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#la luce che mi serviva
mynameis-gloria · 3 months
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Una luce pazzesca
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fenicenera83 · 9 months
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MARIUS de ROMANUS APPRECIATION WEEK DAY 5
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Author's Note: Today I want to post in my native language, Italian. I hope you will forgive me, but these days I am very tired and felt overwhelmed. Writing in my native language helps me to recharge. I have been wanting to write something in Italian for the chronicles fandom for a long time.The English version is below - Thanks!
Un caro amico -
In quella notte appesantita da nuvole scure, sulla città di Firenze, non splendeva la luna, e le stelle erano un lontano riflesso avvolto nel tepore di quelle nubi scure. L'aria era opprimente e a poco serviva sperare nella brezza notturna, tutto era fermo, come prosciugato dell'esistenza. Marius, con passo deciso, si stava avvicinando alla bottega di quello che ormai era diventato per lui, un grande amico. Le suole dei suoi stivali rimbombarono nei vicoletti di pietra, Marius non se ne curò, amava fare le cose come se fosse ancora umano. Quell'epoca in cui si era risvegliato era piena di una bellezza carnale ed umana, di un mondo che metteva al centro l'uomo e il suo intelletto, la bellezza del vivere e l'opulenza dei sogni. Marius era innamorato, della vita, di tutta la bellezza intorno a lui, degli uomini di intelletto che si confrontavano per strada, degli artisti che studiavano il divenire delle cose, la bellezza dell'essere, dei filosofi che parlavano di meraviglie mai immaginate, di scrittori, poetie uomini di scienza, che donavano con il loro intelletto luce ad un mondo buio. I passi sicuri di Marius lo portarono di fronte al portone verde, scorticciato, che aveva imparato a conoscere e amare profondamente. Con delicatezza appoggiò la mano sul legno, prima di darvi tre colpetti secchi sopra. Quello era da tempo, il loro segnale, per riconoscersi. Un attimo dopo il portone si aprì cigolando, e due occhi castani vibranti e accoglienti fissarono Marius. Botticelli si scostò dalla porta con un sorriso delicato sul volto, lasciando a Marius spazio per entrare nel suo studio. Marius avanzò nella grande stanza, che profumava di olio e mistura di colori, di legno e vernici per rifinitura, un odore che risuonò in lui con amore e meraviglia.
Era chiaro, nella confusione tutto intorno, il lavoro e l'impegno dell'artista e dei suoi allievi. Ogni cosa sembrava lasciata al caso, offerta al tempo della notte, come richiamo alla musa della creatività, Clio, che avrebbe toccato con speranza e piacere, gli strumenti così cari agli artisti che li avevano lasciati lì. Pennelli e tavolozze, stracci sporchi, e barattoli, contenitori in vetro e pestelli, fogli e pergamene, pennini e gessetti. Ogni cosa in disordine, ogni cosa in ordine nel cuore dell'artista che l'aveva usato.
Botticelli sembrò accorgersi del disordine solo in quel momento, e grattandosi la testa, con un rossore sul volto, si lasciò sfuggire una risata nervosa. "Mi spiace, Marius, amico mio, i miei allievi hanno preso dal maestro, e il Dio nei cieli, sa, quanto sono pessimo in queste cose dell'ordine e della chiarezza di pensiero!" Sbottò il maestro allargando le braccia in un gesto di resa. Marius, lo guardò inarcando le sopracciglia, per poi ridere divertito:
" Hai la chiarezza nel cuore Maestro, poiché ogni colore che poni sui tuoi lavori, ogni cosa che nasce dalle tue mani, porge il tuo cuore al mondo. È un grande coraggio quello che hai, Maestro, e pochi uomini possono vantare la tua chiarezza di cuore. Molti possono imparare la chiarezza e la linea dritta del pensiero razionale, ma il pensiero del cuore, molti pochi fortunati come te, lo conoscono."
"Ah tu mi lusinghi, amico mio, mi lusinghi come non merito! Ma apprezzo il tuo buon cuore e la tua sincerità di parola, e questo lo sai." rispose Botticelli, sedendosi vicino al fuoco su uno sgabello di legno. Il Maestro fisso' la danza delle fiamme e sembrò pensieroso, quasi cupo, qualcosa che Marius non aveva mai conosciuto sul suo volto, da quando si erano conosciuti.
" C'è qualcosa che ti turba Maestro? Vuoi parlarmene affinché io possa provare ad alleviare i tuoi pensieri e la tua anima?" Chiese, Marius, d'improvviso preoccupato per quello stato d'animo, dell'amico. Botticelli portò i suoi occhi castani su Marius e con una mano lo invitò a sedersi davanti a lui, vicino al fuoco.
Marius scostò il suo lungo mantello di velluto rosso, e si sedette, aspettando con rispettoso silenzio le parole di Botticelli.
" Vedi mio caro amico, ho un amico che mi è prezioso. Si chiama Leonardo, ed è un artista d'animo immenso, un genio in ogni cosa. Pensa che in lui ho trovato quell'amico con cui condividere la mia passione immensa per la cucina! Riesci a crederci Marius? " Botticelli sembrò esitare poi, perché aveva provato a condividere quella sua passione con Marius, ma Marius sembrava sterile di fronte alle meraviglie del cibo. Marius annuì e sorrise, un invito a continuare, a dimostrare come era felice di quella scoperta, che aveva reso gioioso il suo amico.
Botticelli sorrise di rimando e continuò:" Vedi, Leonardo è un uomo focoso, passionale, carnale e dedito all'arte come alla vita. Tu sai Marius, come l'uomo facilmente si innamora, Leonardo non solo ama, da tutto se stesso, e soltanto una persona è riuscita a portarlo a essere suo e soltanto suo nel cuore e nell'anima."
Botticelli sembrò combattuto, triste ma con occhi sognanti proseguì:
" Questa persona è un suo allievo, tanto lo ama e tanto lui lo ama di rimando. Ma è... " Botticelli sembrò esitare ma poi prosegui:
"È un piccolo demonio! Tanto che Leonardo lo chiama Salai! È un ladro e bugiardo, un irrispettoso e mordace piccolo uomo! Una lingua di serpe e un sorriso da fauno! Capelli e occhi di Ganimede stesso! E Leonardo sa tutto questo... Ma lo ama comunque. E quello che è ancora più incomprensibile, Salai... ama Leonardo, questo è innegabile, lo adora, sono un anima e un cuore. È vero Leonardo può essere duro, a volte persino troppo, è vanitoso e orgoglioso, pretende molto perché da molto. Le sfide d'intelletto e d'amore fra loro sono come i discorsi degli innamorati che sanno come parlare al cuore dell'altro, ma a volte scelgono volutamente la via sbagliata. Sono preoccupato per Leonardo, questo amore che abbraccia il cuore e la mente di entrambi, questa immensa devozione, questa intensa passione fra loro, è bellissima ma anche difficile."
E Botticelli riportò il suo sguardo su Marius, dopo aver fissato le fiamme nel camino per tutto questo tempo, e quello che vide lo stupì e lo preoccupò allo stesso tempo. Marius stava sorridendo, un sorriso dolce e sognante, che lo rendeva bello in una maniera disarmante. Marius si riscosse, notando lo sguardo sorpreso di Botticelli. Da primo sembrò insicuro e timido, come se fosse stato sorpreso a prendere dei biscotti in cucina, poi Marius si ricompose:
" Non badare a me Maestro, non mi preoccuperei, però, per il tuo amico. Penso sia meraviglioso quello che la vita gli ha donato. Qualcuno che lo ama come mi racconti. Mi fa sognare che anche io possa trovarlo. Un amore che veda oltre me, oltre le mie mancanze e i miei difetti, un amore che sappia amarmi nonostante tutto ciò che sono. Un amore che possa insegnarmi e lasciarsi insegnare, anche in sfida, anche in rabbia, anche nel dolore, ma sempre con amore e dedizione, con passione e intensità. Cosa può desiderare il cuore di un uomo più di potersi mostrare a qualcuno per com' è? Più di poter raccontare la sua anima ad una creatura che sa guardarlo solo con amore? Anche nelle sue ombre, anche nel mostro che gli abita dentro. E amare quel mostro come ama l'uomo. No Maestro, il tuo amico, forse, conoscerà la soffrenza e dovrà imparare a convivere con essa, ma si sarà specchiato nel cuore di qualcuno che lo ama in tutto e per l'uomo che è, nella sua complessità e totalità. Con i suoi sbagli e i suoi difetti, la sua grandezza e il suo buon cuore." Botticelli rimase interdetto, poi sorrise:" È bello parlare conte Marius, amico mio, tu sai fare gioire il mio cuore anche quanto è pesante. Forse quello che dici è vero, io non ho aspirazioni sull'amore o sulla vita, solo sull'arte. E forse questo mi impedisce di capire questo nostro strano mondo. Ti ringrazio, però, adesso posso capire perché Leonardo ama così Salai, e perché Salai ama lui con l'immensa passione del suo cuore. Siamo strani non è vero? Complicati ma semplici allo stesso tempo."
Botticelli si alzò seguito da Marius:" Vieni, amico mio, voglio mostrarti ciò a cui sto lavorando. E ti prego non avere solo lodi per me questa volta! La tua opinione mi è cara, ma adesso che posso chiamarti amico, spero tu sappia che apprezzerò ogni cosa tu dica." E Marius seguì Botticelli verso un altra grande stanza.
La storia di Leonardo e Salai, continuò a risuonare nell'anima di Marius, fino al giorno in cui, il destino, o il tempo che scorre, o chissà quale sarcastica divinità, gli donò il suo Salai, quel suo angelo dai capelli castano rossi e gli occhi di fuoco. Colui che lo avrebbe amato come mai nessun altro e che lui avrebbe amato come mai nessun altro. Colui che adesso camminava di nuovo al suo fianco, colui che adesso, lo lasciava specchiarsi nel suo cuore e vedere solo un uomo. Un uomo che è amato, un uomo innamorato.
