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#diventano bosco
koufax73 · 1 month
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Noite: "Diventano Bosco" è il nuovo video
Disponibile su YouTube il nuovo video di Noite, Diventano Bosco, diretto da Brendon Lainez. Il videoclip si apre con una suggestiva panoramica su un mondo distopico, dominato dalle rovine di edifici decadenti. In questa visione post-apocalittica, emergono figure di cyborg che si muovono con eleganza tra le macerie, tra inquietudine e mistero, scoprendo frammenti del passato, alla ricerca di…
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gregor-samsung · 6 months
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“ Il vento è la principale avversità contro la quale devono combattere gli alberi, almeno in Europa. Oltre il 50% dei danni subìti dai boschi europei è dovuto al vento. Non sono gli incendi (16% dei danni) o i patogeni e gli insetti a minacciare i nostri boschi, ma il semplice vento. Dal 1950 a oggi, i danni da vento in Europa sono in continuo aumento: dal 1970 al 2010 gli alberi persi sono raddoppiati, passando da circa 50 milioni a 100 milioni di metri cubi. Si tratta di un enorme numero di alberi che cadendo a terra, oltre a cambiare radicalmente l’ecosistema, la stabilità e il paesaggio, riducono del 30% la capacità di fissazione della CO₂ nelle zone colpite. E la quantità di CO₂ nell’atmosfera è la causa prima del riscaldamento globale che, a sua volta, è una delle ragioni per cui assistiamo all’aumento della frequenza e della intensità di questi eventi. Tra il 28 e il 30 ottobre 2018, una tempesta di vento e pioggia investì ampie zone delle Alpi orientali con venti di velocità anche superiore ai 200 chilometri orari. Un numero spaventoso di alberi venne schiantato e decine di migliaia di ettari di bosco scomparvero. Una catastrofe naturalistica le cui conseguenze sono andate molto oltre i danni diretti sui boschi, innescando una serie di circostanze che nessuno avrebbe potuto prevedere. Fra queste, la più infausta di tutte, per me, è stato il danneggiamento del bosco di abeti rossi dal cui legno, da secoli, si ricavano le tavole armoniche dei grandi strumenti musicali. Cause ed effetti: a causa della CO₂ dispersa nell’atmosfera la temperatura del pianeta sale, i fenomeni atmosferici diventano violenti e le tempeste di vento distruggono gli alberi con cui si fanno i grandi violini, da sempre. “
Stefano Mancuso, La pianta del mondo, Laterza (collana i Robinson / Letture), 2022⁷; pp. 89-90.
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libero-de-mente · 2 years
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CAFALDO
Ho sempre mal sopportato le giornate afose che ci regalava l'anticiclone delle Azzorre. Quei dieci o quindici giorni al massimo nel mese di luglio.
Da qualche anno il caro Azzorrino, carino lui, è stato spodestato malamente dai vari Lucifero, Caronte e Stoccaldo.Ieri sono uscito in giardino con del mais in un contenitore metallico, dopo cinque minuti i pop corn erano pronti.Non oso pensare i coltivatori di mais, me li immagino cantare Battisti che ne sai tu di un campo di pop corn, che scoppietta mentre lo prendi in mano.
Avevo un appuntamento di lavoro a Milano, "mettiti in giacca e cravatta" mi dissero, dannazione... appuntamento all'Hotel Armani, passando per la Via Monte Napoleone a piedi con l'abito in tiro sono entrato nei seguenti negozi: Bulgari, Louis Vuitton, Moncler, Dolce & Gabbana, Gucci, Prada e Valentino.Come entravo la solita domanda: "Buongiorno signore e benvenuto, in cosa posso servirla?"; le mie risposte uguali: "Guardi in realtà mi servono due o tre boccate di aria condizionata".
Devo dire che ho trovato delle commesse molto comprensive, mi sorridevano tutte. Credo che qualcuna si sia anche messa a ridere nascondendosi dietro una mano. Ho avuto anche sguardi di comprensione, o forse compassione, da parte degli energumeni che stanno in abito completo sulla porta, come sicurezza.
Fa talmente caldo che sto rivalutando gli odiati centri commerciali, tutto d'un tratto diventano un'oasi. Un concentrato di aria condizionata e gnagna. Incredibile.
Il caldo afoso africano è il più grande eccitante seduttore, mai nessuno come lui ci fa bagnare. Gli anticicloni africani potrebbero chiamarli Rodolfo Valentino, Cleopatra o Casanova a questo punto anziché con nomi infernali.Vedo gente che gioisce di questo caldo, devo ricredermi sulla teoria dei rettiliani. Solo se sono lucertole possono gioire. Siete dei serpenti sappiatelo.Sogno, con questo caldo, di essere intervistato da un inviato di Studio Aperto quando "scendo i cani", già mi immagino il botta e risposta:
- Signore, ma porta i cani fuori? - Eh si. - Ma con questo caldo? - Si, li scendo e li piscio lo stesso. Perché?
Chiusura servizio in diretta frettoloso con sigla finale del TG.
Ho deciso che riscriverò, rivisitandole e aggiornandole, la fiabe per i bambini. Adeguandole al clima che viviamo. Devono comprendere fin da piccoli cosa li aspetterà da grandi.Quindi spazio a:
- La principessa sul ghiacciolo - Cenerantola (quando non respiri per l'afa) - Cappuccetto Cotto - Biancaneve sciolta in sette vasi - Il Gatto con gli infradito - Polliclinico (storia di un bambino ricoverato per una botta di caldo) - La bella rinfrescata nel bosco - Hitachi & Daikin nella casa di marzapane - Le ancelle sudate della regina - La piccola fiammiferaia ha preso fuoco (storia di un'autocombustione) - Climastronzolo - La regina della neve artificiale - Il ventilatore magico - Il piccolo principe disidratato
Alcuni dicono “muoio dal caldo”, poi come sempre deludono le aspettative e non muoiono mai.
