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#libro per riscaldare il cuore
francesco-nigri · 1 year
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Lega Consumatori e Sindacato AssoCasa condividono la poesia di Francesco Nigri: decine di copie acquistate del libro IL SEGRETO DI EBE
Lega Consumatori e Sindacato AssoCasa condividono la poesia di Francesco Nigri: decine di copie acquistate del libro IL SEGRETO DI EBE Anni ed anni di stima ed amicizia con l’Avv. Massimiliano Uccelli, Presidente Onorario della Lega Consumatori Parma, che ha portato alla condivisone, anche con il Sindacato AssoCasa, del mio recente libro IL SEGRETO DI EBE. Decine di copie acquistate e donate ai…
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lamilanomagazine · 4 months
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Pistoia: i doni dei bambini dei servizi educativi arrivano alla Caritas e alla pediatria dell'ospedale San Jacopo
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Pistoia: i doni dei bambini dei servizi educativi arrivano alla Caritas e alla pediatria dell'ospedale San Jacopo. Pistoia. Realizzate 540 scatole e 150 barattoli che contengono oggetti caldi, di bellezza, spensierati e golosi accompagnati da un disegno di auguri e parole gentili Si chiama "Ci mettiamo il cuore" il progetto solidale realizzato nelle scorse settimane da bambini, insegnanti ed educatrici dei nidi d'infanzia e delle scuole dell'infanzia comunali, dei nidi d'infanzia privati Cavallo Bianco, C'era una volta; Dire fare, giocare; Impronta verde, Isola che non c'è, Margherita e Primi Passi. Il percorso, coordinato dalle Aree Bambini blu, gialla e verde, ha previsto la realizzazione di 540 scatole e 150 barattoli che contengono una cosa calda (sciarpa, guanti, calzini), una cosa di bellezza (profumo, saponetta, crema) o anche una cosa spensierata (gioco, matita, piccolo libro) o golosa (dolci). I doni sono stati accompagnati da un biglietto e un disegno con auguri e parole gentili. Le scatole sono state donate all'emporio sociale, gestito dalla Caritas, che si rivolge a nuclei con fragilità economiche, mentre i barattoli saranno donati alla pediatria dell'ospedale San Jacopo per riscaldare il cuore e rallegrare i bambini ospiti nel reparto nel periodo natalizio. «Questa bella iniziativa dei servizi educativi – sottolinea il vicesindaco e assessore alle politiche di inclusione sociale Anna Maria Celesti – ha coinvolto tanti bambini e famiglie intorno al tema del dono, non solo di oggetti, ma anche di attenzioni e di pensieri rivolti alle persone con fragilità, come quelle prese in carico dalla Caritas, ma non solo. Anche i bambini della pediatria del San Jacopo riceveranno segni di attenzione in questo periodo natalizio che dovranno trascorrere in ospedale. La cura e l'attenzione verso gli altri è un valore fondante e fondamentale: la nostra attenzione deve essere rivolta a chi è in difficoltà e questa consapevolezza va coltivata anche nei più piccoli». I barattoli animeranno anche le vetrine di 113 negozi del centro storico così, come lo scorso anno, con il progetto "Le parole gentili", per ricordare a chi le guarda il valore del dono e della solidarietà. Gli stessi saranno poi dati in beneficenza.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Amo l'inverno per il Natale per la gioia di stare in famiglia, amo l'inverno soprattutto perché viene il mio compleanno proprio il 28 dicembre.
Amo l'inverno per la neve per la montagna per la cioccolata calda e la pioggia.
Mi piace il rumore.
Amo soprattutto l'inverno perché posso accendere il camino mettere un film su Netflix e bere una cioccolata calda con i marshmallow, amo l'inverno per la coperta morbida ma soprattutto per i mercatini, girare tra quelle luci l'odore di cioccolata calda e di legno per tutte le cose che gli artigiani fanno a mano, amo l'inverno anche per le felpe ma amo l'inverno perché mi piace il bianco della neve amo come tanti fare il pupazzo di neve stendermi sulla neve e fare l'angioletto, amo la neve per la montagna, perché si colora di bianco amo l'inverno per le castagne calde amo l'inverno per il brodo minestrone e tutte le cose che possono scaldarmi amo l'inverno per la borsa dell'acqua calda amo l'inverno per i maglioncini..
Amo l’inverno.
Amo la neve.
Amo il freddo.
Amo i maglioni. Amo le felpe.
Amo i capelli invernali e le sciarpe.
Amo tenere in mano una tazza calda.
Amo le maniche lunghe dei maglioni e felpe che mi coprono le mani e me le scaldano.
Amo il freddo.
Amo i colori delle luci di natalizie.
Amo l’atmosfera natalizia.
Amo vedere le case che prendono vita illuminandosi di mille colori appena diventa buio. Amo le decorazioni natalizie.
Amo uscire vedere la nuvoletta di fumo uscire dalla bocca/naso a causa del freddo.
Amo il fatto che il naso e il viso diventino rossi a causa del freddo, soprattutto nei momenti di imbarazzo perché tutti credono che sia per colpa del freddo.
Amo il freddo e ricevere un abbraccio capace di riscaldare persino il cuore.
Amo stare sotto le coperte al caldo.
Amo le coperte. Amo sdraiarmi con una coperta, una tazza di the o di cioccolata e leggere un libro.
Amo l’odore delle arance e dei mandarini.
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tempofermo · 4 years
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non so bene dove mi trovo, in quale strana fase della vita io sia capitata e direi che questo è l'ennesimo tentativo di rimettere insieme i pezzi.
in questi 22 anni di vita, solo due volte mi sono sentita in pace con me stessa, libera da ogni grande o piccolo brutto pensiero. entrambe le volte mi trovavo in cima a una montagna ad aspettare il momento magico dell'alba. avevo molto freddo, quasi congelavo, ma l'idea di vedere quel sole spuntare ed essere tra le prime ad assistere a quel momento, mi rallegrava molto. mi ricordo che una volta Barbara mi raccontò di quando andò a Stoccolma, dormì fuori la notte e quando si svegliò, non riusciva a muoversi da quanto freddo facesse. disse che quella mattina i raggi del sole avevano un tocco diverso, che mai erano stati così intensi. credo di aver provato la stessa cosa. ore o giorni di camminata per raggiungere quelle vette, per assistere a quel magico momento, del sole che si affaccia nuovamente su quel emisfero di terra. pace assoluta, impossibile ogni altra sensazione. si prendeva un bel respiro, si chiudevano gli occhi e non si poteva che sorridere. così tanto atteso il sole e in attimo era già lì, di nuovo in alto a riscaldare ogni cosa. una volta tornata in città guardavo il sole ancora lì, in alto, splendente e fiera pensavo: “io quel sole l’ho visto sorgere”. vedere una giornata dal primo all’ultimo raggio di sole è molto bello, dà l’impressione di aver fatto parte di qualcosa di più grande.
in Cina ero abbastanza felice, lo sono stata molte volte, tutti piccoli momenti felici che conserverò nel cuore, sempre. e ricordo soprattutto la sensazione di libertà perenne che avevo, una libertà quasi totale. avevo fatto in modo di liberarmi da ogni pregiudizio, da ogni credenza, da ogni impressione, da ogni sensazione, da ogni pensiero, da ogni piccola cosa che potesse essere da scoglio a nuove conoscenze. ricordo che mi sentivo molto più leggera, come se potessi quasi fluttuare. ricordo che camminavo per le strade vuote delle città e mi guardavo attorno con meraviglia e sorridevo, tanto. chissà cosa pensasse la gente di me, nel vedermi: una buffa ragazza con una giacca immensa che gironzolava per la città, da sola, a fotografare ogni cosa, anche quelle più inutili, con l'aria di essere la persona più tranquilla del mondo. era una sensazione nuova anche per me, così tanta tranquillità e spensieratezza, senza alcuna fretta, senza alcuna preoccupazione, senza alcuna esigenza. non provavo neanche stanchezza a dire il vero. era come se tutto d’un tratto fossi entrata in modalità “zen”, dove ogni sensazione corporale era inutile, perciò andavo in giro con gli occhi ben aperti ad assorbire la meraviglia e cuore aperto, privo di alcun tipo di paura.
tornata in Italia ero ancora piena di vita, con quella voglia di rinnovarmi, di non perdere di vista quella Lorena, serena e libera. ma purtroppo mi sono persa, ancora una volta. credo che i luoghi giochino un ruolo importantissimo, o ancora meglio, la percezione che si ha di certi luoghi. quando ero in Cina mi piaceva tanto pensare al fatto che non sarebbe stato un luogo a condizionare la versione di me che avrei voluto essere, e così era. poi però mi sono fatta soffocare dalla mancanza di libertà del lockdown, dal non poter andare a correre, da mia mamma che m’imponeva i suoi ritmi comuni di vivere la vita, dalla non più libertà. mi sono spenta. è stato allora che ho conosciuto Michael, il quale non so come, mi ha un po' fatta risvegliare. mi ha costretta a pensarmi, a ricordarmi di me, a riaccendermi. dopo mesi che parlavamo, ho finito per amarlo. io non amo quasi mai, ma le poche volte che amo, amo con tutto di me stessa, perché non conosco altro modo. ci siamo dati tanto, moltissimo. sembrava andare tutto bene, finché non abbiamo litigato, per cose molto stupide. lui se ne voleva andare, ma l'ho fermato. così è rimasto ancora un po', ma poi se n'è andato del tutto. so bene di aver commesso degli errori, di averlo ferito in qualche modo e mi dispiaccio per questo, ma so anche che non è una colpa sbagliare. errare humanum est. mi capita di pensare di aver sbagliato tutto io, ma so bene che non è la verità. Michael mi ha ferita molto andandosene: "so che è brutto da dire, ma sei un po' come un giocattolo del quale mi sono stancato".
