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#questa non è la vista dalla mia finestra
vaerjs · 8 months
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una donna è stata denunciata dalla polizia di Torino per mancanza di assistenza famigliare. avrebbe lasciato il figlio di 6 anni da solo a casa per il tempo di recarsi al mercato. la polizia ha trovato il bambino seduto a cavalcioni sulla finestra di casa e la casa in disordine.
io non so se voi siete cresciutɜ in famiglie bene ma vi posso assicurare che questa scena avrebbe potuto essere una fotografia della mia infanzia (e anche quella dellɜ miɜ compagnettɜ di scuola).
io a 6 anni avevo già due fratelli più piccoli a cui badare. i miei non si potevano permettere unɜ babysitter che ci accudisse mentre loro cercavano di incastrare i turni dei loro lavori, i nostri orari di scuola sempre diversi e le varie attività extrascolastiche che iniziano a prendere piede. non abbiamo mai avuto il lusso di avere vicinɜ di casa giovani che potessero accudire me e i miei fratelli per il tempo della spesa, né nonnɜ che potessero farci compagnia e aiutarci con i compiti nel dopo scuola. la casa era un disastro. io ricordo benissimo di essere sempre stata arrampicata in cima ai mobili per da dove potevo osservare tutta la stanza.
ricordo nettamente quando ci siamo potuti permettere una babysitter. io avevo 12 anni. mi sentivo già adulta, avevo fatto da madre ai più piccoli per tutta la mia infanzia e ora un'altra donna voleva venirmi a dire cosa fare e cosa non fare mentre i miei genitori erano assenti. ricordo che mi sgridò perché sedevo sui mobili, e io non capivo dove fosse il problema.
è facile fare le leggi e giudicare quando si vive nel privilegio. è facile accusare famiglie e genitori di cattiva genitorialità. anche i miei genitori sono stati pessimi da questo punto di vista. eppure hanno fatto del loro meglio per campare e farci campare nel migliore dei modi.
il bambino è stato allontanato dalla famiglia. mi chiedo se anche lui sia stranito perché ai suoi occhi non c'era nulla di strano o pericolo nel dondolarsi dalla finestra come ogni giorno cercando di intravedere la mamma che torna dal mercato e quindi poter correre ad aprirle la porta prima che tirasse fuori le chiavi.
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iviaggisulcomo · 1 year
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Non siamo mai cresciuti insieme perché tu non hai mai lasciato via dei ciliegi per trasferirti vicino alla mia casa di quel colore giallo paglierino scolorito dallo smog. Non abbiamo frequentato lo stesso liceo del centro, né preso lo stesso treno ogni mattina perché abitavamo in quartieri distanti.
Non sei l'unica persona a cui racconto della figuraccia con la prof. o della brutta cotta che ho preso o di tutte le piccole paure che mi farebbero sembrare strano di fronte a qualsiasi altro. Non sei l'unica persona che è sgattaiolata in pronto soccorso e mi è stata accanto quando mi sono lussato la spalla per la seconda volta. A 12 anni mio padre non mi spiega cosa vuol dire andarsene perché non sono accanto a te quando i tuoi genitori si separano.
Non dormo con te nella tua stanza lilla perché ti senti sola quella notte che anche tua madre non c'è, e non ti abbraccio forte mentre ti dico che se qualche fantasma prova a manifestarsi io me ne scappo dalla finestra e chi s'è visto s'è visto. Quando tua madre si risposa non ti vedo piangere, e non ti ho mai vista smarrita a tal punto di sentirti annientata dalla realtà e abbandonata dal mondo intero.
Non ti accompagno alla stazione quando parti per Parigi, non ti sussurro all'orecchio che ti amo da quando ho memoria della tua esistenza e non piango tornando a casa cercando in ogni modo di trattenere le lacrime. Non ti chiamo quasi tutti i giorni, poi ogni volta che posso, poi ogni volta che puoi, perché non ho sentito la tua mancanza e non avverto la costante paura di perderti.
Non ti regalo una copia dei miei libri preferiti perché non ti ho mai avuta accanto e penso che la vita sia un groviglio inestricabile pieno zeppo di nodi che possiamo sciogliere solo e soltanto con le nostre forze e che nemmeno io posso aiutarti a districare;
e quindi penso di bastare a me stesso ed è giusto che sia così, mi dico, ma questa è una storia diversa in cui tu non ci sei e dove invece io ho sempre desiderato che tu ne abitassi ogni istante, con me.
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ideeperscrittori · 2 years
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DALLA PARTE DEI DISERTORI
Una delle cose più abominevoli della guerra è costringere qualcuno a uccidere o farsi uccidere.
Tempo fa leggevo un articolo sullo stress post-traumatico di tanti reduci del Vietnam ricoverati in reparti psichiatrici.
Una generazione è stata annichilita.
Dopo l'esplosione di una violenza istituzionalizzata e considerata presentabile nella buona società americana, molti reduci sono implosi, schiacciati dal peso dei loro incubi.
Il film Full Metal Jacket parla di Vietnam, ma è una finestra su tutte le guerre. È un racconto feroce di quello che ti aspetta durante l'addestramento e mentre infuria la battaglia. In quei contesti rimane a galla chi si rifugia nell'annullamento di sé per trasformarsi in una macchina. Chi non ci riesce sprofonda nel delirio. Ma anche i soldati che mantengono un precario e contraddittorio equilibrio perdono qualcosa per sempre, persino quando sopravvivono, persino quando riescono a immergersi in una disperata apatia. Magari tornano a casa, ma sono rassegnati alla brutalità del mondo.
Non entro nei dettagli per non rovinarvi il film. Va guardato.
Io l'ho visto tutto d'un fiato, malgrado qualche cedimento emotivo di fronte alle sequenze più crude.
La verità è che non sopporto l'idea di un'arma da fuoco nelle mie mani, neanche come astrazione confinata nell'iperuranio, nemmeno come riflessione filosofica durante in cineforum o come ipotesi enigmistica in un gioco di società. Ho già parlato di questa mia repulsione da qualche parte, perché è nella top ten delle mie ossessioni, ma ribadisco il concetto.
Non reggo l'idea di toccare fucili o pistole in nessuna situazione, anche se sto affrontando l'argomento proprio ora, in preda a un attacco di masochismo. Mentre scrivo, tento di sopprimere l'immagine dell'arma nel mio pugno, ma il mio flusso di coscienza è indisciplinato. Ricado nella condizione paradossale di chi cerca di non pensare al porpora e quel colore, come per dispetto, diventa lo scenario di qualsiasi parto della mente.
L'arma è l'antimateria che può farmi scomparire nel nulla.
Mi attengo al seguente precetto: io da una parte, l'oggetto che spara in un mondo parallelo. Così nessuno si farà male, letteralmente.
Vista la mia curiosa idiosincrasia per stragi e cose simili, posso vagamente intuire l'abissale sconforto dei giovani russi e ucraini mandati a combattere contro la loro volontà.
Al loro posto mi ubriacherei a morte durante il viaggio verso la prima linea. Se in simili circostanze mi offrissero una siringa caricata con oppioidi e Quaalude, potete scommettere che mi bucherei il braccio in meno di un nanosecondo per non pensare al mio destino. A furia di drogarmi, farei impallidire persino gente della pasta di John Belushi, prima di soccombere all'inevitabile overdose.
Le alternative esistono: scappare chissà dove oppure opporsi a viso aperto, subire un arresto e finire in carcere, per poi subire i soprusi di guardie poco compassonevoli in celle sovraffollate.
Nel caso di ribellione sono da mettere in conto anche le torture e le condanne a morte. Durante la guerra, la retorica patriottarda scorre a fiumi e la diserzione diventa il tradimento supremo. Non puoi aspettarti di essere trattato con i guanti, se getti il fucile in un fosso.
Avrei il coraggio di essere un oppositore che sfida il sistema a viso aperto e si prepara ad affrontare terribili conseguenze? Difficile rispondere. Non voglio conferire a me stesso premi e attestati di merito psichici per atti eroici che non ho commesso.
Forse, semplicemente, tenterei la fuga insieme a una moltitudine.
So solo che tante persone si oppongono, si sottraggono alle armi, disertano.
Ma al loro posto non saprei dove scappare, perché qualsiasi cartina geografica mostra con implacabile chiarezza che esistono stati e confini.
Dobbiamo offrire un rifugio a chi brucia la divisa, invece di raggiungere nuove vette di perfezione nel voltare la testa dall'altra parte.
Apriamo le nostre deplorevoli frontiere per proteggere i disertori russi e ucraini.
Facciamo risuonare il nostro barbarico yawp sui tetti del mondo per chiedere che ottengano lo status di rifugiati.
Finora questo tema è rimasto troppo ai margini del dibattito pubblico.
Portiamola avanti come si deve, senza dimenticare le basi, questa lotta antimilitarista.
