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#Satira madre
marcogiovenale · 10 months
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riccardo mannelli, oggi, all'albero blu: presentazione del suo libro "satira madre"
nella serie di incontri letterari SOTTO LA MAGNOLIA OGGI, venerdì 21 luglio 2023, alle ore 18:30 all’Albero Blu – Vivaio in via Luigi Zambarelli, 25 – Roma a cura della Libreria Raponi presentazione del libro ● SATIRA MADRE (2023) con il disegnatore Riccardo Mannelli https://youtu.be/BjwmJvlZnzk (intervista audio) Continue reading Untitled
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rebelandoutlawrock · 2 years
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“Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Già fin dai tempi dei farisei che Gesù ha appellato all’epoca come “ipocriti” e passando per le crociate, le indulgenze e l’inquisizione, non si smentiscono mai, sempre attuali fino ad arrivare ai giorni nostri. La satira del grande Alberto Sordi nel personaggio del famoso Marchese del Grillo, con le storie del quale e grazie a mia madre, io sono cresciuto, ci ricorda la corruzione che esiste da sempre nella chiesa cattolica, papi compresi... vero Ratzinger?
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thebutcher-5 · 2 years
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Oliver & Company
Oliver & Company
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo deciso di parlare di una pellicola diversa dal solito, una commedia nera e una satira davvero interessante fuori dal comune, La Signora Ammazzatutti. La storia di una moglie e madre americana che sembra una persona molto gentile e solare che in realtà nasconde un lato oscuro: lei è una psicotica con una passione morbosa per i…
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raven05sstuff · 2 years
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The sleep of reason produces monsters - Francisco Josè Goya
This is the 43th of a series called Los Caprichos (The Whims), which are 80 satirical prints about the Spanish society (its abuses and corruption) and the human vices published in 1799. The animals illustrated have an allegorical meaning: in the Spanish folklore the owl represent the folly and the bat is often associated with ignorance, in fact this print shows how largely illogical and irrational the minds of humans can be when they neglect their reason.
This isn't considered only a satira about human perdition and inasanity but also the sintesis of Goya's beliefs about art. In the caption included in the print he wrote: "la fantasía abandonada de la razón produce monstruos imposibles: unida con ella es madre de las artes y origen de las maravillas" ("fantasy abandoned by reason produces monsters impossible: fantasy united with reason is the mother of the arts and source of wonders"). Goya did consider reason and intelligence necessary but they couldn't replace the artists' imagination, as the origin of their innovation and creativity.
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carmenvicinanza · 22 days
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Valerie Solanas
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«Per bene che ci vada, la vita in questa società è una noia sconfinata. E poiché non esiste aspetto di questa società che abbia la minima rilevanza per le donne, alle femmine dotate di spirito civico, responsabili e avventurose non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile».
Incipit di SCUM Manifesto di Valerie Solanas, controversa scrittrice protagonista della controcultura statunitense degli anni Sessanta. 
È stata una donna e un’artista scomoda, che ha prodotto uno dei testi più iconoclasti, incendiari e parodistici del femminismo.
Con un’operazione inedita e potente, escludendo qualsiasi atteggiamento vittimistico, ha usato l’umorismo e la satira per denunciare gli sbilanciati rapporti di potere basati sul sesso.
Marginalità e scrittura sono state dimensioni inscindibili nella sua vita costellata di violenza fisica ed economica, discriminazione, dinieghi e reclusioni.
Nata il 9 aprile 1936 a Ventnor City, nel New Jersey, per tutta l’infanzia era stata abusata sessualmente dal padre. Dopo il divorzio dei genitori, sua madre si era risposata e poiché anche il patrigno non era propriamente una brava persona, l’aveva spedita in collegio. A quindici anni aveva già partorito una bambina che venne cresciuta come una sorella. Successivamente era rimasta incinta di un uomo sposato e molto più grande di lei, che le aveva imposto di dare in adozione il bambino a una coppia che, in cambio, aveva finanziato i suoi studi universitari.
Nonostante i traumi della sua giovane esistenza, nel 1958, si era laureata in psicologia nel Maryland e iniziato a frequentare un master di psicologia evolutiva all’università del Minnesota, ma dopo un anno aveva abbandonato, denunciandone il sistema di selezione fortemente sessista.
Vivendo di espedienti, aveva cominciato a vagabondare per il paese. Arrivata a New York, si era fatta conoscere negli ambienti underground come scrittrice e femminista radicale, dichiaratamente lesbica e per questo boicottata dagli uomini che, anche nella controcultura, detenevano il potere.
Nel 1966 ha scritto il racconto autobiografico Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle, in cui la protagonista vive di accattonaggio e taccheggio, per contribuire alla “causa socialista”, mettendo alla berlina il variegato mondo di maschi che incontra.
Nel 1967 ha redatto la prima edizione dello SCUM Manifesto, frutto di due anni di lavoro, che attacca in maniera feroce il patriarcato e la figura maschile. Vendeva le copie per strada, a 25 centesimi alle donne e a un dollaro agli uomini. SCUM letteralmente significa feccia e si riferiva a coloro che, come lei, vivevano di accattonaggio e prostituzione, sperimentando il peggio della vita. Queste donne, considerate il rifiuto della umanità, dovevano essere artefici della rivoluzione per cambiare il mondo, eliminando i maschi, responsabili della costruzione di un modello economico e sociale che porta verso la distruzione.
In quegli anni orbitava, anche se mai accettata davvero, intorno alla Factory di Andy Warhol. All’artista aveva consegnato l’unica copia del suo dramma Up Your Ass che lui aveva promesso di far pubblicare per poi cambiare idea ritenendolo troppo scurrile, rifiutandosi di restituirgliela. Successivamente le aveva offerto il ruolo di comparsa in I, A Man e utilizzato sue frasi senza mai citarla in una serie di film da lui prodotti (in particolare Women in Revolt) nonostante lei gli avesse chiesto più volte di non farlo.
Il 3 giugno 1968, nauseata da quel mondo e da come veniva trattata, ha compiuto il gesto che, più del suo lavoro, l’ha consegnata alla storia, ha sparato a Andy Warhol, riducendolo in punto di morte. 
Al processo si era difesa da sola sostenendo che Warhol esercitava un eccessivo controllo su di lei con l’intento di rubarle il lavoro. Giudicata colpevole, era stata condannava a tre anni. Gli esami psichiatrici diagnosticarono che il suo gesto era stata una reazione schizofrenica di tipo paranoico con un’accentuata depressione. Venne, così, rinchiusa nell’ospedale psichiatrico femminile di Matteawan, noto per gli abusi perpetrati sulle prigioniere; trasferita nella divisione psichiatrica di Bellevue, era stata sottoposta a isterectomia.
Della risonanza mediatica della sparatoria ne aveva approfittato l’editore Maurice Girodias, dell’Olympia Press (con cui Valerie Solanas aveva già firmato un contratto per la pubblicazione di un romanzo) che, nell’agosto del 1968, aveva pubblicato il Manifesto trasformando SCUM nell’acronimo S.C.U.M., ovvero Manifesto per l’Eliminazione Fisica dei Maschi, manipolando il testo senza il consenso dell’autrice.
Negli anni successivi è entrata e uscita da varie istituzioni psichiatriche, continuando a combattere strenuamente per l’integrità e il controllo delle sue opere e il riconoscimento dei diritti d’autrice, per i quali non ha mai percepito compensi.
Tra un ricovero e un altro, ha vissuto a Washington in una comune per sole donne, poi a New York, è stata trovata senza vita e in avanzato stato di decomposizione, il 25 aprile 1988, nel Bristol Hotel di San Francisco. I suoi effetti personali, compresi gli scritti, sono stati bruciati con lei, per volere di sua madre.
Dileggiata in vita, si è teso a cancellarne il ricordo da morta, solo dopo molti decenni dalla sua dipartita, si è cominciato a rileggere la sua opera con uno sguardo diverso.
Il suo femminismo violento e radicale ha attribuito al potere maschile ogni cosa negativa sulla terra. Per prima ha attaccato Freud sull’invidia del pene, ribaltandone il punto di vista.
Ha auspicato l’eliminazione degli uomini per rimettere in senso la società e ridisegnare le città, convinta di poter risolvere i più grandi problemi esistenziali.
Nell’atto unico Up Your Ass, messo in scena per la prima volta solo dopo trentacinque anni, l’ironia è la cifra dominante di una commedia esilarante che non risparmia niente e nessuno.
Nonostante siano passati più di cinquant’anni, i testi di Valerie Solanas sono ancora perturbanti, e colpiscono, oltre che per l’assenza di qualsiasi forma di vittimismo, per la lucidità e la lungimiranza di questa donna controversa, a cui va riconosciuto il merito di mettersi in gioco fino in fondo, in una spietata coerenza tra idee e vita che ha pagato a caro prezzo.
La sua figura è talmente potente e la sua opera così divisiva che è stata a lungo cancellata in quanto facilmente strumentalizzabile come stereotipo della lesbica pazza e della femminista che odia gli uomini.
Il suo nome, ancora oggi, segna il limite di rispettabilità e ragionevolezza che il femminismo deve osservare per essere tollerato, la lettura delle sue opere è ancora un atto eversivo.
