Tumgik
#adesso è molto più raro
la-novellista · 28 days
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Gentilissimo,
questa sera mentre ero in procinto di indossare l'abito per la notte, mi è venuto in mente Lei. Penserà che sia un evento raro ed invece, mi spiace per Lei, non lo è.
Dicevamo, mi è venuta la bellissima idea di incontrarci, adesso non mi dica che è impossibile. Suvvia non usi quella parola, diciamo forse improbabile ma quando si tratta di me quel termine, impossibile, direi che lo può proprio depennare.
Allora, ascolti, questa sera si affaccera' al balcone con un bel calice di vino in mano, io frizzante, mi piacciono le bollicine, e vedrà la medesima cosa che vedrò io. Cosa? La luna.
La luna, ovunque saremo ci sarà e noi saremo insieme.
Non mi sentirà parlare dice? È importante? Io credo che sentiremo molto di più, tutto ciò che gli altri non sentiranno mai.
Vado ad aprire la bottiglia.
L'aspetto.
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gcorvetti · 2 months
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Emozioni forti.
Come ho scritto oggi, ed è raro che faccio due post nello stesso giorno, sono andato a Milo, paese dove abitava fino alla dipartita Franco Battiato, oggi che sarebbe stato il suo 79esimo compleanno. Ma aveva una casa anche Lucio Dalla, innamorato del paesaggio e della tranquillità del posto. Il paese ha voluto rendere omaggio ai due artisti commissionando una statua ad uno scultore, di cui ho letto il nome ma che non mi ricordo (abbiate pazienza l'età). Arrivato e sceso dall'auto mi è subito venuto addosso un brano di Franco, si proprio così, il comune ha una cassa da dove escono i brani uno dopo l'altro, sarà per il fatto del compleanno, poi immerso in questa atmosfera magica tra musica e panorama mozzafiato è facile farsi prendere dall'emozione e sono restato due ore, ho anche mangiato e preso il caffè, ad ascoltare e gironzolare intorno alla statua ma anche al paese, molto bello anche se il tempo era nuvoloso e a tratti fresco, se il sole veniva coperto, ma tutto sommato si stava bene. Alcuni scatti, personalmente trovo la faccia di Battiato troppo seria, lui era uno molto ilare, va bè.
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Poi quando ho deciso che era stato abbastanza e l'orario era ancora presto ho pensato scendo ad Aci Trezza, ma si mi vado a prendere una granita, tanto cosa ho da fare di così importante, niente. Mangiata sta granita (alle mandorle) e fatto meditazione tra gli scogli, ho pensato che era ora di chiudere un cerchio, lasciare andare quel passato se pur bello, volendo vedere che fine ha fatto la casa dove abitavo, si perché nella mia vita ho abitato 3 anni ad Aci Trezza (con tanto di residenza) dal 93 al 96, mi sono avvicinato alla salita, perché venivo dalla scogliera, con circospezione come fanno i gatti quando sono diffidenti e da lontano ho notato che è stato costruito un balcone dove io di solito mettevo il vespone e dove c'era questa grande porta a tre ante, la porta c'è ancora. Seduto sul questo balconcino c'era un signore anziano, mi sono fermato a qualche metro e l'ho salutato "Salve", lui "Salve" ed è tornato al suo foglio di carta. Va bè la faccio breve, gli ho detto che io abitavo la e da li in poi è iniziato un dialogo meraviglioso con sto vecchietto sia sulla casa che sulla mia vita, era curioso cosa ho fatto, nel frattempo è arrivata la figlia e lui tutto contento le fa "Oh, non ricordo il nome, lui abitava qua, sai", quindi la discussione si è inerpicata nelle persone che conoscevamo e che popolavano il vicolo soprattutto d'estate, tutto coincideva, è stato bellissimo. La casa era di mio nonno e quando lui morì venne venduta e i proprietari la divisero in due, il vecchietto, Sergio, è in affitto. Adesso è difficile riavvolgere il nastro e scrivere tutte le cose che ci siamo detti, però è stato bellissimo, anche ora che lo scrivo sento quella gioia, è stata una giornata di emozioni continue, l'ho salutato con la promessa che gli manderò una cartolina dall'Estonia, tanto l'indirizzo lo so, e lui e la figlia quasi piangevano, quando mai un estraneo arrivato dal nulla è così gentile e poi chi manda più cartoline? Io lo farò di sicuro. Quindi vi lascio con un brano del Sommo Franco e parte del testo
"...L'impero della musica è giunto fino a noi Carico di menzogne Mandiamoli in pensione i direttori artistici Gli addetti alla cultura E non è colpa mia se esistono spettacoli Con fumi e raggi laser Se le pedane sono piene Di scemi che si muovono..."
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canesenzafissadimora · 2 months
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Raro è trovare una cosa speciale
Nelle vetrine di una strada centrale
Per ogni cosa c'è un posto
Ma quello della meraviglia
è solo un po' più nascosto
Il tesoro è alla fine dell'arcobaleno
Che trovarlo vicino nel proprio letto
Piace molto di meno
Non si può cercare un negozio di antiquariato
In via del corso
Ogni acquisto ha il suo luogo giusto
E non tutte le strade sono un percorso
Come cercare l'ombra in un deserto
O stupirsi che è difficile incontrarsi in mare aperto
Prima di partire si dovrebbe essere sicuri
Di che cosa si vorrà cercare dei bisogni veri
Allora io propongo per non fare confusione
A chi ha meno di cinquant'anni
Di spegnere adesso la televisione
Non si può entrare in un negozio
E poi lamentarsi che tutto abbia un prezzo
Se la vita è un'asta sempre aperta
Anche i pensieri saranno in offerta
Ma le più lunghe passeggiate
Le più bianche nevicate
Le parole che ti scrivo
Non so dove l'ho comprate
Di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta
Perché l'argento sai si beve
Ma l'oro si aspetta
L'oro si aspetta...
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Niccolò Fabi
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susieporta · 9 months
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"Caro Lucio,
questa è una lettera che volevo scriverti da tanto, tanto tempo.
Ogni volta che sentivo un tuo pezzo, ogni volta che qualcuno, per strada, fischiettava qualcosa di tuo mi veniva voglia di mettermi in contatto con te, ma ho preferito rispettare (figurati se proprio io non lo dovevo fare…) il tuo desiderio di essere lasciato in pace. E forse ho fatto male, sai? Perché adesso non so come fare per restituirti, almeno in parte, la gioia, tenerezza, il senso di invincibilità, la coscienza di fare qualcosa di perfetto che mi dava il cantare i tuoi pezzi. Erano come il più inattaccabile meccanismo, come l'arma più efficace, come una corazza lucentissima, come una seconda pelle ancora più aderente della prima. Erano costruiti con quella apparente semplicità, con quel naturale delizioso totale mood cosmico, che fa pensare alla fluidità di Puccini, al prezioso andamento di certi canti gospel. E insieme così piantati nella tradizione della canzonetta italiana da far cantare i garzoni mentre vanno in bicicletta a consegnare il pane, i bambini e tutte le madri d'Italia mentre preparano il pranzo per i propri cari. Che talento straordinario, che dono raro quello di essere capiti da tutti e da tutti essere amati proprio per quello che realmente si è. Sei stato il più grande nel realizzare il miracolo che ci fa sentire tutti figli della stessa materia, che ci fa cantare tutti insieme con le lacrime agli occhi. In questi giorni ho dovuto assistere a qualche intervento sgradevole e a tanti, tantissimi omaggi commossi e sinceri. Voglio ricordarmi soltanto questi. Voglio ricordarmi gli occhi lucidi di ragazzi giovanissimi e di uomini e donne anche più che adulti. Voglio ricordarmi i tuoi, che Dio li benedica, ti hanno difeso con la forza dell'amore da tutto il caravanserraglio massmediatico. Voglio ricordarmi quei piccoli mazzolini di fiori, quei bigliettini che ti hanno portato, anche loro, credo, per cercare di restituirti un pochino di quello che tu hai dato a tutti noi. Sai, avevo un sogno. Una pazzia. Insieme con Moreno, un giovane corista molto bravo che tu non hai conosciuto, ma che ti ama almeno quanto me, avevamo deciso che se tu mai avessi fatto di nuovo un concerto, saremmo venuti a farti il coro. Per il grande piacere di stare dietro di te e cantare insieme a te quelli che sono i nostri perfettissimi, storici, splendidi, adorati pezzi di vita. E, nella nostra follia, avevamo già pensato alla scaletta, a quali pezzi fare, alla formazione dell'orchestra, persino ai vestiti. Ogni volta che ci incontravamo in sala di incisione aggiungevamo qualche dettaglio al nostro progetto. Tutto era variabile tranne la presenza di due soli coristi: noi due, per l'appunto. Non importa. Vuol dire che la cosa è soltanto rimandata.
Tua Mina".
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Tornare
Un social che utilizzano in pochi ormai. Possiamo dirlo: Tumblr non va più di moda, è stato dimenticato da un po’ di anni. L’ho odiato ed amato per come mi faceva sentire, per le verità che raccontava su di me, lette nelle citazioni altrui. Non ho mai scritto nulla di mio, eppure, rileggendo il mio blog, è come se ripercorressi gli anni della mia vita. Ma ormai non va più di moda, no, adesso ci sono Instagram e Tik Tok, dove la superficialità e questo costante dovere di trasmettere esclusivamente “positive vibes”, non lasciano spazio al vero sentire di tutti noi. Non fraintendetemi, non le sto considerando cose necessariamente negative, è che, a volte, quando sto un po’ giù, mi sento quasi fuori luogo. Sì, perché passo ore a guardare video, ad ascoltare sempre le stesse canzoni o a guardare storie e mi rendo conto, sempre di più, che è davvero raro trovare qualcuno che parli di se stesso senza riserve. Trovo sia davvero molto facile raccontare gli aspetti della nostra vita che ci piacciono, quelli di cui andiamo più fieri, ma quando si tratta di parlare delle proprie debolezze, dei propri sbagli o semplicemente della giornata storta, ci chiudiamo. C’è chi ne parlerà con la famiglia, chi con gli amici, chi con il\la ragazzo\a, ma c’è anche chi non potrà o non vorrà farlo (probabilmente perché le “bad vibes” le schiviamo come se fossero contagiose). E allora? Cosa faranno quelle persone? Un po’ di musica, un libro, un bel sonnellino, oppure torneranno nel circolo vizioso dello “scrolling”, convincendosi che se gli altri pubblicano stronzate divertenti, allora va tutto bene. E i problemi? E la maggiore consapevolezza di se stessi? E la crescita che deriva dal loro superamento? Chissà, forse mi sbaglio. Forse sono io ad essere delirante questa sera, forse è meglio tornare ad aggiornare il feed. Se non fosse così, però, so che ci sarà sempre questo blog e so che potrò tornare a scrivere di getto ciò che più mi piacerà, con la leggerezza di chi sa che nessuno leggerà mai, o comunque, mai fino a questo punto. 