[L'Ideota]
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ilsalvagocce · 2 years
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pausa
mangiavo una susina, appoggiata al davanzale della camera. ho guardato in alto a destra, un po' protesa dalla finestra, e ci stava una signora anziana. da giorni c'è trasloco verso quell'appartamento in alto con la gran terrazza — per le novità e le case a posto, rinfrescate ridipinte, col terrazzo e in alto, la casa più alta di tutte, un po' invidiabile, t'immagini sempre in arrivo una giovane coppia, una famigliola nuova di zecca — e invece la prima nuova arrivata e vista è lei, in tuta di pile, quelle comode con la zip, blu, le riconosco, le ho comprate, con quel tono di blu, un blu vano, piano, senz'ardore, che non scombini l'equilibrio, sobrio, quasi un non-blu più. con una mano appoggiata alla ringhiera, si muoveva lenta, come quando ragioni su ogni centimetro del tuo corpo che si sposta nel gran spazio del tempo lento. un tai chi canuto, stavo a guardare.
e lei guardava giù, guardava attorno, non vedeva me, piano, piano pure questo, chissà che pensava chissà come vede questa nuova sua casa, dove l'han portata, l'han portata assieme a loro, lei con la mano sulla ringhiera e l'altra mano sul deambulatore scintillante.
avrei voluto mi guardasse, o chiamarla, chissà poi però che effetto le fa, un contrappunto del suo muoversi lenta collo clavicola gambe, ombra delle ginocchia che han lasciato la forma nel pantalone di tuta blu-invano di pile, lei che sta sempre seduta, riesco a vederla, nello spazio.
posso vedere mamma ovunque, scorgo una testa bianca che si muove piano nello spazio lenta, quando nessuno la guarda, e io mi chiedo, e io mi innamoro, mi dedico, sento le mie energie vòlte a guardarla, a guardarla fino alla fine — questa volta fino alla fine della susina, fino alla fine dell'angolo visibile da dietro la mia finestra, non devo perderla d'occhio, non devo perderla d'occhio
(scoprirò il suo nome prima o poi, la chiamerò)
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La spiaggia, Cesare Pavese
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"La notte, quando rientravo, mi mettevo alla finestra a fumare. Uno s'illude di favorire in questo modo la meditazione, ma la verità è che fumando disperde i pensieri come nebbia, e tutt'al più fantastica, cosa molto diversa dal pensare. Le trovate, le scoperte, vengono invece inaspettate: a tavola, nuotando in mare, discorrendo di tutt'altro".
Pavese , come per i grandi autori e le grandi autrici, è senza mezze misure: una volta letto, o lo si ama alla follia, o lo si evita. Nel mio caso, posso dire che sia stato un amore a prima vista della mia prima gioventù, nato attraverso la lettura, tra le lacrime, prima delle sue poesie, poi, in età adulta, della prosa — di molte penne mi sono innamorata così, passando prima per la poesia che per la prosa. Non mi sono mai trovata d'accordo, infatti, con il buon Pasolini, che in una famosa intervista afferma come Pavese, per lui, non sia altro che uno scrittore mediocre. Mediocre ovviamente se si concepisce la scrittura come finalizzata all'impegno. Non che Pavese non lo faccia, al contrario: fine conoscitore dell'animo umano e delle sue passioni, tra le righe della sua scrittura, anche nei punti apparentemente più leggeri o frivoli, aleggia un costante senso di inadeguatezza; ai tempi, ma anche e soprattutto nei confronti delle persone. “L'esule in patria”, qualcuno l'ha definito: mai completamente parte di un tutto, troppo costretto nel tutto di quei rapporti umani deturpati da ipocrisia e perbenismo. Per questo è scappato, soprattutto dalla vita — e non solo dal Belpaese per inseguire, prima dei tempi, un istrionico sogno americano. Anche se, onestamente, nessuno possa dire cosa spinge una mente a lasciare la vita. Ce lo avrebbe dovuto dire lui. Quello che possiamo fare è provare a cercare risposte tra le pagine dei suoi libri, delle sue memorie, dei suoi schizzi poetici.
Per quanto sia a tutti gli effetti un bozzetto che sembra ricalcare le atmosfere de La bella estate , La spiaggia contiene, in piccolo, tutto questo. In piccolo perché si tratta di un racconto lungo che avrebbe potuto arricchire la raccolta, appunto, de La bella estate o di Feria d'agosto . Proprio per questo, la storia è semplice e assente di uno sviluppo o di qualche colpo di scena: un quadretto estivo che ritrae la villeggiatura del protagonista, professore di italiano in un liceo torinese, del quale non sappiamo il nome; Doro , suo amico d'infanzia, e Clelia, la moglie di quest'ultimo. Sullo sfondo, si alternano bagni al tramonto, quando la spiaggia è ormai quasi vuota e gli ombrelloni ormai quasi tutti chiusi, e cene con gli amici di una vita tra risate, ricordi delle stupidaggini commesse in giovinezza e pettegolezzi. Una fiera delle vanità versione riviera ligure. Lo sciabordio della risacca sembra nascondere le confidenze oggetto delle conversazioni tra i bagnanti che individuano il protagonista, un uomo pragmatico che sembra nascondere, dietro un certo distacco, un bisogno profondo di caloreumano. Per quanto sempre parte delle conversazioni o partecipe di ogni situazione mondana, se ne taglia sempre fuori con quell'occhio vigile “alla Pavese”, ovvero lo sguardo di chi coglie più i non detti e le parole sparse, che le parole retoriche e vuote. È quello che fa osservando Clelia e Doro. Coppia di novelli sposi, per lui non sembrano amarsi. Non ricorda, infatti, che tra loro ci sia mai stato l'amore vero. I due sembrano animati da una profonda individualità , dalla quale però sembrano non poter scappare. O non voler scappare. Con la schiettezza più semplice, il protagonista lo chiede, a Clelia, se siano innamorati, se abbiano litigato. Clelia lo guarda e sembra non capire. È la sorte degli animi sensibili, non essere compresi.
Quello tra i due, il protagonista e Clelia, è un rapporto che, nella sua semplicità , sembra essere autentico e non intaccato dall'ipocrisia sociale che tiene in piedi tutti gli altri rapporti di contorno di questa vacanza. A dirla tutta, il tempo sembra quasi cristallizzarsi , nei loro discorsi. È ciò che Pavese fa in ogni sua scrittura: cristallizza l'affetto per preservarlo ed evitare che si assottigli a mera cordialità. Sotto ogni loro dialogo si nasconde — e nenche troppo — un'arguta, e al contempo aspra, critica sociale: il matrimonio visto come la tomba di ogni passione, le donne come frivole e prive di spirito critico, i corteggiamenti come ragazzate.
Lo sa Berti , uno studente del protagonista, anche lui in villeggiatura in riviera ligure e invaghito di Clelia. Questo interesse rimarrà tale, non avrà un seguito, anche se sembra non spengersi, neanche a seguito di un evento che cambierà per sempre la vita dei due coniugi. È un romanzo piano , e ciò che colpisce non sono i dialoghi o la storia, ma ciò che rende, a mio modesto parere, Pavese un grande, ovvero la sua capacità di ritirare in ballo una sorta di romanticismo decadente , vale a dire una natura , quella del mare, in grado di farsi espressione del pensiero intimo dei suoi attori. Qui il mare è cosa ben diversa dalla spiaggia, perché la spiaggia non è altro che il palcoscenico della mondanità, dove si mettono in scena i giochi della socialità dei prossimi anni '50, il mare è, come si suol dire, la cosa giusta al momento giusto, l'unica entità , quasi dotata di pensiero anch'esso, dove i protagonisti si spogliano delle loro maschere e riescono ad essere liberi dalle convenzioni.
Lo dice anche Clelia: il mare è l'unico posto suo, dove si sente libera, dove vuole essere libera.
Dove può esserlo.
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libero-de-mente · 1 year
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AAA OFFRESI COMPAGNO DI CHAT
Sei una single? Ma non vuoi impegnarti troppo per questo San Valentino? Ti offro la mia presenza in chat o su altri social per questo giorno fino alle ore 0:00, poi amici come prima. O anche meno.
Offersi servizio di messaggeria in funzione ai vostri disagi mentali, un esempio delle mie offerte:
- ChattAnsia Ti chiederò se hai prenotato il tavolo per questa sera, se vicino a una finestra e in un angolo perché odio stare al centro. Poi tutti ci guardano. Mi farò paranoie per sapere se i fiori che ti regalerò saranno di tuo gusto; senza dirti che fiori saranno perché sarà una sorpresa. Sarai mica allergica a qualche ingrediente dolciario, neh?! Che io la torta l'ho già comprata. La chat sarà così ansiosa che avrai in omaggio una confezione di Xanax.
- Chat del delirio Ti scriverò "Ti amo", ma subito dopo sospetterò che tu stia scrivendo "ti amo" a un altro. Comincerò con una serie di domande psiconevrotiche per portarti alla confessione. Sarò convinto che avrai un'App che ti permetterà di accedere alla mia fotocamera e di spiarmi. Quindi chatterò con te indossando un passamontagna o la maschera di Guy Fawkes, a te la scelta.