credo sia stato questo il punto in cui mi sono rotta del tutto, in cui mi sono persa quasi del tutto. era da luglio che vivevo immersa in un senso di torpore generale. tra eccessiva sensibilità, apatia, crisi di pianto casuali. non c'era niente che volessi fare per davvero: né studiare, né guardare un bel film, né leggere un libro, né andare a fare una passeggiata, né ascoltare musica. non riuscivo più a sentirmi amata, né da me stessa né da Michael. non riuscivo più a sentire niente. Michael che mi lascia: questo dolore è stata la prima cosa che provavo dopo tanto tempo, insieme al grandissimo amore che so di aver provato per lui. vorrei tanto dire che sono arrabbiata con lui, che si è sbagliato, che non avrebbe dovuto. a primo impatto l'ho pensato, ma so anche che è giusto così: se non riusciva più a sentirsi amato da me, se non riusciva più a stare bene con me, ha fatto bene a prendere in mano la sua vita e pensare prima di tutto a se stesso. "non ti amo più" e senza amore dove si va?
era da molto che non mi chiedevo come sto, come mi sento, cosa sento. l'altro giorno mi sono messa a piangere tantissimo e mi sono accorta di sentirmi molto male, come se non valessi niente, proprio zero. uno spreco di ossigeno, un essere umano inutile. e forse è ancora così che mi sento. mi ricordo quando riuscivo ancora ad apprezzare le piccole cose belle, ad esserne felice. stamattina ho guardato nuovamente il cielo, dopo tanto tempo. mi sono detta che devo ricominciare, trovare il motivo per andare avanti in quelle piccole cose che rendono il mondo bello, perché so che ce ne sono. devo solo impegnarmi a trovarle.
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istanbulperitaliani · 4 years
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La ricetta dei Lokma
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I Lokma sono delle piccole ciambelle fritte originarie della città di Izmir, ma sono diffuse in tutta la Turchia per la loro estrema semplicità di preparazione.
La Ricetta dei lokma.
Sciogliete 25 gr. di lievito per dolci in un po’ di acqua calda e un cucchiaino di zucchero. In una ciotola versate 500 gr di farina 00 e un pizzico di sale e aggiungete il lievito sciolto, unite con dell’acqua tiepida e impastate fino a quando non raggiungete un composto morbido e liscio. Coprite con un canovaccio e fate riposare in un luogo asciutto fino a quando l’impasto non raddoppierà di volume. Mentre attendete la lievitazione potete preparare lo sciroppo versando 110 gr d’acqua tiepida in 250 gr di zucchero, aggiungete anche un po’ di succo di limone e sciogliete lo zucchero, portate ad ebollizione la soluzione e fate sobbollire a fuoco basso per altri cinque minuti. Spegnete e lasciate raffreddare. Ora che l’impasto é lievitato con un cucchiaio staccate la quantità che vi serve per realizzare una ciambellina (potete optare anche nella versione “a pallina”). In una padella versate una generosa quantità di olio e fate riscaldare. Quando l’olio sarà ben caldo immergete le ciambelline e doratele su entrambi i lati. Dopo averle scolate bagnatele con il vostro sciroppo e mangiatele preferibilmente ben calde. Se volete potete aggiungere un po’ di cannella o della granella di pistacchio o nocciola.
Afiyet olsun! Buon Appetito!
Lokma ai funerali
Sulla costa egea turca quando muore una persona, davanti alla moschea viene chiamato dai familiari del defunto un venditore di lokma che servirà i dolci alla gente dopo il funerale. Un modo per “addolcire” l’amarezza dell’evento a tutti i partecipanti. Una circostanza che capita di vedere anche ad Istanbul se il defunto é originario della zona egea della Turchia.
La foto che vedete l’ho scattata vicino alla moschea di casa mia poco prima dell’inizio di un funerale.
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aniadarkred86 · 5 years
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Tornare a casa
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Fa freddo. Di quello che ti entra nelle ossa. Continua a camminare, gli piace, nonostante il clima e i brividi che lo scuotono fino alla punta dei piedi. Si stringe nel cappotto, tirando su il bavero almeno per provare a fermare quel vento gelido dietro la nuca. Manca ancora poco e poi sarà a casa, ad attenderlo un piacevole tepore e il sorriso di chi ha smesso finalmente di nascondersi. Labbra tutte per sé e per nessun altro. Labbra che ha salvato quando la neve era solo un ricordo, strappandolo da dita viola che si facevano via via più nere. Pochi passi ancora e dietro la curva lo attende casa, lo attende lui. È ancora presto per tornare fuori, lo sa, anche se ha provato a piccoli tratti, ogni giorno uno di più, ma il corpo è ancora debole e l’anima ancora a brandelli, come quei puzzle che tieni da così tanto tempo da esserti perso più di un pezzo, e puoi metterci tutta la volontà di cui disponi, ma rimarranno per sempre dei buchi, macchie nere sul tavolo che nessuno mai sarà in grado di chiudere. Lui è un po’ così, il suo grosso puzzle che con pazienza ha cercato di ricostruire, nel fisico e poi più dentro, ed ora lo aspetta a casa. È sicuro di trovarlo davanti al camino a leggere l’ennesimo libro – gli ha promesso di portargli alcuni volumi nascosti nella parte più profonda e vecchia del Ministero, alcuni tomi pesanti più del suo stesso corpo che, a detta sua, gli sono utili per una ricerca che gli frulla per la testa da parecchio come il più agitato dei Boccini –, probabilmente con una tazza di caffè in mano, nero e amaro come solo lui sa essere. La porta è a pochi passi, oltrepassa il piccolo cancello e si ferma per un attimo a guardarsi intorno, il giardino curato – dalle sue mani, ovvio, lui non sarebbe in grado neppure di badare alla più semplice delle piante – e il patio in ordine. La luce filtra dalle finestre e più in alto vede il comignolo fumare come il più incallito dei tabagisti. Sorride, per un attimo pensa al mago che è un po’ il suo segretario, quello che appena può corre da qualche parte ad accendersi una sigaretta, Nathan qualcosa, si dimentica sempre il suo cognome, forse perché all’uomo con cui divide la casa e la vita non è mai piaciuto. Non lo sa il motivo, si sono incontrati appena un paio di volte quando è venuto a portargli a casa alcuni documenti che doveva visionare con urgenza. Uno Stupido Vizio Babbano, lo chiama sempre, anche quando alla televisione vedono qualche programma, lui grugnisce e sputa quell’insulto, e il suo orgoglio tutto Grifondoro lo porta a voltarsi verso di lui, e a ricordargli tutto ciò che i maghi hanno compiuto di malvagio pur potendo far del bene con un solo colpo di bacchetta. Lui risponde sempre con un’alzata di spalle e torna poi al televisore. È sempre così tra di loro, quello strano rapporto costruito sui silenzi e piccoli gesti, emozioni da scoprire dietro agli sguardi, in quegli occhi che per anni si sono soltanto odiati, respinti e nulla più; e continuano ad essere silenzio e piccoli movimenti, strane crepe che non riescono a colmarsi. La maniglia è fredda, la temperatura è scesa così tanto in quelle ore che gli sembra di toccare un pezzo di ghiaccio, un piccolo iceberg tra le dita che gli squassa la pelle e la carne fin dentro all’animo stesso. Si è di nuovo dimenticato i guanti a casa, lo sa e sa che lo sgriderà di nuovo per la sua sbadataggine e per quanto poco si curi di se stesso, ma non lo fa apposta, anche se, inconsciamente, adora quella sua preoccupazione negli occhi, in quei frutti neri che scintillano quando corre arrabbiato verso di lui e gli afferra le mani per scaldargliele. Un gesto che ama, che sa di vita e di tenerezza. Basterebbe un incantesimo, ma non avrebbe lo stesso calore, la stessa dolcezza di dita che s’incastrano in altre dita. Stringe entrambe le mani alla maniglia gelida per renderle ancora più fredde e sorride sfacciatamente per quello stratagemma: quella sera lo cingerà ancora più a lungo e non potrà che esserne felice, tanto da fargli accelerare il cuore. «Sono tornato!» La porta si apre e il caldo lo colpisce in faccia come uno schiaffo, un colpo piacevole. Lo sente lamentarsi, ma sa che in fondo è contento di averlo tra i piedi, come dice lui, anche se è un po’ il contrario visto che la casa è la sua, ma quella correzione se la tiene per sé perché ama averlo tra i piedi. Tra le mani e tra il gelo dei suoi dolori. Avverte i suoi passi farsi più vicini, conta i secondi che lo separano da lui, come sempre quando entra a casa, il tempo che impiega a percorrere quel misero spazio che li divide, quel vuoto tra i loro corpi che vorrebbe non ci fosse mai. «Ti sei di nuovo dimenticato i guanti» alza un sopracciglio mentre lo fissa, spazientito e irritato, nemmeno fosse ancora un ragazzino nella sua aula, ma la risposta che da è solo un’alzata di spalle, come quella che spesso fa l’uomo che gli è davanti con quell’espressione che ama e che vorrebbe vedere ogni giorno, uno dopo l’altro fino alla fine della propria esistenza. «Non cambierai mai, vero?» «Perché dovrei cambiare?» «Perché io ad un certo punto non ci sarò più.» Sempre la stessa storia, le stesse parole che a lui non va di sentire, che non vuole ascoltare neppure per un tempo infinitesimale. Stanno bene insieme, lì, nella loro casa, perché devono lasciarsi? Perché buttare tutto all’aria per delle parole? Parole, vocaboli, sillabe, era tutto lì, il problema stava sempre nelle consonanti, i guai nelle vocali, erano loro a creare nient’altro che casini, perché dargli tutto quel potere? Silenzio e mani gelide da riscaldare, non poteva bastare quello? Non poteva essere sufficiente loro due e nessun altro? «So che non vuoi sentirle queste parole, non sei mai stato uno che ascolta, ma prima o poi dovrai conviverci con queste frasi, e sarà meglio per te che lo faccia prima di essere troppo tardi.» «Perché vuoi lasciarmi? Non stai bene con me?» «Lo