO CHE LA MIA FIGURA CREAVA DISAGIO. IO, NON I PRETI ACCUSATI DI PEDOFILIA. E COSÌ ME NE SONO ANDATO...” -
Estratto dell’articolo di Fiammetta Cupellaro per “La Repubblica – il Venerdì”
Anche all’altare è sempre una questione di schei, di soldi. L’eterno diavolo del Nordest. Luca Favarin, cinquantenne padovano, capelli lunghi, occhiali, felpa con cappuccio e sciarpa arcobaleno, è un ex parroco che incassa quasi due milioni di euro l’anno.
Grazie ad un ristorante, “Strada Facendo” e a una cicchetteria, “Versi ribelli”, all’interno della caffetteria al museo degli Eremitani, un campus per minori non accompagnati. Una rete che fa capo alla cooperativa Percorso Vita, con circa 40 dipendenti e di cui Luca Favarin è il presidente. Il personale proviene tutti dai centri di accoglienza per migranti di Padova.
La Curia ora lo ha sospeso a divinis e dalla fine di agosto non può più celebrare. Secondo Mario Cipolla, il vescovo della città di Sant’Antonio, nei bilanci della cooperativa c’era poca trasparenza. In buona sostanza la sua sarebbe stata una attività imprenditoriale vera e propria in quanto tale «proibita dal diritto canonico».
«Erano interessati soltanto a vedere i conti e io ho detto no. Così hanno preferito cacciarmi», si difende invece Favarin. Così la città adesso si divide tra chi accusa l’ex parroco di Santa Maria di Lourdes di lucrare sull’accoglienza e chi invece lo difende come un moderno San Francesco. Anzi, un santo 2.0, visto che i messaggi più importanti – come quello di sentirsi ormai fuori dalla Chiesa – li ha affidati a post sul suo profilo Facebook. […] Nel frattempo, Don Luca annuncia il desiderio di avere un figlio. Forse con l’utero in affitto.
Favarin, ma come pensava di fare il prete e anche l’imprenditore?
«Non sono un imprenditore, sono il presidente di una cooperativa sociale che è tutta un’altra cosa. Investiamo tutto quello che guadagniamo. La Curia per anni ha fatto finta che io non esistessi. Almeno dal 2012, anno in cui ho chiesto di essere esonerato dai miei doveri di parroco, mi occupavo della parrocchia di Santa Maria di Lourdes a Vigonza.
La rete di associazioni che avevo messo in piedi, impegnate nell’inclusione di migranti e di minori, mi stava assorbendo troppe energie e avevo capito che avrei dovuto fare solo quello. Per lungo tempo io la Curia non l’ho cercata e loro non hanno cercato me. All’improvviso, nel 2020, mi hanno contestato il metodo di accoglienza e hanno chiesto di vedere i conti dicendo che la mia figura creava disagio all’interno della Chiesa. Io, capisce?, non i preti accusati di pedofilia. E così me ne sono andato via. Ognuno per la sua strada».
A proposito di bilanci, lei quanto guadagna?
«Ora 1.200 euro al mese. Ho un contratto con la cooperativa di cui sono il presidente. Contratto di tipo A1, ossia il livello più basso. Sono tornato a vivere con mia madre e il mio ufficio è nel garage di una delle sedi della cooperativa. Per il resto, ho molti amici che mi aiutano».
Anche sacerdoti?
«No. Dopo 25 anni non ho più visto nessuno. Ma non ho nulla di cui vergognarmi. Secondo loro, sbaglio? Pazienza».
Lei, però, dice che la vita religiosa le manca: ma allora perché non ha cercato di organizzare l’accoglienza come voleva la diocesi?
«La Chiesa vuole i migranti con la mano tesa. Qui non viviamo di elemosine, ma del nostro lavoro. Questa è un’attività commerciale che vogliamo difendere. Noi stiamo dimostrando che non c’è bisogno di mendicare ma che quelli che pensiamo debbano vivere delle nostre elemosine – alcuni di loro cinque mesi fa erano su un barcone – si possono mantenere da soli e, anzi, creare posti di lavoro. […]».
Però ci sarà stato all’inizio qualcuno che avrà creduto nelle sue idee e che vi avrà aiutato?
«Nel 2017 ho chiesto un mutuo di 700 mila euro».
Mentre era ancora un sacerdote?
«Certo. La rete della cooperativa si stava ampliando e bisognava fare scelte precise. Mi scusi, ma come potevo pagare i professionisti che mi hanno aiutato ad aprire il ristorante e tutto il resto? Con l’Ave Maria e il Padre Nostro? Qui sono arrivati ragazzi con ferite ancora aperte, scioccati, che non parlavano italiano. […]».
Poi c’è la questione dei ragazzi minorenni. La loro gestione sarà più complicata che organizzare un ristorante...
«Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno togliamo dalla strada circa 150 ragazzi con problemi gravissimi alle spalle. Lavoriamo per inserirli a scuola o nel mondo del lavoro». […]
In questa sua seconda vita c’è spazio per un figlio? Abbiamo letto che lei potrebbe diventare padre con la maternità surrogata.
«Sono dell’idea di voler rimanere single, almeno per il momento. Poi chissà. Ho 50 anni, per questo avevo detto che semmai avessi desiderio di un figlio, mi sarei rivolto a quel tipo di scelta. Ma ora mi sento resuscitato e ho altro da fare». […]
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kritere · 1 year
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Il cardinale Zuppi racconta come è nata la vocazione: “Anche io ho avuto dubbi e mi sono innamorato”
DIRETTA TV 11 Maggio 2023 Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, si racconta in un’intensa intervista a Repubblica: l’arrivo della vocazione, la natura “di strada” dei preti e l’incontro con la morte come con una sorella. Il caso Orlandi? “Le accuse a Wojtyla sono inqualificabili”. 1 CONDIVISIONI La lunga intervista di Repubblica al cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di…
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Sull'Isola Sacra, Igraine aveva appreso che la morte era solo la porta d'una nuova nascita; e quindi non capiva perché mai un cristiano dovesse avere tanta  paura di andare incontro alla pace eterna.
Nell'Isola Sacra dove sono cresciuta insegnano che la morte è  sempre la porta di una nuova vita e di una nuova sapienza.....
Quale Dio giusto condannerebbe all'Inferno un uomo per la sua ignoranza, anziché insegnargli nell'aldilà?
Nel tempio ci dicono che la vera felicità si trova soltanto nella liberazione dalla Ruota della Morte e della Rinascita  e che dobbiamo disprezzare le gioie e le sofferenze terrene, e aspirare soltanto alla pace della presenza dell'eterno.
Eppure io amo questa vita sulla terra....e ti amo d'un amore più forte della morte. Se il peccato è  il prezzo del legame tra noi, vita dopo vita, allora peccherò con gioia per ritornare sempre a te, mia amata!
I Sacri Emblemi  dei druidi, custoditi ad Avalon da quando i romani avevano bruciato i boschi sacri... piatto, coppa, spada e lancia, simboli dei quattro elementi: il piatto della terra, la coppa dell'acqua, la spada del fuoco, la lancia o lo scettro dell'aria..
Corpo e anima, le avevano  insegnato, non erano legati saldamente: nel sonno l'anima abbandonava il corpo è si recava nella terra dei sogni dove tutto era illusione e follia; ma a volte giungeva nella terra della verità....
Un druido deve diventare bardo prima che sacerdote, perché  la musica è una delle chiavi delle leggi dell'universo.
Attento a ciò  che dici perché in verità le parole che pronunciamo gettano un'ombra su ciò che avverrà, e pronunciandole le facciamo avverare...
Per la prima volta in tanti anni si sentiva confusa; sapeva che non era facile definire la virtù. I cristiani consideravano la castità la virtù più alta, mentre ad Avalon era virtù donare il proprio corpo al Dio o alla Dea in armonia con il fluire della natura: ciò che per gli uni era virtù, per gli altri era il peccato più nero.
Io credo che Dio voglia vedere gli uomini impegnarsi per cercare da soli la verità
La vecchia magia dei druidi l'ha sottratta (Avalon) a questo mondo perché era troppo bella per noi uomini imperfetti, un sogno di paradiso...
Dio è uno... e tutto il resto non è  altro che il modo in cui gli ignoranti cercano di dargli una forma comprensibile, come l'immagine della tua Vergine. La Vergine e il Drago sono egualmente simboli di cui l'uomo si serve per invocare l'aiuto celeste....
Il simbolo del drago dev'essere sempre davanti a loro perché l'umanità si realizzi anziché pensare al peccato e alla penitenza!
Forse quando parliamo del tempo che passa lo facciamo solo perché abbiamo l'abitudine di contare tutto.
...A un certo livelli dei Misteri, ciò che si mangia influisce sulla mente... ora non oso mangiare carne, mi ubriaca più  dell'eccesso di vino.
Avalon sarà  sempre accessibile per chi saprà  trovare la strada: ma se l'umanità  non vi riesce, allora forse questo è il segno che non è  pronta.
Se volete orientare la vostra vita secondo il messaggio degli Dei, cercate ciò che si ripete, perché è  la lezione karmica che dovete imparare in questa incarnazione. Ciò che continua a ripetersi finché lo avete assimilato nel vostro spirito.
Ciò  che non è  stato creato dall'uomo non può essere venerato sotto un tetto costruito da mani umane.
Dobbiamo credere che Cristo morì per redimerci dai peccati. Conosco troppo bene la verità....so che in una vita dopo l'altra noi dobbiamo esaurire le cause che abbiamo messo in moto e rimediare al male compiuto.