- Chat Depressa Scriverò parole smielate per te in chat, anche se so che non te ne fregherà nulla di me stesso. Anzi se per caso tu dovessi rispondermi te lo farò notare con frasi del tipo "ah, ma allora esisto", "uh, ma allora mi noti". Tanto ti perderò, mi lascerai prima della mezzanotte, ne sono sicuro guarda, alle 23:59 mi scriverai "tra noi è finita". Avrò un minuto per scriverti che mi imbottirò di psicofarmaci per farti sentire in colpa. Però io ti amavo, sappilo.
- Chat da dipendenza affettiva Non so manco se scriverti in chat, io mica ti merito sai? Fai bene a non rispondermi, sei troppo bella. Potrai scrivermi frasi del tipo "lasciami in pace", "ma chi te conosce"... si puoi avere di più ma io sarò sempre ai tuoi piedi. Se vorrai fare sesso virtuale senza sesso, quindi solo virtuale, a me va benissimo. tanto non ti merito.
- Chat del narcisista Qua ti volevo. Si proprio in chat con me, dove pensi di andare? Uno come me mica lo trovi dietro l'angolo sai? Una come te invece si trova a ogni angolo della strada, anche sotto i lampioni. Se ti senti figa è solo grazie alle mie attenzioni cosa credi? Il tavolo migliore al ristorante a chi lo hanno riservato se non a me? Sai che quando ci serviranno le portate, stesse pietanze scelte per entrambi, le mie saranno più buone delle tue? Sai perché? Te lo dico subito: gnè gnè gnè. A mezzanotte chiuderò con un "mi rimpiangerai e non sai quanto". Salvo poi che tu a 0:01 mi riempirai di insulti, anzi verrai a casa mia a prendermi a schiaffi, sembrerai la dea Kalì tante saranno le sberle che mi prenderò.
- Chat ossessiva Mi scriverai che mi ami, ma io mi chiederò se davvero mi ami. Mi scriverai che questa sera indosserai un intimo comprato apposta per l'occasione, ma io dubiterò che tu l'abbia comprato durante i saldi di gennaio. Se faremo sexting dovremo stare attenti, potrebbero spiarci gli hacker. Occhio che poi finiamo su TikTok e ci "paraculano". Ma sarai davvero da sola? Ma la tua igiene personale è davvero decente? Ma hai davvero l'età che mi hai detto? Non è che per caso ti chiami Ugo?
- Chat del panico Ti scrivo. Tu mi risponderai. Io andrò nel panico perché non mi aspettavo di certo una tua risposta. E se poi non ti piaccio?Dalla mia risposta sono passati tre secondi e ancora non ti vedo scrivere, oddio mi hai già lasciato? Per questa sera non mangerò verdure, pensa se mi si dovesse infilare della rucola tra gli incisivi, non aprirei più la bocca. Ti parlerei da ventriloquo. Ti bacerei da ventriloquo con un bacio a stampo. Poi mi rispondi che eri stata impegnata in bagno, mi rassicuro, perché sei andata a depilartela per questa sera, torno nel panico... magari dovrei depilarmi anche io, giusto  per guadagnare quei due centimetri dal punto di vista ottico. Implodo, a mezzanotte non ci arrivo vivo.
- Chat dello stress Prima di cominciare sarà mio impegno far passare tutti i tuoi post dal 2009 a oggi. Dovrò sapere tutto di te. Vita, morte e miracoli. Si morte tanto per dire neh?! Ti invierò a casa mia per cena, come primo ti preparerò quella ricetta di Giallo Zafferano che postasti sul tuo profilo il 15 marzo del 2014 scrivendo "Mamma che bontà"; per secondo ho visto quel tuo reel su Instagram dove fai vedere una ricetta di Gordon Ramsay dove lui sbraitava "questo è crudo" e poi, come nel video, lancerò il piatto a terra spaccandolo. Saprò a memoria i tuoi gusti e i tuoi disgusti e quando mi racconterai qualcosa su di te fingerò stupore, perché tanto lo sapevo già... hai scritto tutto su di te suoi social.
- Chat del bornout Ti scriverò che ti amo più della mia stessa vita. Tanto manco mi risponderai.Un senso di fallimento totale mi pervaderà.Non sei più tu lo sai? All'inizio della chat eri diversa. Ti manderò dei nudes senza convinzione. Mi manderai dei nudes ma sarò poco convinto. Non saremo convinti di nulla. Anzi le nostre risposte ci daranno fastidio reciprocamente. Chiuderemo definitivamente con dieci minuti d'anticipo sulla mezzanotte. Mica ti reggo fino a quell'ora. Tu lo stesso di me.
- Chat del fobico Ti scriverò titubante. Ma tu romperai subito il ghiaccio e "zac" una foto di un tuo seno in chat. Ora ho paura ad aprire la chat e se mi arrivasse l'altro seno? Due non li reggo, mi scopro con la fobia del seno grosso. Ti riveli in tutto il tuo splendore in una foto nuda, scrivendomi che non vedi l'ora di essere posseduta. Niente mi riscopro afefobico. Mi scrivi un lunghissimo post per tranquillizzarmi, peccato che soffro di hippopotomonstrosesquipedaliofobia. Allora mi mandi un vocale, soffro di misofonia. Mi mandi a fare in cul0 ma soffro di genofobia. Mi mandi una foto della tua gnagna con scritto "scordatela", a me va bene soffro di coitofobia.
Per altre patologie ho un catalogo più vasto, come per esempio la "Chat Freud", per chattare su WhatsApp prego inviarmi il proprio numero su privato (santissimo cielo stellato l'ho scritto davvero).
Tariffe buone.
Nel senso che pago io. Eccheccazzo sono un cavaliere!
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Hey… sono sempre io.
Sono nel nostro letto, quello che abbiamo condiviso per tanti anni
Guardò il tramonto fuori dalla finestra e penso a te
A tutte le notti che sono rimasta sveglia ad aspettarti
E a tutti i tramonti che ho visto da sola da quando mi hai lasciata
Il tramonto simboleggia la nostalgia
Mi piace guardarlo perché mi ricorda di te e della nostalgia che provo
Il tramonto mi fa percepire “la fine”
Un po’ come noi
La fine di una giornata, la fine di un legame
La differenza tra noi e il tramonto è solo una
Il tramonto tornerà di nuovo ad illuminare lievemente la nostra camera, domani, dopodomani e il giorno dopo ancora
Tu, invece… non tornerai mai più
Ma se per caso un giorno qualsiasi, di questa mia lunga vita, dovesse passarti in testa di venirmi a trovare, sappi che per me sarà il dono più grande
Perché mi manchi
Perché la vita senza te è ogni giorno più dura
E per quanto io possa fingere che vada tutto bene
Per quanto io possa fingere che il futuro non mi spaventi, un futuro senza te
Beh, sappi che non è così
La paura mi divora da dentro ogni giorno
La paura di non essere abbastanza, di non esserne all’altezza
La paura di non riuscire mai nella mia vita a raggiungere i miei obbiettivi
La paura che una vita senza te, possa essere interminabile
Nonostante la paura, la nostalgia, la mancanza, sono qui, ancora nel nostro letto, a guardare fuori dalla finestra, il meraviglioso panorama m del nostro giardino irradiato dalla fioca luce del tramonto, che ogni minuto che passa diventa meno radioso
Il cielo sta diventando cupo, un po’ come la mia vita da quando non ne fai più parte
Se potessi abbracciarti un’ultima volta, se potessi parlarti un ultima volta, ti direi solo questo: ovunque andrai, ovunque sarai, in qualsiasi momento del giorno o della notte, pensami, perché io ti avrò sempre nella mia testa, fino al mio ultimo respiro, fino all’ultimo istante di questa vita, e forse… anche oltre
Le tue braccia attorno al mio corpo, in un caldo abbraccio, erano per me un porto sicuro.