Nel frattempo che tornino temperature gradevoli mi trasferisco a vivere nel frigorifero. Addio.
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lamilanomagazine · 1 month
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Nuovi modenesi, 212 bambini diventano cittadini onorari
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Nuovi modenesi, 212 bambini diventano cittadini onorari. Sono Alak, Francisca, Leonard, John, Asmin, Esther, Atakwrah, Nyah, Julia, Andrea, Djeneba e tanti altri bambini i nuovi cittadini onorari di Modena. A consegnare loro la pergamena che lo attesta, durante la cerimonia di Bambin@=Cittadin@ promossa da Comune e Unicef, in Galleria Europa, è stato il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli. Nello stesso momento in 54 classi quinte delle scuole primarie di tutti gli Istituti comprensivi cittadini altre decine di bambini, nati in Italia da famiglie migranti residenti a Modena dove hanno terminato un ciclo di studi, ricevevano dalle mani delle loro insegnanti lo stesso attestato: un riconoscimento simbolico ma molto importante, in quanto afferma che tutti i bambini cresciuti insieme in Italia frequentando le stesse scuole hanno uguali diritti di cittadinanza e riconosce alla scuola un ruolo centrale nel processo di costruzione di una comunità interculturale inclusiva. La stessa festa, lo stesso battimani e vociare felice dei bambini delle classi 5 A e B della scuola Cittadella dalla Galleria Europa, dove campeggia un frammento originale del muro di Berlino a testimonianza dei valori a fondamento dell'Unione europea, ha abbracciato, sulle note dell'Inno di Mameli e dell'Inno alla gioia, tutte le classi collegate in diretta streaming. Complessivamente 212 i bambini che sono diventati cittadini onorari nella città dove vivono, giocano e studiano. Il conferimento simbolico della cittadinanza onoraria, iniziativa nata su volontà del Consiglio comunale nel 2015 che, ad oggi, ha interessato in tutto oltre 1800 bambini, è stato il momento culminante di una bella festa con cui i cittadini di domani hanno dialogato con gli amministratori di oggi. A rispondere a domande e curiosità dei bambini, oltre al sindaco Muzzarelli, sono stati il presidente del Consiglio comunale Fabio Poggi, il presidente di Unicef Modena Lorenzo Iughetti e l'assessora a Istruzione, Sport e Pari opportunità Grazia Baracchi. La regia della festa, come del percorso alla cittadinanza che grazie al lavoro dei docenti e al sostegno di Unicef, durante l'anno scolastico accompagna i bambini (quelli che ricevono la cittadinanza come i loro compagni) a questo momento, è infatti del Settore Istruzione con il Centro educativo Memo. "Cittadini si diventa ogni giorno attraverso gli impegni che vi prendete, attraverso l'assunzione di diritti e doveri. In questo percorso per diventare persone responsabili, un percorso che valorizza le differenze per non farle diventare diseguaglianze e che fate innanzitutto a scuola, ci aiutano anche le vostre insegnanti", ha detto l'assessora Baracchi ai bambini. E "da sindaca a sindaco" al primo cittadino Gian Carlo Muzzarelli dalla 5A della primaria S. Giovanni Bosco, collegata on line, è arrivata anche la prima domanda sul ruolo di sindaco. A porla è Omaima appena eletta sindaca della sua classe al termine di una campagna elettorale che ha conosciuto anche qualche ombra ma che alla fine ha premiato colei di cui "ci si può fidare", commentano i compagni. "Ti faccio i miei complimenti perché maturare il senso dell'impegno e il valore di mantenere gli impegni presi è importantissimo per un sindaco come per ciascuno di noi; mettiti sempre in ascolto e a disposizione degli altri perché se maturerai questa sensibilità sociale sarai sicuramente una sindaca migliore", le ha detto il sindaco Muzzarelli portando a bambini e insegnanti anche il saluto e gli auguri del vescovo Don Erio Castellucci. Da un progetto sulla Costituzione che li ha portati alla scoperta di don Lorenzo Milani e della sua scuola di Barbiana, la V B delle Cittadella attraverso la voce di Cecile ha posto l'accento sull'importanza dello sport e di avere spazi e occasioni per muoversi, sollecitando sul tema l'assessora Baracchi. Mentre la V A, dopo un percorso incentrato sulla parola "condivisione", ha affidato a Muslima il compito di sondare le paure dei grandi, così come l'importanza del gioco anche per gli adulti. "Ho tante piccole paure – ha ammesso il presidente del Consiglio Poggi - ma la principale è di smettere di avere paura; bisogna avere il coraggio di avere paura, perché è avendo paura che si superano le difficolta e si cresce, così come attraverso il gioco ci si confronta con gli altri e con le regole, e con gli altri ci si diverte anche, cosa importantissima per noi tutti". Altre classi si sono interrogate sulle differenze e sul sentirsi diversi, grazie al progetto di Unicef dedicato alla storia di un quadrato nel paese dei cerchi. Non solo tutti i bambini si sono sentiti almeno una volta quadrato tra cerchi, capita anche agli adulti e "non sempre è sbagliato essere quadrati in mezzo a rotondi, se significa pensarla diversamente e cercare la condivisione attraverso il confronto per realizzare una comunità inclusiva", hanno sottolineato il sindaco e  Poggi, "perché si può essere rotondi o quadrati ma l'importante è condividere i valori fondanti e per far conoscere a tutti i vostri diritti - ha aggiunto Iughetti rispondendo a Giacomo della 5B delle De Amicis - dovete innanzitutto conoscerli e parlarne tra voi, in famiglia e con gli amici, riconoscendo e rispettando i diritti degli altri ed esigendo che anche i vostri siano rispettati: questo significa fare politica".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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missedthepumpkinhome · 5 months
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Ricette Fit e Gustose: La Tua Guida per un Corpo Sano e una Vita Attiva
Introduzione (100 parole) Nel viaggio verso un benessere totale, l'alimentazione gioca un ruolo cruciale. Spesso, però, si associano le diete a piatti insipidi e poco invitanti. Oggi sfatiamo questo mito! Ti presentiamo una serie di ricette fit, gustose e nutrienti che faranno bene al tuo corpo senza rinunciare al piacere del palato. Per scoprire di più su come combinare gusto e salute, visita https://atavolacolnutrizionista.it/, una risorsa inestimabile per chi cerca un'alimentazione equilibrata.