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daimonclub · 28 days
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
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Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, un post letterario che riprende alcuni brani di questo testo umoristico di Giulio Cesare Croce con una piccola introduzione e una breve biografia dell'autore. Quando frequentavo le scuole medie, nel 1973, nella nostra antologia - LA LETTURA. ANTOLOGIA CON LETTURE EPICHE di Italo Calvino e Giambattista Salinari, Zanichelli Editore, un libro bello corposo per ogni annualità, oltre all'epica, alle poesie e a vari testi letterari di autori classici vi erano anche testi più umoristici, tratti da opere di scrittori di assoluta genialità. Tra questi vi erano brani tratti dal Bertoldo di Croce che, con i testi del Don Chisciotte di Cervantes, erano tra i miei preferiti; non a caso molti anni anni dopo la mia tesi di laurea si occupò proprio del fenomeno umoristico. A distanza di 50 anni, e dopo aver sofferto parecchio durante la mia complicata esistenza, a soli pochi mesi dalla morte di mia madre, dedico questo post a Bertoldo e al suo autore, memore dei miei anni più spensierati, quando dopo delle intese giornate scolastiche ritornavo a casa e potevo beneficiare della presenza dei miei genitori, di una realtà che non ritornerà mai più. Restano solo i ricordi, la nostalgia, la meloanconia, la sofferenza e la lieve funzione terapeutica della letteratura. Giulio Cesare Croce è stato uno scrittore e drammaturgo italiano del XVI secolo, noto principalmente per essere l'autore della popolare opera comica "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", la cui trama ruota attorno alle avventure di due contadini, Bertoldo e Bertoldino, e del loro amico Cacasenno. Figlio di fabbri e fabbro a sua volta, morto il padre, lo zio continuò a cercare di dargli una cultura. Non ebbe mai mecenati particolari, e lasciò gradualmente la professione di famiglia per fare il cantastorie. Acquisì fama raccontando le sue storie per corti, fiere, mercati e case patrizie. Si accompagnava con un violino. L'enorme sua produzione letteraria deriva da una autoproduzione delle stampe dei suoi spettacoli. Ebbe due mogli e 14 figli e morì in povertà. L'opera di Croce è caratterizzata da un umorismo vivace, un linguaggio colloquiale e una satira sociale che prende di mira le convenzioni e le ipocrisie del suo tempo. "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno" è diventato un classico della letteratura comica italiana e ha avuto una grande influenza sulla tradizione del teatro popolare. Una forma scritta precedente come fonte fu il medievale Dialogus Salomonis et Marcolphi. Oltre a "Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno", e ad un romanzo successivo sempre dello stesso filone, Croce scrisse anche altre opere, tra cui commedie, numerosi libretti brevi in prosa e poesia, che abbracciano vari generi letterari della tradizione popolare e raccolte di novelle.
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Giulio Cesare Croce L'autore riprese temi popolari del passato, come la storia di Bertoldo, ambientandola alla corte di re Alboino a Verona e a Pavia. Nella sua versione più organica, rese la storia meno licenziosa e attenuò la rivalsa popolare verso i potenti. Aggiunse un seguito riguardante il figlio di Bertoldo, chiamato Bertoldino, e successivamente un altro seguito elaborato da Adriano Banchieri, chiamato Novella di Cacasenno. Questi racconti furono poi adattati in tre film, nel 1936, nel 1954 e l'ultimo del 1984, diretto dal grande Mario Monicelli, con Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. In Bertoldo, l'autore confessò forse le sue aspirazioni personali, rappresentando il rozzo villano come un autodidatta desideroso di fortuna e mecenati. La sua produzione letteraria contribuì significativamente allo sviluppo della commedia dell'arte italiana e alla diffusione della cultura popolare nel XVI secolo, diventando così uno dei precursori della commedia italiana, apprezzata ancora anche oggi. I suoi scritti inoltre contribuirono anche alla grande letteratura carnevalesca, un importante filone identificato per la prima volta da Michail Bachtin, che tra i suoi esponenti conta tra gli altri Luciano di Samosata, Rabelais, Miguel de Cervantes e Dostoevskij. Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive. Fattezze di Bertoldo. Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso. Audacia di Bertoldo. Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti quei signori e baroni, ch'erano innanzi al Re, senza cavarsi il cappello né fare atto alcuno di riverenza e andò di posta a sedere appresso il Re, il quale, come quello che era benigno di natura e che ancora si dilettava di facezie, s'immaginò che costui fosse qualche stravagante umore, essendo che la natura suole spesse volte infondere in simili corpi mostruosi certe doti particolari che a tutti non è così larga donatrice; onde, senza punto alterarsi, lo cominciò piacevolmente ad interrogare, dicendo: Ragionamento fra il Re e Bertoldo. Re. Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei? Bertoldo. Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo. Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi? Bertoldo. I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta. Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle? Bertoldo. Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma sono tutti morti. Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti? Bertoldo. Quando mi partii da casa io gli lasciai che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché, da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che il sonno si chiama fratello della morte. Re. Qual è la più veloce cosa che sia? Bertoldo. Il pensiero. Re. Qual è il miglior vino che sia? Bertoldo. Quello che si beve a casa d'altri. Re. Qual è quel mare che non s'empie mai? Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un giovane? Bertoldo. La disubbidienza. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un vecchio? Bertoldo. La lascivia. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un mercante? Bertoldo. La bugia. Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di dietro ti sgraffa? Bertoldo. La puttana. Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa? Bertoldo. La mala lingua del servitore. Re. Qual è il più gran pazzo che sia? Bertoldo. Colui che si tiene il più savio. Re. Quali sono le infermità incurabili? Bertoldo. La pazzia, il cancaro e i debiti. Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua madre? Bertoldo. Lo stuppino della lucerna. Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un crivello e non la spandere? Bertoldo. Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te la porterei. Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non le vorria trovare? Bertoldo. I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti e il necessario brutto. Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane? Bertoldo. Aspettarei che fosse cotto e poi lo pigliarei. Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse. Bertoldo. E tu saresti un bell'umore, se non rangiasti. Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai. Bertoldo. Chi non ha del suo non può darne ad altri. Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu brami? Bertoldo. Io vado cercando felicità, e tu non l'hai; e però non puoi darla a me. Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo alto seggio, come io faccio? Bertoldo. Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi. Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno per ubidirmi e onorarmi. Bertoldo. Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e gli rodono la scorza. Re. Io splendo in questa corte come propriamente splende il sole fra le minute stelle. Bertoldo. Tu dici la verità, ma io ne veggio molte oscurate dall'adulazione. Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte? Bertoldo. Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà. Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua? Bertoldo. Il creder io che un re fosse più grande di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re. Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti? Bertoldo. L'asino del tuo fattore. Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con la grandezza della mia corte? Bertoldo. Prima che fosti tu, né manco la tua corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi. Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere. Bertoldo. Le risa abbondano sempre nella bocca de' pazzi. Re. Tu sei un malizioso villano. Bertoldo. La mia natura dà così. Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e vergogna. Bertoldo. Io anderò, ma avvertisci che le mosche hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti. Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le mosche, io ti farò battere via il capo.
