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#Al primo soffio di vento
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Al primo soffio di vento (Franco Piavoli, 2002)
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ourlittlesister2015 · 7 months
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At the First Breath of Wind (2003), dir. Franco Piavoli
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libero-de-mente · 3 months
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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l-incantatrice · 6 months
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"Penso che ogni persona abbia un proprio profumo.
Qualcuno profuma d'anima e per questo annusarlo è piacevole,
una sensazione intensa...
Altri invece odorano solo di copia/incolla e quelli beh...
al primo soffio di vento disperdono qualsiasi profumo abbiano indossato."
(Isabel De Santis)
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videosalon · 1 year
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Al primo soffio di vento (2002)
dir. Franco Piavoli
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thecommaconstellation · 8 months
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Il primo gennaio
So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
Eugenio Montale, da Satura II
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greenbor · 4 months
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4. Il primo gennaio di Eugenio Montale
So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c’è se mai nessuno l’ha veduto. So che si può esistere non vivendo, con radici strappate da ogni vento se anche non muove foglia e non un soffio increspa l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone. So che non c’è magia di filtro o d’infusione che possano spiegare come di te s’azzuffino dita e capelli, come il tuo riso esploda nel suo ringraziamento al minuscolo dio a cui ti affidi, d’ora in ora diverso, e ne diffidi. So che mai ti sei posta il come – il dove – il perché, pigramente rassegnata al non importa, al non so quando o quanto, assorta in un oscuro germinale di larve e arborescenze. So che quello che afferri, oggetto o mano, penna o portacenere, brucia e non se n’accorge, né te n’avvedi tu animale innocente inconsapevole di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra e una sostanza, un raggio che si oscura. So che si può vivere nel fuochetto di paglia dell’emulazione senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato da Chi volle tu fossi…e se ne pentì. Ora, uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti lo scheletro dell’albero di Natale, ti accompagna in sordina il mangianastri, torni indietro, allo specchio ti dispiaci, ti getti a terra, con lo straccio scrosti dal pavimento le orme degli intrusi. Erano tanti e il più impresentabile di tutti perché gli altri almeno parlano, io, a bocca chiusa.
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È impossibile tenere tutto sotto controllo
L'imprevisto è sempre dietro l'angolo e quando arriva ogni cosa che hai programmato con tanta cura crolla inevitabilmente come un castello di carte che al primo soffio di vento traballava soltanto anche se pericolosamente e al secondo soffio cade e distrugge completamente quell'equilibrio che a fatica avevi cercato di mettere in piedi
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E poi ci sono quelli che ci provano.
Ci riprovano.
Poi ci provano ancora
e ancora e ancora.
Quasi all'infinito.
Quasi.
Perché poi smettono all'improvviso.
Che tutti si chiedono che fine abbiano fatto.
Perché non ci provano più.
Bè... Non ci provano
perché hanno finito di crederci.
Sono rimasti fino alla fine
perché pensavano ne valesse la pena.
Perché loro non fanno saltare i rapporti
al primo soffio di vento.
Loro credono nei rapporti.
Ci credono fino a starci male.
Dopodiché, fuggono via.
Lontanissimo.
Dove raggiungerli è ormai impossibile.
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Angelo De Pascalis
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Films watched in 2022.
Top 15 Best Movies Watched for the First Time in 2022.
1. Light Sleeper (Paul Schrader, 1992) 2. Días de otoño (Roberto Gavaldón, 1963)   3. Holiday (George Cukor, 1938) 4. Tongues Untied (Marlon Riggs, 1989) 5. Al primo soffio di vento (Franco Piavoli, 2002) 6. Io la conoscevo bene (Antonio Pietrangeli, 1965) 7. His Motorbike, Her Island (Nobuhiko Ôbayashi, 1986) 8. Aparajito (Satyajit Ray, 1956) 9. Nobody’s Business (Alan Berliner, 1996) 10. Chilly Scenes of Winter (Joan Micklin Silver, 1979) 11. Simone Barbès ou la vertu (Marie-Claude Treilhou, 1980) 12. Colegas (Eloy de la Iglesia, 1982) 13. The Act of Seeing with One’s Own Eyes (Stan Brakhage, 1971) 14. The Revolt of Mamie Stover (Raoul Walsh, 1956) 15. The Velvet Vampire (Stephanie Rothman, 1971)
This has been a really tough year, since September it’s been difficult for me to see movies. That's why I want to mention the TV show Booklyn Nine-Nine that literally saved my life. Hopefully 2023 brings better memories. Happy New Year to you all, love you ♥
(My list in Letterboxd -click here-)
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ourlittlesister2015 · 7 months
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At the First Breath of Wind (2003), dir. Franco Piavoli
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sciatu · 6 months
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IL PRIMO BACIO (dovrebbe essere un racconto)
Si disse che avrebbe aspettato ancora dieci minuti e poi se ne sarebbe andata. Guardò per la millesima volta il cellulare ma non c’era nessun messaggio. L’ultimo diceva che gli era capitato un imprevisto, sarebbe arrivato in ritardo di qualche minuto. Questo due ore prima.