1. Insalata di Quinoa e Avocado Partiamo con un'insalata fresca e ricca: la quinoa incontra l'avocado. Questo piatto è un perfetto equilibrio di proteine, grassi sani e carboidrati complessi. La quinoa, un supercibo ricco di aminoacidi, si abbina alla cremosità dell'avocado, fonte di grassi monoinsaturi benefici. Aggiungi un tocco di freschezza con pomodorini, cetrioli e un pizzico di limone. È un'insalata che sazia, nutre e delizia!
2. Frullato Proteico ai Frutti di Bosco Un'esplosione di gusto e salute: il frullato proteico ai frutti di bosco. Perfetto come snack o colazione, questo frullato combina la dolcezza dei frutti di bosco con il potere saziante delle proteine. Usa yogurt greco o una alternativa vegetale, aggiungi una manciata di frutti di bosco, una banana per dolcezza naturale e un cucchiaio di semi di chia per un extra di omega-3. È una bevanda ricca di antiossidanti, proteine e fibre, ideale per iniziare la giornata con energia o per recuperare dopo l'allenamento.
3. Zuppa di Lenticchie e Verdure Niente scalda il cuore come una zuppa fumante di lenticchie e verdure. Le lenticchie sono una fonte eccellente di proteine vegetali e fibre, e in abbinamento con verdure come carote, sedano e zucchine, diventano un pasto completo e nutriente. Insaporisci con erbe aromatiche come timo e rosmarino per un profumo irresistibile. Questa zuppa non solo nutre il corpo, ma anche l'anima, ed è perfetta per le giornate più fredde.
4. Petto di Pollo al Limone e Timo Un classico intramontabile: il petto di pollo al limone e timo. Questo piatto semplice ma elegante è una vera e propria esplosione di sapori. Usa petto di pollo magro, marinato in succo di limone fresco, aglio e timo. La marinatura non solo ammorbidisce la carne, ma aggiunge anche un gusto rinfrescante e aromatico. Cucina il pollo in padella o al forno per una crosticina dorata e gustosa. È un piatto leggero, ma ricco di proteine, perfetto per una cena salutare e soddisfacente.
5. Insalata di Ceci e Verdure Croccanti Un'insalata che unisce nutrimento e gusto: ceci e verdure croccanti. I ceci sono una fantastica fonte di proteine vegetali e fibre, e insieme a verdure come peperoni, cipolle rosse e cetrioli, creano un mix croccante e colorato. Condisci con olio extravergine d'oliva, aceto balsamico e un pizzico di sale e pepe per esaltare i sapori. Questa insalata è perfetta sia come piatto unico che come contorno, e si può facilmente portare al lavoro o in viaggio.
Conclusione Queste cinque ricette rappresentano solo l'inizio del tuo viaggio verso un'alimentazione consapevole e gustosa. Ricorda, mangiare sano non significa rinunciare al piacere della tavola. Per esplorare altre ricette fit, consigli nutrizionali e idee per piatti deliziosi e salutari, visita https://atavolacolnutrizionista.it/. Qui troverai tutto ciò che ti serve per nutrire il tuo corpo e la tua anima in modo equilibrato e appagante.
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silviascorcella · 5 months
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Caterina Moro, “Wood”: dal bosco al decoro, il legno è il nuovo passo sostenibile
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C’è una grazia che incanta in Caterina Moro: è il riverbero della sua determinazione, così gentile eppur così grintosa, ad invitarci a proseguire con lei sul percorso saldo che da appena due intensi anni traccia con le intenzioni di giovane donna che progetta la bellezza attraverso la moda. E a cui dà forma con le creazioni di giovane stilista consapevole che la bellezza ha a che fare innanzitutto con la naturalezza. Del corpo e dell’animo, ma anche e molto con quella che abitiamo: sì la natura, che da sempre ci solleva dagli affanni e ci rasserena le emozioni con la meraviglia dei suoi elementi, e che oggi più che mai ci richiede indietro il rispetto attraverso la sostenibilità.
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Ecco, Caterina Moro risponde all’appello della natura con pienezza: con l’allegrezza di continuare a portare con sé il valore prezioso dell’accoglienza suggestiva e salvifica che la frequentazione della natura le riserva da sempre, ma anche con la saggezza di portare avanti il suo percorso creativo nell’eco-sostenibilità. Un passo concreto alla volta, una collezione innovativa alla volta: diretta alla totalità dell’impresa. 
