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#Lettera alla tribù bianca
ilfascinodelvago · 11 months
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Zanotelli: «Serve un unico, forte movimento per la pace e l’ambiente»
«Siamo sull’orlo di due abissi: l’inverno nucleare, basta un incidente e ci siamo, e l’estate incandescente per la crisi climatica. Serve un unico forte movimento per la pace e l’ambiente»: così il missionario comboniano Alex Zanotelli fotografa l’attuale momento storico.
Festeggiamo la Repubblica, che vieta la guerra come mezzo di offesa ma anche di risoluzione delle controversie, con una parata militare.
È assurdo e l’ho sempre detto in questi anni. Ma cos’ha a che fare la parata militare con la festa della Repubblica italiana? Una repubblica che è bastata sull’articolo 11, che ripudia la guerra, mentre invece siamo in guerra da tutte le parti. Una contraddizione totale.
Il conflitto in Ucraina va avanti da più di un anno, si riaccende l’ex Jugoslavia. In Italia non c’è un vero dibattito.
C’è una narrativa in questo paese in cui incredibilmente la parola pace è scomparsa. La guerra in Ucraina ha riarmato l’Europa, quello che sta avvenendo fa paura. Secondo il rapporto Sipri, nel 2022 la spesa militare degli stati dell’Europa centrale e occidentale è stata di 345 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato quella del 1989. A questo ha contribuito anche l’imposizione dettata dalla Nato di impiegare il 2% del Pil in armamenti. Il presidente Usa Biden ha detto «voglio che la guerra in Ucraina continui per indebolire la Russia per poi fronteggiare la Cina» e questo sta infiammando tutto l’Indopacifico. Gli Usa hanno dato i sottomarini atomici all’Australia e hanno chiesto alle Filippine di installare altre 5 basi militari. Si sta armando fino ai denti il Giappone, che ha una costituzione pacifista. Si sta armando anche la Germania, che pure ha una costituzione pacifista, mettendo sul piatto 100 miliardi. Una Germania che si arma è pericolosa per l’Europa. Giochiamo tutti col fuoco.
Il parlamento Ue ha approvato il progetto di legge Asap a sostegno della produzione di munizioni anche con i fondi del Pnrr.
Una cosa di una gravità estrema. Quei fondi dovevano servire per scuola, sanità, creare possibilità di vita. Invece si potranno dirottare verso l’industria bellica, ci sono già 500 milioni di euro preventivati, una bestemmia. Mi preoccupa come il Pd sta votando: il Partito democratico e la sinistra devono svoltare su questi temi. Non è concepibile barcamenarsi tra visioni opposte.
La giustificazione del provvedimento sono gli arsenali vuoti. Stiamo ristrutturando l’industria europea verso il settore militare?
Siamo dentro un’economia di guerra, del resto basta vedere quante porte girevoli ci sono nel governo verso Leonardo, uno dei maggiori player della sicurezza. Papa Francesco ha detto «siamo già dentro la Terza guerra mondiale». E Gutierrez, il segretario Onu, afferma che stiamo andando «a occhi aperti» verso una nuova guerra mondiale.
Nel 2024 ci sono le elezioni europee che potrebbero segnare un cambio radicale verso destra.
Nel mio libro Lettera alla tribù bianca racconto come il suprematismo sta invadendo il mondo: Bolsonaro, Trump, i paesi europei come Polonia e Ungheria. Se in Spagna vincesse Vox rischiamo che l’ultradestra travolga le stesse istituzioni Ue. Dobbiamo dire «gente, vogliamo davvero andare verso il disastro totale?». Non solo l’olocausto nucleare ma anche l’estate incandescente. Spese militari, guerre, voli di aerei da combattimento stanno pesando sull’ecosistema tanto quanto lo stile di vita del 10% più ricco del mondo. Il pianeta non sopporta più la presenza dell’homo sapiens, divenuto demens.
Industria di guerra, cambiamento climatico provocheranno nuovi movimenti migratori a cui l’Europa risponde chiudendo i confini.
I migranti superano già i 100 milioni, immaginiamo cosa succederà quando il calore crescerà nella zona saheliana. La gente scapperà e vale lo stesso per i conflitti. Fuggono da guerre che facciamo noi, da cambiamenti climatici che provochiamo noi nel nord del mondo. L’Africa nel prossimo secolo potrebbe raggiungere oltre 2 miliardi di persone ma chi ci potrà vivere se si va avanti in questo modo? Ai nostri politici interessa il profitto, se arriva dagli armamenti non importa. Questi sono gli ultimi dati di spesa in Italia: 4 miliardi e 200 milioni destinati all’esercito per 200 carrarmati; alla marina 12 miliardi per la terza portaerei e il raddoppio della flotta; all’aeronautica 8 miliardi e 700 milioni per F35 e Eurofighter Typhoon. È follia.
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miniatdetective · 11 months
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Fermata a Snohomish ツ
La città di Snohomish si trova alla confluenza del fiume Pilchuck con il fiume Snohomish. 
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I primi coloni dell'area furono gli Sdohobsh, pescatori, cacciatori e raccoglitori nativi americani che erano una suddivisione della tribù dei nativi americani di lingua Snohomish Lushootseed. 
Nel 1855, i membri della tribù Snohomish erano presenti a Mukilteo per firmare il Trattato di Point Elliott. 
Lo scopo del trattato era risolvere le controversie sulla terra in cui nativi e coloni erano immediatamente adiacenti l'uno all'altro e risolvere altre questioni con i nativi americani. Il trattato prevedeva l'istituzione di quattro riserve. Quando i coloni bianchi iniziarono ad arrivare alla confluenza dei fiumi Snohomish e Pilchuck alla fine del 1850, la maggior parte dei nativi americani si era trasferita nella riserva di Tulalip vicino a Marysville.
I primi coloni bianchi in quella che oggi è la città di Snohomish includevano Heil Barnes e Edson Cady: il loro obiettivo era stabilire un insediamento alla foce del fiume Pilchuck, dove sfocia nel fiume Snohomish. 
Cady rivendicò la sua terra e chiese un permesso postale per Cadyville. Nel frattempo, Barnes rivendicava Emory C. Ferguson proprio accanto a quella di Cady; nel 1859, fece spedire un cottage in barca da Steilacoom alla terra rivendicata e lo rimontò per l'uso di Ferguson. Quel cottage è ancora in piedi. Ferguson arrivò un anno dopo, nel marzo/aprile 1860, e stabilì un mercantile a Cadyville.
Con l'arrivo di più coloni nella regione, la contea di Snohomish fu fondata il 14 gennaio 1861. Il primo capoluogo della contea fu Mukilteo, ma nel luglio 1861 fu trasferito a Cadyville dopo un voto popolare.
Woodbury Sinclair acquistò la quota di Cady nel 1864 con l'intenzione di aprire un negozio a sostegno della fiorente industria del legname della zona. Quando sua moglie, Mary Low Sinclair, arrivò a Cadyville il 1 maggio 1865, divenne la prima donna bianca residente permanente di Cadyville. 
Nel 1871, Ferguson avanzò la sua affermazione dando un numero alle strade che correvano da est a ovest e una lettera ai viali nord-sud; un anno dopo, Mary e Woodbury Sinclair firmarono il reclamo che avevano acquistato da Cady, e diedero un nome ai viali dopo gli alberi.
Cadyville divenne nota come Snohomish nel 1871, quando il plat di Snohomish City Western Part si unì alla rivendicazione orientale di Ferguson con la rivendicazione occidentale di Sinclair a Union Avenue. Ferguson è spesso chiamato il padre di Snohomish mentre Mary Low Sinclair è ricordata come la madre delle scuole di Snohomish.
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Originariamente, Snohomish fu fondata per sostenere la comunità agricola circostante, ma presto divenne anche una città di disboscamento a causa delle fitte foreste di Douglas Firs della zona. 
I fratelli Alanson, Elhanan e Hyrcanus Blackman migrarono a Snohomish dal Maine e stabilirono il loro primo campo di disboscamento nel 1875 su quello che allora era chiamato Stillaguamish Lake, ora è noto come Blackmans Lake. 
Hyrcanus divenne il primo sindaco della città dopo un'elezione speciale nel giugno 1890 per incorporare la nuova città (tuttavia, cinque mesi dopo, durante le elezioni generali di novembre, Ferguson fu eletto primo sindaco a tempo pieno di Snohomish). La prima segheria di Snohomish iniziò le sue operazioni sul fiume Pilchuck nel 1876. Nel 1878, i Blackman aprirono la loro segheria che si trovava sul fiume Snohomish. 
Nel 1884, 700 persone chiamarono Snohomish casa: c'erano un tribunale, un edificio scolastico, sei saloon e una chiesa in città. 
La stazione ferroviaria di Snohomish fu costruita nel 1888. Il primo treno ad arrivare in città fu un treno Seattle, Lake Shore & Eastern Railway. L'illuminazione elettrica seguì l'arrivo del primo treno nel 1889. Nel 1893, fu completata la Great Northern Railway da St. Paul a Seattle, inclusa una fermata a Snohomish.
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Nel 1897, il capoluogo della contea si trasferì a Everett dopo un'elezione contestata.
Intorno alla fine del secolo, l'economia di Snohomish si è diversificata per includere l'industria conserviera, poiché il suolo e il clima dell'area sono ideali per la coltivazione di frutta.