Ora sono sola, con le mie paure
Tu sapevi come curare ogni male
E ogni mia insicurezza svaniva alla sola tua vista
Perché infondo, qualsiasi problema avessi, tu avevi la soluzione a tutto
Non c’era bisogno che parlassi, perché guardando nei tuoi occhi riuscivo già a capirti
La notte è ormai vicina, si è concluso un altro giorno senza te, domani tornerà il mio caro tramonto, nel quale vedrò riflesso il tuo volto
Buonanotte, angelo mio ❤️
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tecnoandroidit · 1 month
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Vasco Translator V4: l'unico dispositivo che ti farà parlare 108 lingue in meno di 5 minuti
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Immagina di avere in tasca un piccolo mago capace di far parlare 108 lingue attraverso la funzione di traduzione da foto e 76 lingue con la traduzione vocale, pronto a darti una mano nei momenti in cui le parole sembrano muri troppo alti da scalare. Questo è il Vasco Translator V4, un dispositivo che sembra uscito da un futuro in cui nessuno è più straniero. Non è magia, è tecnologia al suo meglio. Il Vasco V4 fa affidamento su 10 motori di traduzione per assicurarti non solo di essere capito, ma di sentirti anche un po' come un cittadino del mondo, senza barriere. La sua facilità d'uso è disarmante: niente manuali da studiare o app complicati da scaricare. È come accendere la luce: naturale e immediato. Il cuore di questo piccolo genio è l'interfaccia su uno schermo da 5 pollici e una batteria che non ti lascia a piedi, dura fino a cinque giorni. E se pensi che sia tutto qui, aspetta di sentire della funzione MultiTalk: una torre di Babele al contrario, dove fino a 100 persone possono capirsi e parlarsi, ognuno nella propria lingua. È come avere un interprete personale che non si stanca mai. E se sei preoccupato per la privacy, sappi che ogni parola che scambi attraverso Vasco è custodita come un segreto, grazie a un server sicuro e conforme alle leggi sulla privacy. Non importa se piove o se il dispositivo prende qualche colpo, Vasco è robusto, pronto ad affrontare piccoli incidenti di percorso. Design e Materiali Il Vasco Translator V4 è un esempio di come il design e la tecnologia possono confluire per creare un dispositivo funzionale, esteticamente gradevole e pratico per l'utente finale. Questo traduttore portatile si distingue non solo per le sue capacità tecniche avanzate ma anche per un design attentamente studiato che mira a soddisfare le esigenze di chi viaggia frequentemente o si trova a interagire in contesti multilinguistici. Dal punto di vista estetico, il Vasco Translator V4 presenta un aspetto moderno e minimalista, che ricorda quello di uno smartphone, sebbene le sue funzionalità siano specificamente orientate alla traduzione. L'interfaccia utente è progettata per essere intuitiva, con uno schermo da 5 pollici che offre una visualizzazione chiara e accessibile delle informazioni. Il dispositivo è disponibile in cinque colorazioni. Per quanto riguarda i materiali, il Vasco Translator V4 è costruito per essere resistente e durevole. Le sue dimensioni sono di 15x6x1cm. Le dimensioni compatte e il peso contenuto del dispositivo sono elementi chiave che ne facilitano il trasporto, rendendolo un compagno di viaggio ideale che non appesantisce i bagagli. Funzionalità e test Tenendo in mano il Vasco Translator V4, si ha immediatamente l'impressione di essere davanti a una finestra aperta sul mondo. L'esperienza d'uso di questo dispositivo è come avere un interprete personale sempre a disposizione, capace di abbattere le barriere linguistiche con un semplice tocco. Iniziando dal suo cuore tecnologico, il Vasco V4 offre la possibilità di comunicare in 108 lingue diverse, garantendomi così di poter interagire con il 90% della popolazione mondiale. Durante l'uso, ho notato come questa capacità non sia solo una promessa: tradurre una conversazione con un collega che parla una lingua completamente diversa dalla mia diventa un gioco da ragazzi. La conversazione fluisce quasi naturalmente, grazie anche alla pronuncia madrelingua che rende tutto più autentico e comprensibile. Traduzione da foto Una delle funzionalità che trovo particolarmente rivoluzionaria è la traduzione da foto. Avere la possibilità di scattare una foto a un menù in un ristorante o a un cartello informativo e ricevere immediatamente la traduzione nel proprio idioma cambia completamente l'approccio al viaggio. Internet gratis L'assenza di costi aggiuntivi per la connessione internet è una vera e propria svolta. Il Vasco V4 include infatti Internet gratis a vita, funzionando in quasi 200 paesi. Questo significa che non devo preoccuparmi di tariffe di roaming o di cercare disperatamente Wi-Fi. È un dettaglio che non solo rende il Vasco V4 economicamente vantaggioso ma amplifica la sua utilità in ogni angolo del globo. Display chiaro L'ergonomia del dispositivo merita una menzione speciale. Con il suo schermo ampio da 5 pollici, leggere i testi tradotti è comodo e non affatica la vista, rendendo l'interazione con il dispositivo piacevole anche per periodi prolungati. Robustezza La robustezza del Vasco V4 è un altro punto di forza. Sapere che posso portarlo con me in ogni avventura senza il timore che si danneggi alla prima pioggia o caduta mi dà una grande tranquillità. Questo traduttore simultaneo vocale è costruito per resistere all'acqua, agli urti e alla polvere, qualità indispensabili per chi, come me, ama viaggiare senza limiti. Autonomia Il dispositivo è stato progettato per offrire fino a 5 giorni di autonomia con una singola carica completa. Noi di tecnoandroid.it lo abbiamo testato stressandolo e siamo riusciti ad arrivare solamente a 3 giorni di autonomia durante il MWC 2024. Conclusioni Nel valutare il Vasco Translator V4, è essenziale considerare il contesto più ampio del mercato dei traduttori elettronici, un ambito in rapida evoluzione che cerca di colmare le distanze linguistiche in un mondo sempre più connesso. Con un prezzo di 399 euro, disponibile per l'acquisto su piattaforme come Amazon, il Vasco V4 si posiziona come un dispositivo di fascia media-alta, mirando a offrire una soluzione completa e affidabile per i viaggiatori, i professionisti e chiunque abbia la necessità di superare le barriere linguistiche. La durata della batteria fino a 5 giorni rappresenta un altro punto di forza significativo, offrendo agli utenti la libertà di esplorare senza la costante necessità di ricarica. Inoltre, la resistenza dell'apparecchio all'acqua, agli urti e alla polvere ne sottolinea l'adattabilità a una varietà di contesti e condizioni d'uso, rendendolo un alleato affidabile nelle avventure più audaci. Nonostante questi indiscutibili vantaggi, il Vasco V4 non è esente da limitazioni. La necessità di una connessione internet per la traduzione accurata potrebbe rappresentare un ostacolo in aree dove la copertura di rete è scarsa o inesistente, nonostante la soluzione parziale offerta dalla connettività Wi-Fi. Inoltre, il dispositivo, pur essendo uno strumento potente per la traduzione di conversazioni, foto e testi, non è adatto alla traduzione di contenuti complessi come film, conferenze o canzoni, delimitando così il suo campo d'applicazione. Read the full article
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valentina-lauricella · 11 months
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Nota a un passo delle « Ricordanze » (V. 84-87).
Ho riletto parecchie volte questo mirabile canto del Leopardi, e ho provato sempre un sentimento indefinito di compassione per l'infelice poeta, ho sentito d'amarlo e ho sofferto con lui; ma lo confesso candidamente, non ho mai fermato di proposito la mia attenzione sopra le singole parti del lavoro. Ho abbracciato tutto con uno sguardo, senza curarmi d'esaminar minutamente l'opera d'arte, ciò che invece farebbe chi dovesse darne un giudizio critico: m'è accaduto, insomma, precisamente come accade dinanzi un bel quadro d'artista, dove non si va a guardare ogni figura di per sé, ma s'osserva e s'ammira tutto l'insieme. E, com'è naturale, ho sempre creduto d'aver ben capito ogni cosa, d'aver avuto netto e distinto in mente il concetto del poeta. Un articolo di Giovanni Federzoni però , pubblicato su la «Roma letteraria» del 25 agosto 1897, m' ha fatto accorto che a un certo passo non ci vedevo punto chiaro come mi sembrava. Ecco: il poeta è presso la finestra della casa paterna, e pieno di quella mestizia che suole entrar nell'animo su la sera, in un luogo dove tutto ci parla d'un caro tempo passato, contempla le vaghe stelle dell'orsa, guarda i cipressi che lievemente scuotono la chioma al vento, e ascolta da lungi il suon dell'ore che vien dalla torre del borgo. Oh, quante care immagini gli ridesta nella mente lo stormir delle foglie e l'onda sonora delle campane, che si disperde al vento. Ma tutto fu un sogno, le speranze, ameni inganni della prima età, son tutte svanite; ed ora gli sta dinanzi soltanto la triste realtà, e bene intende, il poeta, che non ha la vita un frutto, inutile miseria.
E sebben vòti son gli anni miei, sebben deserto, oscuro il mio stato mortal, poco mi toglie la fortuna, ben veggo.
Qui sta il busillis. Questi versi, a prima vista, sembra che manchino di logica: se bene io non abbia nulla, la fortuna mi toglie poco. Come, si domanda il Federzoni, che forse è stato il primo a trattar seriamente la questione, come, non dovrebbe dire: «appunto perchè vòti son gli anni miei (non sebbene), la fortuna mi toglie poco?» Vediamo. I commentatori (beati loro !) sembra comprendano a bastanza bene il concetto del poeta, e anche nelle note, accennando di sfuggita a ciò che intende dire il Leopardi, lasciano tal quale la questione: così il D'Ancona e il Mestica. Lo Straccali invece mostra d'aver compreso che il passo non è tanto facile da capire, ma per spiegarlo poi salta fuori dicendo che si potrebbe intendere la proposizione concettiva come proleptica: sicchè il periodo, secondo lui, verrebbe a questo modo: «La fortuna, ben veggo, mi toglie poco, sebbene per questo suo furto, e cioè per questa morte in me d'ogni illusione, i miei anni vengono a esser vuoti». Lasciando stare che anche in questa maniera il periodo non è punto chiaro, evidentemete il pensiero del poeta, così vien trasformato, viene svisato addirittura: non si capisce perchè il Leopardi (e questo osserva anche il Federzoni) avrebbe posto in fine una proposizione (la fortuna mi toglie poco) che, secondo la grammatica e la logica, sarebbe dovuta andar innanzi. L'opinione dunque dello Straccali, che del resto ha commentato egregiamente altri passi difficili del poeta, non si può accettare.