Ecco che così si rinnova anche l’intenzione racchiusa nell’etichetta che definisce l’indole della moda di Caterina Moro: quel “daily luxury” che significa la nobilitazione dell’abbigliarsi quotidiano, perché l’eleganza e la naturalezza devono essere gesti da compiersi e abiti da godersi appieno in ogni occasione della nostra vita.
La nuova collezione a/i 2020-21, che è dunque il nuovo passo di Caterina Moro nella sostenibilità, s’intitola “Wood”: ovvero legno, proprio inteso come la materia prima e la scoperta della sua lavorazione rispettosa dell’ambiente che ha dato il via all’ispirazione per ogni creazione, e allo stesso tempo inteso come la suggestione carezzevole dell’impressione di una passeggiata nel bosco in autunno, tra il fruscio croccante del foliage e l’aria scaldata dalle luci morbide.
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Grazie alla collaborazione con l’azienda italiana Blue Italy, Caterina ha scoperto il legno che da frammenti scartati dall’industria automobilistica diventa quasi un tessuto, e laserato diventa un decoro: legni riciclati certificati per lavorazioni dedicate e delicate, questa è la sostanza di cui son fatte le frange che danzano dagli orli, i top e la gonna corta da cui son volate via le foglie, e i ricami che le posano, le foglie lignee, su tessuti impalpabili come l’organza. 
A proposito di tessuti, anch’essi son sostenibili: grazie alla collaborazione con la piattaforma Wastemark, quelli che diventano bellissimi abiti in origine sono scarti di magazzino di grandi aziende, rielaborati, e stampati con tinture completamente biologiche.
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E, a proposito, di stampe: ogni dettaglio che la natura disegna Caterina lo ritrae nelle creazioni e ne fa texture, motivi, decori: come le immagini che ricordano i profili delle fonde guardate a naso in su e gli occhi pieni di luce, sono immagini che appartengono a Caterina, e che l’azienda di Como le ha tradotto sulla seta. O come le venature che percorrono il completo blusa e pantalone, il trench raffinato e le ariose gonne plissé, e che rievocano le storie scritte sulle cortecce degli alberi: anche questa, come quelle che si stanno qui narrando, è frutto di un’altra sinergia eccellente italiana, con l’azienda Omniapiega, che consente a Caterina di continuare a plasmare immaginari con la sua amata plissettatura, lavorazione che che respiro vitale e leggerezza al tessuto spalmato e con effetto pelle.
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Tutto quindi nasce ed è fatto in Italia, e tutto nella collezione “Wood” narra la bellezza confortevole della natura autunnale: anche la maglieria in mohair, altro punto d’orgoglio che con uno speciale punto goffrato ricrea l’effetto tridimensionale, soffice come una nuvola da infilare.
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E ancora, c’è il velluto floccato color lime che con i riccioli somiglia all’astrakan, c’è anche la sinergia altrettanto giovane e creativa con Virginia Severini, designer di borse in legno e compagna di partecipazioni ad AltaRoma, che per effetto delle affinità elettive ora è autrice delle borse in legno, personalizzate per Caterina a partire da alcuni suoi modelli iconici, presenti in collezione.Ci sono i colori morbidi, luminosi e caldi come il senape e le varietà di marrone fino al cioccolato, ma ci sono anche i neutri delicatissimi fino al candore del bianco.
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C’è persino il cielo che si specchia nei suoi occhi e va a colorare i tessuti: è l’amato pervinca, sfumatura iconica del marchio, della memoria interiore della sua fondatrice, dell’armonia di stile dall’eleganza lieve e generosa che collezione dopo collezione compone la sinfonia della femminilità firmata da Caterina Moro. 
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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Una cosa bella è una gioia per sempre: cresce di grazia; mai passerà nel nulla; ma sempre terrà una silente pergola per noi, e un sonno pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato. Perciò, ogni mattino, intrecciamo una catena di fiori per legarci alla terra, malgrado lo sconforto, il disumano vuoto d’animi nobili, i giorni tristi, le perniciose e ottenebrate vie della nostra ricerca: si, malgrado tutto, una forma bella il drappo toglie allo spirito triste. Così sole, luna, alberi antichi, e nuovi, germoglianti felicità d’ombre per l’umile gregge; e narcisi col verde mondo in cui abitano; e chiari ruscelli che cercano un fresco tetto contro la torrida stagione; il cespuglio nel bosco, colla spruzzata di boccioli della bella rosa muscata: e così anche la magnificenza del destino che immaginiamo per i morti illustri; tutti i racconti belli uditi o letti – una fonte infinita di bevanda immortale, cola per noi dall’orlo del cielo. Né queste essenze sentiamo solo per brev’ora; no, come anche gli alberi che sussurrano attorno al tempio presto diventano cari quanto il tempio stesso, così fa la luna, la poesia passione, le glorie immense, ossessioni per noi finché non siano lietificante luce all’anima nostra, e a noi si legano sì forte, che, sia splendore, o tenebra tetra, sempre con noi dimorano, o moriamo. - John Keats https://www.instagram.com/p/CpgMcWoNb8v/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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😨 a caccia di streghe. 👉🏻 #gliocchidialicegray 1612, Contea di Lancaster. La signora di Gawthorpe Hall corre sconvolta nel bosco. Tra le mani ha una lettera del medico indirizzata al marito. Nel foglio c'è scritto che ci sono alte probabilità che possa morire a causa della gravidanza. Ha già perso tre bambini ed ora questo. Mentre piange sconvolta, si imbatte in una donna dagli occhi dorati. È misteriosa e infatti Fleetwood non la dimenticherà tanto facilmente. Quando torna a casa, la diciassette signora di Gawthorpe Hall si stupisce della mancanza di preoccupazione del marito. Non sa come dirgli che ha scoperto la lettera ma intanto ecco una notizia che la distrae: un loro amico gli rivela di aver arrestato una strega e che ha intenzione di liberare tutta al città dalla loro magia. Vuole fare un vero e proprio processo e sta dando la caccia ad ogni donna o uomo sospetto. Fleetwood si imbatte poi di nuovo nella strana donna del bosco e scopre che è una levatrice, il suo nome è Alice Gray e Fleetwood le chiede subito di assisterla. Le due diventano amiche, tanto che la signora di Gawthorpe Hall farà di tutto per tenerla al sicuro. 