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A dear friend-
On that night weighed down by dark clouds, over the city of Florence, no moon shone, and the stars were a distant reflection shrouded in the warmth of those dark clouds. The air was oppressive, and there was little use hoping for a night breeze; everything was still, as if drained of existence. Marius, with determined step, was approaching the workshop of what had now become for him, a great friend. The soles of his boots rumbled in the stone alleys, Marius did not care; he loved to do things as if he were still human. That era in which he had awakened was full of a carnal and human beauty, of a world that put man and his intellect at the center, the beauty of living and the opulence of dreams. Marius was in love, with life, with all the beauty around him, with men of intellect who confronted each other in the streets, with artists who studied the becoming of things, the beauty of being, with philosophers who spoke of wonders never imagined, with writers, poetsand men of science, who gave light with their intellect to a dark world. Marius's confident steps brought him in front of the green, flayed doorway he had come to know and love deeply. Gently he placed his hand on the wood, before giving it three dry taps on it. That had long been, their signal, to recognize each other.
A moment later the door creaked open, and two vibrant and welcoming brown eyes stared at Marius. Botticelli flinched from the door with a gentle smile on his face, giving Marius room to enter his studio. Marius advanced into the large room, which smelled of oil and color mixture, wood and finishing varnish, a smell that resonated in him with love and wonder.
It was clear, in the confusion all around, the work and commitment of the artist and his students. Everything seemed left to chance, offered to the time of night, as a call to the muse of creativity, Clio, who would touch with hope and pleasure, the tools so dear to the artists who had left them there. Brushes and palettes, dirty rags, and jars, glass containers and pestles, sheets and parchments, nibs and chalks. Everything in disarray, everything in order in the heart of the artist who had used it.
Botticelli seemed to notice the disorder only then, and scratching his head, with a blush on his face, he let out a nervous laugh. "I'm sorry, Marius, my friend, my students take after the master, and the God in heaven, you know, how bad I am at these things of order and clarity of thought!" Blurted out the master, spreading his arms wide in a gesture of surrender. Marius, looked at him arching his eyebrows, then laughed in amusement:
"You have clarity in your heart Master, for every color you place on your work, every thing that comes from your hands, gives your heart to the world. It is a great courage you have, Master, and few men can boast of your clarity of heart. Many may learn the clarity and straight line of rational thought, but the thought of the heart, many a lucky few like you, know."
"Ah you flatter me, my friend, you flatter me as I do not deserve! But I appreciate your good heart and sincerity of speech, and this you know." replied Botticelli, sitting down by the fire on a wooden stool. The Master stared at the dance of the flames and looked thoughtful, almost somber, something Marius had not known on his face since they had met.
" Is something troubling you Master? Would you like to tell me about it so that I can try to ease your thoughts and your soul?" He asked, Marius, suddenly concerned about that state of mind, of his friend. Botticelli brought his brown eyes to Marius and with one hand invited him to sit before him, near the fire.
Marius shrugged off his long red velvet cloak, and sat down, waiting respectfully for Botticelli's words.
"You see my dear friend, I have a friend who is precious to me. His name is Leonardo, and he is an artist of immense soul, a genius in everything. Just think that in him I have found that friend with whom I can share my immense passion for cooking! Can you believe it Marius? " Botticelli seemed to hesitate then, because he had tried to share that passion of his with Marius, but Marius seemed barren before the wonders of food. Marius nodded and smiled, an invitation to continue, to show how happy he was with that discovery, which had made his friend joyful.
Botticelli smiled back and continued," You see, Leonardo is a fiery, passionate, carnal man who is as dedicated to art as he is to life. You know Marius, as man easily falls in love, Leonardo not only loves, he gives all of himself, and only one person was able to bring him to be his and only his in heart and soul." Botticelli looked conflicted, sad but with dreamy eyes continued:
" This person is his student, so much he loves him and so much he loves him back. But he is… " Botticelli seemed to hesitate but then continued:
"He is a little devil! So much so that Leonardo calls him Salai! He is a thief and liar, a disrespectful and biting little man! A serpent's tongue and a faun's smile! Hair and eyes of Ganymede himself! And Leonardo knows all this… But he loves him anyway. And what is even more incomprehensible, Salai..he loves Leonardo, this is undeniable, he adores him, they are one soul and one heart. It is true Leonardo can be hard, sometimes even too hard, he is vain and proud, he demands a lot because he gives a lot. The challenges of intellect and love between them are like the speeches of lovers who know how to speak to each other's hearts, but sometimes they deliberately choose the wrong way. I am worried about Leonardo, this love that embraces both their hearts and minds, this immense devotion, this intense passion between them, is beautiful but also difficult."
And Botticelli brought his gaze back to Marius, after staring at the flames in the fireplace all this time, and what he saw amazed and worried him at the same time. Marius was smiling, a sweet, dreamy smile that made him beautiful in a disarming way. Marius roused himself, noticing Botticelli's surprised look. At first he looked unsure and shy, as if he had been caught taking cookies in the kitchen, then Marius composed himself:
" Don't mind me Master, I wouldn't worry, though, about your friend. I think it's wonderful what life has given him. Someone who loves him as you tell me. It makes me dream that I can find him too. A love that sees beyond me, beyond my shortcomings and flaws, a love that can love me despite all that I am. A love that can teach me and be taught, even in defiance, even in anger, even in pain, but always with love and dedication, with passion and intensity. What more can a man's heart desire than to be able to show himself to someone as he is? More than being able to tell his soul to a creature who can only look at him with love? Even in his shadows, even in the monster that dwells within him. And love that monster as he loves man. No Master, your friend, perhaps, will know suffering and have to learn to live with it, but he will have mirrored himself in the heart of someone who loves him in all and for the man he is, in his complexity and totality. With his mistakes and his flaws, his greatness and his good heart."
Botticelli was interjected, then smiled:" It is good to talk Count Marius, my friend, you know how to make my heart rejoice even how heavy it is. Perhaps what you say is true, I have no aspirations about love or life, only about art. And maybe that prevents me from understanding this strange world of ours. I thank you though, now I can understand why Leonardo loves Salai so much, and why Salai loves him with the immense passion of his heart. We are strange aren't we? Complicated but simple at the same time."
Botticelli stood up followed by Marius:" Come, my friend, I want to show you what I am working on. And please don't have only praise for me this time! Your opinion is dear to me, but now that I can call you friend, I hope you know that I will appreciate everything you say." And Marius followed Botticelli to another large room...
The story of Leonardo and Salai, continued to resonate in Marius' soul, until the day when, fate, or the passing of time, or who knows what sarcastic deity, gave him his Salai, that angel of his with red brown hair and eyes of fire. The one who would love him like never anyone else and whom he would love like never anyone else. The one who now walked by his side again, the one who now, let him mirror himself in his heart and see only a man. A man who is loved, a man in love.
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der-papero · 1 year
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In questi giorni si è risvegliata una sopita rete neurale abbandonata in qualche angolo del mio cervello, legata ai miei trascorsi nel PdS e del perché io abbia lasciato, forse alimentata da tanti fatti e parole (del resto, così si attivano le reti neurali).
Non ho mai avuto una cultura politica che mi è stata trasmessa sin da ragazzo, non mi iscrissi al PdS perché ascoltavo Guccini o perché credessi in chissà quale Comandante Che Guevara, ma semplicemente perché, delle tante idee politiche, quella di sinistra (dell'epoca) era un po' come quelle tute che compri per metterti addosso qualcosa di comodo nel quotidiano, magari non ti piace proprio tutto, c'è qualche colore un po' del cazzo ma è l'abito che ti consente di muoverti in libertà e di essere te stesso.
Quando iniziai la militanza (vocabolo che trovo un tantino esagerato, ma ci siamo capiti), più che imparare a riconoscere il pensiero fascista diventai estremamente sensibile all'atteggiamento fascista, vuoi perché avevo già una predisposizione genetica dovuta alla sopravvivenza familiare con un padre fascista (il termine corretto sarebbe strunz, però restiamo nel racconto civile), vuoi perché io non rinnegavo a priori la discussione con una persona di destra (all'epoca Alleanza Nazionale), dovendo poi però raccogliere ogni volta l'unica conclusione statisticamente probabile, ovvero che dopo 5 minuti mi trovavo a dover evitare un colpo di clava in testa. Provavo a romanzare le persone di destra dicendo sempre che non è che non avessero idee, ma che non avessero la pazienza di portarle avanti, e che fosse molto più comodo imporle a calci in culo, si fa prima e aiuta a risollevare una scarsa autostima alla base. Ma questo post non parla delle persone di destra, mi serviva giusto una prima lente di messa a fuoco.
La mia forte delusione giunse dopo alcuni anni, come qualsiasi forma di legame che si affranca dalla fase di innamoramento e inizia a vedere le cose per come sono, ovvero che, di corrente in corrente, di movimento in movimento, iniziai a riconoscere gli stessi destro-schemi comportamentali da parte di coloro che orgogliosamente si dichiaravano lontani da quel modo di relazionarsi con gli altri, e in effetti io non ho mai visto clave nelle sezioni, ma il pensiero utilizzato come clave sì. I distinguo venivano sempre raccolti da qualcuno, trasformati e poi riscritti in chiave strumentale, ovvero trovando delle assonanze col pensiero antagonista, per tracciare dei confini, sei di qua o sei di là?, e se sei di là vuol dire che sei d'accordo con loro, e che in fondo in fondo un po' fascista lo sei. E fin quando lo faceva il singolo, ci stava anche, essere di sinistra non implica necessariamente avere una intelligenza superiore, ma a questo punto subentrava un secondo meccanismo, ovvero una sorta di, come vogliamo chiamarlo, squadrismo gentile, dove tutti quelli che non erano capaci di costruire un proprio pensiero si aggrappavano all'identità di partito, contribuendo ad isolare e mettere in cattiva luce chi aveva osato alzare la mano per insinuare qualche dubbio (peggio ancora se si trattava di una obiezione). E tengo a sottolineare che, nonostante i miei dubbi, io non mi sono poi mai messo contro quella che era la linea ufficiale del partito, ma poi succede sempre che, al netto della retorica, il più delle volte ipocrita, della faccia pulita, i panni sporchi si lavano in famiglia, e io ero un panno sporco.