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Bertoldo e il suo asino Astuzia di Bertoldo. Partissi dunque Bertoldo, e andatosene a casa e pigliato uno asino vecchio, ch'egli aveva, tutto scorticato sulla schiena e sui fianchi e mezo mangiato dalle mosche, e montatovi sopra, tornò di nuovo alla corte del Re accompagnato da un milione di mosche e di tafani che tutti insieme facevano un nuvolo grande, sì che a pena si vedeva, e gionto avanti al Re, disse: Bertoldo. Eccomi, o Re, tornato a te. Re. Non ti diss'io che, se tu non tornavi a me come mosca, ch'io ti farei gettar via il capo dal busto? Bertoldo. Le mosche non vanno elleno sopra le carogne? Re. Sì, vanno. Bertoldo. Or eccomi tornato sopra una carogna scorticata e tutta carica di mosche, come tu vedi, che quasi l'hanno mangiata tutta e me insieme ancora: onde mi tengo aver servato quel tanto che io di far promisi. Re. Tu sei un grand'uomo. Or va, ch'io ti perdono, e voi menatelo a mangiare. Bertoldo. Non mangia colui che ancora non ha finito l'opera. Re. Perché, hai tu forse altro da dire? Bertoldo. Io non ho ancora incominciato. Re. Orsù, manda via quella carogna, e tu ritirati alquanto da banda perché io veggio venire in qua due donne che devono forse voler audienza da me; e come io le avrò ispedite, tornaremo di nuovo a ragionare insieme. Bertoldo. Io mi ritiro, ma guarda a dare la sentenza giusta. Astuzia sottilissima di Bertoldo, per non essere percosso dalle guardie. Quando Bertoldo vidde che in modo alcuno non la poteva fuggire, ricorse all'usato giudicio e, volto alla Regina disse: “Poi ch'io veggio chiaramente che pur tu vuoi ch'io sia bastonato, fammi questa grazia: ti prego in cortesia, che la domanda è onesta e la puoi fare, in ogni modo a te non importa pur ch'io sia bastonato, di' a questi tuoi che mi vengono accompagnare, che dicano alle guardie che portino rispetto al capo e che elle menino poi il resto alla peggio”. La Regina, non intendendo la metafora, comandò a coloro che dicessero alle guardie che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio che sapevano; e così costoro, con Bertoldo innanzi, s'inviarono verso le guardie, le quali aveano di già i legni in mano per servirlo della buona fatta; onde Bertoldo incominciò a caminare innanzi agli altri di buon passo, sì che era discosto da loro un buon tratto di mano. Quando coloro che l'accompagnavano viddero le guardie all'ordine per far il fatto ed essendo omai Bertoldo arrivato da quelle, cominciarono da discosto a gridare che portassero rispetto al capo e che poi menassero il resto alla peggio, che così aveva ordinato la Regina. I servi sono bastonati in cambio di Bertoldo. Le guardie, vedendo Bertoldo innanzi agli altri, pensando che esso fusse il capo di tutti, lo lasciarono passare senza fargli offesa alcuna, e quando giunsero i servi gli cominciarono a tempestare di maniera con quei bastoni che gli ruppero le braccia e la testa, e in somma non vi fu membro né osso che non avesse la sua ricercata di bastone. sì tutti pesti e fracassati tornarono alla Regina, la quale, avendo udito che Bertoldo con tale astuzia s'era salvato e aveva fatto bastonare i servi in suo luoco, arse verso di lui di doppio sdegno e giurò di volersene vendicare, ma per allora celò lo sdegno che ella avea, aspettando nuova occasione; facendo in tanto medicare i servi, i quali, come vi dissi, erano stati acconci per le feste, come si suol dire. Bertoldo sta nel forno e la Regina il fa cercar per tutto. Dopo che l'infelice sbirro fu mandato a bere, si fece gran diligenza per trovar Bertoldo, ma per le pedate volte alla roversa non poteva(si) comprendere ch'ei fosse uscito fuori di corte, e la Regina lo fece cercar per tutto con animo risoluto di farlo impiccare, parendogli pur grave la beffa della veste e dello sbirro. Bertoldo viene scoperto nel forno da una vecchia, e si divulga per tutto la Regina esser nel forno. Stava dunque il misero Bertoldo in quel forno e udiva il tutto e cominciò a temere molto della morte e si pentì d'esser mai andato in quella corte e non ardiva d'uscire fuori per non essere preso, sapendo che la Regina gli aveva mal animo adosso; e ora tanto più avendogli fatto la burla dello sbirro e della veste, dubitava ch'ella non lo facesse impiccare. Ma avendo indosso quella veste, ch'era lunga, né avendola tirata ben dentro del forno tutta, essendone restata fuori un lembo, volse la sua mala sorte ch'ivi venne a passare una vecchia appresso al detto forno, e conosciuto l'orlo della veste, che pendeva fuori, che quella era una delle vesti della Regina, si pensò che la Regina fusse rinchiusa nel detto forno; onde andò in un tratto da una sua vicina e gli disse che la Regina era in quel forno. Andò colei seco e, guardando nel forno, vidde la detta veste, e, conoscendola, lo disse ad un'altra, quell'altra ad un'altra e così di mano in mano a tale che non fu meza mattina che per tutta la città andò la nuova che la Regina era in un forno dietro le mura della città. Il Re dubita che Bertoldo non abbi portato la Regina in quel forno, e va a chiarirsi del fatto. Udendo il Re simil fatto, dubitò che Bertoldo avesse portato la Regina in quel forno, perché lo conosceva tanto tristo che credeva ch'ei potesse fare ogni cosa, e le strattagemme del passato maggiormente gli crescevano il sospetto; onde subito andò alla camera della Regina e la trovò ch'ella era tutta arrabbiata; e inteso da lei la beffa della veste, si fece condurre a quel forno e guardando in esso vidde costui nel detto avviluppato nella veste della Regina, e tosto lo fece tirar fuori, minacciandolo della morte; e così fu spogliato della veste il povero villano e restò con gli suoi strazzi intorno; e tra che esso era brutto di natura e avendosi tutto tinto il mostaccio nel detto forno, pareva proprio un diavolo infernale. Bertoldo è tirato fuori del forno e il Re sdegnato dice: Re. Pur ti ci ho colto, villan ribaldo, ma a questa volta non scamperai del certo, se non sei il gran diavolo. Bertoldo. Chi non vi è non vi entri, e chi v'è non si penti. Re. Chi fa quello che non deve, gli avviene quello che non crede. Bertoldo. Chi non vi va non vi casca, e chi vi casca non si leva netto. Re. Chi ride il venere, piange la domenica. Bertoldo. Dispicca l'appiccato, egli appiccherà poi te. Re. Fra carne e unghia, nissun non vi pungia. Bertoldo. Chi è in difetto, è in sospetto. Re. La lingua non ha osso e fa rompere il dosso. Bertoldo. La verità vuol star di sopra. Re. Ancor del ver si tace qualche volta. Bertoldo. Non bisogna fare, chi non vuol che si dica. Re. Chi si veste di quel d'altri, presto si spoglia. Bertoldo. Meglio è dar la lana, che la pecora. Re. Peccato vecchio, penitenza nuova. Bertoldo. Pissa chiaro, indorme al medico. Re. Il menar delle mani dispiace fino ai pedocchi. Bertoldo. E il menar de' piedi dispiace a chi è tratto giù dalle forche. Re. Fra un poco tu sarai uno di quelli. Bertoldo. Inanzi orbo, che indovino. Re. Orsù, lasciamo andare le dispute da un lato. Olà, cavaliero di giustizia, e voi altri ministri, pigliate costui e menatelo or ora a impendere a un arbore, né si dia orecchie alle sue parole perché costui è un villano tristo e scelerato che ha il diavolo nell'ampolla e un giorno sarebbe buono per rovinare il mio stato. Su, presto, conducetelo via, né si tardi più. Bertoldo. Cosa fatta in fretta non fu mai buona. Re. Troppo grave è stato l'oltraggio che tu hai fatto alla Regina. Bertoldo. Chi ha manco ragione, grida più forte. Lasciami almeno dire il fatto mio. Re. Alle tre si fa cavallo e tu glien'hai fatte più di quattro, che gli sono state di troppo affronto. Va' pur via. Bertoldo. Per aver detto la verità ho da patir la morte? Read the full article
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keikko · 2 months
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Catastrofi Innocenti #6
Quando si destò dal torpore della lettura erano già le cinque, allora si rimproverò per aver perso la cognizione del tempo e si alzò dal letto per tentare di studiare. Prese il libro di letteratura latina e lesse il capitolo su Giovenale, sottolineando le informazioni sulla vita e sulla sua poetica e inorridendo di fronte alle sue invettive contro le donne nella VI satira. Guardò la pagina con senso critico e giunse alla conclusione che agli uomini del tempo facevano paura le donne intelligenti e informate, e le venne in mente la Medea di Euripide che affermava apertamente ciò. Chiuse il libro dopo due ore di studio forzato e riguardò l'orologio. Come potevano essere le nove? Si strofinò gli occhi e controllò il telefono. Le cifre che si illuminavano beffardamente sotto i suoi occhi erano le stesse. Si alzò un po' confusa e uscì dalla sua stanza. Sentì la porta sbattere dietro di sé e proseguì nel corridoio guardando nelle stanze dei due fratellini e non trovando nessuno. Iniziò a chiamarli, a chiedere se ci fosse nessuno in casa, mentre un leggero brivido le saliva lungo la schiena e le gelava le dita. Nascose le mani tremolanti sotto le ascelle e si meravigliò del freddo che faceva, andando persino a ricontrollare le camere dei suoi fratelli e la sua per vedere se aveva dimenticato la finestra aperta, ma trovò tutto chiuso. Entrò finalmente in salotto e vide delle scarpe infangate da uomo vicino al camino acceso, accanto alle scarpe di sua mamma e dei suoi fratelli. Rimase agghiacciata. Si voltò di scatto a destra e a sinistra, adesso con le braccia e le ginocchia tremanti che la scuotevano tutta, ma non vi trovò nessuno. Entrò di corsa in cucina e prese un coltello per avventurarsi fuori. Non c'erano macchine per la strada, non c'erano impronte fangose di fronte alla porta, eppure sapeva che aveva piovuto, lo sentiva nell'aria, lo vedeva sull'erba e ne aveva la prova in casa. Si girò ma trovò la porta chiusa, quindi lasciò il coltello sul tappetino di ingresso e si avviò verso l'ospedale. O almeno così ricordava di aver fatto, perché quando arrivò stava già sorgendo il sole. Si avvicinò alla reception mentre infermiere e medici volavano da tutte le parti nella stanza e parenti aspettavano ansiosi informazioni e possibili diagnosi. Le venne indicata una scala e lei la seguì senza ringraziare. Non le sembrava di aver parlato, né di aver cercato di approcciare nessuno, ma apparentemente era evidente dove dovesse andare perché la scala la portò in un corridoio verdognolo e poco illuminato completamente vuoto e silenzioso. Era quello il corridoio dove si doveva trovare. Non c'erano porte laterali e l''andito culminava, dove normalmente si sarebbe trovato un ascensore, in una grande porta bianca a doppia anta che al centro presentava dei pannelli di vetro sabbiato che lasciavano solo intravedere delle ombre sfocate che si muovevano disordinatamente all'interno. Fiamma attraversò il corridoio a rallentatore, sentendo ogni passo riecheggiare per il vano, udendo il rimbombo del suo respiro e il suono dello sbattere dei suoi denti, con la mascella tremante, rimbalzare da una parete all'altra. Quando finalmente si trovò la porta davanti non riusciva ad alzare la mano verso la maniglia per la trepidazione. Rimase per un periodo indeterminato a contemplare le sue stesse dita e a darsi coraggio per aprire la porta, ma appena riuscì a muovere il braccio questa si spalancò, e Fiamma venne investita dalle braccia di sua madre che se la tirava contro il petto.