Il Fornaciari finalmente (e oltre questi citati non ho consultati altri), nella sua edizione di «Canti scelti» Barbèra, 1895, non crede nè anche opportuna una spiegazione a questi versi, tanto debbono esser chiari per lui, che pure ha letto lo Straccali; solo osserva: «non ha la vita un frutto ecc. Questi versi contengono l'essenza della disperazione leopardiana. Voti, inutili, oziosi,» e null'altro. Pure il significato de' versi citati è tutt'altro che evidente. O dunque? Io non voglio concludere addirittura come fa il Federzoni, che il Leopardi abbia commesso qui un grave errore di ragionamento e di costrutto, perché mi sembra impossibile che l'autore di «Ricordanze» a questo punto non sia stato consapevole né men lui di quel che si dicesse: a meno che però non si voglia credere che il Leopardi abbia composto le «Ricordanze» per un semplice esercizio rettorico, tanto per non perder l'abitudine di contar su la punta delle dita i versi endecasillabi. E quindi ho tentato di dare a questi difficili versi una interpretazione, che naturalmente mi sembra fin ora la migliore: se alcuno degli assidui della «Gazzetta» vorrà suggerirmene un'altra più semplice e più precisa, glie ne sarò gratissimo. Rileggiamo dunque le «Ricordanze» pochi versi prima del passo in questione (v. 77-84). O speranze, speranze; ameni inganni della mia prima età! sempre, parlando, ritorno a voi; ché per andar di tempo, per variar d'affetti e di pensieri, obliarvi non so. Fantasmi, intendo, son la gloria e l'onor; diletti e beni mero desio: non ha la vita un frutto, inutile miseria. Fermiamoci bene in mente questo: il poeta ha capito benissimo che la gloria e l'onore a questo mondo non son altro che chimère e fantasmi, e diletti e beni non altro che un semplice desiderio, il quale rimarrà pur troppo insoddisfatto. Ora dice il poeta, se bene gli anni miei siano privi di qualunque diletto, di qualunque consolazione, di qualunque felicità, siano vòti; e se bene il mio stato mortale, questa mia povera vita così travagliata e angustiata sia oscura e priva d'ogni gloria e d'ogni onore, mi manca ben poco, perchè tutte queste cose di cui la fortuna m'ha privato, non son altro che fantasmi e mero desio: mi sembra che in questo modo si possa scorgere chiaro il concetto del Leopardi ne' versi citati: E sebben vòti son gli anni miei, sebben deserto, oscuro il mio stato mortal, poco mi toglie la fortuna, ben veggo. Ed ora la parola a chi vorrà occuparsi d'una questione che non mi sembra senza qualche importanza.
Giovanni ZANNONE.
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Mira che ’l tempo vola, E poca vita hai persa ancor che tanto Giovanetta sei morta. Ma molto più che misera lasciasti E nequitosa vita Pensando ti conforta; Però che omai convien che più si doglia A chi più spazio resta a la partita.
(Da "Nello strazio di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte di un chirurgo", 1819)
Hai perduto i diletti del mondo. consolati è cosa infelice questa vita. Ne hai un es. nella tua stessa sventura.
(Dall'Abbozzo del medesimo Canto)
Ben prima che nelle Ricordanze, già nel 1819, Leopardi ha chiaro il concetto che, per quanto una vita sia breve, il fato non toglie niente a chi la vive, giacché una vita corta e una lunga sono, entrambe, come punti a confronto del nulla. La vita stessa, in quanto parvenza e agitazione momentanea dell'imperscrutabile tutto-nulla, non appartiene di diritto all'essere, ma al non essere: affacciarsi alla vita è già non-essere. La vita umana è coscienza del nulla.
I diletti, pur presenti nella vita, sono ben poca cosa e di fatto vengono nullificati dalla sostanza di essa che è l'infelicità.
L'onore e la gloria, pur se raggiunti, non tolgono alla vita il suo essere "nulla", poiché sono parvenze, anch'esse destinate a svanire e vane anche nel momento in cui le si desidera e le si raggiunge, poiché tutti i desideri umani sono vani, salvo quello della felicità, la quale però è irraggiungibile.
Sempre sottesa è nel Leopardi l'invidia per chi è morto o non è mai nato. Per coloro che stanno vivendo contemporaneamente a lui, e per coloro che nasceranno, prova pietà, e infatti a loro volge la consolazione del proprio canto. Un essere di cui sembra non deplorare la nascita e l'esistenza futura, qualora essa non sia già trascorsa in altre epoche e mondi, è quel fantasma di donna che egli chiama "la sua donna", l'unica che possa corrispondergli e che gli farebbe preferire alla morte, la vita e, innalzando questa ad un livello prossimo all'ideale ed introducendolo ad una condizione di beatitudine divina, strapperebbe forse l'esistenza al pervasivo "nulla". Ma quest'ultima resta nient'altro che un'ipotesi, una scommessa, poiché questa donna superumana ha ben poche probabilità d'incarnarsi e palesarsi al poeta. A meno che questa "donna" non sia la stessa Poesia.
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herimperfectlife · 1 year
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Capitolo tre
Dicono che il primo giorno di college non si scorda mai… beh, vedremo. Il momento tanto atteso è finalmente arrivato! Devo ammette che lasciare casa degli zii non è poi così facile come avevo immaginato, mi stavo abituando a queste quattro mura e agli schiamazzi di due bambine di 6 anni in giro per casa. Sta tutto in una valigia extra large e uno zainetto dell’Eastpak. Tutta la nostalgia passa subito alla vista spettacolare del campus. Una serie di zone verdi costeggiano gli appartamenti, con panchine ad ogni portone per sedersi a pranzare velocemente o leggere un libro all’aria fresca.
La stanza che mi tocca è piccola ma confortevole. La finestra è subito di fronte l’entrata e rende l’ambiente luminoso, sotto vi è una lunga scrivania e poco distante due letti sono posti uno di fronte all’altro. Sulla destra una mini stanzino fa da armadio e subito dopo vi è il bagno con le piastrelle color acquamarina. Wc, lavandino e una doccia in cui è possibile muoversi a malapena; beh almeno è in camera. Sembra poco ma una gran parte della retta va solo per la camera.
La mia compagna di stanza non è ancora arrivata quindi cerco di sistemare le mie cose lasciando abbastanza spazio anche per lei. Con un po’ di organizzazione e mezza giornata passata così riesco a finire tutto. La sveglia sul comodino segna le sei del pomeriggio e mi tocca accendere la luce dai toni aranciati ormai che sole non è più all’orizzonte. Inizio ad avere anche fame, non mi sono neanche resa conto di aver praticamente saltato il pranzo. Non ho praticamente nulla in camera con me, ma l’abbonamento alla mensa mi salverà la vita. “Fa che non sia polpettone” spero tra me e me.
Contro ogni previsione trovo pollo, patate e insalata. Non mi lamento, non è la pizza di Domino’s ma non è neanche niente male. Benvenuta in un nuovo capitolo della tua vita June! Mi manca Sandy seduta accanto a me nel nostro solito tavolo, lei che è volata a New York per studiare alla Juliard. Per stasera mi tocca mangiare da sola visto che non conosco ancora nessuno. Non sono mai stata popolare però avevo il mio piccolo gruppo di amici con cui condividere un caffè il sabato pomeriggio. Poche feste, mai nessuna in realtà. Ho sempre odiato questo genere di cose e lo ammetto, non hai mai assaggiato qualcosa oltre la birra.
Alla fine quel piatto abbondante mi ha anche saziata per cui decido che è ora di andarmi a riposare in vista dell’inizio delle lezioni. Il resto degli alluni sta iniziando a raggiungere il campus e i corridoi sono molto più popolati di quando li ho lasciati un’ora fa. Si sentono schiamazzi e musica provenire dalle varie stanze. La mia è la 333, un numero particolare e intrigante che spero mi porti fortuna. “I can buy myself flowers…” si sente provenire dalla stanza mentre sto ancora aprendo la serratura. All’interno la mia nuova compagna di stanza sta ballando mentre sistema i libri sulla scrivania, è girata di spalle e non si è neanche accorta della mia presenza. Ha indosso solo una canottiera nera e un perizoma con le ciliegie che si abbinano ai capelli ramati che porta a caschetto, perfettamente allineati sopra le spalle. Quando si gira gli occhi verdi le si spalancano per la sorpresa.
Mi sento improvvisamente in imbarazzo. «Scu scusami, sono June la tua compagna di stanza» balbetto.
Le si arriccia il naso, incorniciato da un sacco di lentiggini. «Io sono Mara, piacere!»
«Scusami se ti ho disturbata» le dico.