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tma-traduzioni · 2 years
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MAG152 - Caso #8370108 - “L’invidia di uno scava fosse”
[Episodio precedente]
[INT. Istituto Magnus, Archivi, ufficio di Jon]
[CLICK]
ARCHIVISTA
Dichiarazione di Hezekiah Wakely, riguardo alla sua carriera da becchino. Redatta da una serie di lettere a Nathaniel Beale tra il 1837 e il 1839. Registrazione di Jonathan Sims, l’Archivista.
Inizio della dichiarazione.
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Agosto, 1837
Ti ringrazio di nuovo per i tuoi sforzi per me, Nathaniel. Sono certo che potrai sempre contare su di me come un vero amico. Sono qui già da qualche settimana adesso, e mi sto trovando bene - contento, i miei doveri da sagrestano occupano il mio tempo al punto che ho a malapena la possibilità di permettermi questi pensieri che alla tua ultima visita ti preoccupavano così tanto.
È una piccola parrocchia, e il Reverendo è una brava persona, anche se confesserò che trovo che i suoi sermoni tendono verso il lato più monotono della messa domenicale. Non è colpa sua, certo. Il Signore gli ha dato quella voce per un motivo, senza dubbio - ma a volte quel motivo sembra essere darmi qualche minuto di sonno non guadagnato. Comunque, la sua condotta nei miei confronto non è mai stata altro se non pura comprensione. Infatti, mi ha detto ieri, che non ha mai visto la chiesa brillare così da quando ho iniziato a seguirne il mantenimento.
“Brillare?” Dico. “Signore, questo è un complimento raro quando si tratta di pulire arenaria.” E lui ha riso di cuore, anche se la battuta non era particolarmente notevole. Quindi puoi dormire tranquillo sapendo che sono abbastanza felice.
Il mio sonno agitato, d’altro canto, non si è, per ora, calmato in modo neanche lontanamente soddisfacente. Lavoro fino ad essere esausto, pulendo, lucidando e prendendomi cura della chiesa come si deve, e ti dico, quando mi corico posso a malapena alzarmi di nuovo per la debolezza in cui mi ritrovo. Eppure, il sonno continua a eludermi. E quando non lo fa, mi sveglio come se il cuore stesse cercando di scapparmi dal petto, e la mia gola fosse piena di polvere e cenere.
Non devi disperarti, Nathaniel, so che la bottiglia non sarà più di aiuto, e i miei altri impegni impediscono alle notti di infastidirmi come facevano un tempo, ma mi ritrovo a desiderare un sonno vero e proprio.
(Pausa) Mento. Ci sono delle notti in cui mi ritrovo a scivolare facilmente in una tregua priva di sogni, anche se per questo mi riterrai un’anima macabra. Quei giorni li passo a scavare fosse nel cimitero della chiesa - quelle notti dormo, se mi perdoni la battuta, come un morto.
Non ho mai conosciuto un riposo come questo. Forse è l’aspetto più faticoso, più fisico del compito, o forse quel suo ritmo silenzioso. Non c’è eco come c’è in chiesa, solo il suono del piccone e della vanga che colpiscono il suolo. E quando è abbastanza profonda, quando ti ritrovi sul fondo, il rumore del mondo… semplicemente svanisce nel nulla. È il tipo di silenzio che ti fa sentire come se il trambusto e la confusione della vita non erano che un sogno terribile, e nel dormire ti stessi risvegliando nella pace.
(Heh) Riderai, Nathaniel, ma ho quasi scritto che spero avere occasione di scavare più fosse. Che pensiero. No, non è quello che desidero, perché per scavare fosse uno deve avere qualcosa con cui riempirle, e il buon Signore fa tutto con i Suoi tempi. Puoi essere soddisfatto, sono contento della posizione che mi hai trovato, e non lasciar spazio alla preoccupazione per il mio benessere o al ricevimento della tua carità.
Il tuo umile servitore,
Hezekiah Wakely
Febbraio, 1838
Nathaniel, mi è successo qualcosa. E mi è solo sembrato giusto mandarti una lettera e fartelo sapere, visto che la tua ultima lettera esprimeva una gentile curiosità per la mia insonnia, e - quanto ti ho menzionato nelle mie lettere precedenti.
Le mie notti sono state in effetti molto più tranquille ultimamente, cosa che posso in parte attribuire al recente focolaio di febbre nella città - facendomi deicare una maggior quantità del mio tempo al marcato compito di scavare fosse - e il resto al mio graduale adattarmi alla mia posizione di sagrestano.
C’è una tale pace nel cimitero, vedi: camminare sul terreno sapendo, che giù sotto i miei piedi, quelle anime benedette aspettano felici e in silenzio nella terra fredda e umida, contando i giorni fino alla Resurrezione. Mi da un calore tale pensarci che ho iniziato a passare molto del mio tempo libero a vagare tra le tombe, e, quando l’umore mo le permette, dormire lì.
Spero che discorsi simili non ti sconvolgano, e puoi essere assicurato che non sono un suicida. È solo la serenità che invidio ai morti, non la loro mancanza di vita. Non cerco una fuga dalle difficoltà della vita, perché da quando mi hai trovato questa posizione posso definire poco della mia vita una difficoltà, e non sono mai stato così libero da ogni vera sofferenza.
Ma desidero quel respiro. Mi ripeto che ogni giorno mi sveglio rimesso al mondo, ma non sono mai stato davvero soddisfatto come quando sono nel mio sonno, e insensibile al mondo. Forse è quello che speravo di trovare nel alcol, quel gentile oblio, ma sembra essere un mondo fa. Adesso so cosa è davvero, camminare nel cimitero - anche se puoi essere sicuro che attenderò il mio turno come un servitore fedele finché il nostro Signore non riterrà l’ora di chiamarmi.
Trovo, comunque, che quando scavo le mie fosse, vado più a fondo. E a volte mi preoccupo che potrei scavare così tanto da non poter più uscire con la mia misera scaletta. Ora, questi momenti - non devi giudicarmi per questo, Nathaniel, perché non è che una fantasia passeggera - ma spesso mi sdraio su quella soffice terra, e dormo. E ti giuro che quel sonno che trovo lì è più beato di ogni altro che abbia mai trovato.
È stato lì, che nemmeno una settimana fa, è successo. Stavo scavando una fossa per il padre del signorotto - un uomo crudele e venale, che dubito si sia facilmente ritrovato nel Regno dei Cieli, ma non è un’anima pura che ti compra un bel lotto al cimitero, e aveva abbastanza soldi per farlo. Ho visto il suo corpo, sai, mentre veniva preparato, e ti dico sinceramente che per tutto il male che quell’uomo aveva fatto, il suo corpo riposava tranquillo. Anche se non tanto tranquillo, forse, come sarebbe con due metri di terra sopra.
Quindi quello era il mio compito, e poco ma sicuro, lo stavo svolgendo con il mio solito dovere fervente, tale che il lavoro per la giornata era finito per l’ora in cui il sole era al suo apice. Era freddo quel giorno, e con un vento pungente, e spaccare il terreno era stato duro quanto il giaccio. Per lo meno per i primi piedi. Ma alla fine… oh, ti dico c’era calore in quella fossa. Non saprei dire se per il mio corpo o il calore del terreno, ma era gradevole quanto il camino di un’osteria, e il vento non poteva raggiungermi nel buco che avevo scavato.
Quindi, come ultimamente è mia abitudine, mi sono sdraiato. E non appena l’ho fatto un forte sonno mi ha conquistato.
Ho avuto un sogno, poi. Ho sognato che aveva piovuto. Una pioggia terribilmente fredda che mi aveva gelato le ossa e che ha fatto diventare la terra attorno a me scura e bagnata. Le pareti sono diventate umide e scivolose, la loro forma solida è sparita come hanno iniziato a franare e crollare. E allora tutto d’un colpo sono collassate, il terreno si è riversato dentro con un’ondata di fango e terra bagnata. In un solo atroce istante di puro terrore, era sopra e attorno a me, mi copriva la faccia e mi riempiva i polmoni con terribili grumi soffocanti.
E la cosa più strana era che era meraviglioso. Non mi sono mai sentito così al sicuro come sotto il peso schiacciante della terra attorno a me, l’abbraccio pesante del sepolto. In quel istante ho saputo cosa si provasse ad essere morti, e bruciavo di invidia per loro.
Quando mi sono risvegliato, ero di nuovo sopra il terreno, tra le tombe. La pioggia non era stata un sogno, ed ero infreddolito e bagnato fradicio, attraversato da brividi che puoi ben vedere dalla qualità della mia grafia. Era vero, inoltre, che la pioggia aveva fatto collassare la fossa, anche se io dovevo esserne uscito poco prima che succedesse. Non ero in condizione di risolvere il problema, comunque, e infatti il Reverendo ha dovuto chiedere al sagrestano di S. Marco di occuparsene, visto che sono ancora allettato con questa tosse. (Heh) Forse mi unirò al cimitero prima di quanto avessi osato sperare.
Riscrivimi presto, poiché ho molto poco da fare in questo letto da invalido, e il sonno mi è nuovamente lontano.
Il tuo umile servitore,
Hezekiah
Giugno, 1838
Per prima cosa devo ringraziarti per la tua visita, Nathaniel, anche se la mia guarigione si è conclusa, rivedere un vecchio amico è sempre rincuorante. Spero che gli affari che ti hanno condotto via così improvvisamente siano tutti andati a buon termine, e di poter pregustare la tua compagnia di nuovo tra non troppo.
Devo dirti che in queste ultime settimane sono stato un po’ in difficoltà, a causa principalmente della preoccupazione del Reverendo, che, di recente, è sprofondato in una mania molto specifica, anche se comprensibile.
Le circostanze e le cause sono abbastanza facili da spiegare. È stato il funerale della giovane Nellie Cooper a causarla, il quale è stato una storia piuttosto sconcertante. Ammetto di avere una profonda comprensione della sua piaga, in quanto io stesso ho avuto modo di vedere il corpo, e se mi chiedessi se approvassi il verdetto del dottor Grant di una morte da annegamento, mi direi d’accordo senza esitazione. Aveva quell’aria di pace di cui ti avevo già parlato prima, e so quanto debba essere stata felice di essere presto restituita alla terra.