sai che non è per questo.» «E allora cosa?» «Perché devo.» Se ne torna in cucina, lasciandolo solo, e per un attimo tutto il gelo che ha lasciato fuori dalla porta, lo colpisce in pieno, avvolgendolo come un abbraccio, come un amante frettoloso che pensa a null’altro che al proprio piacere. E quel gelo, nemmeno le fiamme calde e alte del camino potrebbero sconfiggerlo. La riunione col Primo Ministro Babbano lo aveva stancato più di quanto si sarebbe immaginato. Era un ometto fastidioso e arrogante con due occhietti che si vedevano a malapena, guizzanti in modo febbrile da una parte all’altra come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro, cosa, Harry non lo aveva mai compreso. Essere il Ministro della Magia si era rivelata un’immane seccatura, pile di scartoffie e nulla più, mentre lui voleva andare da una parte all’altra del mondo con la bacchetta in mano, sentire l’azione scorrergli nelle vene e quel senso di appagamento che si ha soltanto quando si compie qualcosa di buono. E voleva andarci con Severus. Sbuffò piuttosto sonoramente, senza provare a nascondere tutto il disagio che stava provando in quel momento. «Ti sto annoiando?» «No, scusa, sono solo stanco, è da questa mattina presto che tengo un incontro dopo l’altro,» mentì, si stava annoiando sul serio, ma non poteva confessarlo alla sua amica perché di sicuro lo avrebbe affatturato nonostante la carica che aveva, anzi, a maggior ragione, rifletté, soprattutto considerando da quanti anni la salvaguardia degli elfi domestici le stava a cuore. Hermione poggiò le pergamene sulla poltrona vuota accanto a lei, avvicinò un po’ la sua per guardarlo e parlargli meglio: «Quant’è che non dormi?» la sua voce tradiva un filo di preoccupazione. Aveva messo da parte per un attimo l’avvocato per essere di nuovo la sua amica di sempre, la compagna di tante avventure. La persona che più di tutti conosceva i suoi dolori e le sue paure. «Un po’, ma sono sempre così sommerso dal lavoro, non c’è un minuto che passa in cui non ricevo gufi, lettere, promemoria, reclami, denunce, avvistamenti, e Godric solo sa quanto vorrei stare in mezzo a qualche foresta a dare la caccia a qualche mago oscuro scampato alla guerra, ai criminali. E invece sono chiuso qui ad ammuffire, sento persino le ossa coprirsi di muffa giorno dopo giorno.» «Prenditi una pausa o esploderai.» Ma lui stava già esplodendo, e voleva soltanto andarsene a casa e stare tutto il giorno e tutta la notte con Severus a tenergli le mani, stringerle nelle sue, a scaldarlo e basta,fare l’amore senza mai stancarsi – come poteva dimenticare l’odore del suo corpo, di quella lieve traccia di sudore che lo copriva dopo l'amplesso, era un promemoria che si portava dietro per riscaldarsi, quando l’umore precipitava a livelli critici –, mentre altrove non faceva altro che sentirsi tutto l’inverno addosso, persino quand’era estate. «E poi perché in questo dannato ufficio si gela?» aggiunse veloce, guardandosi intorno, come se si fosse accorta soltanto in quel momento che non c’era nulla a riscaldare l’ambiente, il camino tristemente – per lei, per l’espressione che aveva in volto – spento mentre fuori la neve continuava a cadere e a formare mulinelli. Estrasse la bacchetta dal mantello che non si era neppure tolta e la puntò verso la pietra vuota che tempo prima aveva accolto legna e cenere, calore e pace, ma era stato tutto spazzato via, pulito come si pulisce un pavimento sporco, e il grido che gli proruppe dalla gola le gelò ulteriormente il sangue. Un no che veniva dallo stomaco e dal cuore. «Prenderai un malanno se non riscaldi un po’ qui dentro.» Voglio tornare a casa gelido, farmi avvolgere da nient’altro che il freddo, perché lui mi aspetta, il suo mantello pronto per le mie spalle, e il suo profumo a cullarmi i sogni. Questo, però, Harry non glielo disse, non poteva, non poteva svelare a nessuno il loro segreto. A nessuno. «Mi aiuta a concentrarmi,» mentì di nuovo. «Col caldo mi viene sonno e non posso permettermi di cedere alla stanchezza.» Era diventato terribilmente bravo a fingere, sarebbe stato fiero di lui se lo avesse visto. Quel pensiero lo fece sorridere, e il desiderio di tornare a casa crebbe ancora. «Torniamo alla tua proposta,» la esortò alla fine, cercando di riportare la conversazione su binari più accettabili, soprattutto dalla propria anima e dal proprio cuore. Hermione finì di spiegargli tutto, anzi, ricominciò da capo perché aveva capito perfettamente che lui non aveva ascoltato neppure una parola, ma non si era fatta scoraggiare, aveva ripreso con ancora con più foga e per un po’ contagiò persino lui. Prese le pergamene e le promise che avrebbe istituito una commissione specifica il cui unico scopo era controllare lo stato di salute di quelle piccole creaturine e il trattamento loro riservato. A quelle parole entrambi si rilassarono un po’. «Come sta Ron? Non ci vediamo da un sacco.» Ron era un Auror, uno di quelli che spesso erano fuori dal Regno Unito, e lui lo invidiava da morire. Si morse un labbro per non lasciar trasparire quel turbamento che improvvisamente lo aveva colto. «Sta bene, mi ha scritto proprio ieri che la missione in Portogallo si è conclusa nel migliore dei modi e presto sarà a casa.» «Bene, mi fa piacere.» «Che ne dici se quando torna, vieni a cena da noi? Tutti e tre, come ai vecchi tempi.» Già, i vecchi tempi… che ne era rimasto? Si era tutto sgretolato come un castello di sabbia costruito male, quelli che lui non aveva mai fatto – se mai avesse avuto un figlio, si ripromise di passare le estati a modellarne uno dopo l’altro, gli sarebbe piaciuto andarci con Severus, costruire una famiglia con lui, ma l’estate era ancora lontana e lo sarebbe stata a lungo. «Certo,» mentì ancora una volta: non aveva alcuna intenzione di andarci, per lui i vecchi tempi non c’erano più, c’era solamente casa, il tepore della sala in cui si accoccolavano a guardare la televisione mentre Severus si lamentava quando gli poggiava la testa sulla spalla come due vecchi sposi, il caldo della camera da letto con le lenzuola che per lui sarebbero potute rimanere perennemente sfatte. Hermione è andata via, sono andati via tutti e lui vuole solo andarsene, sparire da lì prima che si presenti qualcos’altro, un problema dell’ultimo minuto che non ha alcuna intenzione di sbrigare né di dargli la minima attenzione. Stavolta si mette a correre, un piede dopo l’altro anche se il corpo non è più abituato e lo avverte con il fiato corto e il sudore che gli fa appiccicare i capelli alla fronte e alla nuca, e il freddo fa il resto, trasformando quelle piccole gocce calde in cristalli che gli agitano la pelle e la carne più sotto, un brivido a seguirne un altro. Rallenta, casa è ancora lontana, ma gli piace camminare tra le strade affollate che cominciano a riempirsi dei colori e degli odori del Natale. Lui lo aspetta e questo gli basta a cancellare tutto il resto. Non è ancora riuscito a prendergli quei volumi che attende da giorni, se ne duole, ma vuole farlo di persona senza delegare qualcun altro, vuole toccarli e lasciare poi una parte di sé per farla afferrare solo e soltanto da Severus. Guarda la vetrina di un negozio e sorride, è un piccolo gesto, vuole fargli un regalo per ringraziarlo e per farsi perdonare di quella mancanza, soprattutto per quello, lo sa, e lo capirà anche il mago, lo ha sempre capito, gli ha sempre letto dentro, mentre lui per anni non ha voluto conoscere niente dietro quegli occhi neri, quello sguardo scolpito soltanto dal dolore. Gli piacerà, si dice, o almeno lo spera, è sempre imprevedibile e non è uno che ama i regali, questo lo ha capito tempo fa, suo malgrado; non li ama perché non pensa di meritarli, di non meritare niente in questa vita. Domani, costi quel che costi, andrò a prendere quei libri, lo giura a se stesso e poi apre la porta. Quando esce, è soddisfatto, del contenuto, del pacchetto e persino di ciò che ha scritto nel biglietto che gentilmente si è fatto dare. Casa, ora, è più vicina, la vede come sempre spuntare dietro la curva, il comignolo avvolto da nebbia bianca e grigia che a tratti si fa più scura, il prato curato e i fiori che cercano con forza di resistere al gelo che cala ogni notte come la scure di un boia, affilata e lucente. Mani di nuovo gelide abbassano la maniglia prima di entrare e venire ancora una volta colpiti dal calore dell’interno, quel leggero odore di fumo che se ne scappa verso il cielo. «Sono tornato!» Il suo è un po’ un mantra, gli piace pronunciare quelle due parole, non lo sa perché, non se l’è mai chiesto, aspetta soltanto i passi che vengono dopo. È una costante, quella, potrebbe regolarci un orologio, uno due tre, un secondo due e poi tre, e alla fine spunta dal corridoio e lo fissa mentre si toglie il cappotto e lo getta distratto su di una poltrona senza centrarla, facendolo puntualmente finire a terra. Severus lo guarda irritato e si avvicina per raccoglierlo: «Non sono la tua domestica. Impara un po’ di ordine, Harry Potter, perché io, ad un certo punto, non ci sarò più.» Ancora quelle parole a martellargli la testa, a pugnalarlo a ripetizione, una sillaba e la lama s’infila nella spalla, una consonante e giù nel braccio, una pausa e la gamba si squarcia, sfiorando appena l’arteria femorale. Il sangue, però, non fuoriesce, se ne va soltanto la vita. Ah, voler la morte, abbraccio di puttana, a farti soffocare da un corpo un piacere che non c’è, esce e basta, ma sei soltanto un cadavere che aspetta, involucro vuoto fino alla decomposizione. «Perché allora non te ne vai e basta?» sbotta all’improvviso, gettandosi a terra, appesantito da tutto quel dolore, da quella consapevolezza che non fa altro che procurargli sofferenza. «Perché sei tu a non lasciarmi andare.» Sparisce e basta, lasciando tutto in silenzio, anche il fuoco sembra muto e persino i suoi singhiozzi non