“Cinque minuti, non di più.”
ripeté decisa e arrabbiata, ma non con quel lui che aveva promesso, giurato e che ora era uno scomodo fantasma; arrabbiata con quel bisogno di qualcuno che l’obbligava a restare li, ferma come una vittima sulla ghigliottina ad aspettare un verdetto che già sapeva
Sentì dei passi sulla sabbia e vide la figura di un ragazzo arrivare. Piena di speranza alzò la testa per vedere meglio. Non era lui. Era più alto di Luigi e con i capelli ricci. Tornò a sdraiarsi mettendo la testa sul cuscino gonfiabile e, fingendo di avere gli occhi chiusi, osservò il nuovo arrivato. Lui stava guardando il cellulare e quando girò intorno alla collina di sabbia che la nascondeva si fermò stupito osservandola. Si guardò intorno indeciso sul da farsi poi continuò nella piccola conca che formava una spiaggetta protetta dal vento e dagli sguardi indiscreti dirigendosi al lato opposto a quello dove lei era sdraiata e, distesa la tovaglia, si coricò senza levarsi la maglietta.
Lei decise che ormai poteva andarsene. Anche se Luigi fosse arrivato non avrebbero avuto quell’intimità necessaria a parlarsi e forse a legarsi per sempre. Ormai, Luigi le aveva fatto capire che per loro non ci sarebbe stato un sempre.
Si mise a sedere cercando qualcosa nella borsa solo per non farsi fregare dalla tristezza e mettersi a piangere come una scema. Il vento soffiò improvviso e feroce, a sottolineare l’amara rabbia che lei provava e col suo soffio cattivo, si portò via il suo cuscino gonfiabile. Lei cercò di girarsi per afferrarlo ma cadde goffamente sulla sabbia e poiché si era messa su una duna, rotolò verso il basso come una pera caduta dal suo ramo.
Quando si fermò era confusa e disorientata, con la testa verso il basso, le gambe verso l’alto, senza riuscire a muoversi da quella ridicola posizione. Si butto su un fianco e cercò di alzarsi senza riuscirci.
“Vuoi una mano?”
Era il ragazzo con i capelli ricci che la guardava dall’alto.
“Si grazie, mi sono incasinata.”
Le spostò le gambe verso il basso e, prese le sue braccia, la tirò su lentamente. Stretto sotto un suo braccio c’era il suo cuscino.
Si drizzò barcollando, levandosi la sabbia dalla testa.
“Hai fatto un bel ruzzolone”
“I disastri sono la mia specialità”
Si levò la sabbia dalle gambe
“Ce la fai a risalire?”
Le chiese preoccupato con un accento che sembrava altoatesino.
“Si, si”
Rispose lei cercando di camminare sulla piccola duna su cui era sdraiata. Lui le allungò il cuscino
“Grazie, grazie nuovamente”
“Prego - Rispose gentilmente facendo un piccolo sorriso – va tutto bene?”
“Si, si, grazie ancora. Grazie”
Rispose velocemente quasi gli desse fastidio e afferrò con malagrazia il cuscino. Il ragazzo fece un altro sorriso di circostanza e tornò a sdraiarsi dall’altra parte della piccola spiaggia concentrandosi sul cellulare e ignorandola.
Lei l’osservò. Sembrava magro ma l’aveva aiutata senza mostrare alcuna fatica ed era stato gentile ed educato, non il solito sciabbacotu (pescatore povero, sinonimo di persona rozza e ignorante) che c’erano nei paesi lungo la costa. Lei al solito si era comportata da zalla. Ormai non poteva evitare di morire vergine, cosa che secondo sua zia Pinuccia era la disgrazia peggiore che potesse capitare ad una donna, ma passare da zalla non le andava. Si alzò e si diresse con cautela dal ragazzo sedendosi accanto. Lui si accorse di lei solo quando se la vide vicinissima, si levò gli auricolari e la guardò interrogativo.
“Eh nenti, prima sono stata un po' sgarbata, volevo chiederti ancora grazie. “
“Non ti preoccupare – la osservò attentamente – va tutto bene? Ti vedo turbata”
“è che tutto mi va a schifiu”
“Cose sentimentali o cose serie?”
“Le cose sentimentali non sono cose serie?”