Ma quel giorno, mentre portavano quella bara sottile verso la fossa che avevo scavato, e in cui mi ero recentemente goduto il mio riposo tranquillo, c'è stata della commozione tra i trasportatori. La bara della piccola Nellie ha iniziato a tremare e ad oscillare avanti e indietro, così che non sono riusciti a tenerla bilanciata e l’hanno fatta cadere. Il colpo della bara di legno che colpisce il terreno non è un suono che dimenticherò presto, nemmeno l’urlo venuto dall’interno del legno scheggiato quando si è scoperchiato.
Come potresti aver ben dedotto, Nellie non era, dopo tutto, morta, e aveva ripreso conoscenza pochi minuti prima di essere seppellita sotto terra. È rimasta illesa, almeno fisicamente, anche se posso a malapena immaginare la tensione da far impazzire che deve averle causato vedere la sua stessa lapide  incisa e che aspettava sopra lo scuro silenzio della sua fossa tomba aperta.
Ad essere onesto, sospetto che l’effetto peggiore sia stato sul Reverendo. Avvicinarsi così tanto ad essere responsabile di seppellire una persona viva lo ha scosso profondamente, e ha sospeso tutti i servizi funebri un po’.
Secondo me ci sono destini ben peggiori. Ma ha in mente l’idea di iniziare ad aggiungere alle fosse che scavo queste nuove “campanelle di sicurezza” di cui ha sentito, affinché se qualcuno fosse vivo sotto terra possa chiedere aiuto a noi in superficie.
Temo l’idea. Se fossi stato io in quella bara, destinato alla pace sotto terra, posso pensare a poche cose che odierei più del tintinnio stridente di una campana che mi strappa dal mio riposo.
I miei sogni sono stati strani, ultimamente.
Tuo,
Hezekiah
Dicembre, 1838
Ho riflettuto, Nathaniel, sui funerali e sui corpi. Sulle anime che fuggono lasciando questa argilla comune per divenire tutt’uno con un’argilla ancora più vera. Non siamo stati creati dal fango? E mi sembra più appropriato che si ritorni per sempre a quel fango, non strappati via da questo per mano di un qualche possibile Redentore, o elevati a cantare inni nella sua sacra corte.
Ho lavorato così a lungo, così duramente. Non merito il riposo nel fango da cui sono venuto? Di cedere il mio corpo alla terra e lasciare che vi rimanga. Poiché l’adorazione dell’Altissimo - anche se potesse essere guadagnata, forse, da Colui che ha creato i cieli e la terra - beh, secondo me, tutta quella preghiera assomiglia molto al lavoro.
Sai cosa ha detto il Reverendo nella sua predica, l’altro giorno? Ha detto che nel Regno che verrà non ci sarà bisogno di sonno - che non dovremmo mai perderci un istante di quella beatitudine. Ma dormire nella terra fresca e soffice è tutta la beatitudine che posso desiderare.
Suppongo che il Signore non avrebbe idea di definire cose simili una benedizione. Non è mai stato seppellito, no? Non veramente. Rimanere sdraiato in una grotta per tre giorni, una roccia spinta di fronte all’ingresso prima di essere sollevato fisicamente - no, Lui non è mai stato sepolto.
E Lui ha sempre avuto altro lavoro da fare - straziare l’inferno e redimere i peccati dell’umanità. No, Lui non ha avuto riposo, e non l’ha mai chiesto, tranne che per un momento di dubbio ai Getsemani. Ma Lui è il Figlio di Dio e noi non siamo che i figli della polvere. Non siamo forti quanto Lui, e noi meritiamo di riposare. Meritiamo di dormire.
Ho provato a dormire, ma quella campanella continuava a tintinnare, quella sopra la tomba di Jacob il fornaio. Quell’ultima speranza che il Reverendo ha insistito che venisse messa lì, suonava e suonava, e disturbava il sonno di tutti nel cimitero. Non ho dubbio che abbia disturbato anche il sonno di Jacob, che ha lavorato così duramente per tutta la vita senza lamentarsi di niente.
Meritava di riposare. Quindi ho tagliato il filo. E adesso è silenzioso.
Non riesco ripulire i miei vestiti. E la mia vanga non è mai troppo lontana dalla mia mano.
Tuo,
Hezekiah
Gennaio, 1839
Sono deluso, Nathaniel, non lo negherò. Soprattutto, sono ferito. Le lettere per te sono sempre state una fonte di conforto per la mia anima, un luogo dove potevo mettere a nudo il mio cuore e dire le verità di quello che penso e provo senza temere un giudizio o un rimprovero. Che tu abbia scelto di condividere quanto ti ho scritto l’ultima volta con i magistrati mi ha ferito profondamente.
Sono venuti a farmi le loro domande, come sono sicuro tu sperassi che avrebbero fatto, ma ovviamente non potevano provare niente. Jacob è morto da parecchio, e ho fatto molta attenzione a come ho fermato la campanella.
Ma tali sospetti minano la pace, e prevedibilmente il Reverendo mi ha congedato.
Ho perso il mio cimitero, Nathaniel, e mi chiedo se riuscirò mai a dormire di nuovo.
È stata colpa mia, ovviamente - non avrei mai dovuto dirti quelle cose dando per scontato che avresti capito. Ma come avresti potuto? Tu non hai mai sentito lo stretto abbraccio del terreno pacifico. Tu non hai mai dormito veramente nel ventre della terra. Queste cose non possono essere condivise a parole, ed è stato un mio stupido errore pensare che potessero esserlo.
Ma non temere, Nathaniel. L’affetto che provo per te non mi permetterà di lasciarti nell’ignoranza. Come ho fatto con il Reverendo, verrò e ti mostrerò, una volta per tutte, la vera e gloriosa pace del Sepolto.
Il tuo più umile servitore,
Hezekiah Wakeley
ARCHIVISTA
Fine della dichiarazione.
Nathaniel Beale è sepolto nel cimitero della chiesa di S. Pietro nella sua città natale, Dunstable. E io sono la terza persona in quasi duecento anni a saperlo, dopo Nathaniel Beale stesso, e il signor Wakeley, che lo ha seppellito.
Non posso dire quanto il cambiamento che avviene in qualcuno quando è reclamato da una delle Paure è un prodotto diretto della loro influenza, e quanto dalla loro mente, che si contorce disperatamente per accettare e giustificare le cose tremende che si ritrovano attirati a fare.
Ho letto abbastanza dichiarazioni di coloro che stanno cambiando, che stanno divenendo - qualcos’altro, e alcuni di loro sembrano… completamente razionali. Completamente la persona che erano prima.
Ma come faccio a capirlo, direi. Il mio lavoro è vedere le persone nel loro momento peggiore, negli attimi più terrificanti e imprevedibili. Forse c’è meno cambiamento di quanto non immagini. Di sicuro, io non mi sento diverso. Non desidero filosofeggiare su temi pseudo-religiosi, o godere delle sofferenze di coloro a cui faccio del male.
Ma poi, di nuovo, suppongo di non essere nella miglior posizione per giudicare. Forse per chiunque stia ascoltando queste cassette sembro piuttosto simile a Hezekiah. O a Manuela. O a Jane.
[CLICK]
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[C’è un leggero gocciolare. Una porta si apre, scricchiolando forte, sopra il rumore delle statiche della Distorsione.]
HELEN
Ciao, Jon. È passato un po��� dall’ultima volta che sei stato qua sotto.
ARCHIVISTA
(Suono spazientito) Non sono venuto qui per vedere te.
HELEN
Oh, andiamo! Sono sicura di essere una presenza più interessante della defunta Jane Prentiss.
ARCHIVISTA
È tutto ciò che adesso rimane di lei - a parte un’urna di ceneri nella mia scrivania. Solo un cerchio di pietra marcia su un muro altrimenti insignificante.
HELEN
Retaggio maggiore di quello di alcune persone.
ARCHIVISTA
Ci sarebbe dovuto essere un cancello, credo. Un buco che aveva fatto marcire nella Corruzione stessa. Forse l’inizio di un rituale?
HELEN
Hmm. Non proprio impressionante, no?
ARCHIVISTA
Meno complesso, di sicuro… Ma credo che sia quello il punto di - come l’ha chiamato Elias? - il Sudiciume. Non credo che pianifichi molto. Inizia semplicemente a crescere ovunque riesca a mettere piede, e, se nessuno lo soffoca in tempo… fine dei giochi.
HELEN
Com’è… sgraziato. (heh)
(Con condiscendenza - come un’ospite altezzosa a un funerale che si rende conto che non dovrebbe far beffa della mancanza di gusto del defunto di fronte alla gente in lutto) Tuttavia, suppongo abbia il suo perché.
ARCHIVISTA
Mi stavo chiedendo che cosa stessero facendo qua sotto. I vermi devono essere stati qui per - settimane, forse mesi, a diffondendosi… a crescere. Si sarebbero potuti spingere ovunque in questi tunnel, ma non l’hanno fatto. Non hanno trovato Leitner qua sotto, non hanno trovato il corpo di Gertrude, non hanno trovato… qualsiasi cosa ci sia qui.
HELEN
È un labirinto. Una delle ragioni per cui mi piace.
ARCHIVISTA
Hmm.
Non riesco a Vedere bene le cose qui. Pensavo che fossi solo io, che qualcosa interferisse con la mia connessione con l’Occhio, ma… mi sto chiedendo: forse ha un effetto su tutto il resto? Come se questo posto fosse una sorta di - punto cieco universale.
Tutti si perdono qua sotto.
HELEN
Che idea affascinante.
(Suggerendo con "delicatezza") Anche se - alcuni sono sempre persi, in un certo senso.
ARCHIVISTA
Aspetta, stai dicendo che puoi orientartici?
HELEN
Non esattamente, ma la mia porta è stata parte di questi tunnel per un po’ di tempo ormai.
ARCHIVISTA
Co - (farfuglia frustrato) - cosa sta nascondendo, co-cosa c’è al centro?
HELEN
(Soffocando una risata) Una sorpresa incantevole…!
[Lui sospira. Lei ride, sovrapponendosi a entrambi, apparentemente da diverse gole allo stesso tempo, e con un qualcosa di stanco, sonnolento quando si rende conto che ha riso troppo a lungo, e deve fermarsi per riprendere fiato. La sua risata, in breve, è come quella di Michael. L’Archivista sospira di nuovo, rassegato.]
Ah... Ma non è per quella che sei qui, no?
ARCHIVISTA
Sì.
Ho pensato molto a Jane. È stata la prima, sai. La prima che ho incontrato davvero come… (un piccolo ‘heh’ rassegnato) come noi.
Sembrava così… inumana. Come se tutto quello che era prima fosse stato strappato via.
HELEN
E adesso...?