«Ma figurati, sto solo cercando di mettere le cose in ordine… non è il mio forte e mi dispiace se lo capirai», risponde.
«A me piace tenere in ordine, non è un problema», cerco di essere cordiale ma ho qualche dubbio che questa convivenza possa sempre filare liscia come l’olio.
«I can take myself dancing, I can hold my own hand» continua a cantare, con una naturalezza unica «conosci questa canzone? Miley ha praticamente asfalto il suo ex».
«Non l’avevo ancora sentita» dico, per non ammettere che in realtà non m’interessano questo tipo di gossip e con il mio unico ex siamo ancora migliori amici.
Restiamo a parlare un altro poco del più e del meno mentre ripone le ultime cose sugli scaffali. A luce spenta sento ufficialmente il peso di questa giornata e la solitudine di un posto nuovo.
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spritzapeiron · 1 year
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FRULLATO DI SOGNI AL LATTE
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Latte, sogni e milkshake
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Un ignorante d’arte contemporanea (e non solo) si interroga sul senso dell’arte contemporanea (e non solo)
di Giovanni Aldegheri
Sono qui a scrivere questo breve - quasi telegrafico - articolo, anche se di arte so poco, quasi niente. A maggior ragione di arte contemporanea che resta infatti per me, come per molti, in qualche maniera indecifrabile, ermetica.
Nel guardarla, nel viverla intuitivamente, tendo solitamente a racimolare da essa numerosi spunti. E spesso la mia riflessione si ferma lì. Ogni due anni ci provo, vado a La Biennale di Venezia e scurioso, girovagando tra l’Arsenale e i Giardini, nei vari padiglioni nascosti tra corderie, alberi, canali e cespugli. 
E quest’anno alla sua 59esima edizione, da La Biennale Arte sono uscito principiante, ignorante, come prima di entrare. Ma una riflessione aggiuntiva, penso di averla elaborata. Una bozza di idea. Che qui provo a condividere, con un sotteso umorismo e allo stesso tempo con grande serietà, senza però - sia chiaro - prendere me stesso sul serio.
L’arte contemporanea, come la si vede a La Biennale, con le sue forme plastiche, i suoni più o meno cacofonici, „rumori e basta“ direbbero in tanti, i video, le installazioni e via discorrendo, ci ricorda dell’importanza di andare oltre. Ci ricorda che l’arte e la creatività non sono solo quelle dei dipinti o delle sculture. Sono invece caratteristiche intrinseche della vita, sono vita. E da lì l’apertura dell’arte a tutto, ma proprio tutto. 
La Biennale non ci invita unicamente a pensare. Pensare è solo una delle tante cose che ci sollecita a fare, pensare è solo un aspetto della nostra coscienza. I meandri della mente infatti sono infiniti… e così lo sono quelli dell’arte.
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Storia della Notte e Destino delle Comete | Padiglione Italia
di Beatrice Mosole
Le emozioni che mi attraversano al varcare la soglia del Padiglione Italia sono un immediato senso di calma, un’impressione di traslazione, una necessità di silenzio serbato per luoghi di culto. Sono disorientata rispetto all’aspettativa che mi ero creata, davanti a me si staglia una situazione inequivocabilmente industriale dove una grossa macchina occupa orizzontalmente e verticalmente il centro dello spazio, ingombrante alla vista ma silenziosa all’udito in un contrasto di sensi inaspettato. Percorro gli spazi in quasi solitudine, si procede mormorando a bassa voce verso altri ambienti, si intervallano luci fredde a led e illuminazione naturale che penetra dalle grandi vetrate. Una scala antincendio mi porta altrove, dentro una casa che riflette il suo stato d’animo: spoglia in quanto disadorna, silente in quanto disabitata. Subisco il fascino particolare di questa scatola marrone mal illuminata: il pavimento di mattonelle decorate sconnesse, delle quali un paio producono un rumore sordo al passaggio del piede, richiamano una sensazione conosciuta di ambienti familiari che potrebbero perfettamente trovarsi dietro a una di queste porte chiuse (la curiosità mi fa abbassare le maniglie invano). La finestra della “casa” dà di contro su un paesaggio inaspettato e meno domestico, una fabbrica tessile deserta: altre scale antincendio e percorro poco dopo lo spazio, tra le postazioni ordinate, gli sgabelli vissuti, i rocchetti di filo inseriti dentro a decine di macchine da cucire. Infine l’ultimo ambiente dove un’onda profonda di immensità mi investe. Altre sensazioni: suono di acqua che si infrange lungo i bordi di una lunga vasca di cui non percepisco profondità e lunghezza, odore di corso di nuoto di quindici anni fa, buio pesto di un nuovo colore, liquido nero pece. Una banchina dalla quale affacciarsi e guardo al fondo dello spazio (quanto corre in profondità lo sguardo non riesco a dirlo): piccole frequenze di luci che si intervallano sopra il mare mosso: navi? lucciole? stelle? In modo anomalo questo ultimo spazio, l’unico che produce un vero e proprio suono, mi appare come il più silenzioso. Mi faccio abbracciare dalla sensazione pungente. Da qui, quando l’animo è soddisfatto, di nuovo fuori sotto il cielo coperto di Venezia a novembre.
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Biennale milkshake
di Annalaura Fornasier
Latte dei sogni.
Milk of Dreams.
Sentendo il titolo di questa Biennale, le memorie da millennial riportano al 2010 mentre Katy Perry fluttua sdraiata su una nuvola di zucchero filato o si immerge tra orsetti della Haribo e biscotti allo zenzero.
Ai giardini però non c’erano né i biscotti glassati e lo zucchero a velo, né tanto meno le ciliegine candite. D’altronde non siamo mica a Candyfornia nel 2010.
Eppure tra zampe di gallina metalliche, corpi di centauri, figure androgine ed entità feline dalla profonda giungla Amazzonica, si poteva immaginare pure qualche leccornia.
Per i visitatori di passaggio Il Latte dei Sogni rimane solo un titolo, ma per i curiosi trasporta negli anni cinquanta del novecento, quando Leonora Carrington escogita l’omonima storia per confortare i figli impauriti dalle figure mostruose che aveva dipinto sulle pareti della loro casa a Città del Messico. Leonora non nasconde, ma anzi sfrutta tutta la sua carica immaginativa per dar vita ad un intero universo alchemico ricco di figure spesso orripilanti e spaventose, ma allo stesso tempo bizzarre e buffe come gesto catartico e necessario. La visione mistica, fiabesca e al contempo ironica della realtà e la sua ricerca di connessioni extracorporee risultano un'impresa complessa da trasmettere al visitatore tra le mura affollate del padiglione centrale dei giardini. La presenza del corpo e le sue manipolazioni transumane nelle opere scelte, dimostrano il tentativo di avvicinarsi al lavoro di Leonora, ma gli ampi spazi chiari e luminosi, insieme al costante movimento dei visitatori accaldati, rendono difficile la stessa connessione intima ed individuale che il singolo può invece avere con i racconti o i dipinti dell’artista.
Invece, tra le mura dei padiglioni nazionali, il buio acceca, gli odori si amplificano ed il silenzio degli interni poco frequentati spezza il brusio del torrido ambiente esterno, obbligando a rivolgere lo sguardo alle opere dinanzi. Sarà l’umidità lagunare di meta’ agosto, il contrasto di suoni e luci, il ristoro degli spazi bui rispetto ai 40 gradi all’esterno, ma i padiglioni assumono un'aura solenne, diventando dei mausolei dove poter venerare e connettersi con le nuove grottesche entità che vi ci abitano.
A distanza di mesi dalla visita ai giardini, il mondo occulto di Leonora, le sensazioni e gli incontri nei padiglioni tuttora spingono la mente verso una realtà fiabesca, mettendo in luce l’importanza dell’esperienza individuale con le singole opere lontano dal brusio della folla.
D’altronde, non siamo a Candyfornia nel 2010, eppure mi è parso di averla sognata giusto ieri notte.
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Riflessione
di Carlo Coccia e Matilde Pezzini
La visita alla sede dell’Arsenale della Biennale Arte ci ha lasciato alcuni spunti relativi alla sua impostazione e realizzazione sul campo. Durante il percorso di visita, muovendoci attraverso gli spazi dedicati alla mostra Il Latte dei Sogni, abbiamo potuto apprezzare la disposizione spaziale delle opere che rendono il percorso più interattivo, nonostante comunque si sia puntato poco sulla possibile capacità immersiva degli spazi. Questo è risultato evidente per la scelta di una illuminazione leggermente monotona. Rispetto alle edizioni precedenti, è apparsa rilevante la presenza di visual art.
Le scelte più interessanti a nostro avviso sono state quelle intraprese dai padiglioni di Malta, Kosovo, Turchia e il Padiglione Italia. Quest’ultimo in particolare riesce, attraverso l’idea di Tosatti, a rendere l’esperienza di visita particolarmente immersiva, a differenza di quanto invece fatto negli spazi precedenti. Il coinvolgimento di più sensi quali l’olfatto e l’udito si è rivelata una scelta particolarmente corretta per quanto detto in precedenza.