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personal-reporter · 5 months
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Aldous Huxley, tra LSD e satira
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Lo scrittore che fu fondamentale nella storia della fantascienza del Novecento… Aldous Leonard Huxley, nacque  a Godalming, in Inghilterra, il 26 luglio 1894, suo nonno era il noto zoologo Thomas Henry, uno dei più accesi sostenitori delle teorie darwiniane, mentre il padre, Leonard, aveva diretto la Cornhill Magazin, il  fratello Julian Sorell era biologo di fama mondiale ed il fratellastro Andrew era Premio Nobel per la Medicina; la madre, Julia Arnold, era nipote del poeta Matthew Arnold. A 16 anni s'iscrisse alla Public School di Eton con l'intenzione di diventare medico ma, appena iniziati gli studi, fu vittima di una grave forma di cheratite e, nel giro di pochi mesi perse quasi completamente la vista. Huxley riuscì ugualmente a portare a termine gli studi imparando il braille, ma  il sogno di una brillante carriera scientifica svanì ma, grazie all'uso di una lente d'ingrandimento, riuscì  a recuperare l'uso di un occhio e si potè iscrivere  al Balliol College di Oxford, dove, nel 1915, si laureò in Letteratura Inglese e Filologia. Iniziò a scrivere durante il primo periodo bellico, con recensioni di teatro, arte, musica e libri, e versi oscillanti fra vena romantica e abile satira e Crome Yellow, il suo primo romanzo apparve nel 1921, diventando famoso per le vivaci caratterizzazioni dei personaggi e la brillantezza delle conversazioni. Lo scrittore passò gran parte della sua vita viaggiando tra Francia, Italia, India e Usa, mentre visse in Italia tra il 1923 e il 1930, dove scrisse Point Counter Point, considerato come la miglior prova di Huxley nel campo del romanzo delle idee attraverso la contrapposizione dei tempi, gli umori dei personaggi e le scene. Durante il 1930 Aldous visse tra la Francia e l'Inghilterra e, nel 1932, scrisse il suo romanzo più noto, Brave New World, col quale raggiunse la notorietà internazionale, oltre a iniziare una serie di viaggi in CentroAmerica e, nel 1937, entrò in contatto con l'équipe medica del dottor Bates di New York, che con la sua terapia di Rafforzamento della Vista, curò in maniera efficace la malattia alla cornea dello scrittore ed a fargli recuperare quasi totalmente la vista. Nel 1944 Huxley si dedicò alla stesura di The Perennial Philosophy, una raccolta di saggi filosofici sugli ideali dell'uomo, che viene pubblicata poco dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale. Affascinato dagli studi storici e dal misticismo, nel 1952 lo scrittore pubblicò The Devils of Loudun, rigorosa ricostruzione storica di un processo per stregoneria nella Francia del Seicento. Huxley abbandonò progressivamente l'attività di narratore per dedicarsi sempre più a quella di saggista ed alla meditazione filosofica, convinto che la felicità e l'infelicità altro non fossero che il frutto di reazioni chimiche all'interno dell'organismo umano, oltre a sperimentare su sé stesso gli effetti della mescalina e LSD, come raccontò in due importanti saggi, Doors of Perception (1954) e Heaven and Hell (1956). Il successo di Brave New World spinse lo scrittore a pubblicare, nel 1959, la raccolta di saggi Brave New World Revisited, con cui riesaminò  le sue profezie alla luce degli avvenimenti di quegli anni. Nel 1962 Huxley tornò alla narrativa con The island, un'usopia basata su un paradiso terrestre in un'isola deserta, in cui ci sono anche i temi sviluppati nei saggi. Allo scrittore nel 1960 fu diagnosticato un cancro alla lingua e Huxley morì ad Hollywood il 22 novembre 1963, lo stesso giorno in cui venne assassinato a Dallas il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Read the full article
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lamilanomagazine · 7 months
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Lecce in festa: festival, concerti nel quartiere e aperture Fai.
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Lecce in festa: festival, concerti nel quartiere e aperture Fai. Anche il secondo fine settimana di ottobre vede a Lecce la possibilità di scegliere fra un'ampia offerta culturale e di intrattenimento grazie alla collaborazione del Comune con le associazioni del territorio e con organizzatori esterni e al sostegno della Regione Puglia nell'ambito delle attività finanziate a valere su Por Puglia Fesr-Fse 2014/2020 – Asse VI Azione 6.8 – “Palinsesto PP-Tpp Puglia. Riscopri la meraviglia 2023”). Sono in programma da giovedì a domenica gli ultimi quattro concerti della rassegna “Impressioni di settembre...ma anche un po' di ottobre”, organizzata dal Comune con TTEvents, che porta la misica italiana cantautorale e non nei quartieri. Giovedì 12 ottobre, si suona al quartiere Santa Rosa, in Piazza indipendenza, con Max Vigneri. Alessandra Congedo e Valentina Marra in “Loro – Viaggio nell'universo canoro femminile”, mentre venerdì 13 ottobre, nel quartiere Stadio – rione San Sabino, in piazza Madre Teresa di Calcutta, Dalila Spagnolo canta Pino Daniele. Si conclude sabato 14 ottobre, nel quartiere San Pio, in Piazza San Michele Arcangelo (Case Magno) con Zimba che canta Pino Zimba e domenica 15 ottobre, in piazza Partigiani, con Emanuela Gabrieli che canta Gabriella Ferri. Il complesso degli Agostiniani e la biblioteca OgniBene con Biblioteca Bernardini, Officine Cantelmo, Officine Culturali Ergot e Liberrima sono i luoghi che ospiteranno, da giovedì a domenica, la decima edizione del festival “Conversazioni sul futuro”, organizzato dall'associazione Diffondiamo idee di valore, con un ricco programma che coinvolgerà circa 150 speaker nazionali e internazionali per parlare di ambiente, attivismo, clima, comunicazione, design, diritti, economia, esteri, giornalismo, fotografia, fumetto, lingua, musica, satira, storia e molti altri temi di attualità (programma completo sul sito www.conversazionisulfuturo.it). All'interno del festival, sabato 14 ottobre, dalle 19 alle 22 torna Artisti barboni per un giorno - Barbonaggio Teatrale Collettivo, promosso da Nasca Teatri di Terra di Ippolito Chiarello, con performance teatrali diffuse in piazza Sant'Oronzo e nelle vie limitrofe. Venerdì 13 ottobre, prosegue al Teatro Koreja (ingresso gratuito, ore 21) Improvviva, la rassegna teatrale di improvvisazione promossa da Improvvisart che coinvolge e fa divertire il pubblico, mentre si conclude nel giardino dell'ex Conservatorio Sant'Anna, dalle 20, la rassegna organizzata dal Fondo Verri “Qui se mai verrai...Il Salento dei poeti”, dedicata alla contemporaneità della ricerca poetica nel Salento e in Puglia: gli ultimi due appuntamenti sono previsti giovedì 12 ottobre con il musicista indostano Imran Khan e domenica 15 ottobre con la serata dedicata a Declaro, la collana di Kurumuny nata per far conoscere l'opera di Antonio Verri. Sabato e domenica il Borgo di Frigole ospiterà la “Mostra della Patata zuccherina di Frigole”, organizzata dalla cooperativa di comunità “Terra e Mare” con l'associazione dei produttori della patata zuccherina e l'Ecomuseo delle bonifiche di Frigole ed il coinvolgimento degli chef della città e degli alunni del Presta-Columella. Domenica, “We love Parco Tafuro”, nel quartiere Leuca, promossa dall'omonimo comitato con l'associazione OpenArtLab ETS, si conclude con una biciclettata una biciclettata con partenza alle 11.30 da Porta San Biagio e con arrivo a Parco Tafuro dove ci si dedica alla pulizia partecipata del parco. Il secondo appuntamento con “Magia al Parco”, lo spettacolo di magia del Mago Yuri, è previsto domenica dalle 10.30 al Parco Borgo San Nicola nei pressi della torre. Sempre domenica, alle 19.30, l'associazione Movidabilia promuove la messa in scena in piazzetta Giravolte dello spettacolo “A Mara”, dedicato alla Mara, la più nota transessuale di Lecce che visse proprio alle Giravolte. Sempre nel weekend a Lecce sono previste le giornate Fai d'autunno, sabato e domenica, con l'itinerario “Fai. Bella mostra”, nel quale la Camera di Commercio si aggiunge alle quattro residenze private, i palazzi De Raho, Grassi – Chillino, Verri e Morrone, in cui saranno allestite delle mostre d’arte contemporanea di artisti di riconosciuta fama e professionalità. Sabato, il Castello Carlo V, alle 18.30, ospiterà il premio internazionale Manibus, sotto la direzione artistica di Nicola Miulli, che premierà le eccellenze dell'artigianato nazionale e internazionale e i grandi nomi legati alla valorizzazione della cultura e del made in Italy. Alle 20.30, sempre al Carlo V, sarà inaugurata la mostra “Volumi di carta” con opere tridimensionali di Caterina Crepax, Daniele Papuli, Perino&Vele e Anila Rubiku, che sarà visitabile fino al 19 novembre.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 7 months
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29 set 2023 12:12
“UN GIORNO ANDAI DA MIO PADRE E CHIESI ‘TI SEI MAI DROGATO? SEI BISESSUALE?’” – LUCA BARBARESCHI APRE LE VALVOLE E RICORDA LA MADRE CHE LO ABBANDONÒ A 6 ANNI: “UN GIORNO MI HA DETTO ‘SCUSA MA MI SONO STUFATA’. IO E MIO PADRE SIAMO RIMASTI SOLI, DUE UOMINI IN COMPETIZIONE” – LE DONNE: “SONO STATO UN DISGRAZIATO, UN INCOSCIENTE” – LA FINE DELLA STORIA CON LUCREZIA LANTE DELLA LOVERE: “LA SUA SOGLIA DEL DOLORE ERA PIÙ BASSA DELLA MIA, E STARE CON ME ERA COMPLICATO” – “IL MONDO POLITICALLY CORRECT MI ODIA PERCHÉ DIFENDO POLANSKI E LAVORO CON LUI” – VIDEO
Estratto dell'articolo di Cristiana Allievi per “7 - Corriere della Sera”
[…] Luca Barbareschi è vestito di chiaro e i suoi occhi sono luminosi. È appena stato alla Mostra di Venezia in doppia veste, quella di produttore (e attore) di The Palace, la commedia nera di Roman Polanski, nelle sale da ieri, e quella di regista (e protagonista) del suo primo film americano, The Penitent. A Rational Man, adattamento di una pièce teatrale di David Mamet, un testo che sembra tagliato sulla misura della sua vita e che vedremo all’inizio del 2024.
Al centro c’è una storia ispirata a fatti veri, uno psichiatra ebreo che vede la propria esistenza e la propria carriera andare in rovina per aver rifiutato di testimoniare a favore di un ex paziente che ha ammazzato otto persone. «Ho contro tutta la stampa, a vedere il mio film ci saranno stati tre giornalisti», comincia a rotolare la valanga-Barbareschi.
Partiamo da The Palace , la satira di Polanski che a Venezia non ha convinto i critici: come l’ha presa?
«Sentir dire le cose che ho sentito, con un film costato 22 milioni di euro, è surreale. Nella vita ho imparato che se qualcosa non mi convince non è detto che non sia valida, The Palace è lo specchio di una società di imbecilli che si scattano selfie, di gente rifatta e ricostruita. Ci sono Putin e qualcuno che vuole distruggere l’Europa, ma forse non sono i russi. E Polanski ha scritto il film prima della guerra in Ucraina, forse lo capirete fra vent’anni».