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Una Carnegie Library fu costruita nel 1910 sul sito di una scuola con una sola stanza in Cedar Avenue. Il Carnegie Building esiste ancora, anche se non ospita più la biblioteca; è l'edificio pubblico più antico della città.
Nel 1911, molti degli edifici di First Street furono distrutti da un incendio che si estese lungo le Avenue B e C; furono in gran parte sostituiti da edifici in mattoni e muratura.
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Uno dei maggiori datori di lavoro, all'inizio di Snohomish, era la Bickford Ford in First Street, fondata da Lawrence Bickford nel 1934. La concessionaria è ancora aperta e a conduzione familiare, sebbene si sia trasferita dal distretto storico di Snohomish a Bickford Avenue all'estremità settentrionale della città. 
Snohomish apprezza e celebra la sua storia attraverso vari gruppi dedicati alla conservazione del suo patrimonio e del suo carattere unico. Negli anni '60 c'è stata una spinta per preservare il carattere storico di Snohomish e per incoraggiare la vitalità commerciale dell'Historic Business District. La Snohomish Historical Society è stata fondata nel 1969 e ha sede presso il Blackman House Museum, la vecchia casa di Hyrcanus Blackman. Il legname locale, il primo lavorato dai Blackman, fu utilizzato per costruire la casa nel 1878.  
Nel 1973, Snohomish è stata la prima città della contea ad approvare un'ordinanza che istituisce un distretto storico, che è elencato nel registro nazionale dei luoghi storici. Il quartiere storico è un'area di 26 isolati lungo il fiume Snohomish, contenente un mix di usi commerciali e residenziali. Il Design Review Board della città di Snohomish, un organo consultivo, è stato creato nel 1979 per garantire che lo sviluppo nel distretto storico sia coerente con gli standard storici stabiliti. 
Historic Downtown Snohomish, fondata nel 2004, è un'organizzazione senza scopo di lucro di volontari e aziende che lavorano per promuovere, preservare e migliorare il quartiere degli affari del centro storico della città.
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romana73 · 5 years
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REYLO VS MILA E BUFFALO HUMP
Post scritto da ME. Le gifs animate e le fotografie dei film riportate NON SONO MIE e NON APPARTENGONO A ME IN NESSUN MODO.
In Einem Wilden Land è un film per la TV del 2013, trasmesso in Italia con il titolo di Cuore Selvaggio. 1844, Slesia. Mila e suo marito Mats sono due giovani operai tessili che partecipano in modo attivo alla rivolta dei tessitori. Nel corso degli scontri tra i lavoratori e l'esercito, Mats è ferito a morte. In seguito alla sua scomparsa, il padre del ragazzo consegna a Mila una lettera in cui Mats esprime il desiderio che Mila viva libera e felice in Texas. Ricercata a causa della rivolta cui ha partecipato, con il cuore a pezzi, Mila decide di esaudire il desiderio dell'ex marito e  fuggire in Texas. Per raggiungere l'America, Mila decide di aggregarsi a un gruppo di coloni tedeschi e accetta la proposta di diventare la cameriera della contessa Cecile Hohenberg, moglie di Arnim, un violento giocatore d'azzardo. Una sera, Mila difende Cecile da un tentativo di violenza del consorte, ferendo Arnim. A causa di ciò, lei e Cecile sono costrette a fuggire. La loro corsa è bloccata, però, da un gruppo di guerrieri della Comanche, guidati da Buffalo Hump, il più valoroso della tribù, che le fa sue prigioniere...
1) All'inizio del film “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Rey è una semplice mercante di rottami. All'inizio del film In Einem Wilden Land, Mila è una operaia tessile;
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2) Nel film “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Rey è costretta ad abbandonare Jakku insieme a Finn, a causa di un bombardamento del Primo Ordine che sta cercando il droide BB-8, salvato da Rey. La ragazza, Finn e BB-8 si uniscono a Han Solo e Chewbecca sul Millenium Falcon per raggiungere la Resistenza. Nel film In Einem Wilden Land, Mila lascia la Slesia per andare in Texas e, unendosi a un gruppo di coloni;
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3) In “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Han offre a Rey un lavoro sul Millenium Falcon. Nel film In Einem Wilden Land, il capo dei coloni tedeschi offre a Mila un lavoro come cameriera di Cecile, in quanto all'epoca, una donna non poteva viaggiare sola;
4) Nel film “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Kylo Ren cattura Rey mentre lei sta fuggendo nella foresta. Nel film In Einem Wilden Land, Buffalo Hump cattura Mila e Cecile mentre loro stanno fuggendo a cavallo nella foresta;
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5) In “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Kylo Ren interroga da solo Rey nella stanza degli interrogatori. Il ragazzo usa la Forza per entrare nella mente di Rey e scoprire alcune cose intime. In ultimo, però, Rey resiste a Kylo, dicendo che lui NON avrà niente da lei. Nel film In Einem Wilden Land, prigioniera, Mila dice a Buffalo Hump che lei parlerà solo se lui prometterà che nessuno farà male a lei e Cecile, altrimenti lei non dirà niente. Più tardi, Buffalo Hump porta Mila nella sua tenda e continua a interrogarla, strappandole di mano l'ultima lettera scritta da Mats a lei e leggendola
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6) In “Star Wars. Episodio VII. Il Risveglio della Forza”, Kylo Ren lega Rey prima di interrogarla e si infuria quando scopre che Rey è fuggita. Ritrovata la ragazza, arrabbiato, usando la forza, Kylo getta Rey contro un albero, facendola svenire. Nel film In Einem Wilden Land, Mila aiuta Cecile a fuggire. Nel momento in cui Buffalo Hump scopre ciò che Mila ha fatto, punisce la giovane legandola a un palo orizzontale tutta la notte e parte della giornata
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7) In “Star Wars. Episodi VIII. Gli Ultimi Jedi”, Rey dice a Luke di essere convinta che, se lei andrà da Kylo, lui si convertirà. Luke le dice di non farlo. Nel film In Einem Wilden Land, Mila scopre che Buffalo Hump vuole la pace. Piena di speranza, Mila riferisce la notizia a Cecile, sostenendo che gli indiani non sono, poi, così terribili, ma Cecile le fa capire che è ingenua;
8) In “Star Wars. Episodi VIII. Gli Ultimi Jedi”, Snoke ordina a Kylo di uccidere Rey, ma lui non esegue e uccide Snoke. L'atto scatena le guardie personali di Snoke contro Kylo e Rey. Quest'ultima è ferita a un braccio. Nel film In Einem Wilden Land, Lupo Forte insiste che Buffalo Hump uccida Mila. Lui punta il coltello alla gola della ragazza, ma rifiuta di ucciderla. Buffalo Hump cerca di trattare con Lupo Forte, ma lui lo aggredisce. Per difendere Mila e se stesso, Buffalo Hump uccide Lupo Forte, riportando diverse ferite, tra cui una a un braccio;
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9) In “Star Wars. Episodi VIII. Gli Ultimi Jedi”, Rey e Kylo Ren condividono un momento di intimità che culmina con l'unione delle loro mani. Nel film In Einem Wilden Land, da soli nella tenda, dopo essersi ripresi dalle ferite, Mila e Buffalo Hump amoreggiano;
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10) In “Star Wars. Episodi VIII. Gli Ultimi Jedi”, Kylo Ren propone a Rey di stare con lui e le confida l'intenzione di voler uccidere tutti: Resistenza, Jedi e Sith. Rey non accetta, si batte con lui e fugge, tornando dalla Resistenza. Nel film In Einem Wilden Land, sfuggiti a un agguato, Buffalo Hump dichiara di voler uccidere tutti i bianchi. Mila ricorda all'uomo che anche lei è bianca. I due discutono e Mila torna dal gruppo dei tedeschi...
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giancarlonicoli · 4 years
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13 GEN 2020 09:18
AGENZIA P-ANSA - ''MIO PADRE AVEVA TRASCORSO L’INFANZIA NELLA MISERIA: PENULTIMO DI SEI ORFANI, FIGLI DI UN BRACCIANTE A GIORNATA. MORTO DI COLPO MENTRE ZAPPAVA IL CAMPO DI UN ALTRO. MIA NONNA NON AVEVA VOLUTO AFFIDARE I BAMBINI ALLA CARITÀ PUBBLICA. E LI AVEVA TIRATI SU DA SOLA, CON LA FEROCIA DI UNA LEONESSA. PER FARLI MANGIARE, ANDAVA A RUBARE. IL SUO MOTTO ERA…'' - LE REGOLE DI PANSA: REDAZIONI RIDOTTE AL MINIMO; GIORNALISTI PRONTI A TUTTO; RAPIDITÀ; UNICO GIUDICE IL DIRETTORE, DITTATORE ASSOLUTO; SE SI FA BENE, SI SIA PREMIATI E SE SI FA MALE…''
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LA BIOGRAFIA
Biografia di Giampaolo Pansa a cura di Giorgio Dell'Arti per www.cinquantamila.it
Casale Monferrato (Alessandria) 1 ottobre 1935. Giornalista. «La mia patria morale è da sempre la Resistenza ma non accetto la retorica falsa secondo la quale di qui c’erano tutti i buoni e di là i cattivi. La sinistra che afferma ancora questa grande bugia reca danno solo a se stessa».