hanno voce, lacrime e basta che gli confondono pure il legno a terra. Un ghirigoro, una macchia, c’è sempre stato?, si chiede. Anche quello? Lo sguardo convulso su ogni angolo della stanza, a terra, il soffitto, ogni lato, ogni fotografia appesa al muro, a quei quadri che nemmeno gli piacciono, ma glieli hanno regalati e non vuole far rimanere male nessuno. Si alza da terra, cercando di recuperare almeno un po’ della dignità caduta tra le assi, e se ne va per un attimo al bagno, non per reale bisogno, vuole solo guardarsi allo specchio, quel volto che non sa più a chi appartiene, se è il suo o quello di un altro a cui ha rubato il corpo. L’acqua scorre, gli piace il suono quando tocca la ceramica, è gelida, ma in quel momento niente è più freddo del proprio cuore, di quell’anima strappata a morsi che continua a portarsi dietro come un cancro ingombrante e velenoso. La tocca per un attimo e una scarica gli attraversa il corpo, la sfiora anche con l’altra mano mentre il volto è fisso allo specchio, alle occhiaie che lo fanno sembrare quell’animale di cui non ricorda il nome. Si chiama panda, ignorante, sei diventato Ministro per sbaglio? Se lo immagina dietro di sé a dirgli quelle parole, a sorridere, ma lui, quell’incarico, si sente davvero di averlo ottenuto per sbaglio, o meglio, solo per nome, pur non avendone alcuna capacità. «Panda, giusto…» Torna in salone, il fuoco ancora crepita, anzi, è più forte, segno che ha aggiunto legna di recente. Lo trova sul divano, ad aspettarlo, Severus lo guarda piegando appena la testa, con una strana espressione, forse anche lui si è accorto del panda. Sorride e si siede accanto a lui. «Hermione mi ha invitato a cena quando torna Ron. Verresti anche tu?» «Lo sai che non posso venire.» «Perché?» «Non chiederlo.» «Ma…» si alza dal divano e si allontana ancora una volta, forse va in cucina a prendersi dell’altro caffè, magari bollente, vorrebbe chiedergliene un po’ per togliersi quel nuovo gelo sceso sul proprio corpo, ma non ne ha il coraggio, aspetta solo che ritorni di fianco a lui ad occupare quel posto in cui il calore sta svanendo. E lui non vuole che nulla svanisca. È di nuovo lì, due tazze tra le dita, bollenti, un piccolo rivolo di fumo che si muove da una parte all’altra e che gli ricorda sempre l’intro di Aladdin, l’unica parte del cartone che ricorda, l’unica che ha visto prima di essere sbattuto nuovamente nel ripostiglio per aver riprodotto senza volerlo quelle volute. Un arabesco che gli carezzava il palmo della mano. «Vediamo un film?» parla prima che possa dire altro, che possa pronunciare quelle parole che odia con tutto se stesso. Non le vuole sentire e basta, ma sa che alla fine dovrà farci i conti, solo che non è ancora il momento perché lui non è pronto, non è pronto a non vederlo più per casa, il suo ordine maniacale e il profumo che ha ormai invaso le pareti. Severus annuisce e si siede nuovamente accanto a lui e quel vuoto comincia di nuovo a riempirsi e scaldarsi, sorride perché è la sensazione più bella del mondo. Gli passa la tazza di caffè e Appella la cena che aveva preparato. «Cosa vuoi vedere?» Non sa come chiedergli di guardare un cartone Disney, si sente tremendamente in imbarazzo, così lascia che gli entri nella mente come già gli era entrato nel cuore anni prima. Alza perplesso entrambe le sopracciglia, anzi, giurerebbe di vedere sconcerto sul suo volto e a fatica trattiene una risata, freddata sul nascere da quello sguardo sempre più cupo, poi, però, scorge i suoi muscoli rilassarsi e i nervi sciogliersi e, stranamente, annuire a quella richiesta, piuttosto bizzarra a proprio dire. Armeggia qualche minuto con la tv mentre Severus rimane fermo a sorseggiare il caffè, sempre piuttosto disinteressato verso tutta quella tecnologia moderna Babbana. Prima di far partire il film, si blocca, come colpito da qualcosa, poi si volta a fissarlo: «Mi dimenticavo di darti una cosa!» e si alza, eccitato come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli, e recupera il cappotto, fruga in una tasca ed estrae un piccolo pacco, di quelli che stanno facilmente in una mano. «Prometto che domani, cascasse il mondo, vado a prendere quei libri, ma intanto, per farmi perdonare, ti ho preso questo» e gli porge il regalo. Severus sembra perplesso e piuttosto a disagio come spesso gli capita quando riceve qualcosa, ma lo prende e lo osserva con gli occhi attenti di Pozionista, caratteristica che non ha mai abbandonato e che continua a piacergli tremendamente. «Cos’è?» «Aprilo!» «D’accordo, ma non agitarti o rischi di cadere per terra.» Scioglie il fiocco argentato con estrema lentezza e cura, poi strappa la carta, con più impeto, perché così si usa, no? Sembra chiedergli e lui muove la testa, in attesa. Apre la confezione. «Non sono tipo da collane.» «Lo so, ma volevo che avessi qualcosa che ti ricordasse per sempre me.» «Harry, io mi ricorderò per sempre di te-» Ma non lo fa continuare: «Come me che ti ho sempre accanto.» «Harry…» Una lacrima fugge al suo controllo e scappa sulla pelle, scappa alla gravità che la trascina comunque in basso e a quel freddo che gliela appiccica in faccia come un fiocco di neve, uno di quelli che fa male e taglia. E poi un’altra e una ancora. «Harry…» ripete. «Prima o poi dovrai lasciarmi andare.» La Sezione Proibita della Biblioteca di Hogwarts in confronto a quella era un bicchiere d’acqua che galleggiava in mezzo all’oceano, non faceva altro che guardare a destra e sinistra e ad aprire e chiudere la bocca meravigliato. «Ministro!» un mago sottile come una bacchetta gli si avvicinò a passo svelto, allegro, gentile, con un sorriso sempre aperto sulla bocca e occhi grandi e azzurri che per un attimo gli fecero tornare alla mente il vecchio Dumbledore. «Cosa posso fare per lei?» Non avrebbe voluto chiedere, ma trovare quei libri lì dentro era come cercare un ago in un pagliaio e la pazienza non era mai stata il suo forte, soprattutto con gli anni che passavano e le incombenze che aumentavano. «Sto cercando questi volumi, può aiutarmi, signor?» non conosceva il suo nome, ma non poteva di certo conoscere ogni impiegato di ogni anfratto del Ministero. «James. James Anderson, molto piacere!» e gli strinse la mano con vigore, troppo a suo modesto parere, ma non protestò, per un po’ si lasciò contagiare da tutto quell’entusiasmo. E pensò a suo padre di cui non ricordava nulla. Gli passò un foglio che lesse avidamente. «Bene, molto bene, se vuole aspettare qui, glieli porto subito.» «No!» si accorse di aver gridato disperato solo dopo e cercò di correggere il tiro. «No, cioè… le basta solo indicarmi dove sono, e vorrei prenderli da me.» Il mago sembrava un po’ dispiaciuto, ma era pur sempre una richiesta del Ministro della Magia, così acconsentì e prese la bacchetta: «Questo piccoletto l’accompagnerà, sarà come se fossi io, Ministro.» Dal legno era scaturita una luce viola che si era prima ammassata in una forma indefinita e poi, pian piano, aveva iniziato ad assumere contorni sempre più nitidi finché non divenne un piccolo falco che si posizionò sul braccio del suo padrone. «Lo segua» lo esortò dopo che il piccolo animale aveva spiccato il volo verso un corridoio davanti a sé. «Spero ti siano utili per la tua ricerca» aveva parlato a voce alta senza essersene neppure reso conto, il falco si fermò davanti ad un lungo e alto scaffale in legno scuro, ed emise un suono strano che non gli sembrava per niente il verso dell’animale. «Scusa, parlavo da solo.» Sbatté un paio di volte le ali e poi iniziò a picchiettare un volume. «È questo?» Lo prese e poi gli altri due, lo seguivano levitando alle sue spalle, protetti da un incantesimo: non voleva che nessuno li sfiorasse, neppure per sbaglio, quel tocco sarebbe stato loro e loro soltanto. Quando tornò in ufficio, le pergamene erano aumentate e un paio di gufi aspettavano sui loro trespoli, ed Hermione era di nuovo lì. «Avevamo un appuntamento?» domandò, andando a sedersi alla sua poltrona mentre i libri erano ancora a mezz’aria vicino a lui. «No, passavo di qui» guardò stranita e curiosa i volumi; stavolta era lei a mentire, Hermione Granger non passava mai per caso, e quello sguardo significava solo che aveva un motivo ben preciso. «Il camino è ancora spento,» ma si limitò ad alzare le spalle in risposta. «Faccio portare qualcosa di caldo?» «No, grazie.» «D’accordo, allora dimmi il vero motivo per cui sei qui.» «Harry, sei sempre più pallido, hai sempre più occhiaie.» Harry non voleva dormire, se lo avesse fatto, Severus avrebbe potuto lasciarlo lì e gli sarebbero rimaste soltanto orme nella neve mentre non desiderava altro che gli fosse accanto per sempre, una presenza fissa nella sua esistenza, uno squarcio di sole nero nella sua routine grigia. Non voleva accontentarsi di sogni lontani, fasulli, voleva guardarlo e basta, sentirlo mentre gli stringeva le mani per scaldargliele. «E non dirmi che sei solo stanco, lo so benissimo che hai.» No, non lo sa nessuno, avrebbe voluto strillare, ma rimase in silenzio a scrutare gli occhi nocciola della sua amica, dell’unica che sapeva, che aveva sempre saputo. «Non puoi continuare a torturarti così, sai?» Sapeva tutto, tranne quella piccola parte che teneva solo per sé, per loro due e nessun altro perché quelli erano soltanto i loro momenti e nessuno glieli avrebbe portati via. «Sono due anni che è morto. Lascialo andare.» Come si fa a lasciar andare la persona che più si ama a questo mondo? Casa è dietro la curva, curata e pulita, la neve a coprire il prato e i fiori, persino il tetto, e il comignolo sbuffa più forte che mai. Casa è lì e lo attende. Ha i libri con sé. Apre la porta, la maniglia è sempre gelida, a terra c’è il biglietto che aveva scritto, deve essergli caduto dalla tasca quando ha preso il pacchetto, strano che Severus non lo abbia visto, si dice. «Sono tornato!» Un passo, due, tre.