“Per chi gli vuol dare importanza si, per chi ha un po' gnengu (intelligenza), no”
“Ecco, come finire la serata in gloria, con il sentimental-scettico di turno – pensò lei e continuò ironicamente a voce alta – perché tu non credi all’amore?”
“All’amore si, ma a tutte quelle storie che ci ricamano intorno, no. È un marketing dei sentimenti che mi da fastidio.”
“Che vuoi dire, non ti capisco “
“Scusami, sono con le scatole girate. Oggi ho avuto una giornata di lavoro storta. Ero venuto qui a distrarmi un po'”
“Oh scusa vado via”
“No resta, tu non fai parte della mia giornata ma di questa spiaggia, quindi sei senza peccato”
Lei sorrise e gli chiese
“Che lavoro fai?”
“Lavoro in un laboratorio di analisi mediche. Oggi si son rotte due apparecchiature e ho passato la giornata a cercare l’assistenza tecnica per domani. Ma qui in Sicilia “domani” è un tempo indefinito. E tu che lavoro fai?”
“Lavoro in un asilo, con i bambini.”
“Allora la tua giornata dovrebbe essere stata tranquilla”
“Invece era una giornata piena di aspettative: ero riuscita a farmi dare un appuntamento da un bonazzo che mi piaceva da tanto, e stu strunzu mi da buca! Ma dimmi: Cettina si nu cessu, m’affruntu (mi vergogno) ad uscire con te invece di farmi sperare per niente. Stu strunzu”
Sentì  gli occhi riempirsi di lacrime.
“Lo vedi? È questo quello che chiamo marketing dei sentimenti: i sentimenti che creano false illusioni e falsi motivi di auto compatimento per poi cercare altri motivi di autocompiacimento, autostima etc etc, così siamo sempre a cercare di essere apprezzati o di apprezzare per avere in cambio quelle gratificazioni che non riusciamo a trovare nella vita e di cui i sentimenti sono il motore”
Si avvicinò a Cettina
“Ragiona, se non è venuto è un bene! Ti avrebbe riempito di illusioni, false promesse, sogni … e poi sarebbe scomparso nel nulla lasciandoti la sensazione di aver sprecato una vita.”
Si sdraiò sulla schiena
“E poi non si nu cessu, lo sai!”
“Comu no! Ho il corpo a fiasco di vino e questo naso che da solo fa provincia”
E guardò la punta del suo naso con entrambi gli occhi. Lui sorrise di gusto
“Hai fatto una espressione ridicola – si scusò – e poi la bellezza di una donna non è nel solo fisico. È nella sua sensualità, nel suo carattere, nel suo charme. La bellezza rimanda sempre a qualcosa, ad un sentimento, al sesso, al piacere, ad una canzone, una stagione, ad un ideale, ad un’idea di perfezione. Non è qualcosa di assoluto ma di culturalmente e personalmente relativo e nella sua relatività non c’è un più o un meno bello.”
“Si, si – fece lei scettica – intanto quelle con le cosce lunghe, il seno rifatto, magre e bionde hanno sempre nu zitu che le sta dietro ed io resto sempre seduta da parte come na seggia sciancata (una sedia con una gamba rotta) chi nuddu voli. Sula a ittari sangu, ad aspettare che qualche caso umano mi consideri. Tu parli bene, ma a me nessuno mi guarda, perché l’unica cosa a cui culturalmente rimando è un sacco di patate.”
Lui sorrise e si sdraiò sulla schiena chiudendo le palpebre ed aggiunse semplicemente
“esagerata comu tutti i fimmini”
“A si, - fece lei piccata - allora dimmi di che colore sono i miei occhi? Se sono interessante li avrai notati”
Gli disse ironica e se li nascose con una mano. Lui sorrise
“Sono nocciola con dei sprazzi ambrati intorno alla pupilla, hanno una forma a mandorla e sono ben proporzionati nel volto.”
Lei levò la mano sorpresa e pensò
“minchia ma mi ha guardato veramente"
“E tu sapresti dirmi di che colore sono i miei?”
Fece lui e si coprì gli occhi come aveva fatto lei
Ebbe un attacco di panico ma si riprese subito
“Neri … neri scurissimi … e normali, cioè non a mandorla ma normali”
“Hai dimenticato affascinanti e intelligenti ….”
“Si va bene, ha parlato George Clooney”
Fece lei ridendo. Sorrise anche lui e restarono in silenzio qualche secondo
“Lo fai il bagno?”
Lui la guardò
“Ma si dai “
si levò la maglietta mentre lei si alzò e corse sulla sabbia calda entrando in acqua con un tuffo. Lui la seguì entrando in acqua lentamente. Cettina ne approfittò e avvicinandosi, lo bagnò; lui sussulto per l’acqua fredda e si tuffò inseguendola. Lei nuotò via ridendo mentre il ragazzo con grandi bracciate cercava di raggiungerla.