È il quinto lavoro del regista polacco naturalizzato francese da lei finanziato: difficile trovare fondi per un autore così?
«Sono un eroe, e il fatto che io lo difenda e ci lavori insieme da 40 anni ha fatto sì che il mondo politically correct mi odi».
[…]
Tecnicamente è oggetto di un mandato d’arresto internazionale emesso dagli Usa, non le crea problemi?
«No, perché so come sono andate le cose, io c’ero, e gli americani sono dei figli di puttana. È tornato da Bora Bora e si è consegnato alla Polizia sapendo di aver fatto una cazzata. Non c’è stato nessuno stupro e tutto sarebbe finito con un’ammenda, considerato che erano gli anni Settanta, Samantha Geimer era consenziente e dimostrava più dei 13 anni che aveva.
Quando però Roman ha capito che il giudice avrebbe fatto una sentenza finta, per farsi pubblicità, se n’è tornato nel suo Paese d’origine. Sono 50 anni che la Geimer ripete “non sono stata violentata, Polanski mi piaceva”, pochi mesi fa ha rilasciato un’intervista con Emanuelle Seigner (moglie del regista; ndr ), dicendo “ci avete rotto..., noi due donne lo abbiamo difeso e perdonato”. Mi spiega perché si continua con questa storia di Polanski stupratore?».
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Lei come se lo spiega?
«Alla gente interessano le maldicenze, ma gli studi di epistemologia dicono che se nella vita hai una capacità di elaborazione affettiva e spirituale forte, il tuo Dna si modifica. Lo scopo della vita è migliorarsi, anche di un solo centimetro».
Lei lo fa?
«A costo di litigare, e non mi importa risultare antipatico. Gli ultimi figli che ho avuto stanno meglio di come stavano le mie prime figlie, perché sto meglio io. Sono un privilegiato, non sono finito in un campo di concentramento, ho avuto sei figli meravigliosi da tre donne (la moglie attuale è Elena Monorchio, ndr.)».
Come Julian Schnabel, anche lui in questi giorni a Venezia.
«Lo conosco bene, e a differenza sua io sono un padre affettuoso e non mi creo l’harem. Sono stato un disgraziato, un incosciente, ma quando finisce una storia, per me è finita. Ho avuto una donna a New York, la madre di mio figlio Michael (nato nel 1974, ma “scoperto” a vent’anni di distanza, ndr ), poi mi sono messo con Titta (Patrizia Fachini, ndr) e abbiamo fatto tre figlie. Ma mi sono innamorato di Lucrezia (Lante della Rovere, ndr) quando mia moglie aspettava il terzo figlio, se ci penso adesso... Ho perso la testa, Lucrezia aveva appena avuto due gemelle, siamo stati insieme 12 anni. Finché non mi ha lasciato, di colpo».
Perché?
«La sua soglia del dolore era più bassa della mia, e stare con me era complesso».
Anche sua madre, Maria Antonietta Hirsch, l’ha abbandonata. Quando lei era un bambino.
«Un giorno mi ha detto “Scusa ma io mi sono stufata, me ne vado”. Avevo sei anni, si era innamorata di un altro uomo e si è portata via mia sorella di un anno dividendoci per sempre».
Cosa ha detto a sua madre, mentre se ne stava andando?
«”E io?”, ma mi ha risposto “Mica possiamo andare tutti in vacanza insieme...”. Era molto simpatica, spiritosa»
Spiritosa?
«Mi ha dato un libro, Cent’anni di solitudine, dicendomi di leggerlo. Per tutta la vita mi ha mandato un libro ogni due giorni. Al telefono diceva “Sì sono via, sono a Copenaghen...”, “Sto andando in Egitto...” e poi aggiungeva “Ora cosa fai, piangi?”».
E lei?
«”No, no, ciao mamma”».
Non vi siete mai ritrovati?
«Non volevo più vederla. Difendevo anche mio padre, lo vedevo piangere: gli mancava sua figlia. Bel casino, insomma».
Francesco Saverio Barbareschi, ingegnere civile ex capo partigiano.
«Era un uomo molto potente, parlava sei lingue, sciava benissimo, era persino un pianista strepitoso. Lavorava per la Edison, costruiva dighe e centrali termoelettriche, motivo per cui io sono nato in Uruguay. Quando mia madre è scappata siamo rimasti due uomini in competizione. Quando abbiamo litigato e me ne sono andato gli ho detto cose terribili. Gli è venuto un infarto».
Cosa avrebbe voluto da lei?
«Che facessi l’economista, diceva che avevo una mente veloce. Ma ho dato solo tre esami a Losanna, poi un giorno sono andato da lui e gli ho detto “Ti sei mai drogato? Sei bisessuale? Hai mai fatto questo o quello?”. E lui, che era una belva, mi ha risposto di non permettermi...».
Lei cosa ha detto?
«”Siamo diversi, vaffanculo, me ne vado”».
L’America è stata una fuga?
«All’epoca l’Italia era molto cupa, Milano aveva i micro assegni al portatore, volevi suicidarti... Eroina e cocaina te le regalavano fuori dalle scuole, erano la droga di Stato per sedare una generazione. Andai con Oliviero Toscani, la prima volta in America: si immagini un diciottenne che si siede a tavola a Max’s Kansas City e incontra Mick Jagger, David Bowie, Lou Reed... C’era un’energia impensabile, io ero un povero cristo senza una lira ma andavo alle feste, giravo le case di tutti, vedevo aprirsi porte su porte».
Come si manteneva?
«Facevo il cameriere e vivevo al ristorante Il cortile, una volta Coppola mi diede 100 dollari di mancia. Finivo la settimana e avevo mille dollari in tasca, avevo il mio loculo sopra un barber shop e toccavo il cielo con un dito. Non dormivo mai. Grazie a Steven Spielberg, che mi disse “Prendi una penna e scrivi, poi gira”, in America ho scritto sei film».
Quando ha rivisto suo padre?
«Dopo 5 anni. Ma la competizione fra noi non è finita neppure alla sua morte».
E con sua madre c’è stata una riconciliazione?
«No, ed è il problema più grosso della mia vita. Quando ho capito un po’ meglio le cose sono diventato suo padre, a 80 anni era ancora un’adolescente».
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Quanta rabbia ha ancora in corpo?
«Meno di un tempo. La mia è stata una rabbia terribile, figlia della solitudine. Una volta al mese devo riguardare il mio curriculum perché non penso di aver fatto davvero le cose scritte lì. Non ho mai la sensazione di meritarmi il successo».
Nel suo primo film americano, The Penitent.A Rational Man , lo psichiatra protagonista arriva alla conclusione che nessuno guarisce. Vero?
«Ho fatto ipnoterapia, sono stato anche in cura per 8 anni da Matte Blanco, un analista cileno. Il problema non è guarire ma accettare i propri dolori. La ferita rimane dentro e ti rende consapevole delle difficoltà, ti tiene sveglio, ti fa ricominciare».
«Cos’è la malattia mentale? Un disturbo dell’anima...», sempre parole dello psichiatra del film.
«Questa frase è mia, non di Mamet. L’anima ha delle fragilità, è leggera, basta poco per metterla in agitazione. Io più invecchio più mi sento fragile».
Fragile o sensibile?
«Fragile e sensibile, tutto mi turba».
Le pare una novità?
«Dentro mi sono sempre sentito così, ma indossavo una corazza, anche quando ero un cazzone e menavo le mani».
Quando lo ha capito?
«Quando Lucrezia mi ha lasciato e mi sono reso conto di aver sbagliato io. Non c’era stato ascolto, la mia testa va talmente veloce che non mi accorgo di procurare sofferenza agli altri».
Quante volte le si è spezzato il cuore?
«Tante, ogni volta che si è rotta quella stretta di cuore e cervello che speravo di aver creato con la persona amata. È come quel momento di fine agosto in cui cambia l’inclinazione del sole: di solito me ne sto a Filicudi. Sono meteoropatico, il cambio di stagione è un momento delicato».
Fa vivere il trauma dell’abbandono a chi le sta vicino?
«Io lo creo, l’abbandono, faccio di tutto perché a un certo punto qualcuno mi lasci. I modelli di comportamento si ripetono».
[…]
«So che mia madre voleva abortire, ha scritto una lettera a mio padre proprio 10 giorni dopo aver scoperto di essere incinta. Il feto ha ventimila neuroni che registrano tutto, e io ho registrato che non ero benvoluto».
È diventato attore per avere l’attenzione e l’affetto mai ricevuti?
«Cercavo gli applausi ed è un bel passo avanti che oggi non mi interessino più. Da ragazzo ho usato tante droghe, oggi faccio volontariato al Centro Maraini per tossicodipendenti, andare tra persone che stanno peggio di me è un gesto di umiltà. Ho anche lavorato con una trainer per un deficit da mancanza di concentrazione che compenso facendo mille cose».
Al momento?
«Studio composizione e direzione d’orchestra da 4 anni, scrivo un nuovo film, produco Black Out e altre 2 serie tv».
Ha paura del vuoto?
«A Filicudi sto bene anche da solo».
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iltrombadore · 9 months
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Ricordando Attalo: "Il gagà che aveva detto agli amici", "Genoveffa la racchia", ecc...
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Gioacchino Colizzi, col nome d'arte di Attalo (Roma, 1894 – Roma 1986),lo ricordo ancora quando nei primi anni Sessanta parodiava su 'Paese Sera' con vignette intitolate alle 'guerre pacioccone'...Ma Attalo aveva un passato di vignettista satirico di fama, esercitata sul periodico 'Serenissimo' (primi anni Venti') e successivamente sul 'Marc'Aurelio', una delle poche riviste di satira italiane degli anni Trenta, dove si fece le ossa tra gli altri anche il giovanissimo Federico Fellini. Fu nel 1931 che Attalo inventò il personaggio del 'Gagà che aveva detto agli amici...", figura di elegantone vanitoso e sbruffone sempre impegnato a mascherare da avventurosi successi quelle che erano in verità magre figure...Si dice che Attalo, per disegnare il "Gagà" si fosse ironicamente ispirato all'aspetto dell' amico Attilio Battistini, che fu corrispondente di guerra de "Il Messaggero" (e nel dopoguerra direttore responsabile di "Playmen") il quale ostentava un abbigliamento vistoso accompagnato da naso e mento più che pronunciati.