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martharossi · 6 years
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LUCE
Così, dopo tanto tempo ho deciso di riaprire il mio diario online in cui racconto i pensieri che mi passano per la testa e le emozioni che giornalmente vivo.
Alcuni lettori delle mie stravaganti avventure si chiedono come mai l’intrepida scrittrice 😂 abbia abbandonato queste pagine.
Mi sono dedicata a tante cose in quest’ultimo anno, ho conosciuto persone nuove ed orientato la mia vita su quello che, come sempre, mi piace fare. Non è stato semplice! Al contrario di quello che si possa pensare di me, sono sempre indecisa sul da farsi ed a volte per pigrizia oriento le mie scelte su quelle che in realtà, scelte mie non sono.
Scrivo molto, anche se non su Tumblr, il mio computer sta assistendo alla realizzazione di un piccolo romanzo dedicato alle famiglie. Non posso ancora raccontarvi nulla nello specifico, ma posso accennarvi che la protagonista del mio romanzo si chiamerà Luce e sarà circondata da tante illustrazioni che aiuteranno i NANETTI a immergersi nella storia.
Per arrivare a questa scelta ho attraversato diverse fasi: la fase Camilla, la fase non ha un nome, la fase forse la chiamo Syria, la fase chi cavolo vuole diventare scrittrice, e se fosse una rana? la fase e se il nome lo dessero gli altri? AIUTOOOO!
Ma ... Alla fine ci sono riuscita !!!LUCE!!!
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Luce perché è la prima cosa che vediamo quando veniamo come si sul dire alla luce, Luce come quella che cerchiamo tutti i giorni per orientare le nostre vite su scelte che possano illuminare il nostro cammino, Luce come chi si è perso e si è ritrovato seguendo la lanterna accesa ancora nel suo cuore, Luce come chi Sa Amare e riscaldare le vite di altre persone care, Luce perché è chiara e bella ed è quella che ci sveglia la mattina per augurarci una felice giornata.
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La mia scrittura è accompagnata da fasi in cui mi disperdo completamente, ma onestamente mi piace ritrovarmi ogni volta.
Così tra un nuovo capitolo scritto e un pensiero che sta per nascere, trovo sempre il tempo di leggere nuovi libri che mi aiutano a conoscere di più me stessa.
Il pensiero della mia giornata va a chi come me ha il cuore sensibile, chi sa Commuoversi leggendo una frase su un libro o semplicemente guardando un film... io che mi commuovo se penso ad un gesto carino o ad un abbraccio... chi riesce a sorridere sempre anche quando la voglia non c’è, chi stacca ma in verità pensa sempre, chi sorride a tutti sperando di regalare del buono... chi Sa avere pazienza e vive giorno dopo giorno pensando : la prima cosa bella della mia vita sono IO... e questo è già un grande DONO che non ho paura di condividere ma che non va regalato.
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entheosedizioni · 4 years
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Come sopravvivere all’inverno
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Sopravvivere all'inverno - Miniguida per la sopravvivenza all'inverno e alle intemperie della vita. Fra tutti i periodi dell'anno l'inverno è la vostra bête noir? Il freddo vi deprime e vi mette di malumore, detestate le feste natalizie e le corse impazzite ai regali inutili? Ecco a voi una guida che in pochi passi vi svelerà i trucchi utili per sopravvivere indenni all'inverno e al suo gelo. Anche se lo avete soltanto nel cuore.
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La preparazione Sì, esatto. Per vincere l'inverno è necessaria una strategia. Serve partire per tempo. Bel tempo: Vivere l'estate come se fosse infinita. Assaporare i momenti rendendoli lunghissimi, bearsi della calda luce del sole riempiendo ossa e cuore di quella energia dorata, stare sempre nella luce. Persino Ottobre viverlo come un mese estivo. Nei mesi prima e dopo il fatidico inverno, stare all'aperto il più possibile. Non pensare mai all'inverno, ma vivere come se l'estate fosse per sempre. Vari studi scientifici dimostrano la diretta correlazione fra la salute e una moderata esposizione solare, ecco qualche esempio: Abbassamento pressione sanguigna: uno studio realizzato alla Università di Edimburgo e Southampton dimostra che l'esposizione al sole provoca il rilascio di ossido nitrico nel sangue, abbassando la pressione sanguigna e diminuendo i rischi d'infarto. Rafforza la salute delle ossa: ultime ricerche scientifiche hanno scoperto uno stretto collegamento fra la densità ossea e la Vitamina D3 (che si forma dalla vitamina D quando il sole lambisce la pelle). Alti livelli di vitamina D3 diminuiscono il rischio di fratture ossee. Antidepressivo naturale: la privazione di luce solare può provocare la SAD (seasonal affective disorder), comune fra le persone che trascorrono molto tempo in ambienti illuminati artificialmente. Una moderata esposizione alla luce solare migliora l'umore, dato che nei giorni di sole il cervello produce più serotonina. Rafforzamento sistema immunitario: il numero di cellule bianche aumenta con l'esposizione solare, cellule che hanno un ruolo fondamentale nella lotta contro le malattie e nella difesa contro le infezioni. La lista continua ancora con argomentazioni persino più specifiche, come l'ultima ricerca dell'Università di California che ha evidenziato una riduzione del 60% del rischio di sviluppo di ogni forma di cancro in seguito a un supplemento della Vitamina D nel corpo. Molto bene, mi sento già meglio. Ricordarsi però che l'esposizione prolungata al sole senza protezione provoca danni permanenti alla pelle, quindi l'utilizzo costante di un SPF30 di ultima generazione serve a prepararci al meglio per sopravvivere all'inverno. L'inverno Appena i giorni s'incupiscono e le temperature scendono – insieme al livello della nostra serotonina – fare un respiro deciso. Non serve a sentire meno freddo, ma a ossigenare i polmoni e prendere coscienza del fatto che un processo iniziato è già in moto verso la sua fine. E, nel frattempo, possiamo affrontare al meglio la stagione fredda usando questi piccoli trucchi: Il solstizio invernale. Letteralmente "sole fermo" (dal latino sol - sole e sistere - stare fermo), teoricamente rappresenta l'inizio dell'inverno (astronomicamente parlando), in pratica è il giorno più corto dell'anno, ergo... passato questo, le giornate iniziano ad allungarsi. Possiamo già pensare all'estate. Va bene, alla primavera. Il tè. I benefici del tè sono risaputi e valgono per tutte le stagioni, tuttavia è difficile bere caldi infusi in torride giornate estive – abitudine invece altrettanto salutare, in quanto gli alimenti caldi contribuiscono ad abbassare la temperatura corporea. In inverno però il problema non si pone, anzi: possiamo approfittare, recuperando terreno. Esistono varie qualità di tè, ognuna con proprie caratteristiche, come anche innumerevoli infusi e tisane; il mio consiglio è di provarne il più possibile: oltre a riscaldare l'anima, si svilupperà in voi un vero sommelier del tè. Poco utile, molto chic.
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Le letture calde. Leggere in inverno libri che parlano d'estate, di posti esotici e caldi, ecco un'escamotage bellissimo e rilassante per affrontare con leggerezza l'inverno! Qualche titolo? Dai classici ai polizieschi, dai moderni alle letture horror, c'è per tutti i gusti: Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Màrquez - capolavoro della letteratura, Premio Nobel, l'elenco può continuare a lungo. Quello che interessa a (oltre all'originalissima trama) è l'ambientazione tropicale, le atmosfere umide e intrise di calura, la luce accecante del giorno e le notti limpide in cui frignano grilli. Da accompagnare con qualche pezzetto di cioccolato. La lettura, non i grilli. Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer. La nostra breve recensione vi parlerà del viaggio intrapreso dal giovane Jonathan alla ricerca delle sue origini in una Ucraina estiva, estemporanea e colma di girasoli. Una calda immersione in riflessioni poco calde. Corpi al sole di Agatha Christie. Una delle avventure di Hercule Poirot forse meno conosciute, eppure fra le mie preferite. Intrigante ambientazione sull'Isola del Contrabbandiere, cieli tersi, corpi abbronzati e, naturalmente, delitto a colazione. Perfetto da leggere quando piove. It di Stephen King. Un titolo che è una garanzia per gli amanti del genere, horror assoluto, viene spesso associato all'estate nelle liste di libri che parlano d'estate. Ora: secondo me l'estate è l'ultima cosa che questo libro vi suggerirà, ma sarete talmente annichiliti dalla paura da scordarvi in che stagione siamo. Da leggere con un gatto vicino. Un gatto coccoloso, non grrr.