• «Mio padre aveva trascorso l’infanzia nella miseria: penultimo di sei ragazzini orfani, figli di un bracciante a giornata. Morto di colpo mentre zappava il campo di un altro: Giovanni Pansa, classe 1863, di Pezzana, provincia di Vercelli. Mia nonna, Caterina Zaffiro, classe 1869, anche lei vercellese di Caresana, non aveva voluto affidare i bambini alla carità pubblica. E li aveva tirati su da sola, con la ferocia di una leonessa. Per farli mangiare, andava a rubare. Il suo motto diceva: la roba dei campi è di Dio e dei santi, dunque pure di una disgraziata come me».
• «Papà e mamma erano arrivati soltanto alla quarta elementare lui e alla quinta lei. Per poi andare subito al lavoro: come guardiano delle mucche e come piccinina in una pellicceria».
• Laureato in Scienze politiche con una tesi su La guerra partigiana tra Genova e il Po (trasformata poi in un libro, Laterza 1967), vinse il premio Einaudi (500.000 lire) e fu chiamato alla Stampa, dove entrò l’1 gennaio 1961, praticante alla redazione Province.
• La sera del 22 novembre 1963, dovendosi fare il giornale sull’attentato a Kennedy, il direttore Giulio De Benedetti piombò nella redazione Esteri: «Questa cronaca non va bene, non va bene assolutamente. Riscriverla per la seconda edizione». Subito dopo: «Anzi, no. Voi degli Esteri siete troppo stanchi». Il direttore si girò, e alle sue spalle c’era la redazione Province. «Lei e lei. Rifatela voi due, questa cronaca».
I due erano Giuseppe Mayda e Pansa: «Seguite voi due questo fatto anche nei prossimi giorni, fino a che il nostro inviato non sia giunto sul posto». Tirarono avanti fino al quarto giorno, quando arrivò a tutti e due una lettera del segretario di redazione Fausto Frittitta che diceva: «Il direttore mi incarica di comunicarLe la sua soddisfazione per il servizio da Lei svolto sull’assassinio del presidente Kennedy». Seguiva l’annuncio di un aumento di stipendio.
• Pansa dice di aver imparato in questi primi anni le cinque regole che sono alla base di un giornale ben fatto: redazioni ridotte al minimo indispensabile; giornalisti pronti a far tutto; rapidità; unico giudice il direttore, dittatore assoluto; se si fa bene, si sia premiati e se si fa male si sia puniti.
• Al Giorno dal 1964, al direttore Italo Pietra che gli chiedeva se preferisse fare l’inviato in Vietnam o a Voghera rispose: «A Voghera». Pietra: «Risposta esatta. Se avessi detto Vietnam non ti avrei preso». Nel 1968 tornò alla Stampa (direttore Ronchey).
• Dal 1972 redattore capo al Messaggero, si trovò male anche per l’ostilità della redazione, nel 1973 andò al Corriere della Sera come inviato: colpo più clamoroso l’intervista a Enrico Berlinguer del 1976 in cui alla domanda se non temesse di fare la fine di Dubcek (il segretario del Partito comunista cecoslovacco che nel 1968 aveva tentato di liberalizzare il suo paese ed era stato spazzato via dai carri armati sovietici) ebbe per risposta: «No, perché sono da questa parte dell’Occidente e, con la protezione della Nato, mi sento più sicuro».
• Nel 1977, dopo le dimissioni del direttore Ottone, lasciò il Corriere per Repubblica.
• A Repubblica (è questo il periodo in cui lo si vede ai congressi dei partiti col binocolo perché non vuole farsi sfuggire nessun tic degli oratori) cominciò presto a fare il vicedirettore con Gianni Rocca e contribuì allo straordinario successo (in copie e peso politico) del giornale. Alla fine degli anni Ottanta inaugurò su Panorama (direttore Claudio Rinaldi) la rubrica “Bestiario”, poi portata all’Espresso di cui diventò condirettore. Incarico che ha lasciato il 30 settembre 2008 per passare al Riformista, fino al 2010, quando passa a Libero dove porta il suo “Bestiario”.
• Ha scritto molti libri, tra cui: L’esercito di Salò (Istituto della Resistenza e poi Oscar Mondadori, 1970), Comprati e venduti (Bompiani 1977), Ottobre addio (Mondadori 1982), Carte false (Rizzoli 1986), Intervista sul mio partito (a Luciano Lama, Laterza 1987), Lo sfascio (Sperling 1987), Questi anni alla Fiat (intervista con Cesare Romiti, Rizzoli 1988), Il Malloppo (Rizzoli 1989) ecc. Dopo che Rizzoli rinunciò alla pubblicazione de L’intrigo, giudicato troppo contrario a Berlusconi (in quel momento oltre tutto Berlusconi distribuiva con la Rizzoli Sorrisi e Canzoni), passò a Sperling & Kupfer, per poi tornare a Rizzoli nel 2008.
• Gli ultimi libri hanno ripreso il vecchio tema della Resistenza, visto però dalla parte dei perdenti. La grande bugia (Sperling & Kupfler, 2006), I tre inverni della paura (2008), I vinti non dimenticano (2010), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (2012), Bella ciao - Controstoria della Resistenza – (2014). Grandissime vendite e grandissime polemiche. Su Il sangue dei vinti (Rizzoli, 2003): «Vergognoso, non revisionista ma falsario» (Aldo Aniasi), «Una vergognosa operazione opportunista» (Giorgio Bocca), «Libro vergognoso di un voltagabbana» (Liberazione), «Una cinica operazione editoriale» (Sandro Curzi).
Ernesto Galli Della Loggia: «Che cosa gli rimproverava la sinistra più conservatrice e aggressiva, quella, come lui la chiama, degli “uomini di marmo”? Semplicemente di aver rotto il tabù delle migliaia di fascisti (o presunti tali, o addirittura, in più di un caso, di antifascisti perfino) brutalmente fatti fuori dai partigiani all’indomani del 25 aprile». Giorgio Bocca dopo aver letto La grande bugia: «Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge».
• «Molti leader di sinistra sono persone mediocri, arroganti, boriose. Afflitte soprattutto da un vizio: l’ignoranza. Una malattia diffusa che li fa essere infastiditi da tutto ciò che non rientra nei loro poveri schemi culturali. Quando uscì il mio Sangue dei vinti i tipi sinistri non erano in grado di smentire i fatti che raccontavo: ma divennero furibondi perché incrinavo un tabù, quello della Resistenza, che li aveva aiutati a campare per tanti anni. Coprendo la verità con il mantello della retorica interessata e di bugie senza vergogna».
• «Dopo una vita trascorsa nel giornalismo schierato, de sinistra, Pansa ha maturato negli ultimi anni, specie per come sono stati accolti i suoi libri sulla guerra civile tra partigiani rossi e repubblichini dai Torquemada ex e post del pensiero unico, un giustificato disamore per la sinistra, forse antropologicamente superiore a ogni altra tribù nazionale ma con un QI politico e un respiro culturale, sia detto senza offesa, di poco superiore a quelli del paramecio, organismo unicellulare e magari, non mi stupirei, anche un po’ trinariciuto». (Diego Gabutti) [Iog, 17/4/2012].
• Da ultimo anche un paio di libri fortemente critici verso i giornalisti: Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli 2011) La Repubblica di Barbapapà (Rizzoli 2013, «Barbapapà è il soprannome che la redazione di Repubblica diede ad Eugenio Scalfari»).
• «Sono un umorale, un ingenuo, a volte m’incavolo, spesso sbaglio. Ma non ho mai scritto una riga per calcolo o fatto polemiche per opportunismo».
• «Ha il giornalismo nel sangue, anzi in Italia ne è uno dei capiscuola e officia i riti di questo mestiere con un suo scrupolo particolare. Alle 8,30 del mattino ha già letto dieci quotidiani, si devono a lui metafore entrate nel linguaggio comune come la definizione di “Balena bianca” per la Dc» (Maurizio Caprara).
• «Le cattiverie di Pansa sono leali, mai subdole, e non cancellano un’indulgenza di fondo verso gli attori della commedia umana. Il “Bestiario” cerca di applicare a modo suo il principio costituzionale del giusto processo» (Claudio Rinaldi).
• Antiberlusconiano («con giudizio», dice lui). «In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l’ultima illusione». Nel maggio 2007 annunciò che non sarebbe più andato a votare. Frequenti bastonate alla sinistra estrema, tra i suoi bersagli preferiti Bertinotti, ribattezzato “Il parolaio rosso”.
• Juventino.
• Fuma.