ARCHIVISTA
Mi chiedo quanto di lei ci fosse ancora là sotto. Quanto ha scelto di diventare quello che era? Ho letto la sua dichiarazione, era… (inspira, espira) era terrorizzata.
Avevo dato per scontato che fosse stata posseduta completamente contro la sua volontà, ma adesso non sono più neanche sicuro che sia possibile.
HELEN
(Andando avanti) È impressionante il genere di cose che sei disposto a scegliere - data un’alternativa abbastanza sgradevole - non è vero?
ARCHIVISTA
Quanto di questa forza di volontà è solo - salvaguardia? “Sicurezza” con un altro nome. L’opzione di scegliere ed essere okay.
HELEN
Affamato, vero?
ARCHIVISTA
(Con rabbia) Non è quello -
- non ho fatto niente -
HELEN
- per ora.
ARCHIVISTA
(Rudemente) Mi sento come se non lo facessi… potrei morire. Svanire nel nulla.
HELEN
Lo... Sai?
ARCHIVISTA
No. Ma io... (rumore frustrato) non posso morire. Loro hanno bisogno di me.
HELEN
Andiamo, Jon, niente scuse.
[Lui sospira mentre lei parla.]
Non hanno bisogno della tua protezione.
ARCHIVISTA
Che, ti prenderai tu cura di loro?
HELEN
E io come farei a farlo?
ARCHIVISTA
Anche tu divori le cose.
HELEN
Devono essere quelle ad aprire la porta, Archivista. Non posso semplicemente spingerle dentro.
ARCHIVISTA
Oh, hai delle mani.
HELEN
Affilate abbastanza da togliere vermi, uccidere qualche vecchio - forse pugnalare un’Archivista troppo impaziente -
[Lui sospira.]
- ma la mia forma fisica è un’illusione tanto quanto il resto di me. Pensa a me come a… una trappola per orsi. Non una spada.
Ma non stiamo parlando di me, vero?
ARCHIVISTA
Quando smettono?
HELEN
(Impaziente) Cosa?
ARCHIVISTA
I sensi di colpa. La tristezza. Tutti gli altri che ho incontrato, erano - freddi, crudeli. Provano gusto in quello che fanno. Quando è che l’Occhio (inspira) mi renderà mostruoso?
[Helen ride una volta, poi una seconda, poi una terza.]
HELEN
Cosa - perché dovrebbe mai farlo?
ARCHIVISTA
Io non...
HELEN
Quando è che la tua colpa, o la tua tristezza, o le tue strette di mano ti hanno mai impedito di fare quello che vuole?
ARCHIVISTA
(Incespicando) I-Io - Non ho strappato dichiarazioni -
HELEN
Hai rinunciato al trauma degli altri per ora -
[Lo possiamo sentire inspirare come se stesse per controbattere per poi fermarsi mentre lei lo deride.]
- perché sei stato beccato. Perché continuare ti avrebbe messo in pericolo. Ma oltre a quello, quando è che il tuo disagio ti ha mai impedito di seguire la strada della Contemplazione?
ARCHIVISTA
Io... Non so...
HELEN
Anche se fosse capace di farlo, quale motivo avrebbe l’Occhio per cambiare come ti senti, quando non fa alcuna differenza nelle tue azioni?
Helen era come te, all’inizio.
[Lo si può sentire inspirare infelicemente in sottofondo.]
Provava una tale colpa nel prendere le persone. Finché un giorno non si è resa conto che non avrebbe smesso di farlo. Quindi ha scelto di smettere di sentirsi in colpa.
ARCHIVISTA
Va bene. Ho capito. Non gli importa niente dei miei sentimenti.
HELEN
Mh, non è necessariamente vero! Hanno un certo sapore, un… condimento.
ARCHIVISTA
(Sospira) (Risata amara) Capisco.
HELEN
(Ridacchiando) Mi sto divertendo con te.
Beh, conosci già il mio consiglio. Cincin, Jon. Goditi il tuo rimuginare.
[Porta che si chiude.]
ARCHIVISTA
(Suono di frustrazione)
[CLICK]
[Traduzione di: Victoria]
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jacopocioni · 2 months
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Piazza delle Pallottole e la sua storia
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Il nome è strano, curioso, forse addirittura inquietante… O che succedeva in questa piazza, c’era forse una fabbrica di munizioni? Oppure era qui presente un antesignano dei moderni poligoni di tiro? Era un luogo mal frequentato, in cui non era raro volassero delle pallottole? Mi spiace deludere le fantasie più sfrenate, ma niente di tutto questo somiglia neppur lontanamente a quello che avveniva in questa piazza. Cominciamo dalla ubicazione: Piazza delle Pallottole si trova nella zona tra l’abside del Duomo e l’inizio di via del Proconsolo; vi si accede da Piazza San Benedetto, da Via de’ Maccheroni e, principalmente, dalla stessa Piazza del Duomo. Procedendo per gradi, analizziamo il nome: Pallottole. Il significato è inequivocabile, vero? … NO!! Le pallottole non sono soltanto quei piccoli tubetti metallici riempiti di polvere da sparo che si inseriscono in un’arma. All’opposto, le pallottole sono un oggetto ludico, divertente, un modo di socializzare e tenere unita la gente, non disdegnando certo qualche parapiglia, di quando in quando, come in ogni gioco che si rispetti. Le pallottole, amici miei, sono le antenate delle bocce.
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Quando si gioca a bocce, è inevitabile che si crei confusione: risate, polemiche, prese per i fondelli, discussioni ed incitamenti, litigate… quelli che una volta venivano definiti “strepiti”. A Firenze, i nostri mitici Signori Otto, avevano tappezzato la città di “leggi di pietra”, quelle lapidi in cui, tra l’altro, si vietavano "giochi di palle e pallottole e fare strepiti”, a xxx braccia da chiese e palazzi signorili, e le punizioni per chi trasgrediva erano sia pecuniarie che corporali, i famosi “tratti di corda”", ad esempio.
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Nel centro storico, un solo luogo era fatto salvo da questi divieti, ed era proprio la Piazza in questione, che deve il suo nome proprio al gioco che qui era consentito fare. Il gioco era molto simile all’attuale gioco delle bocce: delle palline chiamate pallottole venivano lanciate verso un punto preciso, e vinceva chi si avvicinava di più con la sua pallottola. Era uno dei passatempi preferiti dei fiorentini, veniva inizialmente giocato in ogni dove e, visto il nostro carattere “fumino”, spesso le discussioni potevano sfociare in vere e proprie risse. Anche nel mio amato Bisdosso, ovvero diario del Pastoso, se ne trova una notazione: “… in quella viaccia, che è fra i due Orti cioè uno del Canneto delle Monache della Crocetta, e quello delle Monache degli Angiolini, fra la cantonata di Via del Mandorlo e quella della Via della Crocetta, fù ferito con un corno il Tronci dal Limonaio poeta della qual ferita il 29 di detto in Santa Maria Nuova rese l’anima a Dio. La causa per la quale detto Tronci perse così disgraziatamente la sua vita fù, che essendo costoro a giocare alle pallottole fuor della Porta a Pinti, cominciorno a litigare insieme, di modo che si attaccorno alle pugna, e furno spartiti, ma essendo entrati in Firenze uno poco lontano dall’altro tuttavia litigando, quando furono in detto luogo di nuovo si attaccorno alle pugna et essendo caduti in terra, il Limonaio venutoli alle mani un corno, che quivi non ne mancano per esserci lo scaricatoio del Beccaio degl’Innocenti, con esso ferì e ruppe una ganascia al Tronci, che teneva sotto, della qual ferita com’è detto si morì”. Questo fu soltanto uno dei tanti episodi che convinsero i Signori Otto ad emanare la legge che delimitava lo spazio in cui il gioco poteva essere praticato.
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La piazza, all’epoca, era molto più grande di quanto appaia adesso; il restringimento è dovuto ai lavori ottocenteschi con cui vennero abbattute le case che la delimitavano, per concedere più ampio respiro a Piazza del Duomo. Ma di storie questa piazza ne ha da raccontare… fu anche teatro di un delitto d’onore, nel lontano 1528. Giuliano Salviati, grande amico del depravato Duca Alessandro de’ Medici, aveva incontrato, fuori Porta San Miniato, Luisa Strozzi di ritorno dal Perdono del Monte alle Croci, e l’aveva importunata con proposte oscene. Luisa lo riferì al fratello Leone, che si mise subito in cerca di Giuliano Salviati per tutta Firenze. Fu proprio qui, in Piazza delle Pallottole, che lo trovò e, senza tanti discorsi, tirò fuori un pugnale e lo accoltellò, uccidendolo.
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Nella piazza non può non richiamare la nostra attenzione quel grande edificio di forma circolare: è di origine settecentesca. Precedentemente, qui c’era una grande tettoia che formava un portico, sotto il quale lavoravano gli scalpellini dell’Opera del Duomo: si trattava del laboratorio dove venivano realizzate le sculture e le decorazioni per la parte esterna del Duomo. Nel Settecento il vecchio portico lasciò il posto all’attuale rotonda; alla metà dell’Ottocento vi fu il definitivo trasferimento del laboratorio di restauro all’attuale sede di Via dello Studio, dove ancora oggi vengono realizzate le copie delle statue che vanno a sostituire le originali per le quali l’esposizione a cielo aperto risulta lesiva.
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Nel 1946, nel corso di un restauro della Porta del Paradiso, vennero per la prima volta smontati i fregi e venne alla luce un piccolo “cimelio” datato 1452. Si trattava di una pallottola che, probabilmente, era finita in quella intercapedine durante i lavori di montaggio della Porta del Paradiso: quasi sicuramente dei ragazzini, contravvenendo ai divieti, stavano giocando alle pallottole nei pressi del Battistero, ed una pallottola rimbalzando andò a finire proprio lì, dove è stata ritrovata dopo quasi 500 anni. Si tratta di una pallina poco più piccola di una palla da tennis, fatta di due parti di cuoio cucite insieme. Probabilmente - per darle il giusto peso - al centro, nascosto da un involucro di paglia secca ben pressata necessaria a conferire elasticità alla pallottola, si trova un pezzetto di piombo.
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Fotografia di Giovanni Krur In tempi più recenti, verso la fine del Settecento, il Granduca Pietro Leopoldo proibì il gioco delle pallottole: i giocatori toscani si spostarono così tra i filari dei vigneti, dove cominciarono a giocare allo “striscio” (che è il modo più utilizzato per lanciare la boccia da queste parti), con grandi bocce di sorgo. Ultima annotazione: in questa piazza c’era un gigantesco tralcio di vite, che viveva lì da tempo immemore e si era arrampicata sul terrazzo del primo piano di un palazzo: una pianta magnifica, che purtroppo morì nel 2005, c’è chi sostiene con lo sciagurato intervento umano. Di lei rimane il tronco, che ancora si può notare uscire dall’intonaco del palazzo, ed una targa apposta in sua memoria nel 2010. Di storia ne aveva proprio tanta da raccontare, questa piccola particolare piazza… tra cui ricordarci che anche il gioco delle bocce è stato inventato a Firenze.