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Leggere riscalda l'animo. Conclusioni per sopravvivere all'inverno La mia conclusione è breve, personale e si riassume in questa frase di Albert Camus: "...nel bel mezzo dell'inverno, Ho scoperto che vi era in me Un'invincibile estate." Non importa che stagione sia, né che anno è, o che età abbiamo. Quello che importa è non lasciare che l'inverno ci geli il cuore. Invincibile estate Mia cara, nel bel mezzo dell’odio ho scoperto che vi era in me un invincibile amore. Nel bel mezzo delle lacrime ho scoperto che vi era in me un invincibile sorriso. Nel bel mezzo del caos ho scoperto che vi era in me un’ invincibile tranquillità. Ho compreso, infine, che nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate. E che ciò mi rende felice. Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me, in me c’è qualcosa di più forte, qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro. Albert Camus
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dreamednottodrown · 7 years
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Amo l’inverno. Amo la neve. Amo il freddo. Amo i maglioni. Amo le felpe. Amo i capelli invernali e le sciarpone. Amo tenere in mano una tazza calda. Amo le maniche lunghe dei maglioni e felpe che mi coprono le mani e me le scaldano. Amo il freddo. Amo i colori delle luci di natalizie. Amo l’atmosfera natalizia. Amo vedere le case che prendono vita illuminandosi di mille colori appena diventa buio. Amo le decorazioni natalizie. Amo uscire vedere la nuvoletta di fumo uscire dalla bocca/naso a causa del freddo. Amo il fatto che il naso e il viso diventino rossi a causa del freddo, soprattutto nei momenti di imbarazzo perché tutti credono che sia per colpa del freddo. Amo il freddo e ricevere un abbraccio capace di riscaldare persino il cuore. Amo stare sotto le coperte al caldo. Amo le coperte. Amo sdraiarmi con una coperta, una tazza di the o di cioccolata e leggere un libro. Amo l’odore delle arance e dei mandarini.
-dreamednottodrown
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/03/18/il-galateo-e-i-brucolachi/
Il Galateo e i brucolachi
di Armando Polito
Il Galateo del titolo non è l’opera di monsignor Giovanni Della Casa (1503-1556) e neppure quel complesso di norme di buone maniere che, come nome comune, da esso trae origine. Si tratta, invece, dello pseudonimo, tratto dal centro (Galatone) in cui nacque, del più famoso umanista salentino: Antonio De Ferrariis (1444-1517).
La parte finale del De situ Iapygiae, pubblicato postumo per i tipi di Pietro Perna a Berna nel 1558, Antonio rivolge la sua attenzione al territorio neretino e da par suo dà un colpo decisivo a a quella che ritiene  interpretazione superstiziosa e fasulla dei due fenomeni dei Fuochi fatui1 e della Fata Morgana2 osservati frequentemente nel territorio del Salento.
Riproduco di seguito dell’editio princeps il frontespizio e la parte che ci interessa di p. 117 evidenziata dalla sottolineatura, certo di fare cosa gradita ai bibliofili, ai quali segnalo che l’opera è integralmente scaricabile da http://www.internetculturale.it/jmms/objdownload?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ABVEE003363&teca=MagTeca%20-%20ICCU&resource=img&mode=all.
Prima di procedere alla traduzione è d’obbligo una nota di natura filologica relativa proprio alla strana parola (brucolachi) che compare nel titolo di questo post. In questa prima edizione compare Brocolarum, come si può leggere più chiaramente nel dettaglio che segue.
non nativo, cioè dell’autore, ma di trascrizione da manoscritto più che di stampa) per Brocolacum, genitivo plurale, che, come vedremo, appare come trascrizione dal greco. L’errore si perpetuò per lungo tempo nelle edizioni successive, di seguito documentate.
Maccarani, Napoli, 1624
p. 90
  Chiriatti, Lecce, 1727
Di questa edizione curata dal neretino Giovanni Bernardino Tafuri non posso fornire il dettaglio che ci interessa, ma posso assicurare che continua il Brocolarum delle precedenti edizioni, perché esso permane nell’edizione, a cura dello stesso Tafuri, inserita nella collana curata da Angelo Calogerà appresso indicata.
Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, tomo VII, Zane, Venezia, 1722
194
  Delectus scriptorum rerum Neapolitanarum, Ricciardi, Napoli, 1735
  colonna 620
  Opere di Angelo, Stefano, Bartolomeo, Bonaventura, Giovanni Bernardino e Tommaso Tafuri di Nardò ristampate ed annotate da Michele Tafuri, v. II, Stamperia dell’Iride, Napoli, 1851
p. 89
A p. IV dello stesso volume Michele Tafuri così si esprime sull’edizione leccese del 1727 curata dall’antenato.
Da notare l’errata indicazione del tomo della raccolta del Calogerà (VII e non IX).
  La Giapigia e varii opuscoli di Antonio De Ferrariis detto il Galateo, Tipografia Garibaldi di Flascassovitti e Simone, Lecce, 1867
p. 93
  Abbiamo la conferma che il Brocolarum sopravvisse fino al 1867. Non so a quale editore è da ascrivere il merito di averlo corretto per primo in Brocolacum. Bisognerebbe passare in rassegna tutte le edizioni del De situ Iapygiae successive al 1851, ricerca, purtroppo, non fattibile, com’è noto,  in rete con testi anche relativamente recenti, ferma restando la mia impressione che in questi ultimi anni il processo di digitalizzazione del patrimonio librario ha subito un rallentamento, probabilmente per motivi di ordine non solo burocratico ma anche finanziario.
Dopo questa lunga parentesi, che lascio volentieri aperta ad ogni integrazione altrui, ecco la traduzione del brano da cui tutto è partito.
Simile è la favola dei brucolachi, che invase tutto l’oriente. Dicono che le anime di coloro che vissero scelleratamente di  notte come globi di fiamme sono solite sorvolare i sepolcri, apparire a persone note ed amici, nutrirsi di animali, succhiare il sangue ai fanciulli ed ucciderli, tornare poi nei sepolcri. La gente superstiziosa scava le sepolture, squarto il cadavere, ne estrae il cuore e lobrucia e getta la cenere ai quattro venti, cioè verso le quattro regioni del mondo e crede che così la maledizione cessi. E se la favola è quella, tuttavia ci offre l’esempio di quanto invisi ed esecrabili siano a tutti coloro che vissero malamente, e vivendo e da morti. Simile è anche la favola di Ermontino di Clazomene citata da Plinio3 e da Seneca sul sepolcro incantato. Nè mancarono nei tempi antichi simili sciocchezze e illusioni dei sensi umani.
Stando alla descrizione, a parte il tratto iniziale che sembra riguardare i fuochi fatui, il resto evoca il vampirismo, per cui il brucolachi della traduzione è sinonimo di vampiri, voce con cui è reso in tutte le traduzioni meno e più recenti.
Un comune destino sembra unire dal punto di vista etimologico la voce vampiro e quella relativa al suo antenato, il brucolaco. La loro origine, infatti, è incerta. In particolare per la prima l’ipotesi più accreditata è che derivi dal serbo-croato vampir. E per brucolaco? L’attestazione più antica che sono riuscito a trovare è in una relazione di viaggio del 1717..
Alle p. 131-133 si legge quanto di seguito riproduco.
(Vedemmo una scena ben differente e ben tragica nella stessa isola in occasione di uno di questi morti che si crede ritornino in vita dopo il loro seppellimento. Colui del quale mi accingo a raccontare la storia era un cittadino di Micono5 per natura di cattivo umore e lamentoso; questo è un dettaglio da sottolineare in rapporto a pari soggetti. Fu ucciso in campagna, non si sa da chi e come. Due giorni dopo che era stato sepolto in una cappella della città, corse la voce che lo si vedeva la notte passeggiare a gran passi, che veniva nelle case a rovesciare mobili, spegnere lampade, abbracciare le persone alle spalle e fare mille piccoli tipi di dispetti. Lì per lì successe che se ne rise ma l’affare divenne serio quando le persone più sensibili cominciarono ad avere compassione: i papi stessi convenivano sul fatto e senza dubbio che essi avessero le loro ragioni. Non si mancò di far dire delle messe: nel frattempo il cittadino continuava la sua piccola vita senza correggersi. Dopo parecchie assemblee degli ottimati della città, dei preti e dei religiosi giunsero alla conclusione che bisognava, seguendo un non so quale antico cerimoniale, attendere nove giorni dopo il seppellimento. Il decimo giorno si disse una messa nella cappella dov’era il corpo al fine di scacciare il demonio che si credeva esservisi rinserrato. Il suo corpo fu riesumato dopo la messa e si decise di dovergli strappare il cuore. Il macellaio della città, assai vecchio e poco esperto, cominciò ad aprire il ventre invece del petto: frugò a lungo tra le interiora senza trovarvi ciò che cercava; alla fine qualcuno l’avvertì che doveva bucare il diaframma. Il cuore fu strappato tra l’ammirazione di tutti i presenti. Il cadavere nel frattempo puzzava tanto che si fu obbligati a bruciare dell’incenso; ma il fumo misto alle esalazioni del cadavere non fece che aumentarne la puzza e cominciò a riscaldare il cervello di questa povera gente. La loro immaginazione colpita dallo spettacolo si riempì di visioni. Ci si azzardò a dire che il fumo denso usciva da quel corpo: noi non osiamo dire che era quello dell’incenso. Non si credeva esserci che brucolachi nella cappella e nella piazza che è sul davanti: è questo il nome che si da a questi pretesi resuscitanti. La voce si diffuse nelle strade come attraverso ululati e questo nome sembrava essere fatto per far tremare la volta della cappella. Parecchi dei presenti assicuravano che il sangue di questo malvagio era molto vermiglio, il macellaio giurava che il corpo era ancora tutto caldo; da questo si concludeva che il morto aveva il gran torto di non esser morto bene o, per meglio dire, di essersi lasciato rianimare dal diavolo; è precisamente l’idea che hanno di un brucolaco. Si faceva allora risuonare questo nome in maniera incredibile. Entrò in quel tempo una folla di persone che affermavano ad alta voce che essi non erano ben sicuri che quel corpo fosse diventato rigido quando lo si portò dalla campagna in chiesa per seppellirlo e che di conseguenza era un vero brucolaco; questo era lì il ritornello.)