Sentì ad un certo punto un dolore intenso al polpaccio. Lanciò un grido e malgrado cercasse di restare a galla, affondò lentamente. Prima di essere sommersa dall’acqua cercò di respirare più aria che poteva, ma lo fece con la bocca vicino all’acqua e un boccone le scese lungo la gola facendola tossire. L’acqua la sommerse. Si sentì afferrare ai fianchi, percepì il corpo caldo di lui contro il suo e con forza si sentì sollevare finché la testa uscì in superfice. Incominciò a tossire e a sputare acqua. Il ragazzo l’aveva afferrata e lentamente la stava portando a riva.
Lei si appoggio a lui mentre sentiva le sue braccia stringerla e sostenerla
“Un crampo”
Disse tra un colpo di tosse e l’altro. Arrivarono sul bagnasciuga e lui si fermo. Lei in si massaggio il polpaccio dolorante appoggiandosi contro il corpo di lui.
“cerca di stendere il piede.”
Sentiva il corpo del ragazzo contro il suo e il braccio che la circondava.
“ora va meglio aiutami a sdraiarmi.”
l’aiutò a raggiungere la sua tovaglia
“Stai qui al caldo “
e si tuffò di nuovo.
Cettina massaggiandosi il polpaccio si sdraio sulla sabbia calda.
Il ragazzo tornò poco dopo, prese le sue cose e si sdraiò accanto a lei con la schiena al sole e gli occhi chiusi. Cettina aprì di poco gli occhi come se li avesse ancora chiusi e lo guardò. Osservò il naso regolare e il mento largo soffermandosi sulle labbra sottili.
“Oggi è la giornata in cui mi devi salvare”
“Capitano le giornate no, che vuoi fare”
“Meno male che nuoti benissimo”
“La piscina era la cosa più vicina al mare che c’era dove abitavo in Germania. Facevo parte di una squadra di pallanuoto.”
“E hai vinto qualcosa?”
“Dicevano che ero troppo piccolo e magro per stavo sempre in panchina. Ma in realtà non giocavo perché ero italiano.”
Chiuse gli occhi e cercò di farsi scaldare dal sole.
Cettina pensò a quello che lui aveva detto prima del bagno e alla fine si alzò sui gomiti e gli chiese
“Posso farti una domanda personale”
“E fammela …”
“Ma tu l’hai mai avuta una ragazza?”
“No, e non sono gay per rispondere alla tua seconda domanda”
“La mia seconda domanda è “perché”? perché non ci credi nell’amore se non hai mai avuto una ragazza?”
Lui si appoggiò sulle braccia alzando il busto
“Mi è successo che quando avevo sei anni mio padre si è innamorato di una ragazza più giovane di lui e ha lasciato la famiglia. Mia madre non aveva mai lavorato ed è stato un momento molto difficile. Poi siamo andati in Germania dove c’era mio zio che le ha trovato un lavoro. Si è messa poi con uno che sapeva che ogni sabato pensava che doverosamente dovesse ubriacarsi. Io mi sono ritrovato da che abitavo di fronte al mare, a vedere da un giorno con l’altro solo distese di luppolo e pini oscuri, senza capire cosa mi diceva la gente e a sentirmi sempre un diverso, un estraneo sopportato e mai accettato. Quando ho potuto me ne sono tornato qui. Non riuscivo ad amare quel mare di terra e quella gente che ti sorrideva solo se aveva un bicchiere in mano. Per questo sono tornato e per tutti sono un pacciu (pazzo), ma i pacci sono liberi, hanno il diritto di vivere come vogliono. Ho preso in casa mio padre che è stato lasciato dalla sua amante e che a furia di pensare a tutti gli errori che ha fatto è diventato un alcolizzato. L’amore, i rapporti con gli altri sono fregature, legami che devi subire tuo malgrado, che devi accettare anche se non hanno più senso, come la famiglia. Perché legarsi se i legami sono solo temporanei e si usurano con la stessa velocità con cui invecchiano i telefonini?”
Lei ascoltava in silenzio, e quando lui finì di parlare continuò a guardarlo come se stesse ancora ascoltandolo, poi si sdraiò nuovamente sulla pancia.
“Io mio padre non l’ho mai conosciuto. Mia madre non ne parla mai. Qualcuno dice che è o era una brava persona, qualche altro dice che era un mascalzone. Non lo so, forse nessuno mi vuole: perché sono una bastarda. Ma a me la cosa non mi interessa. Mia madre è una donna eccezionale, uno scoglio che nessuna mareggiata riesce a spostare; mi ha insegnato che la vita si deve vivere e amare non “malgrado tutto” ma perché è vita, è la nostra, è l’unica che abbiamo. – restò qualche istante in silenzio - Io lavoro con i bambini e vedo ogni giorno che loro si nutrono d’amore. Ne hanno bisogno per crescere per comprendere, per capire questo mondo che per loro è meraviglioso e spesso terribile. Gli uomini non sono diversi dai bambini, senza amore, morirebbero o sarebbero eternamente ubriachi, per non pensare che sono soli, prigionieri di se stessi.”