// Grazie a Giovanni Aldegheri, Beatrice Mosole, Annalaura Fornasier, Carlo Coccia e Matilde Pezzini per i contributi - team Spritz Apeiron
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Fonti: https://www.labiennale.org/it https://www.youtube.com/watch?v=rymFN-HOO90 https://www.youtube.com/watch?v=L1JpBY1ZX7Q&list=PL2J3c5AtY5K_kpw97qxH6L5ndDoui9l1a&index=7
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scrivereversi · 2 years
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Questa sono io dopo dieci giorni di down quasi totale.
Sopracciglia e baffetti in vista.
Occhi un po’ assonati e forse un po’ tristi.
E il mio ego spera di essere notato disperatamente dà qualcuno,per poter avere una parola di conforto o un miracolo vero e proprio.Perché incapace di staccarsi dalla sua vera natura.Quella di essere visto ma non guardato per davvero.
Mi capita di osservare il mio quartiere da una piccola finestra e pensare “sta aspettando me oppure si è stancato dell’attesa?”.Forse è andato avanti e ha preso con se i guerrieri più audaci.
Ho ascoltato per un secondo la mia bambina interiora e mi ha sussurrato che dopo tanto tempo in questa agonia,ora anche lei sta soffocando sotto il peso delle macerie.
I visi che ho conosciuto della nascita ora mi sembrano nemici.Nemici del mio dolore.
Non vogliono che io mi senta umana al 100%.Hanno paura che io diventi come il mostro che divora in lei.
Ma ora anche la maschera che indosso è innondata di lacrime e crepe.Mi si vede il cuore dà un piccolo spiraglio di luce offuscata.
Io ho visitato il mondo cavalcando la mia immaginazione.
Ma non ho il coraggio di vederlo davvero con i mie amici e amarlo con il mio cuore.
E pesa.
Pesa perché vorrei che nessuna azione avesse delle conseguenze.Soprattutto le disgrazie.
Sono appesa ad un filo spinato.
E non sento più dolore e nemmeno sanguino.
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ilsalvagocce · 2 years
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l'assiolo #1
quando si fa notte tipo ora, ma prima di ora, canta l'assiolo da qualche giorno a questa parte fuori dalla mia finestra
nota uguale, tempo uguale, silenzio attorno
non so dire da quando lo fa ma so ben immaginarlo.
dal tramonto ad ora è la mia ora blu, ho notato, quella malinconica, in cui io sono fuori e gli altri dentro, o magari viceversa. quando guardo dal lato, il resto del mondo
e ripeto nella mente ogni momento degli ultimi giorni di mamma, pensando chi ho visto cosa ho visto, cosa devo trattenere cosa ricordare cosa lasciare, e di solito il cosa lasciare è quello che ripeto di più nella testa.
stasera, dicevo all'assiolo chiu' chiu', che due abbracci inaspettati mai ho sentito così appuntiti, e prima che se ne vadano – perché la mente trattiene il grande e il piccolo a volte se lo dimentica nella tasca del cappotto che ormai sta nell'armadio perché cambia stagione – chiu' chiu' devo fermarli.
il primo è il primo abbraccio che mi sono andata a prendere, e non che ho ricevuto, accanto a mamma senza respiro coi vestiti della domenica, rito quasi mai seguito, ma stavolta per stavolta s'è fatto.
la prima personcina che ho visto accanto a lei, entrata nella camera ardente — e di persone ce n'erano così tante da farmi dire diomio arrivo solo ora, e tutti sono già qui — era Elenuta la badante, si dice così, ma la ragazza donna che è stata vicino a mamma negli ultimi 7 mesi, ad aiutare mio padre e a mandarlo una volta, ira mia funesta, pure a quel paese.
giovanissima, già madre, appuntita come un taglierino con tutti noi e morbida come un ciambellone quando vestiva lavava parlava con mamma. stavamo tutti attenti e un po' diffidavamo da ogni sua parola urlata come voce normale, ricatti affettivi col mondo tutto, eppure eppure quando era con mamma diventava spugna, saponetta, velluto. per cui tutto sopportabile avevo deciso fosse, bastava vedere quello scialle così ben appuntato alle spalle di mamma, con le mani morbide di crema, e la voce delicata, racconti senza fatica, domande sospese che non s'aspettano nulla, solo carezze, solo carezze di voce, in ogni non risposta, data solo con gli occhi lago, di mamma.
L'ho vista lì accanto a lei, con le mani congiunte al grembo, il piumino Calliope, gli occhi verdi bagnati tutti bassi, la coda da 20enne, una compostezza del doversi comportare come gli altri vecchi del paese, e del Paese straniero, nonostante tutto.
Le ho visto le mani che avevano lavato mamma, accarezzato le mani di mamma, che sapevano più di me del corpo di mamma, e di quel che a un certo punto sarebbe successo, che ora stavano accanto a quel corpo senza respiro, prima lavato vestito accarezzato e ora vestito da qualcunaltro, come si confa'.
Allora sono corsa da lei, prima di tutto, di qualsiasi altro parente, l'ho abbracciata e ho pianto, volevo piangerle assieme, addosso.
Coraggio mi diceva, piccola lei piccola io non so, ma mi diceva Coraggio. io non avevo bisogno di coraggio, io l'abbracciavo per il grazie di aver trasportato fino a lì mamma così con la pelle morbida e serena, le mani accarezzate, il pudore salvato, averlo fatto su quelle spalle piccole giovanissime e forti, appuntite dalla vita eppure per mamma colline, curve sottili agrodolci, potenti e sapienti.
Assiolo, è così chiu' chiu' lo so.
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nosferatummarzia-v · 2 years
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-ˋˏ Nell’estate del 1900 io e la mia famiglia ci trasferimmo in una piccola cittadina della Pennsylvania a causa del lavoro di mio padre. Una volta arrivati, scorsi da lontano una grande casa a mio parere dai colori molto cupi; quando ci avvicinammo sempre di più vidi una signora sulla soglia della porta. Era molto strana, aveva un colorito piuttosto pallido, con delle occhiaie i capelli neri con qualche sfumatura bianca; alta e magra, indossava un abito mal combinato nero e una collana con un piccolo crocifisso. Era proprio lì a fissarci.
Una volta arrivati, mio padre parcheggiò la macchina e io e mio fratello maggiore ci precipitammo subito sulla soglia: quella strana signora era ancora lì, io la osservavo e lei subito si precipitò a dire: “Salve, benvenuti in questa magnifica cittadina, da dove arrivate?”. E io risposi: “Non parlo con gli sconosciuti”.
Lei sembrava averla presa bene e mi sorrise, ma anche il suo sorriso mi parve un po’ forzato e cercai di accompagnarlo anche io con una risata. Arrivarono anche mia madre Gate e mio padre John e quella signora appena scorse i miei genitori con una valida scusa si allontanò.
Finalmente entrammo e a quella vista un po’ rabbrividii, in sala da pranzo c’era un enorme quadro che ritraeva un signore vecchio con degli occhi cupi: chiesi subito chi fosse costui a mio padre e lui rispose: “Figliola, è solo il vecchio padrone di questa casa” e io risposi: “Dov’è adesso?”. E lui: “Non c’è più, ora devo andare a svuotare gli scatoloni, non far più domande.
Capii che c’era qualcosa che non quadrava perché quel signore sul quadro indossava la stessa collana che aveva quella strana signora, mi domandavo perché, cercai di far finta che fosse una strana coincidenza e corsi su a vedere la mia camera, aprii la porta e vidi solo un letto con un armadio, le pareti un po’ troppo trascurate e una finestra che dava su un bosco: guardai per un attimo fuori ma non vidi, nulla solo alberi. Avrei voluto andarmene, mi mancava tutto, mi mancavano le mie migliori amiche, la scuola e la mia vecchia casa!!! Questa invece mi dava i brividi: era come se ad ogni passo mi sentissi osservata. Dopo un’ora avevo già il quadro generale della casa: al piano di sotto c’era la cucina, la sala da pranzo e il seminterrato e di sopra c’erano tre camere da letto, due bagni e una stanza chiusa a chiave; cercai la chiave ma senza alcun risultato. Domandai a mia madre, ma lei rispose che non era importante. Erano le 21.00, quindi ci sedemmo a cenare e come sempre, quando arriviamo in una casa nuova, mia madre cucina il suo famoso arrosto di pollo; finito di cenare salii su nella mia camera mi buttai nel letto e misi gli auricolari per ascoltare i Green Day, mi addormentai.
Quando aprii gli occhi erano già le 8.00 A.M, mi alzai per scendere a fare colazione ma notai subito una cosa: su di me avevo una specie di numero stampato sul palmo della mano, sembrava un sei ma non lo so con certezza; la mano mi faceva tanto male come se mi avessero marchiata, così scesi in cucina a spiegare la storia a mia madre. Quando glielo raccontai, guardandola negli occhi vidi che qualcosa in lei mi diceva che ne fosse al corrente, ma lei aggiunse: “Non è nulla, può darsi che avrai sbattuto nel sonno visto che ti muovi troppo quando dormi”, poi cambiò subito discorso mi disse: “Puoi andare dalla vicina se vuoi, così inizierai a fare amicizia nel quartiere”.