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gregor-samsung · 2 months
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" Il 1° marzo 1896 un corpo di spedizione di diecimila soldati guidati dal generale Baratieri attaccò ad Adua un esercito di centoventimila etiopi guidati da Menelik. L’Italia subì una pesantissima sconfitta, lasciando sul terreno quasi cinquemila morti. Questa vittoria permise all'Etiopia di rimanere indipendente e insegnò ai popoli africani che gli invasori potevano essere sconfitti. L’Italia cercò allora di mettere le mani sulla Libia, con un corpo di spedizione italiano che sbarcò a Tripoli il 5 ottobre 1911. Ma l’invasione della Tripolitania e della Cirenaica da parte di un corpo militare di oltre centomila soldati italiani fece scattare la rivolta araba. Ne seguì una feroce repressione da parte italiana: migliaia di libici furono impiccati, fucilati, deportati. La resistenza, però, non si piegò e durò oltre vent’anni, nonostante la brutalità della repressione, soprattutto sotto la dittatura di Mussolini. Nel 1930, per ordine del Duce, per isolare i partigiani, vennero deportati dalla Cirenaica e rinchiusi in quindici campi di concentramento almeno centomila libici, in gran parte poi fucilati o impiccati. Fu impiegata anche l’aeronautica, su ordine di Mussolini, per sterminare le popolazioni ribelli, utilizzando le armi chimiche (gas asfissianti e bombe all'iprite). Nel 1931 il leader della ribellione, Omar al-Mukhtar (il “Leone del deserto”), fu individuato e catturato e, dopo un processo sommario, impiccato davanti a ventimila libici. È stata una delle più feroci repressioni coloniali, che costò la vita a oltre centomila persone. Fu allora che Mussolini, dopo aver sottomesso la Libia, decise nel 1934 di conquistare l’Etiopia. Si trattò della più grande spedizione coloniale con cinquecentomila uomini, trecentocinquanta aerei e duecentocinquanta carri armati. Più che una guerra di conquista coloniale, fu una guerra di distruzione del popolo etiope. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 3 months
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" Il 14 gennaio 1990 lasciai il Centro giovanile, dove vivevo e, zaino in spalla, mi incamminai per Korogocho. Fu la mia “discesa agli inferi”! Era la domenica del Battesimo di Gesù e celebrai con i pochi cristiani l’Eucaristia. Spiegai loro con il mio povero kiswahili (lingua ufficiale in Kenya) che avevo scelto proprio quel giorno perché avevo bisogno di essere battezzato da loro. Mi sentivo un piccolo-borghese che aveva necessità del battesimo degli impoveriti. Scelsi di vivere come tutti loro: in una baracca, mangiare quello che loro mangiavano, andare a comprarmi l’acqua con una tanica, vivere la loro realtà quotidiana, spesso violenta e drammatica. Persi subito i venti chili in più che noi occidentali accumuliamo. Soprattutto, gli orrori umani che incontravo mi facevano impazzire. Quante volte fui preso da un profondo sconforto, dal desiderio di sbattere la testa contro i muri della baracca! In quell'immensa distesa di lamiere che è Korogocho si palesava tutta l’assurdità del nostro mondo. Dai buchi della mia baracca potevo vedere i grattacieli di Nairobi, mentre a soli quattro chilometri da Korogocho c’è Muthaiga, la zona residenziale più bella e lussuosa della metropoli, con ville da sogno. Nairobi è una città nella quale, in pochi chilometri, si passa dal paradiso all'inferno. O meglio agli inferi: ce ne sono tanti in quell'area! Il più terribile, forse, sorge a fianco della baraccopoli: l’enorme e spaventosa discarica di Dandora, dove arrivano i rifiuti dei ricchi della capitale, per l’esattezza i rifiuti dei rifiuti; vi lavorano migliaia di persone chiamate “scavengers” (i raccoglitori di rifiuti).
Un giorno, mentre camminavo fra le baracche, fui bloccato da un uomo della discarica, un “gigante” che mi guardò dall'alto in basso: «Muthungu» (bianco), mi disse, «sei il primo bianco che ha avuto il coraggio di vivere qui. Ma chi siamo noi che non ti degni neanche di venire a trovarci?». «È da poco che sono arrivato qui,» gli risposi, «ma hai ragione! Domani, sarò da voi!» Quella sera una delegazione di cristiani venne a trovarmi. Erano visibilmente preoccupati: «Padre, abbiamo saputo che domani vuoi andare in discarica. Non puoi andarci, quelli sono criminali. Ti ammazzano». Restai qualche istante in silenzio, riflettendo su quelle parole: «Io non sono venuto a Korogocho per i santi,» risposi, «ma per i criminali». L’indomani presi lo zaino e mi incamminai. Arrivato in cima alla collina, fui accolto da uno stormo di avvoltoi, davanti a me si spalancò uno spettacolo infernale: un’immensa spianata con montagne di immondizie, ovunque fuochi, centinaia di scavengers: uomini e donne di ogni età, anziani e bambini… Fui preso dal terrore, il primo istinto fu quello di scappare. Per fortuna vidi quel gigante che mi aveva sfidato ad andare in discarica, Jeremias. Gli corsi incontro, quasi per cercare protezione. Quando mi vide, mi guardò con un sorriso ironico: «Muthungu, non pensavo che voi bianchi manteneste le vostre promesse!». "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 11 months
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“ In America Latina la tribù bianca si è imposta durante la conquista con la strage dei popoli indigeni e l’imposizione della “civiltà cristiana”. In questi ultimi trent’anni, i gruppi fondamentalisti cristiani e le Chiese evangeliche provenienti dagli Usa vi hanno trovato terreno fertile. Oggi il “suprematismo bianco” sta penetrando in quasi tutti gli Stati dell'America Latina. Forse il caso più eclatante è proprio il suo trionfo in Brasile. “Siamo in un Paese,” afferma la filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, “che a lungo ha negato l’esistenza del razzismo. Il Brasile è stato uno degli ultimi ad abrogare la schiavitù (1888) che era alla base dell'economia brasiliana. Gli schiavi liberati non hanno avuto né terra né diritti. Il governo invece ha favorito l’immigrazione europea per lo ‘sbiancamento’ della popolazione brasiliana e a questi ha dato terreni. Il Brasile non aveva la segregazione legale come negli Usa, ma aveva e ha ancora una segregazione di tipo istituzionale. La popolazione povera è povera perché nera.” È in questo scenario che le Chiese evangeliche Usa sono riuscite a penetrare nel tessuto brasiliano e a diventare talmente forti da silurare il governo di Dilma Rousseff, per eleggere l’ex militare Jair Bolsonaro, che sta portando avanti una politica omofoba, sessista e xenofoba. Bolsonaro ha venduto il Brasile alle multinazionali che stanno massacrando l’Amazzonia. E, da buon seguace di Chiese fondamentaliste e negazioniste, non ha voluto fare nulla per bloccare la pandemia da Covid-19, portando il Brasile al disastro sanitario. Nel Paese confinante, la Colombia, gli accordi di pace tra il governo e le Farc sono falliti perché evangelici e cattolici fondamentalisti vi si sono opposti asserendo che quegli accordi difendevano aborto, omosessualità… Altrettanto in Bolivia, dove i militari e i gruppi religiosi fondamentalisti hanno compiuto un colpo di Stato contro Evo Morales, il presidente della Repubblica, reo di aver dato centralità politica, culturale ed economica ai popoli indigeni, da sempre schiacciati. E hanno organizzato il colpo di Stato con la Bibbia e il Crocifisso in mano. Ma nelle elezioni del 18 ottobre 2020, i cittadini hanno dato la maggioranza assoluta (il 53 per cento) al Movimento per il Socialismo (Mas), eleggendo Luis Arce, ex ministro di Morales, come presidente della Repubblica. Lo stesso sta avvenendo in Centro America. In Costa Rica, nel 2018, il pastore evangelico Fabricio Alvarado ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma a favore dei “valori cristiani” contro l’aborto e a favore del neoliberismo. Nel Salvador, il presidente della Repubblica, Nayib Bukele, al suo insediamento ha invitato il pastore evangelico argentino Dante Gebel, molto legato ai pastori ultraconservatori degli Usa, a guidare la preghiera. Un deputato ha presentato una mozione in Parlamento per imporre la lettura obbligatoria della Bibbia in tutte le scuole. Sono solo alcuni esempi di un movimento che potremmo chiamare l’“internazionale cristo-neo-fascista, neo-liberale e patriarcale”. In America Latina è la reazione della tribù bianca in difesa della propria supremazia: utilizzare il “Vangelo della prosperità” per legittimare il neoliberismo imperante. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 9 months
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“ Il primo dei “lupi solitari” a entrare in azione è stato il norvegese Anders Breivik: il 22 luglio 2011 ha compiuto la strage di sessantotto giovani radunati per un seminario nell'Isola di Utoya in Norvegia. Gesti come questi fanno scattare l’emulazione. Pochi mesi dopo, il 13 dicembre, c’è una strage a Firenze in pieno centro: due migranti senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, vengono uccisi da un estremista di destra, sostenitore di Casa Pound, Gianluca Casseri, che si suicida per evitare l’arresto. Un altro “lupo solitario”, David Sonboly, un diciottenne tedesco di origine iraniana, il 22 luglio 2016 uccide nove persone nel centro commerciale Olympia di Monaco. Il 3 febbraio 2018, a Macerata un raid razzista: Luca Traini, ventottenne leghista e ammiratore di Hitler, spara dalla propria auto in corsa in alcune zone della città, ferendo sei persone, tutti africani, colpevoli di avere la pelle nera come l’assassino della povera Pamela Mastropietro. Al suo arresto fa il saluto romano. Il 13 maggio 2019, il suprematista Brenton Tarrant uccide a Christchurch in Nuova Zelanda quarantanove musulmani che pregavano in due moschee e ne ferisce altri quarantotto. Sul fucile, usato, c’era scritto il nome di Traini. Prima di compiere un tale orrendo gesto, aveva messo in rete il suo manifesto: “Il genocidio dei bianchi, causato dall'immigrazione di massa”. Il 28 settembre dello stesso anno l’americano Patrick Crusius uccide ventidue persone a El Paso (Texas), ferendone altre ventiquattro. “Difendo il mio Paese dalla sostituzione etnica e culturale portata avanti da un’invasione.” Gli stessi messaggi di odio che si ritrovano sul social di Tarrant. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre, un attentato antisemita: Stephan Balliet, ventotto anni, estremista di destra, durante la festa ebraica dello Yom Kippur, prende d’assalto la sinagoga di Halle (Germania), dove si trovano cinquantadue fedeli. Non riuscendo a entrare, uccide a caso due passanti e un ragazzo di vent’anni in una tavola calda. Prima dell'azione aveva pubblicato un documento nel quale affermava che “la radice di tutti i problemi sono gli ebrei”. Per poi aggiungere: “Gli Stati hanno l’obiettivo di uccidere il maggior numero di anti-bianchi, meglio se ebrei”.