👎🏻La relazione tra Fleetwood e il marito non l'ho capita molto bene. Lui sembra essere così premuroso, gentile, tenero nei confronti della moglie, così disponile e generoso con la gente del posto ma poi si scopre della lettera e del suo menefreghismo in merito (poi si scoprirà di più in merito). Lei comunque gli è fedele e leale, è una moglie sottomessa e innamorata sebbene abbiano molti anni di differenza. Inoltre, lui le farà un torto non indifferente eppure ... insomma più che altro non capisco come lei continui ad amarlo. 👍🏻Fleetwood è un personaggio che mi ha fatto tanta tenerezza, è una sposa bambina, la madre la dà in moglie la prima volta a quattro anni. Deve obbedire alla madre e al marito. Sembra ironico, ma alla fine sembra essere proprio Alice la più fortunata delle due, lei almeno è libera di amare chi vuole. ❓Vi piacciono i libri che parlano di personaggi reali ma non famosi? ⬇️ continua ⬇️ #settembreneilibri #antrodilibri #bibliophilelegentibus #amicandito #ilclubdeilettorifelici #storiebookite1 https://www.instagram.com/p/CiHjAruMTlm/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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unesilefilorosso · 2 years
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“I sonnambuli diventano lupi, licantropi, dove non si distingue piú l’uomo dalla belva. Ce n’era qualcuno anche a Gagliano, e uscivano nelle notti d’inverno, per trovarsi con i loro fratelli, i lupi veri.–Escono la notte,–mi raccontava la Giulia,–e sono ancora uomini, ma poi diventano lupi e si radunano tutti insieme, con i veri lupi, attorno alla fontana. Bisogna star molto attenti quando ritornano a casa. Quando battono all’uscio la prima volta, la loro moglie non deve aprire. Se aprisse vedrebbe il marito ancora tutto lupo, e quello la divorerebbe, e fuggirebbe per sempre nel bosco. Quando battono per la seconda volta, ancora la donna non deve aprire: lo vedrebbe con il corpo fatto già di uomo, ma con la testa di lupo. Soltanto quando battono all’uscio per la terza volta, si aprirà: perché allora si sono del tutto trasformati, ed è scomparso il lupo e riapparso l’uomo di prima. Non bisogna mai aprire la porta prima che abbiano battuto tre volte. Bisogna aspettare che si siano mutati, che abbiano perso anche lo sguardo feroce del lupo, e anche la memoria di essere stati bestie. Poi, quelli non si ricordano piú di nulla. La doppia natura è talvolta spaventosa e orrenda, come per i licantropi; ma porta con sé, sempre, una attrattiva oscura, e genera il rispetto, come a qualcosa che partecipa della divinità.”
Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi
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gabrielesalvaterra · 2 years
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Armida Gandini / La terra e le fantasticherie
curated by Gabriele Salvaterra
Brescia, Palazzo Martinengo Cesaresco
July 7th – September 18th 2022
(exhibition views ph. Petrò Gilberti)
with exhibition catalogue
“Stranissimo, e sempre più stranissimo!”. Nelle sale del pianterreno di Palazzo Martinengo Cesaresco si sviluppa il percorso espositivo di Armida Gandini, organizzato per sale monografiche dedicate a singole serie espressive e guidato dal titolo La terra e le fantasticherie. Questo binomio mira a evidenziare due elementi apparentemente contrastanti tipici del lavoro di Armida Gandini: la ripresa di stimoli concreti, spesso ordinari, esistenti nella realtà quotidiana e il loro riutilizzo, decontestualizzato, per far nascere da essi nuovi significati e nuove “fantasticherie”. Vecchie foto di famiglia, opere della storia dell’arte, spezzoni di film del passato, tappeti usati diventano i materiali evocativi, gli “oggetti-cercati-e-trovati”, da cui far scaturire inedite riflessioni identitarie sulle esperienze anche traumatiche e di superamento che rendono le persone quelle che sono. La mostra è suddivisa in sezioni che alternano nuclei storici, allestiti secondo visioni attuali, a lavori recenti e inediti, tra cui l’importante corpus dedicato al film Marnie (1964) di Alfred Hitchcock da cui nasce la passione totalizzante di Gandini per il cinema. Tra balene piangenti, lacrime concretizzate nel vetro, tappeti da viaggio, bambini fiabeschi, borsette camminanti, climax rossi – in un caleidoscopio di medium e tecniche – la mostra racconta l’avventura dell’esistenza con i suoi traumi e discontinuità. Il percorso espositivo si sviluppa a partire da una prima sala dedicata ai lavori de Il bosco delle fiabe dove l’azione di remix su immagini d’archivio viene rilanciato in un immaginario fiabesco che parla di crescita e identità; segue lo spazio dedicato A Marnie, impostato come un’unica opera multimediale che mette a confronto, rispettivamente, la nascita della “magnifica ossessione” per il cinema di Armida Gandini e il “grande capolavoro malato” di Alfred Hitchcock da cui questo coinvolgimento è nato. La sezione Gustose e dolcissime utilizza il tema del pianto e della lacrima come simboli di una crescita e una trasformazione che passano da traumi anche liberatori, mentre il capitolo successivo ci porta nella dimensione del viaggio attraverso i lavori dalle serie Geografie umane e Pubblico dominio, sempre con al centro la riflessione sulla costruzione dell’identità. Conclude la mostra l’opera video inedita Une baleine qui pleure che, come una sintesi visiva dell’intero lavoro di Gandini, connette tra loro tutti gli elementi caratteristici della sua poetica: mondo dell’infanzia, cinema, citazione, frammento, sofferenza e trasformazione. Il progetto è un’ulteriore tappa della programmazione triennale Una generazione di mezzo. Anche La terra e le fantasticherie sarà accompagnata da una pubblicazione monografica, realizzata grazie al supporto di Brescia Musei ed edita da Skira, che analizza in maniera completa l’intera produzione dell'artista fornendo, oltre che un’occasione di approfondimento per appassionati, anche uno strumento scientifico per studiosi.