Così mi diressi fuori e, vedendo la più bella casa fra tutte quelle che c’erano, andai a bussare alla porta e guardacaso vi abitava la strana signora: mi fece accomodare e mi offrì dei pancakes, poi osservandomi si accorse del “marchio” e mi disse: “Oh cielo, cosa è successo??!!”, così le spiegai l’accaduto ed ella diventò ancora più pallida di come l’avevo vista la prima volta e mi disse: “Bambina mia, devi allontanarti da lì, non è sicuro per te”.
Non capivo ciò che mi stava dicendo, chiesi più spiegazioni, ma lei sembrava fosse sconvolta; ad un tratto si alzò e prese una cosa da un cofanetto: era una piccola spilla che rappresentava un angelo con in mano una spada, me lo diede e mi disse: “Questo terrà lontano i demoni, portalo sempre con te”. Qualcosa stranamente dentro di me mi diceva che era la cosa giusta da fare, pertanto la indossai e la ringraziai.Una volta uscita da quella casa, era quasi ora di cena così mi diressi a casa e appena entrai vidi uno spettacolo terribile: mia madre in una pozza di sangue. Urlai a squarciagola finché non venne mio fratello Jack che chiamò subito i soccorsi; nel frattempo io caddi per terra e persi momentaneamente i sensi. Quando aprii gli occhi mi ritrovai distesa nel mio letto, accanto c’era mio fratello che dalla faccia potevo notare che non aveva buone notizie da darmi: mi disse infatti che nostra madre si trovava in ospedale a combattere tra la vita e la morte. Io, a questa notizia, ritornai a perdere i sensi così in quell’inconscio sognai quella porta chiusa a chiave aperta, entrai e vidi quel signore del ritratto pieno di lividi e con un numero sul palmo della mano proprio come il mio sei; egli si voltò, mi guardò e disse: “Va’ via o diventerai anche tu schiava delle tenebre”. Mi spaventai, così mi svegliai e mi ritrovai un altro sei sul braccio. A quel punto volli scoprire la verità e cercai ovunque quella maledetta chiave. Dopo ore la trovai nascosta in cantina, la presi, andai su e finalmente aprii la porta… trovai molto sangue sparso fra le pareti e quei numeri scritti per terra in una specie di triade. Ad un certo punto la porta si chiuse dietro di me, sentivo come una presenza girare attorno a me, presi pertanto la spilla nelle mani e la misi come se fosse una specie di scudo: udii delle grida, qualcuno voleva afferrarmi ma qualcosa glielo impediva, così cercai di combattere anche se contro qualcosa che andava oltre la vista; poi mi sentii come se qualcosa avesse preso il comando dentro di me e mi gettai dalla finestra.
Forse morii perché ora non vedo nient’altro che oscurità, qualcosa mi dice che le tenebre si sono impossessate anche di meˎˊ-
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miaeelettra · 2 years
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Cara Elena
Sono passati circa 11 giorni da quando non fai più parte della mia vita e la tua mancanza si sente giorno dopo giorno sempre di più.
Mi sembra assurdo e surreale provare tutto questo, non è da me ed è una sensazione nuova, nuova come tutto ciò che ho provato in questo breve periodo passato insieme a te.
Lo so che per tutti non dovresti mancarmi, perché tu sei la cattiva della storia, quella che mi ha ferita, quella che mi ha ridotta uno straccio più e più volte, nonostante tu non lo sappia e nonostante tu abbia sempre sottovalutato l’impatto che hai avuto e che purtroppo hai tutt’oggi nella mia vita e sul mio umore.
Le mie amiche, le persone che davvero mi vogliono bene, sanno quanto la tua presenza mi abbia condizionata.
Non dovresti mancarmi perché sei stata pessima, in più occasioni.
Non dovresti mancarmi perché hai fatto uscire il peggio di me.
Non dovresti mancarmi perché probabilmente mi hai sempre presa per il culo,illusa e usata.
Ripenso ai momenti passati insieme, i momenti su cui nessuno può aprire bocca, perché in quei momenti c’eravamo io e te e non permetterei a nessuno di giudicarli.
Ricordo la prima volta che mi hai detto “ti amo”, sdraiate nel letto, mentre mi guardavi negli occhi e mi accarezzavi il viso.
Ho creduto davvero a quelle parole, lo sai?
Ero incredula, non mi sembrava vero!
Talmente tanto incredula che ti ho chiesto se avessi capito bene, credendo stessi dicendo “andiamo?”.
Invece no, volevi proprio dirmi “ti amo”.
Ricordo i giorni passati insieme, i baci, gli abbracci, le risate, la musica, il sesso, tu che cucini, la vista sulla rotonda dalla finestra con te dietro.
Penso a tutto questo e mi sembra davvero impossibile vederti così impassibile, così fredda.
Mi chiedo se ogni tanto ripensi anche tu a quei momenti, mi chiedo se ogni tanto scende anche a te una lacrima pensandomi.
È passato poco tempo, lo so, ma a me sembra un eternità.
Ho provato sensazioni talmente tanto forti con te e per te che vivo nel terrore di non riprovare mai più brividi del genere.
Ti scrivo questa lettera piangendo, consapevole del fatto che non la leggerai mai, ma è l’unico modo che ho per sentirti ancora un po’ vicina a me..
Non voglio che torni, non voglio tornare insieme a te, perché sono consapevole di chi sei e di quanto tu sia tossica per me.
Però lasciarti andare sta risultando più complicato del previsto e io spesso penso di non essere in grado di gestire tutto ciò che penso e che provo.
Provo tanto rancore nei tuoi confronti, tanta rabbia e tanta delusione, come mai prima d’ora.
Sono delusa dal tuo comportamento e delusa da me, per averci creduto, per averti creduta!
Ho messo da parte tutte le mie paure, il mio orgoglio, la mia dignità per provarci, provarci e provarci ancora con te.
Credevo ne valesse la pena e invece mi ritrovo con un pugno di mosche in mano.
Ero convinta fossero farfalle, come tutte quelle che mi giravano intorno ogni volta che dovevamo vederci e che io percepivo come un segno positivo dall’universo.
Probabilmente l’universo invece stava semplicemente cercando di avvertirmi.
Sapevo mi sarei scottata con te e sapevo che avresti vinto tu tra le due.
Ne sei uscita completamente illesa, prosciugandomi di tutto ciò che di bello ho sempre pensato di avere.
Ti sei portata via la mia autostima, la mia fiducia in me stessa, la mia sicurezza.
Mi ritrovo qua fragile, sembro una bambina, senza più certezze e senza un terreno solido su cui poter stare in piedi.
Mi ritrovo senza certezze non perché te ne sei andata via tu, ma perché hai stravolto completamente tutto, la mia stabilità, il mio equilibrio, tutto.
Mi ritrovo qua a chiedermi se effettivamente arriverà mai qualcuno in grado di amarmi per quella che sono davvero, con i miei difetti, con le mie mille sfaccettature negative.
Sei stata una conferma del fatto che è difficile amarmi, è difficile rimanere, è difficile portarmi rispetto ed è difficile vedere solo me.
Perché il mondo è pieno di talmente tante belle ragazze che io mi sentirò sempre in competizione con tutte, sapendo di aver già perso dal principio.
Mi sembra pazzesco pensare che in così poco tempo tu sia riuscita a cambiare tutto quello a cui credevo.
Ricordo quando ti addormentavi nuda sul mio petto, ti guardavo, sorridevo e sentivo un esplosione di amore dentro di me.
A volte sentivo di amarti così tanto, da volerti stringere talmente forte da farti esplodere tra le mie braccia, forse avrei dovuto farlo.
Una parte di me ti vorrebbe ancora qua, con me.
La parte più razionale di me invece aspetta il giorno in cui non ci sarai più, completamente, nemmeno in me.
Penso che riuscirò a tornare felice al 100% solo quando diventerai un lontano ricordo sbiadito.
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smokingago · 3 years
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È l’amore.
Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura del suo carcere, come in un sogno atroce.
La bella maschera è ormai cambiata,
ma come sempre è l’unica.
A che mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
l’apprendimento delle parole che utilizzò l’aspro Nord
per cantare i suoi mari e le sue spade,
la serena amicizia,
le gallerie della Biblioteca,
le cose comuni,
le consuetudini,
l’amore giovane di mia madre,
l’ombra militare dei miei morti,
la notte intemporale,
il sapore del sogno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fonte,
già l’uomo s’alza al canto dell’uccello,
già si sono scuriti quelli che guardano dalla finestra,
ma l’ombra non ha portato la pace.
È, lo so, l’amore:
l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e il ricordo,
l’orrore di vivere successivamente.
È l’amore con tutte le sue mitologie,
con tutte le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo dove non oso passare.
Già mi accerchiano gli eserciti, le orde.
(Questa stanza è irreale, lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denunzia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.
Jorge Luis Borges
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