Non è sensato che un uomo solo, per quanto santo e benedetto, possa espiare tutti i peccati del mondo.
No, credo sia uno scherzo crudele dei preti, per indurre gli uomini a pensare che sono ascoltati da Dio e possono perdonare in suo nome...
Il loro Dio sarebbe quell'unico e cancellerebbe persino il nome della Dea che serviamo. Non capisci che questo renderebbe più ristretto il mondo? Sembra che ora gli uomini vedano il mondo in modo diverso, come se una verità dovesse scacciare le altre...
In futuro lo capiranno anche i preti... ma sarà  troppo tardi, se nel frattempo avranno estirpato ogni altra verità dal mondo.
Forse in Avalon potremmo conservare la sapienza segreta... ma ormai non potremo più  diffonderla nel mondo.
Nelle ultime generazioni gli uomini avevano imparato a credere che esistessero un solo Dio, un solo mondo, un solo modo di descrivere la realtà, e che quanto era estraneo a quel mondo appartenesse ai diavoli, e che il suono delle campane tenesse lontano il male.... e più  era numerosa la gente che lo credeva, più  Avalon diventava un sogno alla deriva in un altro mondo quasi inaccessibile.
In quegli ultimi tempi vi erano alcuni che avevano visto l'albero della Sacra Spina nella prima fioritura per i seguaci del Cristo, e adoravano Cristo in pace senza cercare di scacciare la bellezza del mondo.
Molti di loro giungevano ad Avalon per sfuggire alla persecuzione bigotta...da quei cristiani appresi finalmente qualcosa del Nazareno, il figlio del falegname che era pervenuto in vita alla Divinità e aveva predicato la tolleranza: e allora compresi che non avevo motivo di risentimento verso Cristo, ma verso i preti sciocchi e meschini che scambiavano la propria meschinità per il suo volere.
Vogliono usare i Sacri Simboli della Dea per evocare la Presenza.... che è  Una...ma vogliono farlo in nome del Cristo che chiama demoni tutti gli altri Dei!
La coppa che i cristiani usano nella messa è l'invocazione dell'acqua, come il piatto su cui pongono il pane consacrato rappresenta l'elemento della terra. Ma anziché l'acqua pura della fonte della Dea, hanno usato il vino, contaminando il calice!
Io sono tutto... la Vergine e la Madre, colei che da la vita e la morte...
Prima che Cristo fosse, io sono, e sono io che ti ho fatta quale sei. Perciò, figlia, dimentica la vergogna e rallegrati perché anche tu appartieni alla mia stessa natura.
...Il tempo di Avalon è  finito. Il Nazareno ha vinto, e noi ci allontaneremo nelle nebbie fino a che saremo soltanto una leggenda. Vorresti portare i Sacri Simboli con te nella tenebra, conservandoli in attesa  di un nuovo giorno che non spunterà mai? Ritengo giusto che i sacri oggetti vengano affidati al mondo, al servizio della Divinità.
In questa terra il Dio cristiano sta portando una rinascita spirituale... è un male, quando gli uomini hanno dimenticato i Misteri?
Non li hanno dimenticati: li hanno trovati troppo difficili.
Vogliono un Dio che abbia cura di loro e non pretenda che lottino per l'illuminazione, e cancelli i peccati con il pentimento... Forse è  l'unico modo in cui i non illuminati possono pensare ai loro Dei.
Forse una religione che impone a ciascuno di operare per vite e vite alla conquista della propria salvezza è troppo per gli umani. Vogliono la giustizia subito: è questo è ciò che gli promette la nuova razza di preti.
La Dea era reale finché gli umani le rendevano omaggio e creavano la sua forma. Ora si creeranno il Dio che credono di volere... Forse quello che meritano....sarà un mondo più semplice del nostro, e sarà più agevole...
Il mio amore per te è  una preghiera. L'amore é  l'unica preghiera che conosco.
Qui preghiamo la Madre di Cristo Maria immacolata....
Davanti a Maria sentiamo di essere in presenza di nostra Madre.
E guarda abbiamo  anche le statue delle nostre sante, Maria di Magdala che asciugò i piedi di Gesù  con i suoi capelli, e Marta che cucinava per lui. E questa è  una statua antichissima che ci ha donato il vescovo...si chiama Santa Brigida...
La Dea è in noi, ma ora so che sei anche nel mondo, per sempre.
È in Avalon, ma è  qui. È dovunque. E coloro che hanno bisogno d'un segno nel mondo lo vedranno sempre.
Brigida non è una santa cristiana...È la Dea così come viene chiamata in Irlanda. E io lo so: queste donne riconoscono il potere dell'Immortale...la Dea non abbandonerà mai gli umani...
Tratto da "Le Nebbie di Avalon" di Marion Zimmer Bradley
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