Stanco di questa continua reductio ad fascium (l'ho inventata adesso, eh, perdonatemi), decisi di lasciare ed ascoltare la buonanima del mio professore di Filosofia, l'unico che mi abbia davvero insegnato a pensare con la mia testa, ergo mi son tenuto la mia tuta da ogni giorno e amen. L'unico errore che commisi alla consegna della tessera fu quello di arrivare alla conclusione, abbastanza populista, che destra e sinistra fossero uguali, cosa molto lontana dal vero, quando invece sono le persone e le relazioni tra i gruppi ad avere questo tipo di affinità, l'unica differenza sta solo nella velocità con la quale si passa dalla dialettica alla violenza e alla potenza della violenza stessa.
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montag28 · 1 year
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Pensieri sparpagliati – ed. straordinaria
Oggi mi è caduto il telefono, il vetro è andato in frantumi. Proprio il giorno in cui l'ho usato troppo. Ho pensato, magari non è casuale. La tastiera sembra tener botta, ma qualche lettera devo indovinarla dietro le crepe, dopo averla scritta.
Anch'io tengo botta. Anche io ho qualche crepa.
C'è chi è di un vetro anche più sottile del mio, forse. Bugia, il suo è più simile al cristallo. Sì, luminoso e sfaccettato e fragile. Da maneggiare con cura, ma anche con fermezza, senza indugiare, ché i sentimenti pietistici non sono solo odiosi e fuori luogo, ma fanno anche tremare le mani. Sempre mani decise e sentimenti chiari, quando si vuol bene a qualcuno. L'insicurezza non fa bene a nessuno. E se coloro a cui vuoi bene ti mancano, invitali a cena oppure stai zitto.
Penso abbandonerò instagram entro breve. Posto una foto ricercatissima, non la vede nessuno. Un selfie del cazzo, pioggerella di likes (in proporzione, s'intende). Che l'algoritmo c'entri in qualche maniera? Suppongo di sì. Lo chiamerei l'egoritmo, se avesse senso o se fosse divertente. E invece, 0/2. Comunque instagram (mi) ruba troppo tempo, quando ne ho. Per quanto mi riguarda è una voragine, un potenziale loop infinito, un buco nero supermassiccio che anziché inglobare luce e materia, divora minuti e attenzione.
Ho ancora parecchia spazzatura da mettere nei sacchi e portare via, via dalla mia testa. Non escludo di rivolgermi di nuovo a qualche impresa, nel prossimo futuro.
Una persona semisconosciuta, ma senz'altro accorta e delicata, mi ha invitato a continuare su questo spazio. Anzi, mi ha proprio scritto di non smettere, «in barba a tutti quelli che l'hanno fatto». L'ho trovato un suggerimento pieno di buon senso, in barba ai miei propositi dell'anno scorso, già sorpassati e divenuti incoerenti. Ma mi serviva chiarezza. Non credo neppure che questa persona abbia un suo tumblelog (ricordate? Si chiamano così), anche se potrei sbagliarmi. Sarà che spesso il punto di vista più appropriato su un dato contesto è quello che viene da qualcuno che non vi appartiene; il famoso ‘esser visti da fuori’. Comunque sia, mi avanzava un pubblico ringraziamento. Come dicono nelle mie terre adottive: Grazie, sai. Per quello privato, aspetterò ancora un pochino.
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msn-dailynews · 20 days
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Luke Marani, il fuffa guru che ci vende l'imitazione della felicità attraverso beni e servizi. Bastava così poco?
Prima di diventare milionario? Studente universitario squattrinato, famiglia oppressa dai debiti, adolescenza trascorsa in una casa di periferia. Lo racconta mentre beve un cocktail di proteine nella sua abitazione, al sessantaquattresimo piano di un grattacielo a Dubai. "La cosa bella dell’esser ricco è godere dei servizi", basta questo per essere felici? Luke Marani, mago dell'e-commerce, visto dalla scrittrice Veronica Tomassini, che su MOW con la rubrica "Fuffa guru" descrive cosa rappresentano i santoni online della nostra epoca: gli imprenditori digitali. Ecco un nuovo capitolo
l concetto filosofico che deve passare è questo: è possibile tirar su il plastico della felicità, congegnarla, pur non essendo felici. Possiamo disegnarla, darle una forma. Chiamarla felicità, e in sordina, non esserlo. Così Luke Marani, come i suoi colleghi (migliori o peggiori non saprei), vende possibilità, entra nel mercato dell’ecommerce. Forbes lo premia tra i dieci imprenditori italiani del pianeta da tenere d’occhio. Classe 2000. Voglio dire o sei un genio a 24 anni o non lo sarai mai. C’è il fattore ics. O ce l’hai o buona fortuna. Bisogna poi capire dove indirizzarlo, eticamente e teologicamente, dovremmo lanciarlo verso la salvezza, salvezza comunque, salvezza di qualcosa. Ma la storia di Luke Marani mi piace, perché ha una faccia bella, pulita. E chiedo perdono per l’enorme pregiudizio. Quanto conti la bellezza per scagionare, nobilitare, edificare? Non lo so, ci penso. Puoi ad esempio essere un millantatore e presentarti nelle fattezze di un ragazzo perbene? Dei guru del web non possiamo dire molto, esser sicuri che siano attendibili o truffatori, giudicate da soli; giovanissimi necessariamente, perché sono i nativi del tempo fluido, imprendibile, dei software, delle community e delle idee che sorgive si affidano all’estro futuristico spesso imberbe, nuove come l’araba fenice che una volta serviva a un mestiere, oggi a un altro.
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Forse non è così urgente stabilire se ci stiano vendono la fontana di Trevi o lo zerbino della signora di fronte. Lo sanno fare, hanno ragionato su come realizzare il trompe l’oeil. Sembra la fontana di Trevi, lo dice tanto bene, e non ti accorgi che invece è solo uno zerbino. Premiamolo per l’arditezza e il talento, nel gabbare con eleganza. O magari dice semplicemente una specie di verosimiglianza. In un video su Youtube, Luke Marani racconta efficacemente la sua ascesa, studente universitario squattrinato, famiglia oppressa dai debiti, adolescenza trascorsa in una casa di periferia. Lo racconta mentre beve un cocktail di proteine nella sua abitazione, al sessantaquattresimo piano di un grattacielo a Dubai. Non è esattamente la felicità. Eppure la imita, la tradisce, restituendole connotati arbitrari e in fondo approvati dalla parzialità di un gusto collettivo. Sembrano deduzioni molto ovvie, eppure sono inesplicabili. La felicità comparata a un terrazzo sul mare degli Emirati Arabi, rifrange su vetrate dove riflette il sole lattiginoso che pare emanare raggi esclusivi, una placenta poco brillante, una luce inquieta e flebile sul finale, quasi stanca, come a ribadire: la felicità, cioè la sua ricerca testarda e insopprimibile, tutto sommato sfinisce.
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Dunque non sappiamo se credere a Luke Marani, giusto? Nell’orbita dei fuffa guru, lui è il più credibile? Non è importante, per me, non lo è. Stabiliamo che dietro ci sia segretamente una ragione migliore, questa sì, non le manovre dedite a un guadagno facile; il motivo è la felicità. Sì, l’ombra talvolta che ci perseguita, il ricordo remoto, l’anelito ultramondano. Il calco. La felicità. La ricordiamo. E senza sapere davvero, cerchiamo di riformularla, imitarla, congetturarla, percorrerne il confine imaginario. E non trovarla. Dov’è la felicità? Se noi ai fuffa guru e agli onesti, ai nativi del tempo due punto zero, agli arrampicatori digitali, concedessimo una chance innocente. Ecco. Non lo sanno, ma anche loro desiderano il sogno di un uomo comune, essere felici. Essere amati. Non è tutto più bello, tutto perdonabile? Luke dice: la cosa bella dell’esser ricco è godere dei servizi. Tutto quel che vuoi. E certo. E come no. Con o senza brillio negli occhi. Nella luce stanca, nel dinamico flebile che produce. Che deve produrre. La felicità.
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luigifurone · 19 days
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59. (La distilleria)
Nel giardino di fronte, che s’allargava in un breve pianoro fino al muro di confine, si nascondeva un segreto. Tutta quella cascina, divisa in due caseggiati affiancati, era stata, una volta, una distilleria. L’azienda aveva avuto successo e i padroni avevano dovuto cercarsi qualcosa di più grande. Lo stabilimento era allora diventato l’abitazione degli eredi, fino ad arrivare nella proprietà di Massimo, che mi ospitava in quel pomeriggio di calde pennellate e di primo Settembre. Ce ne stavamo seduti sulla panchina a guardare, con la Barbera in mano, e mi raccontava la storia di quel posto, che mai avrei potuto immaginare.
Non c’era un solo segreto, veramente; ce n’era più di uno, e tutti nascosti sottoterra. Sulla destra, in fondo, c’era la legnaia; sotto la legnaia c’era il magazzino, che era praticamente scomparso. La porta carraia, all’esterno, era stata chiusa e completamente ricoperta da un interramento; il magazzino stesso era stato riempito di qualcosa e murato dall’interno, cosicché risultava sepolto da ogni possibile accesso. Però, nonostante la terra e i mattoni e il tempo e gli uomini, conservava intatto il suo fascino, anche perché l’eco delle storie rimaneva nell’aria.
Davanti alla porta carraia, ad esempio, era stato ucciso un uomo, il socio del proprietario, ai tempi del fascismo. Dei sicari lo avevano chiamato fuori e liquidato, a causa delle sue simpatie politiche. E chissà che mai fosse stato murato, nel magazzino. Forse robaccia, forse qualcosa di valore, ma in ogni caso si portava quasi un secolo di storia appresso, un profumo, quindi, che non si sente tutti i giorni.
Dentro di me correvano quelle storie e quelle immagini, vedevo il sangue, sentivo gli spari, entravo nell’antro polveroso mentre era ancora vivo, mi perdevo, insomma, come mi capita quando il passato si affaccenda intorno a me.
C’erano altre cose, che Massimo mi stava ancora raccontando. Per esempio, del vascone dove si teneva a riposare il distillato, fatto di lucide piastrelle vetrose, lisce, quasi fosse il ventre di una misteriosa astronave, piantatasi sotto al pavimento. Tutto, lì intorno, sembrava rimandare a qualcosa che gli occhi non vedevano, che aveva bisogno di essere riportato alla luce. C’era una specie di malinconia, accanto alla bellezza; sotto l’erba così tranquilla giaceva un dimenarsi silenzioso di storie e di passioni. Forse era per tutti questi richiami, per queste allusioni messe in campo da quel pomeriggio, che quando mi parlò del giardino, il racconto sprofondò dentro di me: diventò me.