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diceriadelluntore · 2 years
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Storia Di Musica #220 - Laura Nyro, New York Tendaberry, 1969
La storia di oggi vede protagonista una delle più creative e geniali cantautrici della storia della musica americana, colpevolmente dimenticata, sebbene la sua influenza sia stata centrale nell’evoluzione del cantautorato femminile e non solo dagli anni ‘70 in poi. Laura Nigro è figlia di Lou, trombettista jazz, e di Gilda, che fa la contabile. Frequenta la High School of Music and Art di Manhattan e a 17 anni, con un fiuto per gli affari che manterrà per tutta la vita, incide la prima canzone con il suo nome d’arte, Laura Nyro: And When I Die viene venduta nel 1964 a Peter, Paul And Mary, uno dei grandi gruppi vocali dell’epoca, per 5000 dollari. Sin da subito mostra quello che diventerà  il suo punto forte: condensare in brani la storia della musica americana (il doo woop, i gruppi vocali, il Brill Building, Broadway, la rivoluzione soul e funky, il ragtime) il tutto con una euforica e gioiosa vocalità, spettacolare nella sua estensione di ben 3 ottave. A 19 anni pubblica il primo disco, dal titolo indicativo di More Than A New Discover: per quei meccanismi assurdi e imprevedibili il disco passa quasi inosservato, ma sue canzoni, interpretati da altri, divengono autentiche hit, come per i Fifth DImension con Wedding Bell Blues e soprattutto i Blood, Sweat & Tears che riprendono And When I Die e vanno al primo posto della hit di Billboard: quella canzone diventerà un classico con altre interpretazioni di successo, tra cui ricordo quella di Barbra Straisand. David Geffen, uno dei personaggi più importanti della discografia americana, la nota e fonda con lei una società musicale, la New Tuna, con la promessa che avrebbero diviso a metà tutti i loro guadagni. Nel frattempo la propone alla Columbia che nel 1968 le dà carta bianca per scrivere una sorta di concept album sull’adolescenza, che viene pubblicato nel 1968: Eli And The Thirteenth Confession è un clamoroso disco che mette sul piatto la sua galoppante creatività: è blues, jazz (sua grande passione, fu amica di Miles Davis e grande ammiratrice di John Coltrane), con repentini e meravigliosi cambi di tempo, di stile, tra il pop orchestrale e sinfonie da musical fatte apposta per assecondare la sua vocalità selvaggia ed emozionante. Ma per l’ennesima volta il disco, pur fenomenale, ottiene poca attenzione, e per l’ennesima volta sono i singoli cantati da altri che diventano grandi successi: stavolta i Three Dog Night riprenderanno la spettacolare Eli’s Coming (un capolavoro assoluto) e ancora i Fifth Dimension pubblicheranno ben due hit di immenso successo: Sweet Blindness e Stoned Soul Picnic. Paradossalmente questa condizione le permette di sperimentare ogni idea che le viene in mente, e basta solo un altro anno che nel 1969 Laura pubblica quello che è uno degli album più suggestivi, memorabili e musicalmente eccitanti dedicati a New York. New York Tendaberry è un capolavoro che esprime alla massima potenza la creatività della Nyro, un disco di estrema libertà espressiva pensato, suonato e prodotto al massimo livello per un disco innovativo, personale e sperimentale. La Nyro addirittura contattò Bill Evans, il grande jazzista e braccio destro di Davis, per la produzione: nonostante la stima reciproca, Evans declinò, ma la Nyro si fece aiutare da altri due giganti, Roy Halee, che era il produttore di Simon & Garfunkel, e da Jimmie Haskell, fenomenale direttore d’orchestra che cura gli arrangiamenti orchestrali del disco. Laura Nyro immagina la sua città come un bosco di frutti (quelli che lei definisce Tendaberry) e si incammina tra i personaggi, le strade, i colori e i suoi di New York raccontandone le fratture, la povertà, certe volte lo straniamento. Si parte spesso con solo la sua voce favolosa e il piano, ma da qui si parte per esplorare il ragtime, il jazz, il blues, il pop sinfonico alla Spector in canzoni che abbandonano la classica struttura verso-ponte-ritornello-verso-ritornello per strutturarsi secondo flussi musicali innovativi, con cambi di ritmo, tempo e stile nella stessa canzone che sembrano azzardati, ma hanno un fascino magnetico e irripetibile. Save The Country è il brano più famoso, uno dei primi brani a tema ambientalista, e per questo strano gioco del destino anche stavolta alcuni dei gioielli del disco fecero la fortuna di altri artisti, ormai fidati esecutori delle sue composizioni: i Fifth Dimensioni arrivano in top 30 con Save The Country e la Streisand nei suoi concerti canterà la stupenda Time And