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Oltre alle vignette del "Gagà", Attalo inventò per il "Marc'Aurelio" altri personaggi, tra i quali "Genoveffa la racchia" e "La contessa Algisa". Il giovane Federico Fellini, che conobbe Attalo durante la sua collaborazione al settimanale romano, prenderà spunto da lui per tratteggiare alcuni personaggi del film "Roma".
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Nel 1947 Attalo tornò a collaborare al "Travaso delle idee" con nuovi personaggi come "Gastone il frescone" ed il "Cavalier Precisetti" (che “quando fa una cosa la fa bene o per niente”).Per il settimanale "La Sigaretta", pubblicato tra il 1947 ed il 1948 creò le vignette de "La famiglia Cocottini", la cui protagonista è una signora che propone a maturi e decrepiti signori la compagnia di avvenenti e disponibili signorine, di cui lei si finge madre.
Tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni 60 Attalo inizia allora a collaborare al quotidiano romano "Paese Sera" con una serie di vignette denominata "Le guerre pacioccone". Continuerà inoltre fino agli anni '70 a disegnare le vignette del "Gagà che aveva detto agli amici..." per il settimanale milanese "Candido", diretto da Giorgio Pisanò.
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valentina-lauricella · 9 months
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La "svampita" Valentina75 parla, per l'ennesima volta, a un immaginario Giacomo Leopardi:
Caro, amatissimo Leopardi.
Ho scoperto un altro autore italiano del '900 a cui ti si accosta, tale Guido Morselli. Come Cesare Pavese, altro autore a cui vieni assimilato, anche lui si suicidò. Questi uomini che si suicidano non hanno la tua stessa grazia, che è la positiva energia d'amore che da te si spande, la capacità di sorridere dell'assurdità di ciò che ci fa soffrire. Tu sei diverso, più esistenzialmente sapiente, più forte.
Tu hai l'arma dell'ironia, del sarcasmo. Non c'è nulla di cui tu non sappia prenderti gioco. Se qualcosa intimamente ti offende, non ha scampo: finisce sotto il tritacarne della tua satira. È una qualità, quella del riso, che hai affinato negli anni. Da giovane eri più fragile, quasi indifeso, chiuso in te stesso. Poi hai notato come il riso, anche caustico, possa salvare.
Ricordo cosa scrivesti a un tuo cugino (Giuseppe Melchiorri) che soffriva per amore: che le donne erano fatte apposta per riderci su. Ovviamente è un atteggiamento di difesa verso quelle donne con le quali non si riesce ad avere un rapporto felice, ma è un atteggiamento giustissimo: niente ha il diritto di farci soffrire fino a distruggerci.
Il tuo Epistolario è bellissimo e indimenticabile; le mie preferite sono le tue lettere più spontanee, quelle indirizzate a tuo fratello e ad amici intimi. Mi piace tanto come tu scrivessi loro "ti amo" e "amami". Cose che non scrivesti mai a donne. Se io avessi ricevuto una tua lettera con scritto "amami", sarei impazzita di gioia e sarei diventata la tua eterna fedele seguace e amante.
Quello scrittore di cui prima ti parlavo, Guido Morselli, si ispirò ad una tua Operetta Morale in cui immagini un mondo senza più esseri umani (Dialogo di Ercole e di Atlante), per scrivere un suo romanzo, Dissipatio H. G. (Humani Generis), in cui progetta di suicidarsi, poi si accorge che tutti gli uomini sono scomparsi, e desiste dal suo proposito. A quanto pare, le persone gli davano proprio tanta noia!
A me la gente non dà noia. Io voglio percepire amore dalle persone. Detesto sentirmi sola. Mi piace talvolta stare da sola, ma pensando di essere in pace con tutti e che qualcuno, che io amo, mi ama. La solitudine più bella è quella in cui posso pensare a te con tutto il mio amore.
Sai che ho sognato mia madre? L'ho vista e ne ho udito la voce. Parlavamo della tua mamma, la marchesa Adelaide Antici. Le dicevo che la sentivo come se fosse una mia ava. La verità è che sono molto grata a tua madre di averti messo al mondo.
Quante volte hai scritto che per te sarebbe stato meglio non nascere, che non esistere è meglio che esistere... L'esistenza è uno stato dinamico e problematico, è una condizione che si estrinseca attraverso un contrasto, una lotta. Il momento del parto dura tutta la vita. Ma prima o poi verremo a un grado così affinato dell'essere che non ci farà rimpiangere il non essere. Questa è la mia opinione, o meglio, una mia ipotesi.
Tu sei un genio di sapienza, amore e bontà. Vorrei pervenire al grado più alto dell'essere insieme a te. Non m'interessa la solitudine. Non credo alle anime gemelle, ma alle anime affini, per le quali si sente un'attrazione invincibile. Tu sei un'anima altamente affine a me. Fai parte della mia famiglia. Hai raccolto tante bellissime anime attorno a te. Siamo una famiglia numerosa. Troveremo sempre aiuto, appoggio, e qualcosa di cui ridere, insieme.
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7u7mmm · 1 year
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Reseña de glass onion: una historia de glass out
Bueno la vdd esta pelicula fue muy refrescante y atrapante como la primera película. Vamos por puntos empecemos con las primeras escenas donde nos regalan (asi como en toda la pelicula y su entrega anterior) una gama de colores preciosa y una fotografia muy buena cortesia de Rian Johnson.
la trama es sencilla recordandome un poco a los episodios de sccooby doo;es ese tipo de misterio detectivesco que no deja de ser un misterio atrapante pero a la vez simple sin sentirse oscuro o sinistro pero sin perder ese toque atrapante del mismo.
Los personajes empezando por benoit blanc ( daniel craig ) que interpreta a nuestro querido detective que como anteriormente no deja ver su perspecacia y sarcasmo tipico de detectives pero en el se siente incluso amable y no presuntuoso cosa que no pasa pir ejemplo en entregas del mismo genero como enola holmes ( muy buenas peliculas por cierto) el es el puente de la historia ya que de una forma tan organica la une .
Ahora el elenco es muy bueno dandonos muchas caras conocidas como Edward Norton ( American History X ) como Miles Bron que es una clara critica a la ricos que usan su dinero de manera quiza absurda.
Luego tenemos a la bellisima y talentosa Janelle Monáe (Andi Brand) quien logro muy bien este papel y nos trajo el plot de la película su mirada transmitia muchas cosas y era de las cosas mas llamaba la atencion en la pelicula a mi criterio.
Kathryn Hahn (Claire Debella)quien últimamente recordamos por su papel de Agatha en Wandavision y una larga lista de papeles exitosos y aunque el personaje ( ojo personaje no actriz o actuación) me parecio algo flojo no dejo de ser una buena aportación a la trama regalandonos momentos muy buenos dejandonos ver como influencia los patrocinadores a los politicos y tratan de limpiar continuamente su imagen para asi ganar votantes.
Un personaje que me parecio interesante y me hubiera gustado explorar un poco mas en la película ya que estaba lleno de detalles y comentarios muy interesantes fue le de Leslie Odom Jr. ( Lionel Toussaint) creo que en general fue un buen elemento a la trama y nunca abandono su estado neutral y misterioso el representa como todos los perosnajes en esta pelicula la satira del cientifico que aunque no quiera o le parece correcto por caprichos externos realiza experimentos o pruebas.
Una querida por el publico Kate Hudson quien interpreta a una supermodelo con opiniones muy interesantes quien actualmente diseña ropa y esta en la decadencia de su carrera esta Birdie Jay es clarente una satira a las estrellas polemicas que siempre estan en el culmine de su carrera hasta que tiene una nueva polemica; su personaje se degusta muy bien tiene esta situación de estar en el medio entre caerte pesimo pero decir no puede ser ella es realmente asi de idiota y ya no te cae tan mal visualmente te regala muchas escenas como la del vestido arcoiris que es muy importante en la trama. Este personaje esta acompañado por su personaje de apoyo su asistente interpretado por Jessica Henwick esta peg quien se preocupa mucho por el futuro de birdie y por el suyo mismo es gracioso verla entre escenas siendo ese lado poco glamuro de birdie pero también el mas eficiente quein sin ella su carrera probablemente se iria al caño. Jessica nos dios una gran interpretacion como peg y como no si nos entrego perosnajes como Nymeria Sand en juego de tronos y testor en star wars.
Luego tenemos a un personaje con el que tengo uan situación mezclada mientras lionel y claire tenian ocupaciónes y personalidades perecidad birdie y Duke cody interpretado por dave bautista hacian los mismo duke es este perosnaje que desde que te lo prrsentan dices dios es un imbecil y la vdd es que lo es, el representa al perfecto american jerk que tiene un arma donde quiera que va no mide sus consecuencias, tiene una novia cual nombre es whiskey y la trata mas como un objeto, vive con su madre y tiene una canal de twich. Y bautista lo interpetra tan bien que te lo crees conforme avansa la trama te das cuenta que el no es malo solo es un completo imbecil.
Por el lados contrario tenemos a su novia Whiskey intepretada por Madelyn Reene Cline quien actuamente podemos ver tambien en outer banks. Su personaje parece ser la chica bonita que solo esta con el imbecil por que le conviene y asi es pero su personaje como su actuación tiene cosas por las cuales soprendernos.