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Gabriella Bazzani Read the full article
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flavioscutti · 8 months
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I PESCI DI ACQUA DOLCE
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Barbus samniticus - Photo 154312968, (c) Riccardo Novaga
https://uk.inaturalist.org/taxa/1277073-Barbus-samniticus
Da poco hanno scoperto in Abruzzo una nuova specie di pesce, il Barbo sannitico (Barbus samniticus ex-tyberinus).
Questa specie popola tratti intermedi e collinari dei fiumi appenninici insieme ad altre specie italiane tipiche della zona del barbo: Sarmarutilus rubilio, Telestes muticellus and Squalius squalus (Ref. 123793).
In realtà non si è scoperto nulla, perché questo è il primo pesce che ho pescato dietro casa diversi anni fa, ma ovviamente per le persone senza competenze specifiche era considerato un barbo come tanti altri che ce ne sono nei fiumi italiani. Con nuovi studi e soprattutto anche grazie alla ricerca sul DNA di questi pesci adesso ha un nome tutto suo.
Barbus samniticus
Lorenzoni, Carosi, Quadroni, De Santis, Vanetti, Delmastro & Zaccara, 2021
Classification / Names
Teleostei (teleosts) > Cypriniformes (Carps) Cyprinidae (Minnows or carps) > Barbinae
Etymology: Barbus: Latin, barbus barbel (Ref. 45335); samniticus: Named for Samnites, ancient Italic people who settled in the type locality
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Barbus samniticus - Photo 154312959, (c) Riccardo Novaga
Voi sapete come fanno i pesci di acqua dolce a colonizzare nuovi habitat e come fa la stessa specie ad essere presente in luoghi diversi dove non c'è un collegamento tra i corsi d'acqua?
Io me lo sono chiesto.
Consideriamo che le specie di acqua dolce hanno degli antenati in mare, che un po' alla volta si sono adattate e sono state capaci di risalire i fiumi. Se prendiamo l'Europa, ci sono quattro principali zone che si succedono dalla sorgente alla foce: la zona della trota, del temolo, del barbo e della carpa.
Generalmente a delineare l'areale delle specie è il bacino idrologico. Ad esempio, contando che nel pleistocene il Po sfociava molto più a sud, a livello della fossa meso-adriatica, il delta collegava i corsi d'acqua dell'Italia peninsulare con quelli balcanici, questo ha fatto sí che ci sia una certa omogeneità nelle popolazioni di pesci tra le coste dell'Adriatico.
Attraverso questo modello, quando si trovano le stesse specie di pesci in aree adesso separate, è da pensare che in passato c'era un collegamento geologico, che può essere anche molto antico. Da quel momento poi si sono sviluppate le nuove speciazioni che ne hanno diversificato le caratteristiche regionali.
Non solo. Le uova di alcuni pesci hanno adattamenti per farle aderire ai trampolieri (In Italia si parla spesso per il rischio di estinzione del Fratino o del Cavaliere d'Italia, minacciati persino dai grandi concerti commerciali). Quando queste splendide creature camminano tra laghi, stagni e fiumi, poi volando e spostandosi diffondono le uova in nuovi habitat, dove i pesci possono schiudersi e colonizzarli.
Alcune uova di pesce della famiglia dei Ciprinidi hanno adattamenti ancora più interessanti. Una frazione di uova può passare illesa attraverso l'apparato digerente degli uccelli e uscire dall'altra parte in un nuovo lago, stagno o fiume. Le uova possono ancora trovarsi nelle ovaie del pesce mangiato. Un po' come i semi di molte piante che sono in grado di sopravvivere al passaggio attraverso l'apparato digerente degli animali che se ne cibano.
Quindi c'è un sostanziale legame tra pesci e migrazione degli uccelli, ma non solo. Un'altra cosa ancora più affascinate è che durante le tempeste il vento può riuscire a sollevare le uova dei pesci e trasportarle per lunghe distanze; a volte (è molto più raro), quando è di particolare intensità, riesce a farlo anche proprio con i pesci, che possono finire ovunque, ma ogni tanto trovano ad accoglierli un lago o un fiume
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APPROFONDIMENTI
Lorenzoni, M, Carosi, A, Quadroni, S, et al. Cryptic diversity within endemic Italian barbels: revalidation and description of new Barbus species (Teleostei: Cyprinidae). J Fish Biol. 2021; 98: 1433–1449.
https://doi.org/10.1111/jfb.14688
Quadroni, S.; De Santis, V.; Carosi, A.; Vanetti, I.; Zaccara, S.; Lorenzoni, M. Past and Present Environmental Factors Differentially Influence Genetic and Morphological Traits of Italian Barbels (Pisces: Cyprinidae). Water 2023, 15, 325.
https://doi.org/10.3390/w15020325
Barbus samniticus
https://fishbase.mnhn.fr/summary/69519
Giudizio n° 3601 del 10/02/2022 - Regione Abruzzo
https://www.regione.abruzzo.it/system/files/ambiente/tutela-territorio/vinca/158156/g_3601_firmato.pdf
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sophiaepsiche · 8 months
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in merito alla crescita spirituale intesa come “cammino”, che ruolo ha il concetto di pellegrinaggio? Senza etichetta confessionale ma concentrandoci solo sullo spirito, qualcosa come il cammino di Santiago potrebbe alimentare quel fuoco che arde dentro di noi?
Il viaggio è una metafora molto usata per il cammino spirituale. All’inizio della trasformazione personale i due viaggi possono addirittura coincidere perché, per cominciare a dedicarsi al proprio stato interiore, eliminare i condizionamenti e maturare autonomia, bisogna staccarsi dal contesto abituale. Uno dei modi più comuni per farlo è proprio quello di viaggiare da soli, trasferirsi o staccarsi in qualche modo dal conosciuto.
Se pensi al pellegrinaggio di qualche secolo fa, quando non c’erano i mezzi di adesso, ti rendi conto che era un vero e proprio ‘viaggio dell’eroe’. Era un cammino lungo, solitario, tortuoso, spesso fatto a piedi o con mezzi di fortuna in ogni tipo di condizioni atmosferiche e, a volte, era anche pericoloso. Questo, per forza di cose, costringeva ad una maturazione psicologica dovuta all’affrontare indipendentemente le avversità e favoriva un contatto importante con le reazioni psicologiche e con la propria coscienza. Il tutto senza neanche considerare, per ora, la sacralità della meta.
Oggigiorno, un viaggio con un potenziale d’impatto tanto forte non esiste neanche. Anche affrontare viaggi comodi da soli e trasferimenti in giovane età è molto raro. L’abitudine alla comodità, alla sicurezza e alla superficialità non ispira certo progetti del genere. I pochi fortunati che riescono ad intraprendere un piccolo viaggio da eroe si accorgono presto che, parallelamente all’avventura esterna, si viene forzati dalla solitudine a vedere ciò che sale al conscio. Questo è ciò che io chiamo il ‘ritiro nel corpo’, perché l’attenzione non viene più soltanto dispersa esternamente ma si ritira più vicino a noi, dirigendosi alle condizioni fisiche, ai dolori, ai disagi del corpo, alle reazioni della mente e alle sensazioni. La concentrazione inoltre migliora naturalmente perché bisogna stare attenti di momento in momento, attività che la routine non stimola. A questo stadio non si è ancora in grado di gestire mente ed emozioni, si subiscono e basta, ma è già l’inizio di una purificazione del subconscio e una prima abitudine a questo processo che, in questa fase, può essere davvero duro. Scegliere di affrontare questo cammino verso l’indipendenza con la giusta prospettiva, con la voglia d’imparare a vivere e di gestire la propria emotività, può davvero cambiare la vita dei giovani e farli approdare ad una maturità ormai introvabile.
Quando si capisce la valenza di questo processo e lo si vuole intensificare, iniziano i tentativi per interiorizzare la capacità di stare con la nostra interiorità, a prescindere dalle condizioni esterne. Questo è quello che chiamo ‘ritiro nella mente’. Qui l’eroe cerca di purificare la sua coscienza sempre, osservando senza giudizi e indulgenze tutto ciò che sale nei pensieri e iniziando anche a sperimentare un contatto totale con le emozioni, che vedrà sparire molto velocemente. Questa è la pratica del conosci te stesso, la meditazione o la purificazione della coscienza. È un’allenamento dell’attenzione che quindi si alza e si concentra di momento in momento. Sono i primi tentativi per interiorizzare la solitudine e aumentare i suoi effetti salutari.
Nonostante il praticante cerchi di farlo sempre, ci sono alcune condizioni esterne che possono aiutare ad approfondire la pratica, prima fra tutte la solitudine esterna, da alternare saggiamente al ritorno agli altri. Avere la coscienza più in ordine è come avere una calamita per le cose spirituali e questo può indurre l’eroe a cercare appositamente luoghi di ritiro o a fare pellegrinaggi. Se il tuo intento è quello di dedicarti in modo concentrato alla pratica di purificazione, il pellegrinaggio, fatto seriamente, può aiutarti certamente ad ‘alimentare il fuoco’, soprattutto se ti porta dove ha vissuto un santo o un illuminato a te particolarmente caro, dove puoi meditare e studiare i suoi insegnamenti. Sono luoghi permeati di sacralità che aiutano effettivamente anche nella pratica. Lo percepirai nettamente, è come avere un aiuto extra. Il tuo scopo poi sarà quello di cercare di stabilizzare il risultato, lì ottenuto, indipendentemente e ovunque sei.
L’ultimo livello di interiorizzazione è ‘il ritiro nel sé’, nel nucleo più profondo che abbiamo dentro, il luogo più sacro che c’è. In questo raccoglimento dimoriamo nella nostra vera natura, che è spirito. I praticanti di questo livello hanno la coscienza abbastanza libera, pulita, in grazia, per questo tornano spesso nello spirito. Hanno una spiccata sensibilità per i luoghi sacri e vengono quasi ‘rapiti’ da un profondo raccoglimento al minimo cenno di sacralità. Anche loro però devono stabilizzarsi in modo più indipendente possibile dalle circostanze esterne e dai luoghi in cui si trovano.