Love. Tra i gioielli del disco, le stupende You Don't Love Me When I Cry e Gibsom Street (dall’oscuro testo drammatico), le due dark Captain For Dark Mornings e Captain Saint Lucifer, la gioiosa Tom Cat Goodbye e merita una menzione speciale la title track, un’ode sentita e indimenticabile alla Grande Mela. Pur rimanendo in classifica per mesi, New York Tendaberry vende poco per la sua bellezza e qualità. Nello stesso anno, vende con Geffen alla CBS la New Tuna per 4.5 milioni di dollari, divenendo milionaria. Ma la sua vita non cambia affatto: pubblica nel 1970 Christmas And The Beads Of Sweet, con ospiti Alice Coltrane all’arpa in diversi brani e Duane Allman alla slide nella bellissima Beads Of Sweat e che ha il suo più grande successo nella cover di Up On The Roof del magico duo Goffin\King. Dopo un disco di cover, si ritira a vita privata, sposa un falegname, ha un figlio e ritorna solo nel 1976 con Smile. Dopo una serie di concerti che ebbero buon successo, si ritira ancora dallo spettacolo dopo Nested, il suo album “minore”. Divorzia, si innamora di una donna, diviene attivista per i diritti delle minoranze e dell’ambiente ma pur mantenendosi sempre attiva anche discograficamente rimane nell’ombra, fin quando nel 1997 un male incurabile la porta via a 49 anni. Con il passare del tempo, complice anche una intervista musicale reciproca tra Elvis Costello e Elton John dove entrambi i musicisti la mettono nella lista dei più grandi artisti dimenticati, la Nyro ha una tardiva riscoperta, scoprendo che in maniera diretta e indiretta ha influenzato tantissima musica d’autore dei successivi decenni, e persino Joni Mitchell disse di aver tratto ispirazione dal suo modo creativo di produrre musica per quel capolavoro leggendario che è Blue. Nel 2012 una commossa Bette Midler la introdusse nella Rock & Roll Hall Of Fame, postumo riconoscimento ad una delle voci più incredibili, e tra le più colpevolmente dimenticate, della musica americana.
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filorunsultra · 2 years
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Cortina 72
Questo reportage è apparso sul numero 137 di Skialper. È stato pubblicato con delle foto di Klaus Dell’Orto che non c’entravano nulla col pezzo, ma erano state commissionate dallo sponsor dell’evento. Ricordo solo che c’era tanto giallo.
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Vado in Cadore da dodici anni, e ogni anno, quando torno a casa, la sensazione dell’aria calda quando apro la portiera della macchina mi coglie impreparato. È l’afa soffocante del Mississippi italiano, dei campi irrigati a fine giornata, delle lucciole e delle zanzare, che ti schiaccia il petto come un tuffo di pancia da un trampolino di cinque metri. È così ogni anno. Apro la portiera della macchina, e sbam!
Sono a casa da mezz’ora, non ho ancora aperto la tenda per farla asciugare, e crollo sul divano, davanti ai supplementari di un’Italia-Nonsoché finita a favore di non so chi. Viaggiare durante una partita della Nazionale è sempre cosa buona, soprattutto se bisogna passare per Ponte nelle Alpi – snodo principale della viabilità europea sudoccidentale, nonché irrisolvibile rompicapo ingegneristico della Regione Veneto in vista delle Olimpiadi Invernali 2026. Insieme al caldo, la coda a Ponte è la seconda costante dei miei pellegrinaggi in Cadore. Ma non questa sera. Questa sera i chilometri scorrono rapidi sotto le ruote del Doblò di Paco. E passano rapidi anche i cartelli di San Vito, Calalzo, Longarone, Belluno, Feltre, Valstagna, Bassano; e insieme ai paesi i ricordi. A Calalzo le montagne sono già diverse. La bianca dolomia del Pelmo fa spazio a quella scura e marcia del Centro Cadore, i profili si ingoffano e diventano anonimi, così come l’architettura dei paesi. Siamo a trenta chilometri da Cortina e qui un evento non lo organizzerà mai nessuno. Tagliando ai cento all’ora l’umidità della sera veneta io e Paco riusciamo ancora a scambiarci qualche parola, con la voce roca di chi ha parlato per quattro giorni e ha urlato tutta la notte durante un rave in mezzo a un bosco, ha poi dormito tre ore nel bagagliaio di un’auto e si è rimesso a urlare per tutto il giorno successivo. Il rave era una gara di corsa di 120 chilometri, le luci erano le frontali di un migliaio di persone, gli stupefacenti tutte le meravigliose sostanze che è in grado di produrre il cervello in debito di liquidi, zuccheri, sonno e ossigeno. Non dovendo correre ci siamo piazzati lungo il percorso con la scusa di fare assistenza (in una gara in cui l’assistenza è vietata), per incitare persone presenti e assenti, amici lontani, atleti defunti.