Apartir de aqui vemos a varios personajes secundarios que le agregan lo necesasrio a la trama para hacerla fresca y comica en este panel tenemos: jackie Hoffman , dallas roberts como recurrentes y Ethan Hawke aparece brevemente como el asistente de Miles (acreditado como "Hombre eficiente"), Hugh Grant hace cameos como Phillip, la pareja de hecho de Blanc , y Joseph Gordon-Levitt expresa el reloj de Miles, el Dong por hora; Gordon-Levitt tuvo un cameo vocal en la película anterior como Detective Hardrock. Varias celebridades hacen cameos como ellos mismos, incluidos Stephen Sondheim , Angela Lansbury , Natasha Lyonne , Kareem Abdul-Jabbar , Yo-Yo Ma , Jake Tapper y Serena Williams . Sondheim y Lansbury murieron antes de que se estrenara Glass Onion , y la película está dedicada a ambos. Las imágenes de Jared Leto y Jeremy Renner aparecen en botellas de kombucha y salsa picante , respectivamente.
Esta película la recomiendo mucho si quieres pasar un rato en familia o en pareja incluos tu solo y verla por la tarde mientras te relajas
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LIAFF SPECIAL #3: - Child’s Play: Quando l’horror non si prende sul serio
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Carissimi lettori, ben ritrovati con un nuovo appuntamento con LIAFF SPECIAL, la rubrica dedicata all’approfondimento di personaggi e temi nel mondo dell’intrattenimento. Per la nostra prima battuta su Tumblr abbiamo pensato di portarvi un approfondimento su un franchise dell’horror slasher che meriterebbe più attenzione, non tanto per il contenuto quanto per la sua natura imprevedibile e sovversiva per il genere. Stiamo parlando di Child’s Play, la saga incentrata su Chucky, la bambola assassina, un personaggio di incredibile fascino e che sembra rappresentare una versione simpatica e caricaturale del mondo del sottogenere slasher. Se volete saperne di più, continuate la lettura...
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La mente: chi è Don Mancini
Don Mancini, all’anagrafe George Donald Mancini, nasce il 25 Gennaio 1963 in una città non specificata degli Stati Uniti, da una famiglia di discendenza italiana. Mancini ha frequentato la St. Christopher School a Richmond, in Virginia, la California University e la Columbia University, dove fra i suoi insegnanti vi era Brad Dourif, colui che avrebbe dato la voce e le movenze al famigerato Chucky. Appassionato di cinema horror sin da bambino, Mancini esordisce nel 1988 sotto il pseudonimo Kit Du Bois, scrivendo il film Cell Dweller, un horror a basso budget incentrato su un fumettista che evoca accidentalmente uno spirito maligno nella cantina di casa sua. Oltre ad essersi occupato della stesura di tutti i film del franchise Child’s Play (ad eccezione del reboot del 2019, il quale è a tutti gli effetti un film standalone), Mancini ha anche contribuito ad altre opere nel corso degli anni, scrivendo un episodio di Tales from the Crypt e co-producendo degli episodi della serie Hannibal e dell’antologia horror Channel Zero.
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L’opera: come nasce il franchise
L’idea per questa bizzarra saga nasce proprio dalla passione del cineasta statunitense per l’horror, in particolare del sottogenere incentrato sulla figura della bambola come strumento demoniaco e di morte, ispirandosi in particolar modo al film antologico Trilogy of Terror (1975) e all’episodio di The Twilight Zone “Talky Tina”, esprimendo il suo interesse nel realizzare un film di questo tipo usando l’animatronica, tecnica che vede l’uso di pupazzi, chiamati appunto animatronic, che si muovono con dei componenti robotici, ampiamente usata nell’industria cinematografica. Quando era studente all’Università della California, Mancini si appassionò particolarmente all’isteria generata dalla serie di bambole di pezza Cabbage Patch Kids, vendute agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso e divenute virali in pochissimo tempo, in particolare ai furti nei negozi di giocattoli legati a queste bambole e alle liti familiari connesse all’eccessivo desiderio dei bambini di mettere mano su una di loro. Questo, aggiunto al fatto che il padre di Mancini lavorava nell’industria dei giocattoli, diede al regista una solidissima base per creare una cupa satira basata sul potere del marketing e sul consumismo, in particolare verso i bambini, portando alla stesura del primo lungometraggio della saga.
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Child’s Play (1988)
Il primo film del franchise nacque, come menzionato sopra, da questo interesse di Mancini per il marketing legato all’industria dei giocattoli, da lui conosciuto grazie a suo padre, con cui non aveva un bel rapporto, a causa della sua omosessualità, motivo per cui Mancini decise di incentrare il film su un bambino e sua madre, escludendo la presenza di una figura paterna. Influenzato dal sottogenere horror sulle bambole demoniache, dal filone slasher, portato alla ribalta con il franchise A Nightmare on Elm’s Street, e da pellicole horror più cupe come Poltergeist e Magic, Mancini unisce le forze col produttore David Kirschner, il quale avrebbe poi prodotto tutti i film della saga, spinto anche lui dalla passione per le bambole demoniache. La sceneggiatura iniziale del film doveva essere molto più complessa; infatti vedeva Chucky, una bambola con del sangue finto, attivarsi grazie all’unione fra il suo sangue e quello di Andy, la cui rabbia soppressa veniva rappresentata dalla bambola stessa, la quale avrebbe preso di mira i suoi nemici. Il film avrebbe dovuto avere un approccio alla “whodunit”, vale a dire volto a capire per tutto lo svolgimento dello stesso chi era il vero assassino, con riferimenti al mondo della televisione della pubblicità e avrebbe dovuto creare ambiguità sull’identità del killer. Dopo che la sceneggiatura fu accettata dalla United Artists, fu riscritta da John Lafia, portando Andy ad essere un personaggio più facilmente apprezzabile dal pubblico e dando un origine diversa a Chucky, dove l’anima del killer Charles Lee Ray veniva trasferita a una catena di montaggio dopo essere stato giustiziato sulla sedia elettrica. Lafia voleva inizialmente dirigere il film, ma a causa della sua inesperienza come regista fu scartato e, dopo una serie di colloqui con registi più o meno noti, venne scelto Tom Holland, grazie alla raccomandazione di Steven Spielberg, che lavorò con lui nella serie antologica Amazing Stories. Per il ruolo di Charles Lee Ray fu inizialmente considerato John Lithgow, ma Holland puntò su Brad Dourif poichè aveva già lavorato con lui nel film Fatal Beauty (1987). Dopo una serie di revisioni e dei tagli fatti a seguito del test screening, si arriva al film così come lo conosciamo, il quale divenne il secondo film ad incassare di più nella storia della United Artists e ricevette un accoglienza mista dalla critica dell’epoca. Purtroppo il film fu al centro di una controversia causata da un nutrito gruppo di persone, le quali hanno protestato negli uffici della MGM poichè ritenevano la pellicola incitasse la violenza nei bambini, polemica che sarebbe continuata anche nei capitoli successivi del franchise.
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Child’s Play 2 (1990)
Come di consueto, la United Artists sfruttò il successo della prima pellicola per lavorare su un sequel, le cui riprese erano previste per l'Ottobre 1989, ma il presidente della United Artists Richard Berger annunciò a David Kirschner che lo studio stava per essere acquisito dal gruppo australiano Qintex, il cui presidente voleva bandire la produzione di film horror da parte del suddetto. E così i diritti del film furono contesi dalle maggiori produzioni, finchè la Universal (con l'aiuto di Steven Spielberg) riuscì ad aggiudicarseli. Inizialmente il film prevedeva come introduzione una scena in una corte di tribunale, dove la madre di Andy, Karen, veniva internata a causa degli eventi del primo film, e che sia Catherine Hicks che Chris Sarandon, interpreti rispettivamente di Karen e del detective Norris, sarebbero dovuti tornare, ma le loro scene furono tagliate per motivi legati al budget, rendendo questo secondo film il più corto del franchise (la scena del tribunale sarebbe stata poi riutilizzata come finale per Curse of Chucky). Il film fu diretto da John Lafia e scritto sempre da Mancini e all'uscita ebbe un discreto successo, specialmente per gli amanti dell'horror slasher, anche grazie al romanzo tie-in scritto da Matthew J. Costello, che approfondiva i personaggi di Chucky e Andy e conteneva elementi che sarebbero stati riutlizzati nei film successivi.
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Child’s Play 3 (1991)
La Universal chiese a Mancini di iniziare a stendere la sceneggiatura per un terzo film prima dell'uscita di Child Play's 2, causandogli una certa pressione, e il successo del secondo capitolo portò la Universal a dare il via libera al sequel, con l'uscita prevista nove mesi più tardi. Mancini voleva introdurre il concetto della moltitudine di Chucky già in questo capitolo, ma per motivi di budget l'idea fu scartata, per poi essere riutilizzata in Cult of Chucky. Il film doveva aprirsi con una scena che vedeva un addetto alla sicurezza della fabbrica di Good Guys, interpretato da John Ritter (che in seguito sarebbe apparso in Bride of Chucky), il quale spaventa un gruppo di ragazzini raccontando loro delle storie spaventose su Chucky. Mancini decise che in questo film Andy avrebbe avuto sedici anni e a questo scopo, voleva scritturare Jonathan Brandis, ma optò per Justin Whalin, mentre alla regia Mancini avrebbe voluto Peter Jackson, ma la scelta ricadde su Jack Bender, allora un regista emergente. Come per il film precedente, Costello scrisse un romanzo anche per questo film, cambiando alcuni elementi della trama. All'uscita il film non incassò moltissimo e, mentre era ancora apprezzato dai fan del genere, il film fu criticato per la trama, ritenuta piatta (lo stesso Jack Bender affermò che il film in se' era sciocco), mentre fu elogiato nel progresso legato alla tecnologia usata per creare Chucky. Il film viene purtroppo ricordato perchè collegato all'omicidio di James Burger, un bambino di due anni, avvenuto il 12 Febbraio 1993 per mano di due ragazzini di dieci anni, poichè, secondo quanto emerso dalle fonti d'epoca, uno degli assassini avrebbe visto il film con suo padre, fatto che fu smentito dopo anni d'indagini, ma nonostante ciò, il film è a tutt'oggi ritenuto problematico, specialmente in Europa.