Come vedi, fino alla fine c’è, nel praticante, questo altalenarsi tra la ricerca di condizioni favorevoli esterne per intensificare la pratica e la ricerca di una condizione interna sempre più stabile, a prescindere dalle condizioni. L’intensità e la stabilizzazione sono entrambe importanti: per la prima c’è per forza bisogno di un po’ di solitudine esterna, per un tempo limitato, la stabilizzazione invece è la versione tascabile della pratica, da portare sempre e ovunque, è quella che ci sostiene nelle sfide di ogni giorno. Abitualmente ci si può dedicare all’intensificazione nella caverna della propria stanza e alla stabilizzazione durante le normali attività.
Il punto da comprendere è sempre lo stesso: se è presente la pratica onesta e perseverante, le condizioni favorevoli particolari come i luoghi sacri, i ritiri ecc., che aiutano moltissimo ma non sono essenziali, possono esserci o meno. Se invece si fanno due pellegrinaggi all’anno ma ci si scorda della pratica quotidiana, non si andrà tanto lontano. È tutta questione di serietà.
I luoghi sacri hanno l’effetto di aiutarci nel viaggio più importante: quello dentro di noi! Ci spingono letteralmente dentro, verso colui che è sempre in ogni luogo: l’onnipresente ‘Io Sono’.
Restare ai suoi piedi, abbassando la testa, deve divenire nostro impegno costante.
Buon pellegrinaggio.
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pensierisfusi · 10 months
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Tic tac. Il tempo.
il tempo scorre inesorabile, e non puoi farci niente, quel vuoto inesorabilente pesa sempre di più.
Per quanto platonico fosse "diventato" da molto tempo quel rapporto, pesa la mancanza per tutto quello che valeva, e tanto, molto più di quello che vuoi ammettere forse per starci meno male, forse per orgoglio, forse per gelosia, forse per i rimorsi, di non avuto le "palle" di non aver fatto molto di più quando potevi, o aver fermato tutto molto prima.
Ti abbandoni a tutto tondo a lavoro, musica, bere o morfina e sonniferi da un ennesimo letto di ospedale, per sfinirti e non pensare, ma non è facile;
sempre lì ricaschi, a curiosare nella speranza remota e utopica anche solo di un piccolo cenno, di un piccolo saluto, cercare di carpire come sta da qualche raro post; magari di incrociarla, forse questo no, per il timore di vederla in "compagnia", non sono pronto ora per questo.
Quello hai adesso.
Il famoso: "il tempo guarisce", è proprio una pesa per il culo.
Il vomitare i pensieri su questo blog che non legge, forse mi libera un po' da questo stato di inquietudine. Forse.
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old suicide note (family ver) 20 aprile
Ai miei genitori,
avrei tanto voluto essere un figlio migliore e darvi più motivi di essere fieri e contenti di essere i miei genitori. Mi dispiace molto, però qui non sono stato felice, e non è stata per colpa vostra. So che lo pensate ma non è così. Anche se non sempre sono stato capace di mostrarlo (per la verità quasi mai, forse) vi sono tanto grato per tutto quello che avete fatto, e vi voglio tanto tanto tanto bene. Penso di star facendo la cosa migliore per me, non penso di poter trovare la felicità in questo mondo per come sono fatto io e per come è fatto tutto il resto. Mi dispiace tanto. Vorrei potervi dare un motivo preciso, ma non c’è, è solo che qui non sto bene, mi sento fuori posto in un modo irrimediabile. Spero che riuscirete a non colpevolizzarvi, non ce n’è motivo. Sono un po’ troppo difettoso per stare al mondo, certe persone non ce la fanno e penso vada bene così. Forse è anche parte della selezione naturale. Io non ce la faccio, non ce la voglio fare, perché sono troppo stanco. Ho provato ad andare avanti e l’ho fatto solo per non darvi un grande dispiacere – cosa che so di stare facendo con questo gesto, ma spero nella grandissima comprensione che solo un genitore può avere nei confronti di un figlio – però adesso purtroppo non ce la faccio più. Dalla vita ho avuto tutto (voi genitori estremamente amorevoli, che mi avete concesso di avere qualunque cosa io volessi e di più, dei rapporti di amicizia e romantici che mi hanno fornito una meravigliosa rete di supporto, e tutto quanto il resto), ma comunque non è stato abbastanza per farmi venire voglia di resistere, e penso sia solo colpa mia. Non voglio più migliorare a questo punto, non voglio che le cose vadano “meglio”, voglio semplicemente riposare. E questo è l’unico modo. Spero che vi faccia stare almeno un po’ più sereni sapere che sono assolutamente sicuro che questa è la scelta migliore per me, e che sono semplicemente troppo fragile e inadatto alla vita, almeno in questo nostro mondo. È colpa mia, non ce l’ho fatta, vi chiedo scusa. Nessuno avrebbe potuto fare nulla perché ero io a non voler fare nulla, e quando manca la volontà di farsi aiutare è già tutto perso in partenza. Perdonatemi, ma sono troppo stanco di tutto. Forse è una scelta egoista – sicuramente lo è – ma non posso continuare ad autoflagellarmi ogni giorno e continuare un percorso che non mi fa bene.  
Vi ho voluto tanto tanto bene. So che quando ve lo dicevo non mi credevate. Non avrei motivo di mentire: dato che sto compiendo un gesto di estremo egoismo, non credo avrebbe senso abbandonarsi ad altruismi proprio ora, quindi spero che finalmente possiate capire che è così e basta.
Vi voglio bene, ve ne vorrò sempre, e grazie per tutto quello che avete fatto. Sono stato molto fortunato ad avere voi come famiglia, ho apprezzato ogni singolo sforzo che avete compiuto per me, e il più grande rimorso che mi rimane sarà sicuramente quello di non avervelo fatto capire e di non avervi saputo trasmettere la gratitudine che sentivo e che meritate. Grazie per avermi accettato così come sono, sono sicuro che non sia stato facile per voi che siete cresciuti in un mondo davvero diverso dal mio. Grazie per esservi sforzati di comunicare con me, non è una cosa che avrebbero fatto in molti al posto vostro, anzi, penso sia stato un gesto più unico che raro. Grazie per tutto quello che mi avete dato, grazie per i consigli, grazie per l’affetto, grazie di ogni singola cosa. Dicevate sempre di non essere i migliori genitori in cui si potesse sperare, ma penso davvero che siate stati dei genitori meravigliosi, pure con tutti i difetti che avevate (in ogni caso io di difetti ne avevo il triplo, e li avete conosciuti tutti, mi dispiace avervi sempre fatto vedere il peggio di me). Se la mela caduta marcisce non è colpa dell’albero.  
So che ci sono state tante cose di me che non avete mai capito, tante stranezze, tanti modi di fare contradditori o scostanti che vi hanno confusi. Non so darvi spiegazioni per ognuno di questi atteggiamenti, e del resto anche tante cose che avete detto o fatto voi mi sono rimaste totalmente aliene e incomprensibili. Questo però non importa, ho sempre detto che non bisogna per forza capirsi per volersi bene e lo penso davvero.
Mi dispiace, tanto. Vi ho voluto bene, a entrambi in ugual modo per motivi diversi. So di provocarvi un immenso dolore, ma penso vi sarebbe stato più doloroso vedere il triste fallimento che sarei sicuramente diventato negli anni. Quindi la finisco qui, per darvi la possibilità di ricordarmi ancora giovane, forse con ancora un po’ di felicità nascosta da qualche parte, e prima di tutti gli abbattimenti che avrei subito e che mi avrebbero reso ancora peggiore di ora. Voglio lasciarvi l’immagine di una persona che forse non è ancora del tutto marcita.
Un abbraccio fortissimissimissimo, e grazie,
Federico.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Quest’uomo di cui conosco solo il cognome e lo status di pensionato mi racconta di aver comprato un appartamento sopra a quello dove hanno abitato tutta la vita solo per metterci i suoi libri, che sono quasi ventimila. Vorrei darne via un po’, dice, stanno lassù a prender polvere e a marcire e non mi sembra giusto. Venga quando vuole, conclude. Subito!, dico io. E così ci troviamo in strada, io e lui, un pomeriggio d’inverno, in marcia verso una legione di ventimila volumi. Un ascensore per invalidi ci porta direttamente dentro al secondo appartamento, che lui, forse per umiltà o forse per la ragione che scoprirò dopo, non chiama mai biblioteca, come forse sarebbe opportuno, ma solo appartamento, anzi, l’appartamento. Gli unici mobili che potrebbero ricordare un appartamento, tuttavia, sono un grosso tavolo tondo da pranzo (pieno di libri in alte file) e un lungo divano da salotto (occupato per due terzi da enormi volumi d’arte e biografie di santi e politici del passato). Il resto della casa, che è grande, cinque stanze ampie, è occupato solo da scaffalature di legno chiaro con le ante a vetri e la serratura. È una raccolta splendida e molto varia, con centinaia di prime edizioni e di libri di pregio, intere collane e volumi in tiratura limitata di minuscole case editrici. Mi racconta che per un periodo di circa vent’anni non passava giorno in cui non comprasse un libro, e più spesso non era uno solo, ma cinque o persino dieci nei giorni di grande fame, ma che poi restavano lì, e il lavoro e la moglie e la suocera gli impedivano di leggerli. Ne ho letto qualcuno, mi racconta, qualche romanzo e dei saggi di storia, ma li ho presi con la promessa di leggerli tutti un giorno e adesso eccomi qui a venderli. Guardi: di Goethe, per esempio, ho tutte le opere in quattro edizioni diverse, e così di Shakespeare e di Leopardi, ma a parte L’infinito e il Werther non saprei dire cosa contengono. Gadda: ho le opere complete nella Spiga Garzanti e tutti i libri singoli in prima edizione, tutti comprati da librai come lei o da antiquari sparsi per l’Italia. Mai letto uno. Lì c’è tutta la Biblioteca della Pléiade Einaudi, completa: ho iniziato Chateaubriand ma poi mia suocera si è ammalata e non volevo portarmelo dietro in ospedale perché è un libro piuttosto raro, dice. In uno scaffale più basso che non avevo notato c’è la filosofia: da Platone a Wittgenstein. Ci sono testi che ho inseguito per anni senza avere i soldi o l’occasione per comprarli, testi classici con commenti di filosofi celebri e qualche prima edizione rara. Dimenticavo di dire, anche se forse si sarà capito, che tutti i libri erano – sono – perfetti, assolutamente come nuovi, proprio perché mai sfogliati. Questa biblioteca, sogno di ogni collezionista-­lettore di libri del Novecento, è un monumento alla pigrizia e alla procrastinazione, una dichiarazione di amore e di fastidio. Guardandomi intorno, mi chiedo se forse questa raccolta non sia il risultato del lavoro di un suggeritore, perché davvero non rie­sco a capire come si possa conoscere la storia delle edizioni di così tanti libri senza minimamente avere idea di ciò di cui quei libri parlano. Di fronte alla collezione completa dei Centolibri di Longanesi, mi racconta una serie di aneddoti sui consulenti che l’avevano messa in piedi, sul numero esatto dei volumi in programma, sulle traduzioni, salvo poi alla fine confessare di averne aperti solo uno o due per controllare che non avessero segni. Ma, poi, la cosa che assolutamente mi lascia stupefatto è che quando arriva a dire mai aperto mai letto non so che sia non lo fa con tono dispiaciuto o rassegnato ma al contrario, quasi con orgoglio. Continuiamo a parlare per un’altra mezz’ora e lui, che ha una voce sottile e un accento emiliano fortissimo, mi porta in giro per le stanze e ogni tanto estrae un volume dagli scaffali e lo appoggia da qualche parte. È un uomo lento, anche nei ragionamenti, ma lo seguo senza fretta, e lo assecondo. Dentro di me spero, ma so che non sarà così, di portarmi a casa un bel po’ di belle cose, quelle che lui con quello strano orgoglio mi mostra, o non mi fa nemmeno vedere. Per esempio, un bellissimo Montaigne di Adelphi non me lo fa nemmeno toccare, salvo poi dire come sempre: ah, mai aperto, non so che sia. L’Estetica di Croce, prima edizione Laterza, me la sventaglia davanti al naso ma poi la ripone subito, e chiude la piccola anta di legno con la chiave. Io continuo a girare per l’appartamento e lo sento armeggiare di là. Non riesco a staccare gli occhi dagli scaffali, pieni dei libri che mi piacciono di più, e che non trovo mai. Nel frattempo, lui mi ha preparato alcune cose che vorrebbe vendere. C’è il Marx della NUE Einaudi (Il Capitale, 4 volumi in cofanetto), i Diari di Dostoevskij di Garzanti, i Quaderni di conversazione di Beethoven e diverse prime edizioni italiane. Cerco di prendere terreno, di portare via altro, ma lui è irremovibile: voleva vendere e ora, di fronte al fatto quasi compiuto, non vuole vendere più. Mia moglie per tutta la vita mi ha rimproverato per questa biblioteca, dice, mi ha sgridato ogni sera per vent’anni e per vent’anni mi ha tenuto il muso ogni volta che rientravo con un sacchetto di libri a casa. Ho dovuto prendere questo appartamento per non farmi vedere ed evitare così il conflitto quotidiano e i litigi, che mi snervano. Ma il problema è che questi libri marciranno, non li vorrà più nessuno, e mia moglie li butterà via quando sarò morto, e ormai, sa, non ho più molto tempo, nemmeno per leggere, e venire su costa fatica. Ma poi, diobono, quando mai leggerò La guerra del Peloponneso, le Lezioni di filosofia della storia, Guerra e pace? Ho anche un garage pieno di altri libri, li vuole vedere? “
Giovanni Spadaccini, Compro libri - anche in grandi quantità. Taccuino di un libraio d’occasione, UTET, 2021. [Libro elettronico]
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ma-come-mai · 2 years
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- Dottore, allora?