Una vecchia gli aveva detto che proprio lì, cinque o sei metri davanti a noi, invisibili adesso, sottoterra, c’erano delle vasche in cemento, una volta piene dell’acqua che serviva per la lavorazione della grappa. Ai bambini era raccomandato di non andarci troppo attorno, perché erano pericolose. Ma adesso, di tutto quel pericolo, di tutta quella magia negli occhi dei bambini, di tutto il lavorio che c’era intorno, di tutta quella fresca trasparente abbondanza, non restava nulla, tutto era dimenticato là sotto, come un segreto, conservato sempre più labilmente da qualche ricordo, pronto a marcire quando finalmente una radice fosse riuscita a trovare la fessura adatta, a sbriciolarne la compattezza, a violarne l’ormai inutile passata forza.
Mi metteva una certa tristezza pensare a quei muri che non vedevano più il sole, rimasti senza parole e senza gioia. Anche io mi sentivo così, come quelle cisterne, ché, come loro, avevo brillato sotto il sole di Luglio, avevo dato vita ad un liquore umoroso, inebriante già dal profumo, di cui continuavo ad essudare gli aromi. Poi sarebbe stata solo questione di tempo, la terra mi avrebbe ricoperto, sarei diventato un ricordo, e, a corollario della fine, del ricordo si sarebbe spenta anche la memoria.
Ma non importava. Finché fossi stato vivo, avrei tirato fuori tutto il possibile. Anche di più.
Fin quando ci sarà l’ultima goccia. Se non ne avrò più, se tutto si sarà consumato, ancora mi stringerò, per farla uscire. E poi, quando il cielo mi negherà uno spasmo ulteriore, me ne starò come una cisterna, vuota, a sentire il sole, o forse la terra, forse una radice alla fine mi violerà e di me non resterà che una voce, che sbiadisce nel tempo. Ma nel frattempo terrò la mia storia con me, di tutte le gocce essudate resterà traccia, nel mio cemento, rivoli colorati e asciutti, ognuno di vita, ognuno con la sua parola, ognuno ancora a guardare in faccia il mio amore.
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cinquecolonnemagazine · 4 months
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Ho visto la Befana
I ricordi, si manifestano per associazioni. Ritornano dopo lunghe assenze, richiamati dal desiderio o dalla necessità di rivivere, di riappacificarci con il passato, con noi, o chissà perché. Questa mattina, mi sono svegliata nel 1958, in una casa in via Olivi, a Treviso. Casa modesta con piccolo giardino, tipica costruzione del dopoguerra. La cucina economica, smaltata, riscaldava quell'unica parte, il cuore, lo stomaco della casa. Gli inverni erano gelidi, ricordo un pigiama di flanella, mamma lo riscaldava ponendolo accanto al fuoco, mi spogliava e me lo faceva indossare. Poi, avvolta in una coperta, salendo di corsa la scala, mi accompagnava nel mio letto, precedentemente riscaldato con la boule d'acqua bollente. Mi svegliavo, durante la notte, con il naso ghiacciato, mentre il resto del corpo, era protetto da un piumone blu, gonfio, enorme, lo aveva confezionato mia nonna, sacrificando un discreto numero di oche. Oche che una volta arrostite, venivano conservate in vasi di vetro, coperte dal loro grasso. I vasi, sistemati nella stanzetta più a nord, un vero frigorifero! Solo nel 1962, arrivò a casa un mitico Zoppas… sogno di molte famiglie di allora. E vengo alle associazioni. Nella notte della befana, si svolgeva un rituale a casa mia. Prima di quella corsa verso il sonno, si preparava l'accoglienza per la vecchietta. Mamma quindi, lasciava sopra la stufa, una tazza di latte e un bicchiere di vino rosso (diceva che la befana avrebbe scelto, secondo gusto) e una bella fetta di pinza, dolce tipico per quella festa, tutt'ora in uso. Tutto ciò, serviva a rinfrancare la befana, prima che proseguisse nelle consegne… appesa al filo di ferro, sopra la cucina economica, si lasciava una lunga calza di lana rossa, confezionata a mano, la mattina seguente, per la mia gioia, la ritrovavamo piena di cose deliziose, sempre le stesse, ma molto desiderate e attese. Trovavamo anche un foglietto, con il ringraziamento della vecchia signora, per il dolce e il vino (il latte non l'aveva bevuto)… Momenti di gioia autentica, che costituiscono un deposito prezioso, inestimabile, assieme a molto altro. Un passato di cose semplici, di avvenimenti cardine, soprattutto di parole e insegnamenti trasfusi. L'anno dopo, un'amichetta, pensò fosse necessario avvertirmi che la befana non esisteva, come pure babbo Natale e la cicogna. Per me fu un duro precipitare dalla fantasia. E, ancora una volta, mamma corse ai ripari. Giusto o meno che fosse, dal punto di vista pedagogico, nella notte dell'epifania del 1959, mi provò che la befana era una realtà. Io la vidi! Entrò nella mia cameretta… e dal sacco, in via eccezionale, trasse una bellissima bambola di pezza, che lasciò sul comodino. Io finsi di dormire, il cuore andava a mille! La luce fioca dal corridoio, illuminava appena il suo viso, uno scialle nero le copriva i capelli, se i suoi tratti mi sembrarono quelli di mamma, accantonai subito l'idea. Quando chiuse la porta alle spalle, gridai con quanta voce avevo: "mammaaaa! La befana!!! Io l'ho vistaaaa". I miei genitori si precipitarono da me… papà in pigiama, mamma vestita a metà… condivisero la mia gioia e quella epifania, il meraviglioso dono di lasciarsi sorprendere, ancora. Foto generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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Author's Note: Today I want to post in my native language, Italian. I hope you will forgive me, but these days I am very tired and felt overwhelmed. Writing in my native language helps me to recharge. I have been wanting to write something in Italian for the chronicles fandom for a long time.The English version is below - Thanks!
Un caro amico -
In quella notte appesantita da nuvole scure, sulla città di Firenze, non splendeva la luna, e le stelle erano un lontano riflesso avvolto nel tepore di quelle nubi scure. L'aria era opprimente e a poco serviva sperare nella brezza notturna, tutto era fermo, come prosciugato dell'esistenza. Marius, con passo deciso, si stava avvicinando alla bottega di quello che ormai era diventato per lui, un grande amico. Le suole dei suoi stivali rimbombarono nei vicoletti di pietra, Marius non se ne curò, amava fare le cose come se fosse ancora umano. Quell'epoca in cui si era risvegliato era piena di una bellezza carnale ed umana, di un mondo che metteva al centro l'uomo e il suo intelletto, la bellezza del vivere e l'opulenza dei sogni. Marius era innamorato, della vita, di tutta la bellezza intorno a lui, degli uomini di intelletto che si confrontavano per strada, degli artisti che studiavano il divenire delle cose, la bellezza dell'essere, dei filosofi che parlavano di meraviglie mai immaginate, di scrittori, poetie uomini di scienza, che donavano con il loro intelletto luce ad un mondo buio. I passi sicuri di Marius lo portarono di fronte al portone verde, scorticciato, che aveva imparato a conoscere e amare profondamente. Con delicatezza appoggiò la mano sul legno, prima di darvi tre colpetti secchi sopra. Quello era da tempo, il loro segnale, per riconoscersi. Un attimo dopo il portone si aprì cigolando, e due occhi castani vibranti e accoglienti fissarono Marius. Botticelli si scostò dalla porta con un sorriso delicato sul volto, lasciando a Marius spazio per entrare nel suo studio. Marius avanzò nella grande stanza, che profumava di olio e mistura di colori, di legno e vernici per rifinitura, un odore che risuonò in lui con amore e meraviglia.
Era chiaro, nella confusione tutto intorno, il lavoro e l'impegno dell'artista e dei suoi allievi. Ogni cosa sembrava lasciata al caso, offerta al tempo della notte, come richiamo alla musa della creatività, Clio, che avrebbe toccato con speranza e piacere, gli strumenti così cari agli artisti che li avevano lasciati lì. Pennelli e tavolozze, stracci sporchi, e barattoli, contenitori in vetro e pestelli, fogli e pergamene, pennini e gessetti. Ogni cosa in disordine, ogni cosa in ordine nel cuore dell'artista che l'aveva usato.
Botticelli sembrò accorgersi del disordine solo in quel momento, e grattandosi la testa, con un rossore sul volto, si lasciò sfuggire una risata nervosa. "Mi spiace, Marius, amico mio, i miei allievi hanno preso dal maestro, e il Dio nei cieli, sa, quanto sono pessimo in queste cose dell'ordine e della chiarezza di pensiero!" Sbottò il maestro allargando le braccia in un gesto di resa. Marius, lo guardò inarcando le sopracciglia, per poi ridere divertito:
" Hai la chiarezza nel cuore Maestro, poiché ogni colore che poni sui tuoi lavori, ogni cosa che nasce dalle tue mani, porge il tuo cuore al mondo. È un grande coraggio quello che hai, Maestro, e pochi uomini possono vantare la tua chiarezza di cuore. Molti possono imparare la chiarezza e la linea dritta del pensiero razionale, ma il pensiero del cuore, molti pochi fortunati come te, lo conoscono."
"Ah tu mi lusinghi, amico mio, mi lusinghi come non merito! Ma apprezzo il tuo buon cuore e la tua sincerità di parola, e questo lo sai." rispose Botticelli, sedendosi vicino al fuoco su uno sgabello di legno. Il Maestro fisso' la danza delle fiamme e sembrò pensieroso, quasi cupo, qualcosa che Marius non aveva mai conosciuto sul suo volto, da quando si erano conosciuti.
" C'è qualcosa che ti turba Maestro? Vuoi parlarmene affinché io possa provare ad alleviare i tuoi pensieri e la tua anima?" Chiese, Marius, d'improvviso preoccupato per quello stato d'animo, dell'amico. Botticelli portò i suoi occhi castani su Marius e con una mano lo invitò a sedersi davanti a lui, vicino al fuoco.
Marius scostò il suo lungo mantello di velluto rosso, e si sedette, aspettando con rispettoso silenzio le parole di Botticelli.