Restò qualche minuto in silenzio come se ascoltasse il vento dirle qualcosa
“Quando da bambina ho chiesto a mia madre perché non avesse sposato mio padre mi ha risposto che quando si vuole bene a qualcuno è come quando si va in posta ad aprire in due un libretto dove si conserva tutto l’amore che in quel momento avanza; ci si mette i desideri comuni, le speranze per il domani, i ricordi belli, i momenti felici, baci, carezze, sorrisi, abbracci, insomma, tutto quello che  unisce e che rende felici. Quando si ha un momento di difficoltà si va alla posta e si preleva un po' d’amore dal libretto, così si continua a volersi bene. Quando era successo a lei di aver bisogno di quell’amore che mio padre in quel momento non le dava, aveva scoperto che il libretto era vuoto, che mio padre non aveva messo nulla e lei pochissimo. Non serviva a niente tenere quel libretto e lo aveva chiuso e con lui, aveva chiuso anche il rapporto con mio padre.  Mi ha detto anche che il suo era una eccezione. Perché l’amore, se ci crediamo, rinasce ogni giorno ed è l’interesse, il guadagno di quello che abbiamo messo nel libretto, così ogni giorno accumuliamo un tesoro. Questo perché è il tempo che giudica l’amore, perché fa la somma di quanto in quest’amore abbiamo messo di nostro e di sincero. Nel libretto dei tuoi forse c’era poco come in quello dei miei e tuo padre ha deciso di aprirne un altro perché come i bambini, tutti noi dobbiamo nutrirci d’amore.”
“E come si fa a mettere la giusta quantità d’amore sul libretto se all’inizio non si sa cosa si dovrà affrontare e siamo presi dalla voglia e dalla paura d’amare”
“conoscendosi e voglia di sapersi. Solo quando sai chi hai davanti puoi incominciare a depositare il tuo amore in più. Ora tu dici, l’amore non esiste! Ma se non lo hai mai provato, se non hai mai aperto un libretto impegnandoti in un rapporto, come fai a dire che non esiste. Io invece sono sempre qua, con il mio libretto in mano in cui nessuno vuole depositare qualcosa!”
Lui sorrise
“Forse dai troppa importanza a quel libretto postale”
“perché non si può ignorare l’amore come fai tu. Ma dimmi la verità, sei felice?”
Lui non rispose ed appoggiò la testa sulle mani vicino alla sabbia.
“nel mio piccolo si”
“si, sei felice come una barca lasciata per sempre sulla spiaggia: hai rinunciato al mare,  alla vita”
Lui chiuse gli occhi come per riflettere meglio.
“dipende da cosa intendi per vita, se è la spiaggia sempre uguale o il mare con le sue tempeste e bonacce. Quando hai visto solo naufragi, forse la spiaggia è l’unica soluzione”
Lei pensò alle sue parole. Non stava capendo. Non capiva che quell’amore di cui lei parlava non era un passatempo, un vestito sociale che bisognava indossare, ma un bisogno che tutti quanti avevano, anche lui sentimentalmente ateo. Fu invasa da una velenosa malinconia. Come sentiva che era finita in un altro vicolo cieco dove non c’era nessuno. Questo tirolese spiaggiato non voleva dare all’amore l’importanza che aveva e chissà quanti la pensavano come lui. Lei era l’unica a credere in qualcosa a cui nessuno in fondo dava un vero valore. Luigi era ormai un’ombra come tutti quelli che l’avevano preceduto: già prima dell’inizio era finito tutto. Si era spaventato o si vergognava di lei. Il risultato non cambiava: il suo libretto postale era ormai scaduto e nessun altro avrebbe messo su di esso un sogno, un desiderio, un momento felice perché alla fine, gira che ti rigira, lei restava sempre una senza valore, era solo la figlia della buttana che nessuno aveva sposato, era solo quella che non sapeva neanche chi fosse suo padre.