- Lei è la madre?
- Sì.
- Venga, parliamo un attimo di là.
- Ma sta bene?
- Ascolti, noi abbiamo fatto tutti gli esami a suo figlio ed è venuto fuori che qualcosa c’è.
- Oh dio.
- Signora, non voglio girarci tanto attorno. Gli abbiamo trovato un sogno.
- No…
- Temo di sì. È ancora piccolo, ma purtroppo non è operabile.
- Un sogno…
- Mi dispiace.
- Ma… ma è un bambino, com’è possibile?
- Non è raro che succeda così presto. Le cause possono essere diverse. Magari ha letto qualcosa, ha visto qualcosa in tv, su internet o magari una conversazione con gli amichetti… in famiglia avete casi di sognatori?
- Dio santo… non so… io… ho un fratello attore di teatro. Dice che è quello?
- Al momento non possiamo escludere niente. Certo che con uno zio attore…
- E adesso?
- Adesso possono succedere due cose: nell’80% dei casi quando lo prendiamo così presto il sogno tende ad atrofizzarsi e morire durante la crescita. Ma c’è un 20% di possibilità di degenerazione.
- Ma è solo un piccolo sogno.
- Adesso è piccolo, ma il sogno può crescere, autoalimentarsi e degenerare fino all’età adulta. A quel punto i rischi sono molto concreti. Potrebbe essere il suo grande sogno. E in quel caso è terminale.
- …
- Lo so, è difficile, ma è importante che lei sappia. Un giorno, suo figlio potrebbe volerlo inseguire questo sogno.
- Dottore, la prego…
- Io le sto solo descrivendo un possibile quadro clinico a cui deve prepararsi. Il sogno potrebbe svilupparsi e lei deve essere in grado di cogliere i campanelli d’allarme. L'insorgere di un interesse, un hobby che diventa passione e che malauguratamente lo scopre talentuoso. Un domani la passione si trasforma in lavoro e a quel punto è troppo tardi.
Vede, il sogno colpisce gli organi vitali, prima il cuore e il cervello, e potrebbe finire per condannarlo a un’esistenza miserabile fatta di rinunce e delusioni.
- Ma può conviverci, giusto?
- Se fosse nato da un’altra parte magari le direi di sì. Ci sono nazioni, poche a dire il vero, in cui si può vivere dignitosamente anche con un sogno. Purtroppo dobbiamo essere realisti, da noi la società non fornisce gli strumenti adeguati per convivere coi propri sogni. Consideri che potrebbe diventare scrittore, fotografo, pittore, musicista, ballerino o addirittura potrebbe voler aprire un'attività sua. E questo, capisce bene, lo condannerebbe a una vita da cittadino di serie b.
- E non si può fare niente?
- Fortunatamente al giorno d’oggi esistono molte terapie per trattare i sognatori precoci. La scuola, l’università e il mondo del lavoro aiutano. Ma il grosso lo dovete fare in casa, in famiglia. Crescetelo concreto, questo ragazzo. Realista. Parlategli di affitto, mutuo, priorità, usate voi stessi come esempio, educatelo alla sensatezza, al piacere della rinuncia, al senso del dovere, sminuite le sue ambizioni, fatelo diventare grande più in fretta che potete. In questo modo ci sono ottime possibilità che il sogno regredisca spontaneamente.
- E se mi diventa fumettista?
- Non è il caso di pensare subito allo scenario più drammatico.
- Dottore?
- Cosa?
- E se fosse… voglio dire, se trovasse il modo di essere felice anche così?
- Signora, non lo dica neanche per scherzo. In questo paese, di sogno, si muore.
fonte: Non è successo niente
narcisismo patologico (fb)
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alrighty-aphr0dite · 2 years
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piccolo recap di questa domenica: sono seduta sul letto a studiare psicofarmacologia con in sottofondo una playlist di musica hard rock (so che sembra strano ma il mio cervello funziona in modo strano), sono sveglia da più di 24 h e in corpo ho solo una mela e un kiwi, mangiati a pranzo (evento raro considerando che nell'ultimo periodo l'unico pasto che faccio è la cena, ma ciò è un topic per un post a parte) e per concludere in bellezza stamattina ho deciso di buttare dalla finestra l'ultimo briciolo di dignità che mi era rimasto, ma questa è un'altra storia, e come se no mi bastasse nell'ultimo periodo fumo come se non dovessi arrivare a domani, e i miei polmoni non apprezzano. E sono solo le 5 di pomeriggio, questa giornata si prospetta molto lunga e poco sana.
in compenso lato positivo di questo periodo del cazzo, sto riuscendo a tenere sotto controllo l'impulso di tagliarmi e per adesso la mia sobrietà di 4 mesi è ancora sana e salva.
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d4rks-bl0g · 2 years
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Il mondo e pieno di persone false, persone che fingono di volerti bene, di volerti stare accanto, di volerti proteggere e prometterti che ci sarebbe stato per qualsiasi cosa o necessità.
Tutti promettono sempre la stessa cosa, ma sapete una cosa?, non ho ancora mai visto una persona che è rimasta veramente o che abbia almeno mantenuto una di quelle parole, ti fanno sentire presa in giro anche se in fondo, in fondo hanno ragione no?, insomma credevo davvero che qualcuno almeno 1 volta nella sua vita abbia pensato ad una cosa del genere, pff non credo proprio.
Ma io ci speravo, si proprio così, ci speravo e ci spero ancora adesso...
In questa società ormai è diventato molto raro trovare qualcuno che ti capisca davvero e che ci tenga veramente a te.
E diventato ormai come un loop.
Stai male?
Bene, "parlane con qualcuno magari ti potrebbe capire e darti una mano ad uscirne o magari a non pensarci al momento"...
Questa è la loro solita risposta, oppure una volta che li dai ascolto e decidi per una volta di provare ad aprirti ti arriva quella pugnalata alle spalle che fa più male del male che hai subito precedentemente, perché proprio quando hai deciso di "aprirti", sfogarti con coloro che pensavi fossero le persone giuste di cui fidarti, essi usano le tue debolezze come una doppia arma rivolta verso di te...
E quindi quando mi dicono "su parlane con loro, loro possono aiutarti, LORO CI SONO"
Penso:
Bene ok
Ma dove sono?
Dove sono queste persone ?
Credo proprio che a volte bisogna aprire gli occhi e capire davvero come stanno le cose anche se a volte può far male è l'unico modo per andare avanti...
(Chiudere i rapporti con tutti e spegnere i propri sentimenti)
Mi hanno portata al punto di pensare ciò so che è sbagliato, e che magari più in avanti avrei trovato la persona giusta.
Ma il punto e che io non voglio conoscerla quella persona, (non voglio trovarla) perché mi hanno fatta soffrire così tanto che ho paura ad aprirmi a qualsiasi altra persona quindi no, non commetterò lo stesso sbaglio non voglio più soffrire in avanti.
Quindi una cosa che vi consiglio e di non aspettarvi da nessuno, che un giorno vi venga a salvare da un qualsiasi momento, perché potrebbe essere troppo tardi...
Andate avanti da soli.
E noterete e capirete che solo da soli riuscirete a trovare la via giusta.
A trovare la via della felicità❤
By: me
Ig:_its.asala_
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der-papero · 3 years
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Andiamo a rubare con Papero - Lezione 5 (parte 5) - Ciulare una WiFi
Questa non sarà l’ultima lezione sulle reti WiFi, diventerebbe troppo lunga da leggere. Ho deciso di dividerla così. Oggi vi spiego le tecniche. Domani vi illustro il software che si usa per fare gli attacchi, e nel frattempo proverò a fare il wardriving per il mio paesello. Se verrà bene, domenica vi posto i video. Ad ogni modo, siamo nelle fasi finali, chiusa questa lezione cambieremo contesto d’attacco, e non parleremo più di WiFi.