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Bride of Chucky (1998)
Dopo l'uscita di Child's Play 3, Mancini e Kirschner ritennero che il franchise aveva bisogno di una nuova direzione ed erano contrari a far tornare il personaggio di Andy Barclay. La produzione del film iniziò nel 1996 e a quel tempo Mancini affermò che il genere horror girava letteralmente su se stesso e che l'uscita di Scream aveva dato nuova linfa, portandolo a studiare nuovi scenari e a reinventare completamente il franchise e assieme a Kirschner, mise insieme un concept che mescolava l'horror con la commedia, il genere sentimentale ed elementi da road-movie. Come regista fu scelto Ronny Yu, il cui lavoro nel wuxia The Bride with White Hair (1993), nonchè la sua libertà creativa erano molto ammirati da Mancini e Kirschner. L'idea di creare una fidanzata per Chucky venne a Kirschner dopo che questo aveva visto una copia di Bride of Frankenstein (1935) in un negozio e così Mancini concepì il personaggio di Tiffany, scegliendo Jennifer Tilly per interpretarla per via del suo lavoro in Bullets over Broadway (1994) e Bound (1996). In merito a tale scelta Mancini commentò dicendo che Jennifer Tilly aveva portato una sfumatura comica unica per il franchise e che rappresentava un traguardo importante per la comunità LGBTQ+, oggetto di grandissimo interesse anche per i successivi capitoli della saga. Il film ebbe un buon successo e fu pubblicizzato notevolmente sia nel mondo del wrestling, con l'apparizione di Chucky in un episodio della WCW, sia nel mondo della musica, con una colonna sonora composta da artisti di fama, fra cui Blondie, Rob Zombie, Judas Priest, Slayer e Motörhead, ma la critica lo bocciò per via del suo misto di generi, a loro avviso non funzionante per la trama.
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Seed of Chucky (2004)
Due giorni dopo l'uscita di Bride of Chucky, Mancini iniziò a lavorare a un nuovo capitolo del franchise, che non avrebbe avuto Ronny Yu come regista a causa di altri impegni di quest'ultimo. In quanto omosessuale, Mancini voleva esplorare i temi legati al mondo LGBTQ+ all'interno del film e, ispirato dal film Glen and Glenda (1953), scrisse una sceneggiatura incentrata sul figlio di Chucky e Tiffany, che soffre di disforia di genere. Mancini decise anche di continuare a dare al franchise uno stile più comico, poichè a suo avviso il tipico assassino slasher a la Freddy Krueger non faceva più così paura, man mano che tali personaggi erano più noti al pubblico. La Universal respinse la sceneggiatura di Mancini, definendola troppo gay e contraria alle loro aspettative, ma alla fine la Focus Pictures, sfruttando il successo di Cabin Fever (2002), la accettò e il film fu girato interamente in Romania (location che diede modo al regista di rifarsi alle atmosfere degli horror stile Brian De Palma o Dario Argento), al contrario dei precedenti capitoli, e fu distribuito dalla Rogue Pictures. Prima di scritturare il rapper Redman, Mancini dichiarò di aver contattato Quentin Tarantino per recitare nel ruolo di se stesso, ma questi rifiutò. Il film ebbe un discreto successo e fu naturalmente bocciato dalla critica per via dell'approccio a loro dire assurdo portato avanti nel film, per non citare altri motivi ben più gravi.
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Curse of Chucky (2013)
Nell'Agosto 2008, Mancini e Kirschner parlarono della possibilità di un remake per il franchise, una scelta fatta come risposta al volere di quei fan che desideravano rivedere un Chucky più spaventoso e un ritorno all'horror propriamente detto. In seguito Mancini spiegò che tale remake sarebbe stato una versione più cupa e spaventosa dell'originale, pur non allontanandosi da esso. Nel 2009, Brad Dourif confermò il suo ritorno come voce di Chucky, viene introdotta nel franchise Fiona Dourif, figlia di Brad, nel ruolo di Nica Pierce, e  fu confermata anche la produzione di un seguito e di un eventuale spin-off. Il film fu girato in Canada e fu rilasciato in direct-to-video nel 2013, con la critica che promosse il film, elogiando il ritorno alle radici e definendolo uno dei titoli più remunerativi nel mercato home video di quell'anno, ricevendo anche uno spazio dedicato all'Halloween Horror Nights del 2013.
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Cult of Chucky (2017)
Nel Dicembre 2013 Mancini annunciò di essere al lavoro su un sequel di Curse of Chucky, ma iniziò a stenderne la sceneggiatura soltanto nel 2015. Mancini incluse nella trama il concetto della moltitudine di Chucky e avrebbe voluto anche includere un riferimento a Glen/Glenda, purtroppo tagliato in seguito. Il film segnò il ritorno di Jennifer Tilly nel ruolo di Tiffany e di Alex Vincent nel ruolo di Andy (il quale era già apparso in una scena post-credit in Curse of Chucky), nonchè di Fiona Dourif nel ruolo di Nica Pierce. Le riprese si svolsero nuovamente in Canada e il film fu rilasciato in direct-to-video nel 2017, venendo ampiamente promosso dalla critica per aver portato il franchise in una nuova ed intrigante direzione.
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Chucky (2021-)
Nel 2019, la SyFy annunciò di essere al lavoro su una serie TV collegata al franchise e un anno dopo, l’emittente ordinò la serie, curata da Mancini e Kirschner. Mancini espresse preoccupazione per il film reboot del 2019, temendo che un eventuale successo avrebbe minato alla continuità del franchise, ma il film non ebbe successo e la serie originale rimase intatta. Mancini iniziò a lavorare in televisione con Hannibal e, usando tale esperienza, intendeva reinventare in qualche modo il personaggio di Chucky usando la televisione ed eventualmente, espandendone il fandom. Per scrivere il personaggio di Jake, Mancini ha attinto dalle sue esperienze personali in età adolescenziale e dai problemi avuti per via della sua omosessualità. La serie è un diretto sequel di Cult of Chucky, in cui Chucky vedeva la sua anima trasferita nel corpo di Nica, altro modo per esplorare il tema dell’identità di genere nel franchise, come anche la presenza di Jennifer Tilly/Tiffany, e vede il ritorno di Alex Vincent nel ruolo di Andy e di Christine Elise nel ruolo di Kyle. Mancini scrisse tutti gli episodi della prima stagione e diresse il primo, usando il primo ciclo per esplorare il passato di Charles Lee Ray. La prima stagione ebbe un buon successo, portando SyFy e USA Network a rinnovare la serie nel 2021, con il secondo ciclo che avrebbe fatto da seguito a Seed of Chucky, vedendo il ritorno di Glen/Glenda, interpretate entrambe da Lachlan Watson (già interprete di un personaggio queer in Chilling Adventures of Sabrina), Meg Tilly, Gina Gershon, Joe Pantoliano e Sutton Stracke che interpretano se stessi in un episodio della stagione e un cameo della star della WWE Liv Morgan. Per scrivere la seconda stagione, Mancini si ispirò al filone del genere horror a sfondo religioso, come The Exorcist (1973) e The Omen (1976), e alla sua esperienza personale, in quanto lui è cresciuto in un ambiente cattolico, volendo esplorare un contesto in cui una relazione omosessuale, come quella fra Jake e Devon, era vista in maniera negativa. Anche la seconda stagione ebbe un buonissimo successo, portando all'uscita di scena di Andy e Kyle e a un nuovo capitolo per il franchise, che diverrà realtà grazie al rinnovo della serie per una terza stagione, annunciata in questi giorni.
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Cosa ci riserva il futuro?
Con la terza stagione in lavorazione, le cui riprese sono previste per il mese prossimo, ci si aspetta parecchio per il futuro del franchise. Mancini ha già iniziato a stendere la sceneggiatura dei futuri episodi, preannunciando che saranno molto più spaventosi e che vi saranno altri ritorni di personaggi apparsi nei passati film. Probabilmente vedremo la nuova stagione per la fine dell'anno, ma non possiamo che essere fiduciosi su quello che Mancini ha in serbo per lo spietato Chucky e gli altri protagonisti. In una saga così poliedrica come Child's Play possiamo aspettarci davvero di tutto...
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cerentari · 1 year
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Sì na gioia 253
Sì na gioia 253
Ricevo e pubblico (!): Almerighi, non le dico caro perché lei è un bastardo, omosessuale, finocchio, figlio di madre ignota tutt’al più nota in tutti i bordelli d’Italia isole comprese, merdaccia, sozzone. Mi chiamo Marcia Merdoni e sono arcistufa di vedere il mio cognome perennemente accostato a quello storpiato della premier fascistella. È ora di fare basta, Almerighi, con la sua satira da…
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ideeperscrittori · 7 years
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SPOT DEL BUONDÌ: IL RETROSCENA. Quel giorno, nell'agenzia pubblicitaria... - Allora, come procede quel lavoro per la pubblicità del Buondì? - Siamo indecisi tra due proposte. La prima è di un nostro giovane creativo: c'è una bambina che manifesta la voglia di una colazione capace di combinare golosità e leggerezza. La madre risponde che una colazione del genere non esiste, sfidando un asteroide a colpirla in caso contrario. - E viene colpita? - Certo. Perché questa colazione golosa e leggera esiste: è il Buondì. - Ah... Ma non ti sembra eccessiva? - Troppo strana la storia dell'asteroide? - No... il fatto che il Buondì sia leggero e goloso... AHAHAHAHAHA! - Vero... AHAHAHAHAHAAH! - E la seconda proposta? - Una cosa tradizionale. Un bambino addenta un Buondì ed è felice. - Mhmhmhmhmh... Non mi convince. Hai presente il Buondì? È una mattonella che uccide la deglutizione. Ci vogliono sei tazze di latte per mandarlo giù. Dove lo trovi un bambino capace di fingere fino a questo punto? Rischiamo di spendere milioni di euro in casting senza ottenere risultati. - Hai ragione. A questo punto non resta che l'asteroide... - Già...
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