Le venne voglia di scappare e di fermarsi solo in quel posto lontano e introvabile del mondo dove non esistevano le ingiustizie
“si è fatto tardi – disse fredda e distante – il sole sta già tramontando. Io vado”
Si alzò e con le mani rimosse la sabbia dalle gambe. Incominciò a raccogliere nervosamente le sue cose. Lui la guardò sorpreso. Restò seduto osservandola qualche secondo, poi si alzò velocemente
“Hai ragione, quando il sole va via incomincia a fare freddo”
Raccolse la tovaglia e lo zaino e aspettò che lei finisse di piegare la sua. S’incamminarono lentamente sul bagnasciuga per aggirare il promontorio dietro cui era nascosta la spiaggetta e tornare alla piazzola sulla statale su cui avevano parcheggiato
Dopo alcuni secondi di silenzio lui incominciò a parlare
“Mi piace la tua teoria del libretto e anche quello che hai detto sui bambini …”
Lei camminava senza ascoltarlo, guardando dove metteva i piedi per evitare i sassi più grossi o più appuntiti.
“Poi, è vero, per mettere il giusto valore nel libretto comune, ognuno deve sapere, chi è la persona con cui ha aperto il conto e che cosa rappresenta per lui …”
Lei continuava a non parlare stanca di una discussione senza nessuna conclusione che ormai aveva sentito mille volte ripetuta in mille modi diversi.
“… Penso che alla fine ognuno deve trovare la sua strada ….” Concluse lui con una disarmante banalità detta come se fosse una verità assoluta.
Arrivarono alla piazzola del parcheggio e Cettina vide poco lontano dalla sua macchina una moto di grossa cilindrata con targa tedesca
Lei arrivò alla macchina qualche metro più avanti, l’aprì e si girò per salutarlo trovandolo giusto dietro di lei invece che accanto alla moto e spaventata fece un salto indietro
“Scusa – fece lui sorridendo per la faccia che aveva fatto – volevo chiederti sola una cosa …”
“Dimmi”
Rispose lei riavutasi dallo spavento
“… ti andrebbe di andare a mangiare una pizza con me questa sera … o domani se sei occupata?”
Lei lo guardò sorpresa
“Perché ?
“Per conoscerci meglio … per parlare un po' …. diventare amici….”
Non riuscì a trovare altri argomenti anche se si capiva che li stava cercando
“… tra le tante persone che ho incontrato qui, sei l’unica che dica delle cose sensate …  ”
Lei lo guardava stupita, indecisa sul da farsi pensando a cosa volesse dire
“… scusa, è la prima volta che chiedo un appuntamento e non so cosa si dica in questi casi … ma ho lasciato la Germania per il mare … mi scoccia pensarmi abbandonato su una spiaggia”
La guardò intensamente, con i ricci che gli scendevano sugli occhi e le labbra ferme in un sorriso gentile.
Lei pensò a il suo corpo contro il suo nel bagnasciuga, penso ai suoi occhi neri dietro i riccioli che gli coprivano la fronte, ebbe il flash delle sue labbra che le sorridevano senza malizia mentre le dava il cuscino e pensò a quello che le aveva detto, alla sua anima che le aveva mostrato. Sentì che era sincero, diversamente da tutti quelli prima di lui, le aveva mostrato la sua anima ancor prima di conoscerla.
“bhe, penso che stasera potremmo vederci, perché no … dove possiamo andare?”
“io vado sempre al kamelot, ti va bene?”
“ si non è lontano da casa mia alle 21:00 va bene?”
“okei, prenoto io”
Lei lo guardò tutta seria.
“ Non mi darai anche tu una buca?”
“No! io quando dico una cosa è quella”
E sorrise nuovamente
“va bene, a stasera”
Fece lei contenta. Il volto di lui si illuminò.  Si voltò e si avviò verso la moto. Lei lo guardò allontanarsi e dopo pochi secondi gli corse dietro
“scusa, … scusa,”
Lui si voltò immediatamente e se la vide arrivare di corsa
“Come ti chiami ? …. Non mi hai detto come ti chiami”
Lui la guardò
“Philipp, Filippo in italiano”
I loro occhi si guardavano come quando si guarda un tramonto o il mare del mattino mentre sorge il sole e lo riveste di luce.
“Ah, Filippo … “
Ripetè lei. Ma non si mosse e non disse nulla. Lui faceva lo stesso quasi a voler leggere ogni suo tratto, ogni più piccolo particolare di lei per ricordarselo per sempre
I loro occhi si fissavano come se le loro anime volessero conoscersi direttamente, senza usare parole, ma solo il loro silenzioso desiderio di sapersi
“minchia baciami,  abbracciami, … stringimi …”
Pensò Cettina improvvisamente, sperando che la stringesse come aveva fatto in acqua o come fanno nei film e che premesse le sue labbra sulle sue, perché le labbra sono la penna con cui ogni amante scrive il suo amore sulla pelle di chi ama e lei voleva che lui scrivesse sulla sua pelle quanto per lui, lei fosse importante, quanto la desiderasse e la volesse rivestire di piacere, perché aveva sempre desiderato un bacio rivelatore come quello che non era mai arrivato.