" Vedi mio caro amico, ho un amico che mi è prezioso. Si chiama Leonardo, ed è un artista d'animo immenso, un genio in ogni cosa. Pensa che in lui ho trovato quell'amico con cui condividere la mia passione immensa per la cucina! Riesci a crederci Marius? " Botticelli sembrò esitare poi, perché aveva provato a condividere quella sua passione con Marius, ma Marius sembrava sterile di fronte alle meraviglie del cibo. Marius annuì e sorrise, un invito a continuare, a dimostrare come era felice di quella scoperta, che aveva reso gioioso il suo amico.
Botticelli sorrise di rimando e continuò:" Vedi, Leonardo è un uomo focoso, passionale, carnale e dedito all'arte come alla vita. Tu sai Marius, come l'uomo facilmente si innamora, Leonardo non solo ama, da tutto se stesso, e soltanto una persona è riuscita a portarlo a essere suo e soltanto suo nel cuore e nell'anima."
Botticelli sembrò combattuto, triste ma con occhi sognanti proseguì:
" Questa persona è un suo allievo, tanto lo ama e tanto lui lo ama di rimando. Ma è... " Botticelli sembrò esitare ma poi prosegui:
"È un piccolo demonio! Tanto che Leonardo lo chiama Salai! È un ladro e bugiardo, un irrispettoso e mordace piccolo uomo! Una lingua di serpe e un sorriso da fauno! Capelli e occhi di Ganimede stesso! E Leonardo sa tutto questo... Ma lo ama comunque. E quello che è ancora più incomprensibile, Salai... ama Leonardo, questo è innegabile, lo adora, sono un anima e un cuore. È vero Leonardo può essere duro, a volte persino troppo, è vanitoso e orgoglioso, pretende molto perché da molto. Le sfide d'intelletto e d'amore fra loro sono come i discorsi degli innamorati che sanno come parlare al cuore dell'altro, ma a volte scelgono volutamente la via sbagliata. Sono preoccupato per Leonardo, questo amore che abbraccia il cuore e la mente di entrambi, questa immensa devozione, questa intensa passione fra loro, è bellissima ma anche difficile."
E Botticelli riportò il suo sguardo su Marius, dopo aver fissato le fiamme nel camino per tutto questo tempo, e quello che vide lo stupì e lo preoccupò allo stesso tempo. Marius stava sorridendo, un sorriso dolce e sognante, che lo rendeva bello in una maniera disarmante. Marius si riscosse, notando lo sguardo sorpreso di Botticelli. Da primo sembrò insicuro e timido, come se fosse stato sorpreso a prendere dei biscotti in cucina, poi Marius si ricompose:
" Non badare a me Maestro, non mi preoccuperei, però, per il tuo amico. Penso sia meraviglioso quello che la vita gli ha donato. Qualcuno che lo ama come mi racconti. Mi fa sognare che anche io possa trovarlo. Un amore che veda oltre me, oltre le mie mancanze e i miei difetti, un amore che sappia amarmi nonostante tutto ciò che sono. Un amore che possa insegnarmi e lasciarsi insegnare, anche in sfida, anche in rabbia, anche nel dolore, ma sempre con amore e dedizione, con passione e intensità. Cosa può desiderare il cuore di un uomo più di potersi mostrare a qualcuno per com' è? Più di poter raccontare la sua anima ad una creatura che sa guardarlo solo con amore? Anche nelle sue ombre, anche nel mostro che gli abita dentro. E amare quel mostro come ama l'uomo. No Maestro, il tuo amico, forse, conoscerà la soffrenza e dovrà imparare a convivere con essa, ma si sarà specchiato nel cuore di qualcuno che lo ama in tutto e per l'uomo che è, nella sua complessità e totalità. Con i suoi sbagli e i suoi difetti, la sua grandezza e il suo buon cuore." Botticelli rimase interdetto, poi sorrise:" È bello parlare conte Marius, amico mio, tu sai fare gioire il mio cuore anche quanto è pesante. Forse quello che dici è vero, io non ho aspirazioni sull'amore o sulla vita, solo sull'arte. E forse questo mi impedisce di capire questo nostro strano mondo. Ti ringrazio, però, adesso posso capire perché Leonardo ama così Salai, e perché Salai ama lui con l'immensa passione del suo cuore. Siamo strani non è vero? Complicati ma semplici allo stesso tempo."
Botticelli si alzò seguito da Marius:" Vieni, amico mio, voglio mostrarti ciò a cui sto lavorando. E ti prego non avere solo lodi per me questa volta! La tua opinione mi è cara, ma adesso che posso chiamarti amico, spero tu sappia che apprezzerò ogni cosa tu dica." E Marius seguì Botticelli verso un altra grande stanza.
La storia di Leonardo e Salai, continuò a risuonare nell'anima di Marius, fino al giorno in cui, il destino, o il tempo che scorre, o chissà quale sarcastica divinità, gli donò il suo Salai, quel suo angelo dai capelli castano rossi e gli occhi di fuoco. Colui che lo avrebbe amato come mai nessun altro e che lui avrebbe amato come mai nessun altro. Colui che adesso camminava di nuovo al suo fianco, colui che adesso, lo lasciava specchiarsi nel suo cuore e vedere solo un uomo. Un uomo che è amato, un uomo innamorato.
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A dear friend-
On that night weighed down by dark clouds, over the city of Florence, no moon shone, and the stars were a distant reflection shrouded in the warmth of those dark clouds. The air was oppressive, and there was little use hoping for a night breeze; everything was still, as if drained of existence. Marius, with determined step, was approaching the workshop of what had now become for him, a great friend. The soles of his boots rumbled in the stone alleys, Marius did not care; he loved to do things as if he were still human. That era in which he had awakened was full of a carnal and human beauty, of a world that put man and his intellect at the center, the beauty of living and the opulence of dreams. Marius was in love, with life, with all the beauty around him, with men of intellect who confronted each other in the streets, with artists who studied the becoming of things, the beauty of being, with philosophers who spoke of wonders never imagined, with writers, poetsand men of science, who gave light with their intellect to a dark world. Marius's confident steps brought him in front of the green, flayed doorway he had come to know and love deeply. Gently he placed his hand on the wood, before giving it three dry taps on it. That had long been, their signal, to recognize each other.
A moment later the door creaked open, and two vibrant and welcoming brown eyes stared at Marius. Botticelli flinched from the door with a gentle smile on his face, giving Marius room to enter his studio. Marius advanced into the large room, which smelled of oil and color mixture, wood and finishing varnish, a smell that resonated in him with love and wonder.
It was clear, in the confusion all around, the work and commitment of the artist and his students. Everything seemed left to chance, offered to the time of night, as a call to the muse of creativity, Clio, who would touch with hope and pleasure, the tools so dear to the artists who had left them there. Brushes and palettes, dirty rags, and jars, glass containers and pestles, sheets and parchments, nibs and chalks. Everything in disarray, everything in order in the heart of the artist who had used it.
Botticelli seemed to notice the disorder only then, and scratching his head, with a blush on his face, he let out a nervous laugh. "I'm sorry, Marius, my friend, my students take after the master, and the God in heaven, you know, how bad I am at these things of order and clarity of thought!" Blurted out the master, spreading his arms wide in a gesture of surrender. Marius, looked at him arching his eyebrows, then laughed in amusement:
"You have clarity in your heart Master, for every color you place on your work, every thing that comes from your hands, gives your heart to the world. It is a great courage you have, Master, and few men can boast of your clarity of heart. Many may learn the clarity and straight line of rational thought, but the thought of the heart, many a lucky few like you, know."
"Ah you flatter me, my friend, you flatter me as I do not deserve! But I appreciate your good heart and sincerity of speech, and this you know." replied Botticelli, sitting down by the fire on a wooden stool. The Master stared at the dance of the flames and looked thoughtful, almost somber, something Marius had not known on his face since they had met.
" Is something troubling you Master? Would you like to tell me about it so that I can try to ease your thoughts and your soul?" He asked, Marius, suddenly concerned about that state of mind, of his friend. Botticelli brought his brown eyes to Marius and with one hand invited him to sit before him, near the fire.
Marius shrugged off his long red velvet cloak, and sat down, waiting respectfully for Botticelli's words.
"You see my dear friend, I have a friend who is precious to me. His name is Leonardo, and he is an artist of immense soul, a genius in everything. Just think that in him I have found that friend with whom I can share my immense passion for cooking! Can you believe it Marius? " Botticelli seemed to hesitate then, because he had tried to share that passion of his with Marius, but Marius seemed barren before the wonders of food. Marius nodded and smiled, an invitation to continue, to show how happy he was with that discovery, which had made his friend joyful.
Botticelli smiled back and continued," You see, Leonardo is a fiery, passionate, carnal man who is as dedicated to art as he is to life. You know Marius, as man easily falls in love, Leonardo not only loves, he gives all of himself, and only one person was able to bring him to be his and only his in heart and soul." Botticelli looked conflicted, sad but with dreamy eyes continued:
" This person is his student, so much he loves him and so much he loves him back. But he is… " Botticelli seemed to hesitate but then continued:
"He is a little devil! So much so that Leonardo calls him Salai! He is a thief and liar, a disrespectful and biting little man! A serpent's tongue and a faun's smile! Hair and eyes of Ganymede himself! And Leonardo knows all this… But he loves him anyway. And what is even more incomprehensible, Salai..he loves Leonardo, this is undeniable, he adores him, they are one soul and one heart. It is true Leonardo can be hard, sometimes even too hard, he is vain and proud, he demands a lot because he gives a lot. The challenges of intellect and love between them are like the speeches of lovers who know how to speak to each other's hearts, but sometimes they deliberately choose the wrong way. I am worried about Leonardo, this love that embraces both their hearts and minds, this immense devotion, this intense passion between them, is beautiful but also difficult."