Sembra che, nella sola Germania, siano oltre dodicimila le persone appartenenti a gruppi neonazisti. E questi gruppi sono spesso armati. Sempre in Germania, un’altra strage di nove stranieri è avvenuta a Hanau il 20 febbraio 2020. Morto anche il “lupo solitario” che aveva scritto: “Alcuni popoli che non si riescono a espellere dalla Germania vanno sterminati”. Nel solo 2020 sono stati sciolti tre gruppi neofascisti pronti alla lotta armata. Ritornando nel nostro Paese, vorrei sottolineare l’arresto il 22 gennaio 2021 di Andrea Cavalleri, un ventiduenne di Savona. Voleva imitare Anders Breivik e Brenton Tarrant, mosso da un’ideologia suprematista. Contava di realizzare stragi tramite il suo gruppo il “Nuovo Ordine sociale” che propagandava sul canale Telegram “Sole Nero”. È accusato di associazione con finalità di terrorismo, di incoraggiare a compiere massacri nelle scuole. “Io una strage la faccio davvero. L’unica cosa da fare è morire combattendo. Ho le armi. Farò Traini 2.0.” Oltre agli ebrei, il giovane savonese aveva preso di mira anche le donne. “Gli ebrei sono il male primo da eliminare.” In quel giorno saranno dodici le perquisizioni nei confronti di persone legate al giovane ventiduenne, nelle città di Genova, Torino, Cagliari, Forlì, Cesena, Palermo, Perugia, Bologna e Cuneo. Questa è la chiara manifestazione di quanto sia esteso il fenomeno dell'estrema destra e del suprematismo bianco anche nel nostro Paese. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 2 years
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“ Nel 1585 Richard Grenville sbarcò in Virginia con sette navi e trovò indiani ospitali, ma quando uno di loro rubò una piccola coppa d’argento, rase al suolo l’intero villaggio. Dopodiché ebbe inizio la guerra con gli indiani! Quando i Padri Pellegrini arrivarono nella Nuova Inghilterra, quella terra era abitata da indigeni, ma il governatore del Massachusetts Bay Colony la definì “terra di nessuno”: gli “indiani” avevano solo il “diritto naturale”, non “civile” sulla terra. Da qui iniziò la guerra contro gli “indiani”, che finirà solo nel 1676, con la loro sconfitta. Più tardi, per liberare i territori dagli Appalachi al Mississippi, perché fossero occupati dai bianchi, i coloni fecero ricorso al “trasferimento degli ‘indiani’” (Indian Removal Act), come fu eufemisticamente chiamato! Questo rese disponibile un immenso territorio per la coltivazione del cotone al Sud e dei cereali al Nord, per l’immigrazione e per un’espansione, che raggiungerà ben presto l’Oceano Pacifico. E i popoli indigeni furono o massacrati o rinchiusi in “riserve” per turisti. Molti morirono anche per malattie importate dai bianchi. I dieci milioni di “indiani” che vivevano a nord del Messico al momento dell'arrivo di Colombo si ridussero alla fine a meno di un milione. Si tratta di un altro genocidio perpetrato dalla tribù bianca! “Lo sbarco di Colombo nel Nuovo mondo ha significato,” afferma Zinn, “l’espulsione violenta degli indiani da ogni chilometro quadrato del continente, accompagnato da indicibili atrocità, finché non restò che ammassarli nelle riserve.” Un’icona degli indiani d’America è Leonard Peltier, uno dei leader storici dell'American Indian Movement (Aim), che marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quasi cinquant’anni, dal 1977. È un perseguitato politico, condannato all'esito di un processo segnato da plurime violazioni del diritto di difesa. Le più note personalità mondiali hanno chiesto e chiedono la sua liberazione. Tutto ciò avvenne non solo in quello che oggi sono gli Usa, ma anche nel vicino Canada, a sua volta occupato da coloni inglesi.
In Canada fu messo in atto un vero e proprio “genocidio culturale” contro i popoli indigeni, un genocidio troppo a lungo negato. “Uccidi l’indiano, salva l’uomo,” era il motto razzista adottato dalle scuole canadesi nelle quali i bambini indigeni subivano un azzeramento della loro cultura. Il 29 maggio 2021 sono stati rinvenuti, presso la scuola di Kamloops, i resti di duecentoquindici bambini nativi. Pochi giorni dopo, un altro orribile ritrovamento: i corpi di settecentocinquanta bambini sepolti attorno a una chiesa cattolica a Saskatchewan, nel Canada francese. Sono tanti gli investigatori che sospettano che ci siano molte migliaia di bambini sepolti segretamente per nascondere la vergogna del genocidio. Queste macabre scoperte aprono una brutta pagina del passato del Canada. Tra il 1863 e il 1998, centocinquantamila bambini nativi furono strappati alle loro famiglie dal governo canadese e collocati in scuole residenziali, per costringerli ad accettare la religione e la civiltà occidentali. Nelle centodiciotto scuole residenziali, settantanove erano cattoliche e dipendevano direttamente dal Vaticano. In queste scuole molti furono i casi di violenze, sterilizzazioni e stupri. Come è potuto accadere tutto questo? Per capirlo bisogna risalire alla legislazione canadese. Il Federal Indian Act del 1874, tuttora in vigore, proclama l’inferiorità legale e morale dei popoli indigeni. E un altro decreto federale, il Gradual Civilization Act (1857), obbligava le famiglie dei nativi a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali i diritti di tutela dei loro figli. Non possiamo dimenticare che il trasferimento legale dei diritti di tutela dei minori vuol dire che, in caso di morte, le scuole ne lucravano, appropriandosi delle loro terre. Infine, nella British Columbia, un altro decreto del 1933, la Sterilization Law (tuttora in vigore), ha consentito sterilizzazioni di massa su interi gruppi di bambini indigeni. Amnesty International ha denunciato il fatto che molte donne indigene, che erano andate a partorire in ospedale, sono tornate a casa sterilizzate. Siamo davanti a un vero e proprio genocidio culturale che ha portato all'eliminazione delle lingue degli indigeni, alla soppressione della loro cultura e spiritualità, e alla loro completa marginalizzazione a livello politico-economico. Sono diventati stranieri nelle loro terre. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 2 years
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“ L’estrema destra avanza, la Lega e Fratelli d’Italia ci ripetono: “Prima gli italiani!”. E questi due partiti sono sostenuti da realtà di base ancora più razziste e xenofobe. Parlo di Forza Nuova e Casa Pound, di ispirazione chiaramente fascista e nazista, che ora si preparano a entrare in Parlamento. E sono foraggiati dall'estrema destra europea e americana. Forza Nuova trova fondi e sostegno nell'ultradestra inglese, mentre Casa Pound è fortemente sostenuta dal partito di Marine Le Pen in Francia. Secondo “The Guardian”, Forza Nuova riceve fondi da due trust inglesi: St. Michael the Archangel e St. George Educational. Casa Pound, che ha come segretario Gianluca Iannone, è ormai un partito con seimila tesserati. È un’onda nera con centinaia di sedi, una web-radio, librerie, case editrici… Nel giro di pochi anni ha ottenuto risultati importanti: migliaia di seguaci sui social, spazio nel dibattito pubblico, seggi nei consigli comunali. E decine di gruppi giovanili, da Azione Studentesca a Blocco Universitario, da Generazione Identitaria a Lotta Studentesca, da Auder Semper a Veneto Fronte Skinheads, ruotano attorno a questo mondo dell'estrema destra. Un chiaro esempio è stato l’assalto alla Cgil di Roma il 9 ottobre 2021, guidato dall'estrema destra (Forza Nuova e Casa Pound), infiltratasi astutamente nel corso di una manifestazione no vax. Dalle indagini sembrerebbe che stessero pianificando un’occupazione di Palazzo Chigi (come l’attacco al Congresso a Washington il 6 gennaio 2021). Tra gli indagati per l’attacco alla Cgil, sono ancora in carcere Roberto Fiore, fondatore di Forza Nuova, e Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova. In questo Paese la destra e l’estrema destra sono una grande forza a cui il popolo italiano sta ammiccando. Un’inchiesta del Pew Research Center del 2017 afferma che l’Italia ha il più gran numero di elettori che si riconoscono in un orientamento populista: si tratta del 38 per cento dei votanti italiani. Anche in Italia la classe media ha paura di perdere il proprio benessere e vuole preservarlo bloccando quella che considera “l’invasione” degli “scarti” del mondo. Ecco perché vota per l’“onda populista” di destra. «Questo nuovo populismo,» afferma giustamente Luigi Ferrajoli, «ha così prodotto e continua a produrre, oltre alle morti in mare, un danno gravissimo alle basi sociali e ideali della nostra democrazia: l’abbassamento del senso morale e dello spirito pubblico nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come ‘prima gli italiani’ a sostegno dell'omissione di soccorso sono praticate e ostentate dalle istituzioni, esse non soltanto sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano. Non capiremmo, senza questa corruzione del senso morale operata dall'esibizione dell'immoralità ai vertici dello Stato, il consenso di massa di cui godette il fascismo e di cui godono oggi, nei loro Paesi, Trump, Bolsonaro, Orbán ed Erdogan. Hanno seminato la paura e l’odio per i diversi. Hanno fascistizzato il senso comune. Hanno screditato, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica del soccorso di chi è in pericolo di vita e, con essa, i normali sentimenti di umanità che formano il presupposto della democrazia.» “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 1 year