In margine a p. 131  si legge la nota che riproduco ingrandita.
  Al Vroucolacas iniziale seguono le varianti greche, cioè Βρουκόλακος (leggi Breucòlacos), Βρουκόλακας (leggi Brucòlacas), Βουρκολάκας (leggi Burcolàcas. Subito dopo vien ripetuto Βρουκόλακας per introdurre la definizione: Spettro composto da un corpo morto e da un demone. C’è chi crede che  Βρουκόλακος significa carogna. Βρούκος (leggi Brucos) o Βοῦρκος (leggi Burcos) è questo limo così puzzolente che marcisce sul fondo dei vecchi pozzi, poiché Λάκκος (leggi Laccos) significa fossa.
La nota mi appare preziosa almeno quanto il testo principale  perché costituisce, a quanto ne so, il primo ed ultimo tentativo di ricostruire l’etimo di questa voce misteriosa. L’ipotesi del De Tournefort trova conforto, ma secondo me trae pure origine dalla conoscenza e consultazione del Glossarium ad scriptores mediae et infimae Graecitatis di Charles Du Cange uscito per i tipi di Anissonios, Joan. Posuel & Cl. Rigaud a Lione nel 168 (due volumi)..
Di seguito la parte iniziale delle schede relative rispettivamente dalle olonne 222 e  783 del primo volume.
(Βοῦρκα, βοῦρκος limo, non qualsiasi ma quello che macerato  in acqua già putrescente e mana una pessima fetore. Così l’Allacci nel libro sulle opinioni dei Greci al numero 12)
(Λάκκος [leggi lakkos], per i Greci è la fossa. Presso i medici però viene inteso come la parte del collo che chiamano σφαγλώ [leggi sfaglò), i Latini iugulum. Ipato in un manoscritto sulle parti del corpo umano: σφαγή, ὁ λάκκος τοῦ τραχήλου [gola, la fossa del collo]. Presso lo stesso ἰνίον [leggi inìon; significa nuca] viene spiegato come ὀπισθόλακκος [leggi opistòlaccos; alla lettera fossa che sta dietro], occipite. Λάκκος è pure il pozzo. Glosse manoscritte ai racconti di Gabria: πρός φρέαρ, εἱς λάκκον [verso il pozzo, verso la fossa])
Sembrebbe che l’etimo del nome della spaventosa creatura sia stato trovato, per cui brucolaco alla lettera significherebbe limo della fossa. Sarebbe così privilegiato il dettaglio del fetore che domina alla fine del racconto del Tournefort.
Faccio notare che il primo significato medico di Λάκκος (gola) riportato dal Du Cange evoca suggestivamente il dettaglio del corpo delle vittime dei vampiri ma mal si accorda (anzi, non si accorda proprio) con la prima parte Βοῦρκα (limo puzzolente) e che le altre due varianti registrate nella relazione di viaggio (Βρουκόλακος e Βρουκόλακας) presentano rispetto a Βοῦρκα la metatesi di –ρ-. Non crea, invece, problemi lo scempiamento dell’originario  -κκ- di Λάκκος dal momento che lo stesso glossario registra il derivato λακάζω (leggi lacazo) col significato di seppellire.
Fermo restanto il fatto che la nostra parola appare senz’ombra di dubbio composta, quali potrebbero essere le voci componenti alternative?. Per la prima parte metterei in campo la radice del verbo βρὐκω (leggi briùco), che siggnifica mordere e per la seconda la radice del verbo λακίζω (leggi lachìzo) che significa lacerare, uccidere.
  Pur nell’incetezza delle sue componenti, credo di poter affermare che il brocolacum del Galateo è la trascrizione del greco  Βρουκολάκων (leggi brucolàcon) genitivo plurale di Βρουκόλακος, con conservazione dunque, della desinenza del genitivo greco. 
Rimane (per chi ci crede …) il fascino misterioso di questa creatura, ma anche la certezza che più di due secoli prima del De Tournefort del brucolaco aveva scritto il  salentino Galateo e che lo scetticismo da umanista del salentino (dopo tanta fatica mi si perdoni un pizzico di campanilismo …) anticipava quello da illuminista del francese.
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1  Per Fuoco fatuo s’intende il fenomeno costituito da fugaci fiammelle, per lo più bluastre che un tempo si potevano osservare nei cimiteri e in luoghi paludosi. Le mutate condizioni ambientali ed igieniche lo hanno fatto pressochè scomparire, come, con  il cambiamento di quelle culturali e più specificamente sociali, è avvenuto per il tarantismo.
2 il fenomeno della Fata Morgana, volgarmente detto miraggio, è un’illusione ottica dovuta alla rifrazione di immagini lontane in particolari condizioni atmosferiche. Non escluderei, visti i cambiamenti climatici in corso, la loro scomparsa o evoluzione …
3 Plinio, Naturalis historia, VII, 73: Reperimus inter exempla Hermontini Clazomenii animam relicto corpore errare solitam, vagamque e longiquo multa annuntiare, reperimus inter exempla hermotimi clazomenii animam relicto corpore errare solitam vagamque e longinquo multa adnuntiare, quae nisi a praesente nosci non possent, corpore interim semianimi, donec cremato eo inimici, qui Cantharidae vocabantur, remeanti animae veluti vaginam ademerint.  (Troviamo tra gli esempi che l’anima di Ermontino di Clazomene, lasciato il corpo, era solita errare e dopo aver reduce da paesi lontani dare molte notizie che non potevano essere conosciute se non da chi era tato presente, mentre il corpo frattanto restava semianimato, finchè i nemici, che si chiamavano Cantaridi, dopo averlo cremato, non sottrassero come una sorta di guaina all’anima che tornava)
Faccio notare un altro errore, anche questo perdurante nelle edizioni successive documentate per Brocolarum,  presente nell’editio pronceps, dove si legge Hermotini per Hermontini. Per quanto riguarda Seneca al momento non sono in grado di dire a quale sua opera il Galateo si riferisce. Anche per questo non dispero dell’aiuto di qualche volenteroso lettore.
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sirotwintersblog · 5 years
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Fissò la luna con gli occhi appannati. E non era il vento gelido del mare finlandese stavolta a riempirli di lacrime. Da qualche parte Vilhelmi era sotto la stessa luna. “Prego per te, Vi. Prego perché tu sia felice ogni giorno. Perché tu possa avere tutto ciò che vuoi, perché la tua splendida anima possa riscaldare tutti quelli che hanno la fortuna di essere parte della tua vita, come ha fatto con me. Prego per te ogni giorno, da quattro anni, perché qualcuno si prenda cura di te e della mia Katty. Che vi ami quanto vi amo io. Il solo fatto di sapere che tu sei parte di questo mondo, rende sopportabile tutto. Il solo fatto di essere stata parte del tuo mondo, anche se per poco, me lo farò bastare per il resto della mia vita. I will pray for you, Vi…” I sentimenti che provava, tutto ciò che si agitava in fondo al suo cuore, erano come una miriade di sassolini. Ogni ondata li scompigliava, li rimescolava, li faceva cozzare l’uno contro l’altro, provocando dolore. Ma rimanevano lì, sul fondo. Pesando sulla sua anima. Link Amazon: http://goo.gl/qqK2k2 #mybooks #VieLou #comemieleeneve #sirotwinter #bookforfre #ebookgratis #music #romance #romanzirosa #snow #gratis #amazonprimereading #emotions #booklover #bookworm #bookstagram #libro #citazionilibri #bookpassion #dreamers #bookpromo #finland #helsinki #self #madeinitaly https://www.instagram.com/p/BrVP_YOBoVg/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=f4m8k9eciric
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francesco-nigri · 1 year
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Francesco Nigri alla Fiera del Libro di Roma PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI
Francesco Nigri alla Fiera del Libro di Roma PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI
Francesco Nigri alla Fiera del Libro di Roma PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI Il poeta Francesco Nigri ha partecipato a dicembre, nell’ambito dell’EBE’s BOOK TOUR – il ciclo di presentazioni del suo recente libro di poesie d’amore IL SEGRETO DI EBE, Edizioni Albatros Il Filo -, alla Fiera del Libro di Roma PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI. Nigri si è recato in visita allo Stand dell’Editore Albatros Il Filo ed ha…
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lamilanomagazine · 11 months
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Ti racconto un libro 2023: l’incontro con Renata Bracale e il suo libro sulla Dieta Mediterranea, tra innovazione e tradizione, martedì 13 giugno
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Ti racconto un libro 2023: l’incontro con Renata Bracale e il suo libro sulla Dieta Mediterranea, tra innovazione e tradizione, martedì 13 giugno. È da sempre incoronata dalla scienza come il modello alimentare per eccellenza per via dei suoi comprovati effetti benefici per la salute. Oltre ad essere un autentico scudo contro le principali patologie croniche, come quelle cardiovascolari e tumorali, la Dieta Mediterranea è uno stile di vita che racchiude in sé secoli di cultura che non riguardano solo il cibo, ma tutto quello che ruota attorno ad esso. A cominciare dal territorio, passando per le partiche di conservazione e lavorazione degli alimenti, senza dimenticare lo spirito di convivialità e condivisione che sono parti imprescindibili di un sano stile di vita mediterraneo. Ma la Dieta Mediterranea è anche tempo speso ai fornelli. Dimenticate i piatti pronti da riscaldare al microonde, o le verdure surgelate da saltare in padella. La tradizione richiede tempo, passione e cura. Chiaramente non si può prescindere da una società che non solo di tempo ne ha poco, ma ha anche sempre maggiori difficoltà a dedicarsi alla cucina. Renata Bracale, biologa nutrizionista e professore associato di nutrizione umana all’Università del Molise, nonché volto noto di molte trasmissioni televisive su salute e benessere, ne parlerà nell’ambito dell’iniziativa LIBRINTAVOLA- incontri conviviali tra libri e sapori di Ti racconto un libro 2023, il laboratorio permanente sulla lettura e sulla narrazione promosso e realizzato dal Comune di Campobasso e dall’Unione Lettori Italiani, con la direzione artistica e organizzativa di Brunella Santoli e il patrocinio della Provincia di Campobasso. Il suo La mia cucina mediterranea- Ricette e segreti tra innovazione e tradizione, è una rilettura delle ricette mediterranee che arrivano dalla tradizione partenopea, in special modo dalle consuetudini culinarie di questa famiglia del Sud, i Bracale, come viene raccontato in uno storytelling efficace. Dalla nonna Renata, madrina delle ricette originali, questo lessico familiare viene rivisitato e modificato dalla nutrizionista nipote per seguire e presentare, agli amanti della buona cucina, un modello più corretto dal punto di vista nutrizionale, da poter portare a tavola ogni giorno.   