And Botticelli brought his gaze back to Marius, after staring at the flames in the fireplace all this time, and what he saw amazed and worried him at the same time. Marius was smiling, a sweet, dreamy smile that made him beautiful in a disarming way. Marius roused himself, noticing Botticelli's surprised look. At first he looked unsure and shy, as if he had been caught taking cookies in the kitchen, then Marius composed himself:
" Don't mind me Master, I wouldn't worry, though, about your friend. I think it's wonderful what life has given him. Someone who loves him as you tell me. It makes me dream that I can find him too. A love that sees beyond me, beyond my shortcomings and flaws, a love that can love me despite all that I am. A love that can teach me and be taught, even in defiance, even in anger, even in pain, but always with love and dedication, with passion and intensity. What more can a man's heart desire than to be able to show himself to someone as he is? More than being able to tell his soul to a creature who can only look at him with love? Even in his shadows, even in the monster that dwells within him. And love that monster as he loves man. No Master, your friend, perhaps, will know suffering and have to learn to live with it, but he will have mirrored himself in the heart of someone who loves him in all and for the man he is, in his complexity and totality. With his mistakes and his flaws, his greatness and his good heart."
Botticelli was interjected, then smiled:" It is good to talk Count Marius, my friend, you know how to make my heart rejoice even how heavy it is. Perhaps what you say is true, I have no aspirations about love or life, only about art. And maybe that prevents me from understanding this strange world of ours. I thank you though, now I can understand why Leonardo loves Salai so much, and why Salai loves him with the immense passion of his heart. We are strange aren't we? Complicated but simple at the same time."
Botticelli stood up followed by Marius:" Come, my friend, I want to show you what I am working on. And please don't have only praise for me this time! Your opinion is dear to me, but now that I can call you friend, I hope you know that I will appreciate everything you say." And Marius followed Botticelli to another large room...
The story of Leonardo and Salai, continued to resonate in Marius' soul, until the day when, fate, or the passing of time, or who knows what sarcastic deity, gave him his Salai, that angel of his with red brown hair and eyes of fire. The one who would love him like never anyone else and whom he would love like never anyone else. The one who now walked by his side again, the one who now, let him mirror himself in his heart and see only a man. A man who is loved, a man in love.
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I luoghi del ritorno - 12
Il Circolo Dal Circolo dietro le chiese dei primi santi usciva una luce lattea, l’odore del fumo di mille sigarette e di un sigaro toscano che l’amabile dottore accendeva stroncando le nostre vane pretese. Era qui, mi dico, forse là, e provo a cercare gli scalini per cui scendevo e la bionda signora moglie del maestro che serviva caffè e panini difendendo la fortuna del marito, campione di…
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sinnersinspectrum · 1 year
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Simile a una difettosa sala da concerto, lo spazio affettuoso comporta dei recessi morti in cui il suono non circola più
Dopo anni di una sofferenza messa ripetutamente a tacere ero semplicemente sfinito. Lo so Holy, sorrideresti per come ho fatto un altro giro largo e sono saltato in avanti. Non è ancora il momento per quella parte della mia vita. Not yet.
Se i pochi attimi di libera e pura felicità con F. avrebbero modellato entrambi per il resto delle nostre vite, nei singoli giorni invece non erano riusciti ad avere una presa tanto concreta da lasciarmi s t a b i l e. Ad un certo punto mi sono mosso, ho fatto un passo in avanti, allontanandomi metro per metro e poi di corsa dalla minuscola zona di sicurezza che ci eravamo ritagliati così a caro prezzo. Se lui era il mio centro io ho deciso di prendere una qualsiasi direzione, senza guardare, e sono scappato. La mia fuga mi ha portato dritto da R e al suo mondo fatto di pura vita, di chi la vita la voleva vivere. Mentre io mi trascinavo dietro catene mie e altrui, uno strascico di morte e negazioni, e un lutto nel cuore per qualcuno invece ancora vivo, R. era l'opposto di tutto ciò in cui (e per cui) avevo vissuto fino a quel momento. Alla voglia di possedermi c'era quella di aggiustarmi, invece di prendersi i pochissimi pezzi di me che avanzavano ma che non potevo disfarmi perchè mi servivano per sopravvivere, offriva parti nuove di ricambio. Con lui le scale non erano da scendersi verso un oscurità condivisa, erano da risalire, verso la luce. L'ho amato si, amarlo era facile, ma di un amore che ora da adulto mi rendo conto è stato da egoista: quello di un bambino a cui serviva disperatamente qualcuno che se ne prendesse cura, senza aspettarsi niente in cambio, dandomi spontaneamente tutto ciò che di buono aveva. Sono scappato di casa e dal paese in cui vivevo per installarmi direttamente da lui, nella sua vita, nella sua mente, nel suo cuore, prendendomi pure con giovane spavalderia ogni spazio che c'era, di lui e di ogni cosa che gli apparteneva.
Usami, mi diceva, senza remore senza rimpianti senza rimorsi, usami per guarire, per tornare a mangiare, respirare, dormire, sorridere, usami non solo per sopravvivere ma per vivere davvero. Un anno e tre mesi a prosciugare giorno e notte ogni sua forza fisica e mentale, mentre R. lavorava instancabilmente per rimettermi in piedi, per farmi tornare a funzionare [ correttamente ]. Lo amavo e ne avevo bisogno.
Per quanta luce sua riuscivo a inghiottire come un subdolo buco nero tanta ancora, il doppio e triplo, ne avanzava in lui da darmi.
Il y avait de plus en plus...facile amare uno così.
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perquandomiamerai · 1 year
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Ciao bimbo,
Sono qui a scriverti perché l’ho visto fare a Chiara Ferragni e penso sia terapeutico, quindi ho voluto provarci anche io.
Sai che ho pianto ascoltandola? Eh si, sei rimasto altamente emotivo, empatico, ma sai in fin dei conti non è male, hai trovato qualcuno che ti apprezza per quello che sei, nonostante la tua emotività.
Volevo dirti che ogni giorno lavoro su me stesso per renderti fiero, per farti capire che tutti gli sforzi che hai fatto non sono stati vani. Ma non è sempre stato così, sai, ho intrapreso un percorso che è durato due anni. Più che un percorso è stato una sorta di viaggio introspettivo, all’inizio del quale mi odiavo, non avevo autostima, mi buttavo sempre a terra e di conseguenza lasciavo anche agli altri la libertà di farlo, di trattarmi come volevano, come non meritavo. Dopo due anni ho capito chi sono, cosa voglio, ho imparato a farmi rispettare, ho imparato ad avere rispetto per me stesso e a non tollerare più chi non me ne porta.
Hai domande da pormi? Vuoi sapere se alla fine il desiderio della stella si è avverato? No, ma sto lavorando anche su quello. Ti prometto che mi prenderò tutto. Perché merito tutto. Lo farò per te, per noi.
Vuoi sapere cosa ne è stato della nostra famiglia? Beh, le cose sono cambiate da quando c’eri tu, sono cambiate precisamente nel 2015 quando nostra sorella ci ha comunicato di essere incinta. Li Sarah e Martha hanno smesso di odiarsi e litigare, ogni guerra in casa è cessata. Poi è nata Angela, la nostra prima nipotina, eh si, il bambino che giocava per strada ed era sempre nei guai è diventato zio, il cinque ottobre duemilaquindici, uno dei giorni che ti assicuro ricorderai per tutta la vita, il giorno in cui è nata la bestiolina che ti ha dato l’appellativo di zio anche se non lo volevi, anche se ti sembrava da “vecchio” e ti eri ripromesso che una volta cresciuta ti avrebbe chiamato per nome e invece (inaspettatamente) ti arrabbierai quando non lo farà.
Tieni ben a mente questo anno, il 2015, un anno per niente facile, fatto di tanti rimpianti, di cose mancate, di confusione, diviso tra due grandi amori senza sapere quale scegliere. Portare una casa avanti, una cane e una bambina che neanche ti appartiene completamente da solo. L’anno delle consapevolezze, delle responsabilità più grandi di te, tutte cose che hanno contribuito a renderti l’uomo che sono oggi. Forte, responsabile, apparentemente inaffondabile.
Ti avverto che neanche il 2017 si può definire “rose e fiori”, questo è l’anno in cui la vita ci ha messo a dura prova, ci ha regalato una seconda nipotina e dopo averci fatto assaporare il suo amore ce l’ha strappata via, ma sai a me piace pensare che a Dio serviva un Angelo per questo se l’è presa. Ha scelto la bambina più bella del mondo e l’ha resa l’angelo più bello del paradiso. Come sai, non sono religioso, non credo in niente ma mi piace pensarla così, forse perché questo pensiero dell’Angelo mi aiuta a farmene una ragione, mi aiuta ad accettare ogni giorno il pensiero che non la vedrò mai crescere, non sentirò mai la sua voce ma in compenso è sempre con me, impressa sulla mia pelle e cucita sul mio cuore.
E in fondo a Sarah jr serviva proprio in Angelo custode! Sai chi è Sarah jr? È il nostro terzo gioiello, è la luce in fondo al tunnel, è la speranza nel mondo che il dolore, anche se dura per sempre può essere attutito, anche se in parte.
Ma torniamo a noi piccolo Mattia, sai che ora sei ufficialmente Mattia? Anzi Mattia Elia per la precisione. Alla fine siamo riusciti ad essere ciò che abbiamo sempre sognato, noi stessi. Spero davvero che tu sia tanto fiero di me, di ciò che ne ho fatto di te, perché tu sei l’unica persona di cui mi importa adesso. Ogni mattina mi sveglio e cerco di essere la versione migliore di me stesso per te, per dimostrarti che tutte le volte che sei stato ad un passo dalla morte e poi ti sei fermato non sono state inutili, le ho solo trasformate in qualcosa di costruttivo. Spero tu sia fiero di me perché io lo sono Mattì… sono fottutamente fiero di me. Sono fiero di ciò che ho costruito, sono grato a me stesso per ciò che ho perché tutto ciò che ho e che sono lo devo a me stesso, alla costanza, all’amore, alla pazienza che mi sono dedicato in questi due anni.
Si, è stato terapeutico scriverti baby me, perché ho pianto tanto mentre scrivevo e non mi succedeva da così tanto tempo…
voglio concludere con un Brindisi se me lo permetti: voglio brindare a me, a Mattia, a tutto ciò che sono. Con la sola promessa: “voglio vedermi avere successo in tutto quello che faccio.”
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loveint-diario · 1 year
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La prima fase del Love Gaming inzia con l’aggancio, che raramente consiste in azioni chiare o esplicite, come inviare un messaggio diretto o diventare un follower della persona che si vuole agganciare; è un’azione che si esplica nei dettagli di spazio e di tempo, nel decifrare post con messaggi criptati che attirano la nostra attenzione, proprio perché fanno eco a qualcosa di personale, di specifico e di riferibile solo, e soltanto, a noi.