Bene, ragassuole e ragassuoli, rompiamo sta’ benedetta WiFi.
Esattamente come in un furto normale, le tecniche sono tante, e se utilizzarne alcune piuttosto che altre dipende tutto dalla serratura. Nel mondo del wireless non fa alcuna differenza. Illustrerò solo le principali.
Adesso le cose inizieranno a diventare un po’ da “nerd”, soprattutto quella di domani. Oggi proverò a restare sul comprensibile e mi scuso già da adesso, ma gli strumenti quelli sono. A meno che non avevate immaginato di poter entrare in una rete wireless in questo modo
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perché, in tal caso, per quanto io adori Hermione, diciamo che avete un po’ frainteso, ecco.
Illustrerò le tecniche nell’unico ordine che ha un senso, ovvero dalle prime a quelle più recenti. Come vi ho detto già nelle scorse puntate, commetterete sicuramente un crimine nel momento in cui, avuta la password, farete un accesso alla rete, quindi non ritorno sul punto. Per tutto quello che viene “prima”, che è poi l’oggetto di questo post, fino a quanto agite in modo passivo, anche se riuscite ad ottenere la password e la usate per leggere il traffico e spiare la vittima, potete essere biasimabili, ma di certo non legalmente perseguibili, non esiste impronta digitale del vostro passaggio. Se invece fate qualsiasi tipo di accesso, lì è come violare un domicilio, e sono cazzi vostri. Vi scrivo di volta in volta il rischio legale che correte.
I sistemi di sicurezza delle reti wireless, sin dalla loro nascita, si sono evoluti nel tempo, a mano a mano che venivano violati.
WEP
Il primo a nascere, e ovviamente a cadere, fu il sistema WEP, Wired Equivalent Privacy, ufficializzato nel 1999. Un nome una garanzia, in pratica (ironia mode ON). Senza entrare nello specifico, vuoi per la scarsa lunghezza della chiave, per giunta fissa (5 o 13 caratteri), vuoi per la debole resistenza dell’algoritmo di cifratura (RC4), scelto all’epoca perché doveva essere veloce, vuoi perché uno degli input del sistema di cifratura veniva trasmesso in chiaro e più volte, non ci volle molto a farlo cadere. Nel 2001 venne pubblicata una tecnica tale per cui, semplicemente analizzando i dati trasmessi tra un dispositivo e un Access Point (AP), in meno di un minuto veniva dedotta la chiave. Ad oggi, anche con la chiave più lunga (13 caratteri), spiando 60.000 pacchetti avete l’80% di probabilità di ottenere la chiave. Dato l’enorme traffico delle nostre navigazioni (una scrollata di Tumblr e un video Youtube, e li facciamo subito 60.000 pacchetti), un hacker che spia un traffico WEP ci mette veramente pochissimo a dedurre la chiave.
Oh, devo essere sincero, io non ho più incontrato una rete WEP che saranno anni ormai. Detto questo, non si può mai sapere, mondo bello perché è vario. Se trovate una WEP, è il vostro giorno fortunato. Molti dei tool (la prossima lezione mostrerà quello più noto) hanno a bordo il software che serve per craccarla, dovete solo eseguirlo, sorseggiare un caffè caldo, e attendere che la password del WiFi si palesi ai vostri occhi. L’unico requisito è che ci sia qualcuno che sta usando la rete, dovete sniffare abbastanza pacchetti per arrivare alla soglia tale per cui il software riesce a dedurre la chiave, quindi vi tocca “fare la posta” e aspettare di vedere il traffico scorrere. Ma, a parte quello, difficoltà quasi nulla. Altra cosa positiva: in questo attacco siete completamente passivi, quindi nessun crimine. A Carlo Taormina piace questo elemento.
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WPA/WPA2
WEP venne poi sostituito subito da WPA, Wi-Fi Protected Access, per correre ai ripari, visto che stavano tutti col culo all’aria, e poi dal suo upgrade, WPA2, che è il sistema attualmente utilizzato di default nelle vostre reti. Le varianti si sprecano, e per i nostri fini manco ci interessa saperle. Per riassumere, diciamo che qui le cose si fanno più toste, l’unica possibilità è sgamare la password “tentandola”, ovvero usare quello che si chiama un attacco a forza bruta. Coloro che, all’epoca della lezione di calcolo combinatorio, stavano davvero attenti e non mandando messaggini d’amore a mezza classe sperando di quagliare qualcosa al Mak P, ricorderanno sicuramente che più aumentano i caratteri e la variabilità di ogni singolo carattere, più diventa realistico e meno dispendioso estorcere la password dando direttamente una botta secca di chiave inglese sul cranio del proprietario della rete. Piuttosto che provarle tutte, conviene in genere utilizzare dei dizionari di password (ne trovate tanti in giro, basta cercare su Google), sono dei banali file di testo pieni zeppi di password più usate (tipo password, password1, conte.ti.amo, salvini.mortacci.tua, etc.). Il software che vedremo, dato un dizionario o un intervallo di possibilità, in automatico le prova tutte e alla fine vi dice se l’ha trovata oppure meno. Quanto ci metterà a compiere questa operazione dipende solo da quanto complicata è la password. Come avevo scritto ieri, una password numerica di 18 caratteri richiede 487.946 anni, ovvero trovatevi di meglio da fare.
Per poter testare se la password è valida o meno, il software ha bisogno di un dato di input, che si chiama 4-way handshake.
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Lasciate perdere questa brutta espressione, per giunta illegale in tempi di Covid, vi basta sapere che è quell’insieme di dati che il vostro dispositivo scambia con l’AP alla “connessione”. Come possiamo ottenere questo insieme di dati? In due modi. O stiamo lì, seduti, in attesa, spiando il traffico, aspettando il momento che uno dei dispositivi della vittima si disconnetta e si riconnetta al suo WiFi, oppure facendola “cadere apposta”. Nel primo caso, restiamo passivi, e il nostro legale potrà godersi il sole sulle spiagge di Tenerife: il contro è che potrebbe richiedere tanto tempo, pure troppo. Se un cellulare, tanto per fare un esempio, rimane nel raggio del proprio WiFi, potrebbe anche non disconnettersi mai (teoricamente). L’alternativa è far cadere tutta la rete della vittima per un instante. Quando vi dissi che sarebbe stato un bene che la vostra scheda di rete avesse avuto la capacità di fare packet injection, intendevo proprio questo. Il software che useremo per craccare può inviare dei pacchetti, a tutti i terminali della rete WiFi, spacciandosi per l’AP e dicendo “oh, belli, staccatevi!”. I terminali ci cascano, si disconnettono, per poi riconnettersi. Qui avete fisicamente fatto un attacco, che in realtà si tradurrà solo in bestemmie varie di tutti gli occupanti della casa, però formalmente siete “entrati” in una proprietà non vostra, causando un danno, seppur minimo, quindi qui si entra nel terreno criminale. Vediamo che ne pensa il nostro legale di questa nostra intraprendenza.
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Ecco, se vi cadono tutti i cellulari di casa, correte alla finestra, magari beccate qualcuno con felpa e cappuccio!
A questo punto, se il software non sta dormendo, leggerà almeno un 4-way handshake, che potrà conservare sul disco, per poi paciugarselo con calma e scoprire quale è la password. Se la vittima ha usato una password banale, potremmo essere fortunati. Potete anche arricchire il dizionario con password inventate da voi, se avete sufficienti informazioni sulla vittima (nome del partner, cognome di famiglia, nome del gatto, nomi dei figli, etc.): nun se po’ mai sape’.
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( vero, @obscure-object?? :D )
WPS
Oh, questo è il classico esempio di quando una persona si fa il mazzo per fare le cose per bene (WPA2), poi arriva il classico manager tutto giacca-e-cravatta ciuciamanuber ciaparat, con le sue idee brillanti (???), e sputtana tutto, perché, come molti esperti di sicurezza insegnano,
la comodità è la madre di tutte le cazzate.
In questo raro video dalle immagini molto violente, potete osservare la denuncia disperata di uno dei programmatori costretti dal proprio PM ad implementare questa cag... ehm ... feature avanzatisssssima.
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Vi copio il paragrafo da Wikipedia English, perché vi giuro che non ce la faccio manco a bestemmiare:
[...] the point of the protocol is to allow home users who know little of wireless security and may be intimidated by the available security options to set up Wi-Fi Protected Access, as well as making it easy to add new devices to an existing network without entering long passphrases [...]
per poi concludere con
[...] Users have been urged to turn off the WPS PIN feature, although this may not be possible on some router models. [...]
In pratica la genialata partorita nel 2006, perché alle persone veniva il callo alle dita quando queste venivano impegnate nello scrivere la password del WiFi, fu quella di dotare gli AP di un nuovo protocollo, WPS, Wi-Fi Protected Setup. Spiegata in parole semplici, è possibile inserire nell’AP un PIN di 7 cifre (credo, comunque una lunghezza irrisoria), che verrà poi utilizzato per registrare un dispositivo sulla rete. Per effettuare il collegamento, basta premere il pulsante WPS sull’AP, e da quell’istante si ha una finestra temporale breve (tipo 2 minuti) per inserire lo stesso PIN anche sul dispositivo, e la connessione è fatta.
Bello, bellissimo, peccato che venne bucato praticamente subito.
E’ possibile attivare la procedura anche senza premere fisicamente il tasto WPS, il codice “corto” si presta benissimo ad un attacco a forza bruta, perché smazzarsi 10.000.000 di PIN richiede un lavoro di ore, e alcune tecniche recenti, come la Pixie, permettono di avere la password di un AP vulnerabile, una volta scoperto il PIN, in meno di un minuto.
Ecco, qui potreste trovare qualcosa di appetitoso. Data la recente disponibilità di alcuni degli attacchi possibili sul WPS, è molto probabile che in giro ci siano molti AP vulnerabili a questo attacco e, nei casi più fortunati, vi ritrovate la password tra le mani dopo pochi secondi. Oltre ad essere bacati, così come recita la seconda frase presa da Wikipedia, alcuni AP non permettono nemmeno di disabilitare il WPS, ergo cornuti e mazziati. Qui dovrete “colpire” l’AP per innescare la procedura WPS, quindi si tratta un attacco attivo per tutto il tempo! Vediamo cosa ne pensa il nostro legale.
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Ecco, appunto :(
Il software che vedremo domani, come tanti altri, prevede moltissimi attacchi basati su PIN WPS e, rispetto a dover provare un attacco a forza bruta in WPA2, questo promette molto di più, e conviene investirci più tempo e risorse.
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