Si vergognò immediatamente dei pensieri che stava facendo
“… a dopo … allora”
E indietreggio per ricordarlo com’era, con i riccioli smossi dal vento, quel sorriso che sembrava quello di un bambino e l’asciugamano rossa sulla spalla.
Sentì che stava arrossendo, si voltò e andò via, salì in macchina e partì. Arrivò a casa senza ricordarsi nulla della strada che aveva fatto, perché pensava solo a lui, a quello che si erano detti, alle sue braccia intorno la sua vita, ai suoi occhi fissi nei suoi. Alle sue labbra che dovevano essere dolcissime, alle sue mani sul suo corpo, alla sua pelle che doveva profumare di fuoco e zagara. Si asciugò i capelli raccogliendoli in una lunga coda, si mise lo smalto nuovo sulle unghie dei piedi e delle mani, si passo sulle gambe la crema per rassodarle e passò parecchio tempo a truccarsi. Lo faceva in modo inconscio, mentre pensava a lui. Si provo due vestiti e scelse il nero con le scarpe basse e una piccola borsa. Restò in dubbio sull’intimo, se dovesse mettersi Victoria Segret o Coin.
“Minchia - si disse - se deve succedere qualcosa, me lo devo ricordare per tutta la vita”
E levò il tagliandino del prezzo a Victoria Segret. Quando guardò l’orologio si accorse che era tardi e corse via sotto lo sguardo severo della madre rimasta a guardarla preoccupata sulla porta di casa. Arrivò con quasi venti minuti di ritardo e all’ingresso del locale lo cercò con ansia e paura tra i tavoli. Lo vide in un angolo che guardava il cellulare. Si diresse verso di lui sicura ed emozionata. Felice di vederlo con i suoi ricci e la sua camicia di lino bianco. Felice di vederlo perché le sembrava di conoscerlo da sempre, di sapere ogni suo segreto e che in verità non l’avesse mai lasciata. Era rimasto dentro i suoi più nascosti desideri a sorriderle, a stringerla e proteggerla come quando l’aveva stretta nel mare. Non era mai andato via, era rinchiuso dentro la sua anima a nutrirla d’amore Quando lui la vide si alzo sorridendo e lei si sorprese perché non lo ricordava così carino e pensò che era naturale che lei fosse lì con lui, che non potesse essere altrimenti, che quel momento per loro due era gia stato scritto da sempre. Per sempre.
“Ciao”
Le disse Filippo guardandola stupito della sua elegante trasformazione mentre aspettava che si sedesse.
“ciao, è tanto che mi aspetti? “
gli chiese preoccupata Cettina.
“da sempre”
rispose e sorrise con un sorriso grande quanto l’orizzonte Lo stomaco le prese fuoco e capì che sarebbe stata la serata più importante di tutta la vita che fino a quel momento aveva vissuto. Si spaventò, per quell’immensa e incosciente felicità che stava provando.  
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nicolinss · 1 year
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P: ma voi due come facevate a stare insieme? (Faccia sbalondita)
N: non lo so (rispondo)
P: è quasi incredibile che possa essere durata 5 anni.
N: lo so, ma fin dal primo momento ho sentito qualcosa di diverso.
C’erano le solite senzazioni, certo, mi piace non mi piace, si, no ecc.. solite valutazioni. Ma poi c’era una sfumatura che non avevo mai percepito.
Ho fatto molta fatica a decifrare questa sensazione.
I giorni passavano, e tra una litigata e l’altra, tra un sorriso e il fare l’amore, tra tutte le cose che fanno parte di una relazione, c’era quella sensazione.
Probabilmente è inspiegabile, potrei stare qui ore a cercare di definirla, e non ci riuscirei.
Era un legame, si ecco, un legame. Una cosa che assolutamente non esiste, ma che c’è, tipo l’anima.
Eravamo collegati, non lo so. Provavo una sensazione di attrazione irresistibile. Era impossibile staccarsi del tutto.
Le dico dottoressa, sono uscito con molte ragazze, e una cosa del genere non l’ho mai provata. Ma nemmeno lontanamente.
Lo sa quando la percepivo di piu? Quando eravamo lontani, io sentivo che lei era li con me, costantemente. A volte era nel sedile del passeggero, a volte era in cantiere con me, a volte era li al mio fianco sul divano.
Le faccio un esempio, adesso che non stiamo insieme, e siamo lontani anni luce, io non riesco a percepirla cosi distante, lei e qui, al mio fianco, sempre. Capisce? Forse no.
P: si, capisco. Ma lei, ha ancora una porta aperta per A.? Perché da quello che ho capito fino ad ora, lei ha chiuso tutto le porte.