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“ «L’identità bianca,» afferma il pastore battista Eugene F. Rivers, «spacca gli Usa in due e potrebbe generare una guerra civile nel Paese.» Poi aggiunge: «L’ideologia demoniaca della supremazia bianca è il principio dominante che governa la cultura americana». E invita i bianchi a «scegliere tra il loro Dio e la loro bianchezza». «Noi abbiamo speso tre secoli per sviluppare questa ideologia che è ora profondamente radicata nella psicologia culturale della nazione e della Chiesa. Solo una conversione radicale della fede biblica può liberarci da questo spirito demoniaco che ci lega e ci impedisce di vivere come ragionevoli esseri umani.» E scavando più in profondità, pone un pesante interrogativo: «L’orgoglio della supremazia bianca è un’ideologia e un concetto identitario che è essenzialmente contro Dio: è ateo e demoniaco. La grande sfida che ci sta davanti ora è questa: essere bianchi o essere Chiesa». Tutto questo è diventato chiaro il 6 gennaio 2021 quando una folla di bianchi, su spinta dell’ex presidente degli Usa, Donald Trump, ha invaso il Campidoglio, proprio mentre i membri del Senato e della Camera dovevano proclamare l’elezione di Joe Biden. È stato un vero e proprio golpe che ha lasciato tutti sbalorditi. In quella folla c’era l’intera galassia della supremazia bianca. Spiccava su tutti O’ Shaman (lo sciamano) di QAnon, i complottisti per i quali esiste un potere occulto, colluso con una rete di pedofili ed esponenti di spicco dei democratici, in particolare Hillary Clinton e Barack Obama. C’erano i Proud Boys (chiamati “i Patrioti” da Trump), un gruppo violento di suprematisti bianchi di stampo neofascista. I Proud Boys, fondati nel 2017 dal commentatore radiofonico Gavin McInnes per difendere i valori occidentali, non accettano donne nelle loro file e sono convinti che il Covid-19 sia solo una scusa per vietare le armi e rinchiuderli in casa. E poi ci sono i Boogaloo, armati fino ai denti, con pantaloni militari. Erano apparsi la prima volta in pubblico durante il lockdown dell’aprile 2020. Presenti anche gli Oath Keepers (Fedeli al giuramento) fondati da Stewart Rhodes, accusato oggi di “cospirazione sediziosa”. L’altro gruppo importante dell’ultra destra presente era Alt-right (destra alternativa), costituito da gruppi non omogenei e non organizzati. Hanno un manifesto con tre punti chiari. Primo, gli uomini sono sotto attacco: no al femminismo. Secondo, il linguaggio è sotto attacco perché viene loro proibito il linguaggio razzista e sessista. Terzo, la razza bianca è sotto attacco: le ondate migratorie minacciano la purezza della razza bianca. Partendo dal presupposto che le razze esistono dal punto di vista biologico, Alt-right ha trovato in Donald Trump, con la sua politica antimigratoria e razzista, il candidato perfetto per la presidenza degli Stati Uniti d’America.
È incredibile come quella folla sia riuscita a sfondare e a occupare il Campidoglio nonostante le imponenti misure di sicurezza. Oggi grazie all’indagine della Camera dei deputati sappiamo che l’assalto al Congresso non era una semplice manifestazione pro-Trump, ma il frutto di una pianificazione iniziata mesi prima da un gruppo di avvocati del tycoon, tra i quali Rudy Giuliani e il suo capo di gabinetto Mark Meadows, oltre a numerosi deputati repubblicani. La mente del piano sembra essere stato il noto Stephen Bannon, che aveva lanciato l’idea del 6 gennaio. Secondo il Select Committee della Camera, «Bannon aveva sollecitato Trump a fare pressione sul vicepresidente Mike Pence per aiutare a rovesciare i risultati delle elezioni del 2020 rifiutando di approvare i voti elettorali di alcuni Stati». Si trattava di un vero e proprio golpe. Purtroppo non ci libereremo facilmente dal trumpismo e dai suoi sostenitori, i suprematisti bianchi. Trump ha ancora una forte presa sui repubblicani e potrebbe candidarsi nel 2024. Nel febbraio 2021 si è riunita a Orlando la Conferenza per l’azione politica dei conservatori, dove il 95 per cento dei repubblicani presenti ha detto di voler continuare le politiche delll’amministrazione Trump e difendere la “supremazia bianca”. Trump sta già scaldando i motori per diventare di nuovo presidente degli Usa nel 2024. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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gregor-samsung · 2 years
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“ La pandemia del suprematismo bianco si sta diffondendo come una gramigna anche in Europa. Non dimentichiamoci che qui trova un terreno fertile sia per il nazismo, con l’eliminazione fisica di milioni di ebrei, rom, omosessuali sia per il fascismo, con il Manifesto della razza e le leggi razziali di Mussolini. Oggi l’“estrema destra di Dio”, come la chiama il teologo spagnolo Juan Tamayo, si sta espandendo in Europa, dalla Spagna agli Urali. In Spagna c’è un’incredibile armonia tra le organizzazioni cattoliche spagnole ultraconservatrici HartetOir, El Yunque, InfoCatólica e altre come il partito di estrema destra Vox che sta guadagnando sempre più consensi nonché rilevanza politica. Anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha partecipato alla convention di Vox nel 2021. Vox vuole costruire veri e propri muri attorno a Ceuta e Melilla per bloccare i migranti. E anche in Portogallo l’estrema destra populista di Chega sta ottenendo sempre più consenso. In Francia è il Rassemblement National, denominato fino al 2018 Front National, a essere la voce del­l’estrema destra. Fondato da Jean-Marie Le Pen, il Front National propone l’identità francese contro l’integrazione, nega l’Olocausto e mantiene legami con i gruppi neofascisti. Nelle ultime elezioni europee il Rassemblement National, guidato da Marine Le Pen, ha ottenuto cinque milioni di voti. Ma per le prossime elezioni (2022), in Francia si presenterà il nuovo fenomeno del­l’ultradestra Éric Zemmour, misogino, omofobo, islamofobo, razzista. Ritiene che il partito di Marine Le Pen non sia abbastanza duro e razzista. “L’ossessione di Zemmour è l’islam.” La sua teoria è quella della sostituzione “perché,” egli afferma, “è in corso una colonizzazione da parte degli stranieri”. Il 30 novembre 2021 si è candidato ufficialmente alle elezioni presidenziali francesi, e il 5 dicembre ha fondato, a sostegno della sua candidatura, il partito politico Reconquête (Riconquista), un chiaro riferimento storico alla Reconquista spagnola contro la dominazione musulmana. Ha l’appoggio di banchieri, milionari reazionari, del sistema mediatico di Bolloré, nonché di una parte del mondo cattolico. In Austria è stato Jörg Haider nel 1993 a lanciare con il suo partito FpÖ (Partito della libertà austriaca) la campagna “Prima l’Austria”, con cui intendeva introdurre leggi più severe contro l’immigrazione. Nelle elezioni del 1999 Haider ottenne un risultato storico portando il suo partito a diventare il secondo partito del Paese, ma poi ha perso consensi per lo scandalo che ha coinvolto il leader dell’FpÖ, Heinz C. Strache. I vari governi che si sono poi succeduti in Austria hanno preservato politiche a forti spinte populiste, identitarie e antimigranti. Nella vicina Germania sta guadagnando sempre più terreno il partito razzista Alternativa per la Germania (AfD), che ha ottenuto buoni risultati in Germania Orientale, in Sassonia, e ora sta conquistando consensi anche in Baviera. Infatti nella ricchissima e cattolica Baviera, che non riesce a trovare forza lavoro per circa trentamila posti, c’è un crescente rifiuto dei migranti siriani fatti entrare dalla Merkel. La classe media ha paura di perdere il suo benessere e vuole preservarlo costruendo muri. Sarebbero più di dodicimila gli appartenenti ai gruppi neonazisti in Germania. E un rapporto riservato del­l’Europol afferma che questi gruppi mostrano crescente interesse alle armi. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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giancarlonicoli · 4 years
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13 GEN 2020 09:18
AGENZIA P-ANSA - ''MIO PADRE AVEVA TRASCORSO L’INFANZIA NELLA MISERIA: PENULTIMO DI SEI ORFANI, FIGLI DI UN BRACCIANTE A GIORNATA. MORTO DI COLPO MENTRE ZAPPAVA IL CAMPO DI UN ALTRO. MIA NONNA NON AVEVA VOLUTO AFFIDARE I BAMBINI ALLA CARITÀ PUBBLICA. E LI AVEVA TIRATI SU DA SOLA, CON LA FEROCIA DI UNA LEONESSA. PER FARLI MANGIARE, ANDAVA A RUBARE. IL SUO MOTTO ERA…'' - LE REGOLE DI PANSA: REDAZIONI RIDOTTE AL MINIMO; GIORNALISTI PRONTI A TUTTO; RAPIDITÀ; UNICO GIUDICE IL DIRETTORE, DITTATORE ASSOLUTO; SE SI FA BENE, SI SIA PREMIATI E SE SI FA MALE…''
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LA BIOGRAFIA
Biografia di Giampaolo Pansa a cura di Giorgio Dell'Arti per www.cinquantamila.it
Casale Monferrato (Alessandria) 1 ottobre 1935. Giornalista. «La mia patria morale è da sempre la Resistenza ma non accetto la retorica falsa secondo la quale di qui c’erano tutti i buoni e di là i cattivi. La sinistra che afferma ancora questa grande bugia reca danno solo a se stessa».