Sul finire del 2014 Instagram rispetto ad oggi, aveva poche funzionalità, permetteva di postare una sola foto in formato 1:1, quindi un quadratino, il testo che accompagnava la didascalia al post non poteva essere molto lungo, ma aveva un numero finito di caratteri, non si potevano ancora aggiungere link e anche gli hashtag usati erano sempre gli stessi e avevano lo scopo di assicurare al nostro post la maggiore visibilità possibile, sfruttando i contenitori più grandi e noti. Un post era dunque composto da una foto, una didascalia e degli hashtag. Ognuno di questi tre componenti poteva diventare un blocco testuale che, unito agli altri due, serviva a comporre un discorso più ampio di quello manifesto, serviva a comunicare un messaggio a chi sapeva, o aveva imparato, o a chi era stato istruito a leggere tra le righe.
Il fotografo britannico, il terzo account che avevo iniziato a seguire su Instagram, cercò subito di attirare la mia attenzione, servendosi della sincronicità, della somiglianza e della ripetitività. Pur non seguendomi postava una foto immediatamente dopo di me, era una foto che aveva una somiglianza di tema con la mia, per esempio un bosco nella luce del primo mattino, o di palette, un tramonto tinto di viola, oppure nella sua didascalia o tra i suoi hashtag, c’era una parola che avevo usato nel mio post o nei miei hashtag. Questo accade molte volte, tutte le volte necessarie finché non capii che era un modo di comunicare con me. La cosa mi sembrò divertente e risposi, anche io giocando questo gioco.
L’aggancio era dunque avvenuto e poteva iniziare la seconda fase, quella degli effetti speciali.
Una volta addestrata a leggere tra le righe, mi sorprendeva in un modo ogni volta diverso, per esempio quando le didascalie dei suoi post erano laconici titoli, quegli stessi erano i titoli di bellissime canzoni, che potevo ascoltare cercando su Youtube. Mi insegnò a comunicare seguendo le sue attività, guardavo cosa gli piaceva e si profilava un lungo discorso che iniziava con un saluto, scorrendo account di artisti, a volte eccezionali, che da tutto il mondo condividevano le loro opere, con poesie, canzoni e pensieri di altri, parlava di quello che ci stava accadendo. Mi sembrò un modo di comunicare straordinario. Ero incantata, passavo ore sul social, dimenticandomi del tempo e dello spazio, condividevo sempre di più e quando non lo facevo pensavo a cosa avrei condiviso. Gli effetti speciali non finivano mai, un giorno postai una foto che fu l’inizio di una serie di post, dei quali la parola chiave era mood, umore. Il social si riempì di account con questa parola, @inthemoodoftheday, @inthemoodof, @mymood, eccetera eccetera, ma mi sembrò una coincidenza, anche quando il venerdì dopo la call su Instagram fu proprio #mood. Poco tempo dopo, postai una foto, era il mare d’inverno, agitato, eccetto la schiuma delle onde e le nuvole entrambe bianchissime era tutto azzurro e tra gli hashtag scrissi, in Inglese però, #voglioubriacartidiblue.
A quel punto tutto il social diventò blu, Instagram fece la sua call #blue, tutti postavano foto blu, era tutto blu. Stupore e ansia si mischiavano in egual parte.
Presi il coraggio a due mani e scrissi un’email nel mio sgangherato Inglese a questo istagramer, dato che il suo indirizzo era sul suo profilo pubblico. Scherzai sugli effetti speciali che mi aveva mostrato fino a quel momento e gli dissi che per quanto belli, secondo me, nulla poteva essere meglio di una conoscenza reale e gli proposi di conoscerci magari scrivendoci, data la distanza geografica.
Rispose alla mia email in maniera garbata e formale, concluse dicendo che non era solito condividere informazioni personali attraverso la rete.
Sì, rispose proprio così.
Non pensai minimamente a leggere tra le righe, e mai avrei immaginato quanto questa frase avrebbe contato per me negli 8, ormai 9, anni successivi. La sua risposta formale mi fece dubitare di quanto avessi vissuto, mi chiedevo come facesse a seguirmi se non mi seguiva, mi domandavo perché proliferavano account che avevano a che fare con me, perché Instagram? Mi fece dubitare a tal punto che mi bloccai, non postai per qualche giorno, guardavo soltanto.
Le cose più importanti accaddero proprio in quel momento. Il fotografo che mi aveva risposto così freddamente, non mancò di postare sul suo account foto che facevano riferimento al contenuto della mia email, così fece Instagram e ogni account di cui avevo dubitato o sospettato. Quegli stessi account selezionarono e pubblicarono una delle sue foto e così fece anche Instagram, che una volta a settimana sceglieva un/a fotografo/a da presentare alla comunità. Apparve una delle sue foto e un articolo con una breve intervista.
Poco dopo, i suoi post cambiarono, non erano più paesaggi ma ritratti di persone, di solito donne, che presentava proprio come faceva l’account di Instagram. Iniziò anche a seguirmi con l’account di un fotografo che si diceva spagnolo.
Mi sembrò di iniziare a capire. Capii che tutti questi account tematici, compreso quello ufficiale di Instagram erano gestiti da persone in carne e ossa, e che con ogni probabilità lui era una di queste, o tutte queste. Non capivo a quel tempo perché lo facesse, pensavo fosse il suo lavoro e pensavo che volesse mantenere una comprensibile riservatezza, così continuai a scrivergli delle email alle quali rispondeva raramente con sue email, ma non mancava mai di usarne il contenuto costantemente sul social. Continuava a sembrarmi solo una forma originale di comunicare, così continuai anche io a comunicare con lui, che nel frattempo continuava a creare tendenze e comunità, facendomi pensare che stesse favorendo la socialità e la cultura, che provasse a promuovere l’arte e la creatività attraverso il social.
Lo scopo vero l’ho capito molto tempo dopo quando ho potuto riconoscere lo schema, quello di tenere gli utenti sempre agganciati alla piattaforma, sempre in rete e sempre pronti a condividere, come anche quello di creare reti tra di loro.
I follower erano spinti a creare comunità tra di loro, usavando gli stessi hashtag, concorrendo per le stesse, a volte, elitarie call, erano chiamati a distinguersi non soltanto come singoli ma come gruppo. Questo era quello che il fotografo che seguivo faceva, sia con la sua identità pubblica, creando attorno a sé una comunità di fotografi vicini per area geografica o pronti a partire, generando contesti fotografici e account che li avrebbero poi pubblicati, sia celandosi attraverso fakeaccount con nazionalità diverse e nomi di fantasia, sia anche utilizzando gli account tematici che lui stesso generava, o quello ufficiale di Instagram.
Vi starete chiedendo a che serve tutto questo. A che serve creare gruppi e comunità di utenti? Non basta creare contesti per ottenere visibilità, follower, premi? Non basta che i singoli utenti siano costantemente collegati alla piattaforma?
No, è necessario che siano anche in rete, uniti tra loro, in comunicazione tra loro, perché quando ci si conosce si condividono molte più informazioni personali, ci si scambia l’inidirizzo email, il numero di telefono, l’indirizzo di residenza. E molto, molto di più, ci si scambia emozioni. Questi sono metadati importanti per conoscerci. Sono informazioni su di noi, che possono essere acquisite solo osservandoci agire e interagire. Inoltre vi ricordo che per utilizzare Instagram, e qualsiasi altra applicazione social, bisogna dare il consenso affinché l’applicazione possa accedere ai nostri contatti e alla nostra fotocamera, due delle cartelle più private che abbiamo sui nostri smartphone e le più ricche di dati sensibili su di noi e sulla nostra rete di relazioni.
Ad un certo punto, il fotografo mise in vendita delle sue foto, io ne acquistai qualcuna e senza il minimo sospetto gli fornii il mio indirizzo di residenza e probabilmente la possibilità di recuperare i miei dati anagrafici, dalla carta di credito che usai per pagare in sterline quelle foto.
Capii che era anche uno sviluppatore della piattaforma quando, dopo avergli scritto un’email in cui speculavo, o sarebbe meglio dire straparlavo in una lingua che mal padroneggiavo, sull’importanza di considerare la vita non soltanto nella sua dimensione orizzontale, la dimensione terrena e quotidiana, ma di lasciarsi ispirare e guidare dalla dimensione verticale dell’esistenza, quella che preme per ascendere, per farsi infinito, la piattaforma annunciò un nuovo aggiornamento, scaricato il quale, potevamo postare le foto scegliendone l’orientamento: orizzontale o verticale.
Qualunque effetto speciale potesse mettere in campo, non mi divertivo più. Avevo come l’impressione che ad ogni cosa che condividessi, ne scaturisse fuori un’eco che si ripeteva così all’infinito da perdere del tutto senso. Mi sentivo frustrata, da questo suo modo di darmi attenzione che mancava di qualsiasi riconoscimento, come mancava di una vera e sana comunicazione. Così come da mia ingenua abitudine, pensai che parlarne sarebbe servito a far evolvere questa esperienza, che per quanto stupefacente all’inizio, si stava rivelando non solo povera di veri contenuti ma decisamente asimmetrica e unilaterale.
Scrissi l’ultima email, a quello che oggi so essere stato il primo ad aver hackerato i miei supporti, una lettera, nella quale gli raccontavo di una persona che incontrai qualche anno prima. Erano i primi anni del 2000 e mi trovavo all’aeroporto, stavo tornando a Roma, non ricordo con esattezza se da Barcellona o dalla Sicilia. Ero seduta in attesa dell’imbarco e stavo leggendo un libro su Second Life, uno dei primi giochi interattivi creati. Il gioco consisteva nel crearsi una seconda vita virtuale, ci si iscriveva e si creava un avatar (il film penso si sia ispirato a questa esperienza perché è successivo) che poteva avere le sembianze che ognuno preferiva. Attraverso una serie di tappe si potevano guadagnare soldi virtuali, ci si poteva costruire una casa, mettere su un’azienda, diventare sindaco di una comunità, costruire città, insomma riprodurre una vita virtuale in ogni aspetto simile a quella reale.