N: io ho un portone aperto, non una porta. Lo tengo chiuso per non far entrare l’aria che mi fa del male, ma basterebbe il soffio di vento giusto per spalancarlo.
P: a lei a basta questo legame?
N: no, non mi basta. Ma io posso solo mantenerlo e cercare di non spezzarlo mai, il resto lo devo accettare.
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valentina-lauricella · 8 months
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In occasione della seconda visita della cugina Geltrude Cassi Lazzari a Recanati (colei per cui scrisse il Diario del primo amore - 1817)
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ELEGIA II
Dove son? dove fui? che m’addolora? Ahimè ch’io la rividi, e che giammai Non avrò pace al mondo insin ch’io mora.
Che vidi, o Ciel, che vidi, e che bramai! Perchè vacillo? e che spavento è questo? Io non so quel ch’io fo nè quel ch’oprai.
Fugge la luce, e ’l suolo ch’i’ calpesto Ondeggia e balza, in guisa tal ch’io spero Ch’egli sia sogno e ch’i’ non sia ben desto.
Ahimè ch’io veglio, e quel che sento è il vero; Vero è ch’anzi morrò ch’al guardo mio Sorga sereno un dì su l’emispero.
Meglio era ch’i’ morissi avanti ch’io Rivedessi colei che in cor m’ha posto Di morire un asprissimo desio:
Ch’allor le membra in pace avrei composto; Or fia con pianto il fin de la mia vita, Or con affanno al mio passar m’accosto.
O Cielo o Cielo, io ti domando aita. Che far debb’io? conforto altro non vedo Al mio dolor, che l’ultima partita.
Ahi ahi, chi l’avria detto? appena il credo: Quel ch’io la notte e ’l dì pregar soleva E sospirar, m’è dato, e morte chiedo.
Quanto sperar, quanto gioir mi leva E spegne un punto sol! com’egli è scuro Questo dì che sì vago io mi fingeva!
Amore, io ti credetti assai men duro Allor che desiai quel che m’ha fatto Miser fra quanti mai saranno o furo.
Già t’ebbi in seno; ed in error m’ha tratto La rimembranza: indarno oggi mi pento, E meco indarno e teco, amor, combatto.
Ma lieve a comportar quello ch’io sento Fora, sol ch’anco un poco io di quel volto Dissetar mi potessi a mio talento.
Ora il più rivederla oggi m’è tolto, Ella si parte; e m’ha per sempre un giorno In miseria amarissima sepolto.
Intanto io grido, e qui vagando intorno, Invan la pioggia invoco e la tempesta Acciò che la ritenga al mio soggiorno.
Pure il vento muggia ne la foresta, E muggia tra le nubi il tuono errante, In sul dì, poi che l’alba erasi desta.
O care nubi, o cielo, o terra, o piante, Parte la donna mia; pietà, se trova Pietate al mondo un infelice amante.
Or prorompi o procella, or fate prova Di sommergermi o nembi, insino a tanto Che ’l sole ad altre terre il dì rinnova.
S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia Le luci il crudo Sol pregne di pianto.
Io veggio ben ch’a quel che mi travaglia Nessuno ha cura; io veggio che negletto, Ignoto, il mio dolor mi fiede e taglia.
Segui, m’ardi, mi strazia, a tuo diletto Spegnimi o Ciel; se già non prima il core Di propria mano io sterpomi dal petto.
O donna, e tu mi lasci; e questo amore Ch’io ti porto, non sai, nè te n’avvisa L’angoscia di mia fronte e lo stupore.
Così pur sempre; e non sia mai divisa Teco mia doglia; e tu d’amor lontana Vivi beata sempre ad una guisa.
Deh giammai questa cruda e questa insana Angoscia non la tocchi: a me si dia Sempre doglia infinita e soprumana.
Intanto io per te piango, o donna mia, Che m’abbandoni, ed io solo rimagno Del mio spietato affetto in compagnia.
Che penso? che farò? di chi mi lagno? Poi che seguir nè ritener ti posso, Io disperatamente anelo e piagno.
E piangerò quando lucente e rosso Apparrà l’oriente e quando bruno, Fin che ’l peso carnal non avrò scosso.
Nè tu saprai ch’io piango, e che digiuno De la tua vista, io mi disfaccio; e morto, Da te non avrò mai pianto nessuno.
Così vivo e morrò senza conforto.
O sol, vedesti in tutto il mondo mai Tanto immenso dolor quant’io sopporto?
Ed ella m’abbandona; e tu che fai, Misero? come l’alma anco ti resta? Solo, in tanto desir come vivrai?
Gelo in mirar l’orribile tempesta Che m’aspetta, e gli affanni e i pianti e l’ire. O sventurato! Ei non può far che questa
Fera vita io sostenga: io vo’ morire.
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