• «Mio padre aveva trascorso l’infanzia nella miseria: penultimo di sei ragazzini orfani, figli di un bracciante a giornata. Morto di colpo mentre zappava il campo di un altro: Giovanni Pansa, classe 1863, di Pezzana, provincia di Vercelli. Mia nonna, Caterina Zaffiro, classe 1869, anche lei vercellese di Caresana, non aveva voluto affidare i bambini alla carità pubblica. E li aveva tirati su da sola, con la ferocia di una leonessa. Per farli mangiare, andava a rubare. Il suo motto diceva: la roba dei campi è di Dio e dei santi, dunque pure di una disgraziata come me».
• «Papà e mamma erano arrivati soltanto alla quarta elementare lui e alla quinta lei. Per poi andare subito al lavoro: come guardiano delle mucche e come piccinina in una pellicceria».
• Laureato in Scienze politiche con una tesi su La guerra partigiana tra Genova e il Po (trasformata poi in un libro, Laterza 1967), vinse il premio Einaudi (500.000 lire) e fu chiamato alla Stampa, dove entrò l’1 gennaio 1961, praticante alla redazione Province.
• La sera del 22 novembre 1963, dovendosi fare il giornale sull’attentato a Kennedy, il direttore Giulio De Benedetti piombò nella redazione Esteri: «Questa cronaca non va bene, non va bene assolutamente. Riscriverla per la seconda edizione». Subito dopo: «Anzi, no. Voi degli Esteri siete troppo stanchi». Il direttore si girò, e alle sue spalle c’era la redazione Province. «Lei e lei. Rifatela voi due, questa cronaca».
I due erano Giuseppe Mayda e Pansa: «Seguite voi due questo fatto anche nei prossimi giorni, fino a che il nostro inviato non sia giunto sul posto». Tirarono avanti fino al quarto giorno, quando arrivò a tutti e due una lettera del segretario di redazione Fausto Frittitta che diceva: «Il direttore mi incarica di comunicarLe la sua soddisfazione per il servizio da Lei svolto sull’assassinio del presidente Kennedy». Seguiva l’annuncio di un aumento di stipendio.
• Pansa dice di aver imparato in questi primi anni le cinque regole che sono alla base di un giornale ben fatto: redazioni ridotte al minimo indispensabile; giornalisti pronti a far tutto; rapidità; unico giudice il direttore, dittatore assoluto; se si fa bene, si sia premiati e se si fa male si sia puniti.
• Al Giorno dal 1964, al direttore Italo Pietra che gli chiedeva se preferisse fare l’inviato in Vietnam o a Voghera rispose: «A Voghera». Pietra: «Risposta esatta. Se avessi detto Vietnam non ti avrei preso». Nel 1968 tornò alla Stampa (direttore Ronchey).
• Dal 1972 redattore capo al Messaggero, si trovò male anche per l’ostilità della redazione, nel 1973 andò al Corriere della Sera come inviato: colpo più clamoroso l’intervista a Enrico Berlinguer del 1976 in cui alla domanda se non temesse di fare la fine di Dubcek (il segretario del Partito comunista cecoslovacco che nel 1968 aveva tentato di liberalizzare il suo paese ed era stato spazzato via dai carri armati sovietici) ebbe per risposta: «No, perché sono da questa parte dell’Occidente e, con la protezione della Nato, mi sento più sicuro».
• Nel 1977, dopo le dimissioni del direttore Ottone, lasciò il Corriere per Repubblica.
• A Repubblica (è questo il periodo in cui lo si vede ai congressi dei partiti col binocolo perché non vuole farsi sfuggire nessun tic degli oratori) cominciò presto a fare il vicedirettore con Gianni Rocca e contribuì allo straordinario successo (in copie e peso politico) del giornale. Alla fine degli anni Ottanta inaugurò su Panorama (direttore Claudio Rinaldi) la rubrica “Bestiario”, poi portata all’Espresso di cui diventò condirettore. Incarico che ha lasciato il 30 settembre 2008 per passare al Riformista, fino al 2010, quando passa a Libero dove porta il suo “Bestiario”.
• Ha scritto molti libri, tra cui: L’esercito di Salò (Istituto della Resistenza e poi Oscar Mondadori, 1970), Comprati e venduti (Bompiani 1977), Ottobre addio (Mondadori 1982), Carte false (Rizzoli 1986), Intervista sul mio partito (a Luciano Lama, Laterza 1987), Lo sfascio (Sperling 1987), Questi anni alla Fiat (intervista con Cesare Romiti, Rizzoli 1988), Il Malloppo (Rizzoli 1989) ecc. Dopo che Rizzoli rinunciò alla pubblicazione de L’intrigo, giudicato troppo contrario a Berlusconi (in quel momento oltre tutto Berlusconi distribuiva con la Rizzoli Sorrisi e Canzoni), passò a Sperling & Kupfer, per poi tornare a Rizzoli nel 2008.
• Gli ultimi libri hanno ripreso il vecchio tema della Resistenza, visto però dalla parte dei perdenti. La grande bugia (Sperling & Kupfler, 2006), I tre inverni della paura (2008), I vinti non dimenticano (2010), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti (2012), Bella ciao - Controstoria della Resistenza – (2014). Grandissime vendite e grandissime polemiche. Su Il sangue dei vinti (Rizzoli, 2003): «Vergognoso, non revisionista ma falsario» (Aldo Aniasi), «Una vergognosa operazione opportunista» (Giorgio Bocca), «Libro vergognoso di un voltagabbana» (Liberazione), «Una cinica operazione editoriale» (Sandro Curzi).
Ernesto Galli Della Loggia: «Che cosa gli rimproverava la sinistra più conservatrice e aggressiva, quella, come lui la chiama, degli “uomini di marmo”? Semplicemente di aver rotto il tabù delle migliaia di fascisti (o presunti tali, o addirittura, in più di un caso, di antifascisti perfino) brutalmente fatti fuori dai partigiani all’indomani del 25 aprile». Giorgio Bocca dopo aver letto La grande bugia: «Io sono d’accordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge».
• «Molti leader di sinistra sono persone mediocri, arroganti, boriose. Afflitte soprattutto da un vizio: l’ignoranza. Una malattia diffusa che li fa essere infastiditi da tutto ciò che non rientra nei loro poveri schemi culturali. Quando uscì il mio Sangue dei vinti i tipi sinistri non erano in grado di smentire i fatti che raccontavo: ma divennero furibondi perché incrinavo un tabù, quello della Resistenza, che li aveva aiutati a campare per tanti anni. Coprendo la verità con il mantello della retorica interessata e di bugie senza vergogna».
• «Dopo una vita trascorsa nel giornalismo schierato, de sinistra, Pansa ha maturato negli ultimi anni, specie per come sono stati accolti i suoi libri sulla guerra civile tra partigiani rossi e repubblichini dai Torquemada ex e post del pensiero unico, un giustificato disamore per la sinistra, forse antropologicamente superiore a ogni altra tribù nazionale ma con un QI politico e un respiro culturale, sia detto senza offesa, di poco superiore a quelli del paramecio, organismo unicellulare e magari, non mi stupirei, anche un po’ trinariciuto». (Diego Gabutti) [Iog, 17/4/2012].
• Da ultimo anche un paio di libri fortemente critici verso i giornalisti: Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani (Rizzoli 2011) La Repubblica di Barbapapà (Rizzoli 2013, «Barbapapà è il soprannome che la redazione di Repubblica diede ad Eugenio Scalfari»).
• «Sono un umorale, un ingenuo, a volte m’incavolo, spesso sbaglio. Ma non ho mai scritto una riga per calcolo o fatto polemiche per opportunismo».
• «Ha il giornalismo nel sangue, anzi in Italia ne è uno dei capiscuola e officia i riti di questo mestiere con un suo scrupolo particolare. Alle 8,30 del mattino ha già letto dieci quotidiani, si devono a lui metafore entrate nel linguaggio comune come la definizione di “Balena bianca” per la Dc» (Maurizio Caprara).
• «Le cattiverie di Pansa sono leali, mai subdole, e non cancellano un’indulgenza di fondo verso gli attori della commedia umana. Il “Bestiario” cerca di applicare a modo suo il principio costituzionale del giusto processo» (Claudio Rinaldi).
• Antiberlusconiano («con giudizio», dice lui). «In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l’ultima illusione». Nel maggio 2007 annunciò che non sarebbe più andato a votare. Frequenti bastonate alla sinistra estrema, tra i suoi bersagli preferiti Bertinotti, ribattezzato “Il parolaio rosso”.
• Juventino.
• Fuma.