Un ricettario prezioso, dunque, che senza rinunciare alle tradizioni ha cura e attenzione per tutti: si va infatti dalle ricette a base di latte e derivati, di carne, di pesce, al gluten free, al lattosio free per finire con alcune ricette vegane. L’incontro con l’autrice è in programma martedì 13 giugno alle ore 18.30 nel ristorante “La Grotta di Zi' Concetta” in via Larino a Campobasso. Con lei dialogheranno i ricercatori Giovanni de Gaetano e Marialaura Bonaccio. A seguire assaggi di cucina rigorosamente mediterranea da gustare insieme. Per partecipare all’incontro LIBRINTAVOLA è necessaria la prenotazione contattando [email protected]. Il prossimo appuntamento con Ti racconto un libro è con Michela Monferrini, che venerdì 16 giugno, alle ore 18.30 nel Circolo Sannitico di Campobasso, presenterà Dalla parte di Alba, un romanzo dedicato ad Alba de Céspedes. Scrittrice, poetessa e partigiana italiana ha trascorso una vita in bilico tra continenti e rivoluzioni, per dedicarsi a ciò a cui si sentiva destinata fin da bambina: scrivere, scrivere, scrivere. Ha attraversato il Novecento in prima persona, prestando la voce alla Resistenza e il cuore a uomini che non potevano capirla fino in fondo. Alba de Céspedes diventa qui a sua volta protagonista di un romanzo che è anche una riflessione sul senso della scrittura come eredità di una vita.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sangha-scaramuccia · 6 years
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Sesshin - febbraio 2018
Riporto il brano estratto dal notiziario n. 115 del luglio 2002, utilizzato dal maestro Taino per il teisho.  Il maestro ha iniziato il commento dicendo che se lo scrivesse ora lo farebbe in modo diverso pur mantenendo il senso del discorso. Ha sottolineato come il suo modo di scrivere sia cambiato nel corso degli anni adesso, per esempio, vuole asciugare il testo non usando più gli avverbi. Tra le buone pratiche che nel corso degli anni ci ha suggerito ha indicato ancora una volta la scrittura. Più la si pratica, come molte altre cose, più la si impara.
Paolo Shōju
del Tennis Nella nostra famiglia il tennis è entrato da una diecina d’anni, quando Kiyoka ha cominciato a guardare le partite in chiaro d’una televisione a pagamento. Poi s’è messa la parabola e i canali satellitari hanno permesso di seguire i tornei più importanti del mondo. Non è che m’appassioni, però è uno sport affascinante e vedermelo davanti per tanti giorni m’ha fatto imparare i nomi di tutti i giocatori, oltre a capire quanto sia duro. La lotta fra i due giocatori talvolta va avanti per cinque ore. Se ci si pensa bene è lo sport più vero fra tutti quelli che si possono seguire in TV, perché seppure ci fosse il doping, alla fine vince sempre il migliore. Invece gli sport più famosi non riesco a seguirli, o perché i risultati sono decisi dalle varie mafie, come scrivo all’inizio a proposito del calcio, oppure c’è il doping, non solo di alcuni ciclisti, i quali soffrono tanto comunque. Per non parlare di moto e automobili dove vince chi ha il mezzo migliore. E l’atletica te la raccomando. C’è il salto con gli sci, quello, forse, si salva.
Poi, circa tre anni fa, Kiyoka che lo desiderava da tanto, ha finalmente cominciato a giocare prendendo regolarmente lezioni al circolo di Orvieto. Invece la mia unica esperienza risale a quando avevo una diecina d’anni e giocavo sulla strada con le racchette di legno. A un certo punto, come fa ogni tanto K per allenarsi alla battuta, ho cominciato a tirare dei colpi contro il muro del vecchio zendo. Giocando, un po’ con la mano destra e un po’ con la sinistra, ripeto un movimento dello stile Chen, e mi serve per riscaldare le braccia e le spalle prima di attaccarmi sul muro d’arrampicata. Senza immaginare che la conseguenza delle mie racchettate m’avrebbe portato a fare delle partite. Infatti è successo che pure io sono andato dal maestro. Quando il 23 di maggio ho deciso di smettere le lezioni, se non cambierò idea, ne avevo già prese dodici, con molto piacere e soddisfazione.
Arrivati a questo punto, come in una rubrica che c’era sul settimanale Cuore, potreste dire: “Chissenefrega!”. In effetti se quel che avevo da dirvi fosse tutto qui avreste ragione di rispondermi così. Ma siccome non sono il tipo che racconta di sé, se ho voluto parlare del tennis è perché ha a che fare con l’arrampicamento e soprattutto con la vita.
Intanto, come avviene normalmente nell’arrampicata, per giocare bisogna essere in due. E per K è molto importante avere un giocatore sempre a disposizione, così come per chi arrampica trovare un compagno quando si ha il tempo per scalare. Per il tennis però è più complicato, i campi non sono sempre liberi e il compagno, quando c’è, deve essere del proprio livello, altrimenti non ci si diverte. Tanto che per il tennis, come in molti casi per l’arrampicata - e per tante altre attività - ci si rivolge ai professionisti, i quali ci sono proprio per mettere a disposizione a pagamento la loro tecnica e il loro tempo. E’ una soluzione semplice, basta aver un po’ di denaro e si trova la persona con cui giocare a tennis, andare ad arrampicare e praticare tutte quelle attività per le quali è richiesto un partner. Ma non è detto che le soluzioni semplici siano sempre le migliori, a parte che in questi casi si deve pagare, perché poi si finisce per non incontrare più nessuno, ci si atomizza, e non si parla più. In fondo che socialità può esserci con il maestro di tennis, di arrampicata o di sci? Infatti dopo essere tornato dal Giappone, a parte la breve parentesi d’insegnamento alla scuola di sci del Terminillo, io non ho più voluto fare lezioni private di sci e nemmeno di montagna. A sciare solo lezioni collettive, molto collettive! E pure in montagna sempre grandi gruppi.
Lo possiamo vedere tutti come il mondo tenda ad atomizzarsi: da soli davanti alla TV, figli unici e singoli, da soli sul motorino o in macchina per andare al lavoro, da soli col libro e in tante altre occasioni. Con la metafore del tennis ho voluto dire che una scuola come Scaramuccia, ma mi auguro che ce ne siano tante altre, in cui c’è sempre posto per tutti, può essere la risposta al bisogno di comunità e di socialità. Insomma, oltre che per l’insegnamento sotteso a tutte le nostre attività, la scuola svolge un compito di aggregazione. Un po’ come il detto che chi ha la mamma non piange, in qualunque momento si può trovare qualcuno della scuola di Scaramuccia per andare in montagna, o soltanto per stare insieme.
Da quando Kiyoka ha cominciato il tennis molti frequentatori della scuola hanno ripreso a giocare, dopo averlo abbandonato soprattutto a causa della mancanza di compagnia. Ora che ne sono sbucati fuori tanti è un continuo combinare incontri, almeno quelli che abitano fra Roma e Terni: hanno giocato pure a Paklenika! E si può vedere che fare il maestro di Zen, un compito che potrebbe sembrare tanto importante, in molti casi si riduce a decidere dove andare il sabato, la domenica o qualche settimana e a mettere a disposizione una sala, un po’ come farebbe un barista coi tavoli del bar dove servire bibite e caffè.
E così, come prova a fare un semplice maestro di Zen, se tutti coloro che ricoprono incarichi di qualunque genere, a cominciare dai governanti nei posti più alti, si sforzassero di servire i cittadini con il sorriso, proprio come i baristi con i clienti, si riuscirebbe a cambiare il mondo in un momento.
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francesco-nigri · 1 year
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Francesco Nigri al Jazz Cafe di Roma
Francesco Nigri al Jazz Cafe di Roma
Francesco Nigri al Jazz Cafe di Roma A Roma a dicembre per proseguire l’EBE’s BOOK TOUR – il ciclo di presentazioni del suo recente libro di poesie d’amore IL SEGRETO DI EBE, Edizioni Albatros Il Filo -, il poeta Francesco Nigri ha vissuto una serata inattesa. Nigri si è recato al Jazz Cafe di Piazza Navona per assistere al concerto della Band romana All Rights Mama e la serata si è arricchita…
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francesco-nigri · 1 year
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Francesco Nigri presenta il suo libro di poesie d'amore IL SEGRETO DI EBE al Lettere Caffè di Roma
Francesco Nigri presenta il suo libro di poesie d’amore IL SEGRETO DI EBE al Lettere Caffè di Roma
Francesco Nigri presenta il suo libro di poesie d’amore IL SEGRETO DI EBE al Lettere Caffè di Roma Si è svolta a Roma presso il Lettere Caffè di Trastevere la Presentazione del recente libro di poesie d’amore di Francesco Nigri IL SEGRETO DI EBE, Edizioni Albatros Il Filo. L’evento è stato condotto dalla scrittrice Paola Bosca, Fondatrice e Presidente dell’Associazione Culturale No Profit “I…
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