Mi ricordo che mi colpì molto il fatto che le persone scegliessero di cambiare il loro aspetto, principalmente modificando il colore dei loro corpi e aggiungendovi una parte animale, per cui la loro pelle poteva essere blu, rossa, verde e potevano avere orecchie e coda da gatto, musi da lupi o artigli da pantere. Stavo leggevo il testo quando un signore americano, sulla cinquantina, si sedette nel posto accanto al mio e sbirciando il mio libro, attaccò bottone chiedendomi se lo trovassi interessante. Iniziammo a parlare e mi disse che era un sociologo che studiava i processi sociali attraverso le teconologie informatiche, che stava andando a Roma perché avrebbe insegnato per un semestre in una università della Capitale e meraviglia della vita che non smette mai di sorprenderti, che era stato uno dei sociologi che aveva partecipato allo studio dei processi sociali, a partire dal suo lancio, proprio di Second Life!
Facemmo amicizia, ci scrivemmo qualche email e ci incontrammo qualche volta a Roma, ma io ero poco più che ventenne e parlavo un pessimo Inglese, per cui la nostra amicizia non continuò a lungo, ma abbastanza da permettermi di capire che in parole poverissime, lo studio aveva dimostrato che nonostante lo schermo, nonostante l’avatar e il mascheramento, ognuno di quelli che aveva partecipato a Second Life, alla fine aveva riprodotto la stessa vita, lo stesso tipo di relazioni, lo stesso tipo di dinamiche sociali che viveva nella vita reale, quella fuori dal gioco, quella non virtuale. Non cambiava niente tra le due vite. Infatti il gioco ebbe vita breve.
Raccontai di questa storia al fotografo e conclusi che pensavo che su Instagram accadesse proprio lo stesso e che preferivo la vita vera a quella virtuale. Conclusi con un invito all’amicizia, al dialogo vero e franco e gli proposi anche d’incontrarci.
Mi rispose dicendo solo di ‘non essere sicuro di cosa fosse reale e cosa non lo fosse’ e da quel momento sparì. Sul suo account ufficiale smise di apparire. Non mi rispose mai, ma l’account del National Geographic proponeva bellissime mete di viaggi. I miei follower aumentarono di account di uomini che prima o poi, si rivelavano essere lui. Era iniziata l’ultima fase del Love Gaming, la fase soap opera.
Roma 11 gennaio 2023 h: 3:36 pm
Capitolo 17 Love Gaming – VI parte
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bluevanvid · 1 year
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Questa sarebbe stata una di quelle volte dove sarei venuta a casa tua per raccontarti tutto .
Magari davanti a un the caldo al limone .
Che il tuo era magistrale , poi avremmo fumato una sigaretta insieme e mi avresti ribadito quanto facesse male fumare e poi ti saresti messa a ridere alla risposta che da lì a qualche giorno avrei smesso.
Sono venuta a casa tua ma non c’era nessuno , era tutto chiuso . Sembrava quasi disabitata.
Allora ti ho chiamata , ma non rispondevi e mi sono incominciata a preoccupare.
Ho deciso di lasciarti un messaggio in segreteria , non stavo nella pelle per raccontarti quello che mi era successo .
A volte i tuoi silenzi erano abbastanza rumorosi e densi da farmi capire tutto.
Dopo il segnale acustico della segreteria incominciai a parlare e ti dissi :
“Ciao , ti parlo qui perché sono venuta a casa tua ma pareva non ci fosse nessuno .
Ho trovato il coraggio sai ? Le ho detto tutto. Anche se a volte faremmo meglio a reprimere i sentimenti giusto per rimanerci meno male. Ho pensato che avrei dovuto farlo e sapevo che le conseguenze sarebbero state amare . L’adrenalina mi mangiava l’anima e io sapevo in quel momento di fare la cosa più importante per me , liberarmi di un segreto profondo.
Alla mia proposta e intima dichiarazione d’amore lei disse di no , che non le pareva il caso .
Io mi vidi tutto crollare addosso .
Il mio mondo non esisteva più .
Quelle poche parole mi annientarono l’esistenza e la resero priva di senso compiuto come un film straniero coi sottotitoli in un’altra lingua .
A me pareva di vivere un’altra vita è sarei voluta morire . Solo per rinascere e dimenticare l’accaduto.
Forse in quel momento mi serviva un rifiuto.
Così ho finito di parlare.”
Chiudo il telefono , ma comunque qualcosa non mi torna . Non capisco questa tua assenza . Poi un bagno di realtà mi riporta al presente .
Guardo la data . 23 maggio 2018 , adesso ricordo tutto . Sei morta il 15 marzo 2016 ed è da un po’ che non sento la tua voce è un mi manca terribilmente.
So che mi stai ascoltando e se mi sforzo a dovere posso anche sentire la tua risposta al corso di quest’evento cancerogeno per la mia anima. Cancerogeno quanto il cancro che ti ha strappato la vita senza chiedere il permesso portandoti via per sempre dalle mie mani grandi, e mi hai lasciata così in un limbo di vuoto e disperazione dove l’unica luce erano i tuoi occhi che ora sono solo un dolce quanto scialbo ricordo indelebile che col tempo svanirà.
Mi avresti detto che non mi merita e di non buttar mai via la poesia che ho dentro . Di continuare a scrivere e amare me stessa e la mia vita soltanto . Sarebbe la cosa più giusta da fare quando nell’oceano più profondo mi sento annegare e nessuno mi soccorre e mi viene a salvare.
Che poi tu non ci credevi nell’amore e dicevi sempre che fosse eterno finché sarebbe durato. Era tutto una gran bella farsa fatta a regola d’arte . La mia parte era di quella che soffriva , senza farsi domande e per l’ennesima volta mi ritrovavo nuda davanti allo specchio della vita senza speranze e bevevo una cola al gusto disperazione . Se mi guardò indietro avevi ragione tu, era la mia sensibilità che mi avrebbe portato a patire una doppia razione di dolore . Ora vado che tra un po’ è mattina e mi dovrò svegliare e vivere un’altra giornata vuota come le mille altre che vivo da quando non sei qui con me . Spero il messaggio ti arrivi e spero di vederti presto . Ciao nonna , per sempre tua.
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sefaiunbelrespiro · 1 year
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Sento il mio cuore che batte forte
Resterò sveglio anche questa notte
Sì, quante volte
Sento la camera che mi inghiotte
Stringe le corde
Fuori la luce del giorno batte
Sulle finestre e le mie ciabatte
Lasciate a un metro formano un vuoto
Dal mio divano mi tuffo e nuoto
Dentro l’abisso dei miei pensieri
Dove anche gli incubi sono veri
Dove il profumo di te mi ricorda di ieri
Ma malvolentieri
So che non c’eri quando mi serviva
L’aiuto di chi non ha più comitiva
Di chi resta solo ma senza saliva
La scia tua lasciva lasciava la riva
- Claver Gold
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karenlojelo · 2 years
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Ho avuto tutto Non ho avuto niente Solo assaggi frugali Piccole sbirciatine nel futuro poi grandi balzi in avanti Ma che mi riportavano al punto di partenza Ho avuto tutto Ma non ho avuto niente Ho avuto te Ma non ti ho avuto mai per sempre Ora ricordo quella strada che ci portava nel bosco o in un campo o chissa dove Non l’abbiamo percorsa tutta Potremmo ancora farlo? Il sole è uscito al primo tocco della tua mano Ho avuto tutto Non ho avuto niente Sono voluta andare lontano Ho cercato tanto Ho creduto di cambiare tutto Ma ripetevo solo lo stesso loop con un paesaggio diverso E ci ho guadagnato storte Cadute Ferite Lasciando pezzi di cuore in giro strappati sui fili spinati Lasciando le forze su una porta chiusa in un paesino di montagna Un po’ di coraggio negli occhi di un amico perso Consumando speranze e fiducia dietro ai mulini a vento in una campagna sperduta finché non è finito anche il vento Ho lasciato la luce dei miei occhi in un qualche cinema di provincia nei titoli di coda Forse ho perso lo slancio alla fermata di un autobus in una città deserta E l’ultima risata sotto un temporale tropicale dall’altra parte del mondo Deve essermi caduto dalla tasca l’ultimo sogno che era solo mio in un treno in corsa E poi la capacità di lasciarmi andare è scivolata via Magari in quel bar di Caracas dove tutti bevevano troppo Si viaggia a lungo per tornare al punto di partenza e capire che tutto quello che ci serviva era all’inizio Si parte interi e si torna spezzati In fondo andare via ci serve solo per poter un giorno tornare a casa? A ricostruire tutti i pezzi mancanti ci vorrà molto? Ho ritrovato le chiavi di quella porta in una via di Roma che mi ha visto crescere sotto una panchina arrugginita che aveva mille storie da raccontare. #onwriting #viaggi #storie #muliniavento #donchisciotte #writers #vita #karenlojelo (presso Some Where the Middle of No Where) https://www.instagram.com/p/CkILcWzsPP4/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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cesareborgiasblog · 2 years
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Ti ho vista nell'ombra dei miei ricordi. Pochi attimi di te, mi mandavano in crisi... Perché non eri con me? Perché solo nei miei ricordi?
Odiai dio a tal punto da condannare la mia anima. Mi strappai a morsi le ali. Non volevo progredire, a cosa mi serviva la luce se il mio sole eri tu? A cosa mi serviva la Fede se il mio Cristo è in te?
Così mi abbandonai all'oblio della mia ribellione, alla convinzione che non fossi più il figlio prediletto, amato da quegli occhi ricolmi di grazia.
Poi accadde, che mentre camminavo tra le spine, vidi una rosa e a me la consacrai.
In verità avrei tanto voluto che l'ultima scintilla si estinguesse, strappai il mio cuore dal petto e lo deposi dentro uno scrigno.
Ma davanti alla fragilità di quella rosa, compresi che era rimasto qualcosa di umano in me, e così lasciai che la fiamma radiasse facendo il suo corso.
Gettai petali lungo il cammino nella speranza che quegli occhi che mi destarono dal sonno della morte, si potessero materializzare un giorno.
È senza che me ne accorgessi aumentò la mia fede, finché il mio Cristo non apparve dinanzi a me.
-Ti amo mio calice eterno-le sussurrai e con dolcezza senza toccare terra, risanò le mie ferite e spogliò me dai miei peccati.
10 ottobre 2022
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