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pangeanews · 4 years
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Bruce Chatwin, l’esteta irrequieto (…e gli incontri con Malraux, Jünger, Klaus Kinski, Nadežda Mandel’stam)
Bruce Chatwin aveva gli scarponi al collo e la faccia da angelo in ceramica. “Bruce è un nome di cane in Inghilterra (non in Australia), ed era anche il cognome dei nostri cugini scozzesi. L’etimologia di ‘Chatwin’ è oscura, ma lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde voleva dire ‘sentiero tortuoso’. Il nostro ramo della famiglia risale a un fabbricante di bottoni di Birmingham, ma in un angolo remoto dello Utah esiste una dinastia di Chatwin mormoni, e di recente ho avuto notizia di un signor Chatwin e signora, trapezisti”, scrive, declinando l’oro della sua stirpe, nel documento autobiografico Ho sempre desiderato andare in Patagonia. Tra gli avi nobili, Chatwin, figlio di buona famiglia – padre avvocato e impegnato nella Royal Navy – nato il 13 maggio del 1940, cita uno “zio Geoffrey, arabista e viaggiatore del deserto, che al pari di T.E. Lawrence ebbe in dono dall’emiro Feisal un aureo copricapo (poi venduto), e morì povero al Cairo”. Ecco: Chatwin fu l’opposto di T.E. Lawrence. All’avventura spiritata preferì l’ordinario nomadismo; alla dissipazione lo spirito ironico; alle vaste campiture narrative con aggettivi magnetici una scrittura lucida, con dedizione all’intarsio. Mi è sempre parso che Chatwin proponga un’irrequietezza da sorbirsi in cottage, in sedentaria solidarietà; d’altronde, le Moleskine si comprano immaginando un fittizio Capo Horn, decrittando le imprese che non condurremmo mai.
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A proposito. In Patagonia è ritenuto il libro più bello di Chatwin: inizia con “un pezzo di brontosauro” e fonda una breve azienda turistica. Pubblicato nel 1977, è ‘di culto’ da quando Chatwin vaga nella Patagonia celeste, era il 1989. Nello stesso tempo, Chatwin fa qualcosa di antico – piglia l’acutezza di Ruskin e di Walter Pater – e di moderno – viaggia on the road. E viceversa. Per me, il libro più bello è Le Vie dei Canti (1987) – l’idea che l’identità aborigena coincida con il poema di un sognatore, che annodi nel canto le storie di tutti, mi affascinò a lungo. Chatwin segue il filo del racconto più che il criterio dello studio, per questo ci incanta. Porzioni di libro sono la – fittizia – trascrizione dei propri appunti. “Nella Muqaddima di Ibn Khaldun, filosofo che considerò la condizione umana dal punto di vista del nomade si legge: ‘Il popolo del deserto è più vicino dei popoli stanziali alla bontà, perché è più vicino al Primo Stato e più lontano da tutte le cattive abitudini che hanno corrotto i cuori di chi ha lasciato la vita nomade’”. Chatwin insegna, insomma, che il miglior modo di viaggiare è leggere i viaggi altrui – oggi, d’altronde, non potremmo fare altro. E che viaggiare è seguire le tracce di altri, fare i segugi.
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La dinamica proposta da Chatwin funziona. Deserto contro città; tenda contro casa; nomadi contro stanziali; cacciatori contro operai. In verità, l’uomo è il culmine di un contraddittorio: è un nomade stanziale. Ci muoviamo per lavoro ma vogliamo una casa a cui tornare; se siamo reclusi in casa vaghiamo svagandoci, tentando l’ascesi o l’ascesa del divano, mentre il nostro destino è umettato di fiction. Ogni uomo si muove per trovare una sede: Alessandro Magno viaggia tra Macedonia e India per porre il proprio palazzo a Babilonia. Anche Dio, infine, vuole casa in un Tempio.
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Chatwin viaggia con la perizia del gemmologo: non è mai ‘sporco’ né estasiato. Gli scarponi li tiene intorno al collo. Per primo, ha portato la scrivania vittoriana in Dahomey: anche l’efferato, in Chatwin, è afferrabile con la ragione, scomposto in aggettivi, vaporizzato nel racconto. La follia di Klaus Kinski – protagonista di Cobra verde, film di Werner Herzog tratto dal Viceré di Ouidah di Chatwin – è anestetizzata in una descrizione che pare giungere per angelologia da Dickens: “un adolescente di sessant’anni, tutto in bianco, con una criniera di capelli gialli. Non corrisponde esattamente all’idea che ho io di uno schiavista brasiliano, ma lasciamo correre”. Chatwin emerge dalla polvere fredda di Punta Arenas come appare da Sotheby’s, con la stessa, attenta eleganza. Per questo, adorava gli scriteriati.
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Con scriteriati intendo quegli uomini che non si adattano ai criteri di questo mondo. Dovrei dire, genio, se è genio la capacità di sdraiarsi sulla cresta della Storia, stabilirsi nella fortuna, fecondi senza caparbietà, audaci per dote e per dono, spietati eppure puri, certi del rispetto che si concede ai toccati dalla grazia. In Che ci faccio qui? Bruce Chatwin pretende l’incontro con due nomadi molto diversi da lui, per statura e scrittura: André Malraux e Ernst Jünger. Di questi, ama l’infallibile, il pudore che nessuno valica, lo spudorato carisma – non saprei come altro dire. “Malraux ha il tempismo di un opportunista di razza ed è stato testimone e partecipe di grandi eventi della storia moderna. Lui solo può raccontare che Stalin considerava Robinson Crusoe ‘il primo romanzo socialista’, e che la mano di Mao Tse-tung è ‘rosa come se l’avessero bollita’, e che la pelle bianca e gli occhi spiritati di Trotckij lo facevano somigliare a un idolo sumero di alabastro”. L’ironia ingabbia di quel tanto l’ammirazione: Malraux è il romanziere narciso, l’esistenzialista corrusco, il brigante dionisiaco, l’esteta mentitore, per cui “le persone di oggi si dissolvono nel mito” e “Mao Tse-tung, ‘il grande imperatore di bronzo’ delle Antimemorie è intercambiabile, in un certo senso, con la statua rilucente di un antico re-sacerdote mesopotamico”. Il dialogo si svolge nel 1974, Malraux morirà due anni dopo. “Concludemmo la conversazione parlando dell’Afghanistan, con i suoi fiumi verde pallido e i suoi monasteri buddhisti, dove le aquile volteggiano sopra le foreste di cedri deodara e gli uomini delle tribù portano asce da combattimento di rame…”. Allora, Malraux, pronto all’ennesima avventura, mai domo, sussurra, “e c’è sempre il Tibet…”.
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Beh, Chatwin sa fronteggiare questi personaggi – ci vuole lignaggio oltre a leggerezza per farlo. Jünger resta ai suoi occhi un implacabile enigma. Il pezzo, del 1981, è un piccolo gioiello, fin dall’incipit: “Il 18 giugno 1940 Winston Churchill concluse il suo discorso alla Camera dei Comuni con le parole: ‘Questa è stata la loro ora più bella!’, e quella sera stessa un personaggio molto diverso, con l’uniforme grigia di ufficiale della Wehrmacht, si sedette nello studio della duchessa de la Rochefoucauld al castello di Montmirail. Quell’ospite non invitato era un uomo di quarantacinque anni, basso di statura ma atletico, con la bocca fissa in un’espressione di stima per se stesso e con gli occhi azzurri di una tonalità particolarmente artica. Sfogliava i libri della duchessa col tocco sapiente del bibliomane e notò che molti recavano la dedica di famosi scrittori. Da un volume scivolò e cadde a terra una lettera…”. Chatwin è uno scrittore che ama le armonie e le superfici ben levigate – “particolarmente artica” –, la “prosa dura e lucida… imperturbabile” di Jünger e “la fermezza incrollabile delle sue idee” lo soggioga e abbaglia. Che, durante una esecuzione in un bosco francese, Jünger descriva i tremiti del bosco e dell’uomo e “una mosca che danzava in un raggio di sole”, lo repelle e lo inietta nell’apollineo. L’incontro con Jünger si rivelerà inutile – il tedesco è chiuso all’ingordigia di pettegolezzi dell’inglese. Gli concede però, “dato che Montherlant m’interessava”, di studiare una copia del foglio che stava sulla scrivania del francese, quando questi si è ammazzato. “Il suicidio fa parte del capitale dell’umanità”, è scritto, in francese. L’aforisma è di Jünger, “risale agli anni Trenta”, la calligrafia di Montherlant. Il foglio è chiazzato. “Le macchie erano fotocopie del sangue”.
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Iosif Brodskij venerava Nadežda, la moglie di Osip Mandel’stam. “Per decenni visse alla macchia, in fuga perpetua svolazzando tra gli angiporti e oscure città del grande impero, posandosi in un nuovo nido solo per riprendere il volo al primo segnale di pericolo. La condizione di ‘non persona’ divenne a poco a poco la sua seconda natura”, scrive il poeta in una memoria raccolta in Fuga da Bisanzio. Chatwin è da Nadežda nel 1978. Lei gli mostra un quadro di Weissberg. “Il quadro era tutto bianco, bianco su bianco, qualche bottiglia bianca su un fondo vuoto e bianco”. Poi fa, “è il nostro miglior pittore: che in Russia non si possa fare che questo, dipingere il bianco?”. In quel caso, il bianco non è opportunità ma prigionia, la gogna più che il giglio, non è l’innocenza ma l’assassinio, perché quel bianco è nero raddoppiato. (d.b.)
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