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(Santa Colomba: dopo una notte in tenda, io studio Etnomusicologia e Paco lavora all’intervista di Paola Pezzo per Alvento bevendo orzo alla liquirizia. Il giorno prima abbiamo corso una ventina di km intorno al lago di Levico e siamo stati a cena del Franz ad Albiano)
Settantadue ore prima, dopo una notte di campeggio in bici attorno a Trento, sto appena ricominciando ad abituarmi al nomadismo estivo, all’assenza di rete, alla posta elettronica una volta al giorno. Così, senza pensarci troppo, carico la tenda sulla macchina di Paco, assieme a un paio di scarpe da corsa e a una spesa raffazzonata in una catena sottomarca, e ci mettiamo in viaggio. Fra Trento e Cortina ci stanno cinque valli e due passi: Adige, Cembra, Fiemme e Fassa le prime; Pordoi e Falzarego i secondi. Duecento chilometri di marker turistici, di paesaggi da cartolina, e di code di macchine tedesche targate Milano. Sul Pordoi c’è un mucchio di gente, come al solito, tanto che non si riesce a pisciare senza trovarsi un bambino o un prete che sbucano da una pietra. Cortina invece è un po’ meno la Cortina di sempre. Nei giorni della LUT i flagstore Moncler e le boutique di Corso Italia sembrano per un momento scomparire, e i Moon Boot lasciano temporaneamente posto alle Birkenstock e alle ciabatte da riposo. Le unghie dei piedi dei passanti sono comunque smaltate, ma non con lo smalto glitterato delle romane in villeggiatura: quello che si vede nei giorni della LUT è uno smaltaccio scrostato, dato sopra a delle unghie rotte e nere a causa di un sasso o di una radice, o di un numero sbagliato. Il parcheggio del palaghiaccio si riempie di furgoni aziendali di marchi di scarpe da corsa, e di monovolume con targhe polacche con dentro gente che riposa per qualche ora col pettorale già attaccato alla maglietta. Tra i saluti, le chiacchiere e le strette di mano ci ritagliamo un angolino in cui lavorare, ma è un via vai di amici, conoscenti, editori. Il paese freme, i ristoranti, i bar. Dopo un pranzo a base di Coca Cola e grissini, a guardare gli altri mangiare sul serio, ci ritroviamo con la crew di Destination Unknown per una corsa tutti insieme. Ci incontriamo davanti al baretto di un minigolf semideserto, ad eccezione di un uomo in tenuta da gara, che guarda distrattamente il figlio giocare. Non so se sia preoccupato per la gara o si stenta in colpa per averci trascinato la famiglia, forse tutte e due. Comunque sembra un sentimento diffuso. Facciamo una easy run sulla ciclabile per Dobbiaco. È un’ampia strada sterrata che taglia dritta una pineta di alberi giovani, chiari e alti uguali. Oltre gli alberi, si staglia la lunga parete del Pomagagnon, che copre il Cristallo, e sulla sinistra la Tofana di Dentro chiude la valle in un largo imbuto di pini.
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(L’accampamento mio, di Paco e del Tarlo a bordo strada, vista Sorapis)
Passiamo la prima notte su un terrazzino a metà del Falzarego: il tramonto brucia il cielo e satura l’Antelao e il Sorapis dall’altro lato della valle. A parte un sasso che punta sull’ottava costola sinistra dormo bene.
Il venerdì sera l’entusiasmo collettivo si trasforma in terrore e il paese inizia a popolarsi di sguardi assenti. La partenza è alle 23:00 ma a metà pomeriggio molti sono già in piazza in tenuta da gara: iniziano gli assurdi riti pre-gara, lo stretching sui marciapiedi, lo yoga nelle aiuole. Verso le sei i ristoranti diventano teatro di carb loading improvvisati, e i tavolini si riempiono di paste in bianco, pizze marinare. Dopo aver visto la partenza decidiamo che è troppo presto per dormire, così ci spostiamo verso Ospitale. Si respira l’aria febbricitante della partenza, quella che ti ricorda che stai andando in contro alla notte e al silenzio. È quella scarica che arriva cinquecento metri dopo la partenza, quando le grida del pubblico si allontanano, e restano solo il respiro di quello che ti corre a fianco e il rumore dei passi di altre mille persone. Lasciamo la macchina a bordo strada, a fianco al percorso di gara. È un punto come un altro, in falsopiano, appena dopo un sottopassaggio e troppo prima del ristoro. Ci sono un fotografo e una coppia di francesi che fanno assistenza a Xavier Thevenard – che fino a quel momento diamo come favorito numero uno, per poi scoprire che si sarebbe ritirato due ore più tardi, senza essere davvero mai stato in gara. Finché ci pensiamo fa un freddo cane e non arriva nessuno.
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(Col Gallina: Andrea Tarlao sulla grande bandiera di URMA, dietro Coach Grazielli aspetta l’arrivo di qualche atleta)
In effetti non è un granché, fare assistenza a una gara italiana dico. Da vedere è anche divertente, ma non si può fare molto. Il giorno dopo, a Col Gallina, l’organizzazione ha allestito un’area assistenza appena fuori dal ristoro: l’atleta arriva, qualcuno gli corre in contro, gli riempie le borracce, gli chiede come sta, e poi quello riparte. Noi ce ne stiamo all’uscita del sentiero, seduti a bere caffè su due seggioline da campeggio e a urlare a chiunque passi. C’è gente che tallona male, che corre troppo forte per la posizione in cui si trova. E poi c’è chi arriva zoppicando, chi è bollito perché è partito troppo forte la sera prima, chi scambia i bagni per il ristoro, chi elemosina del Brufen. Sono cose che a un certo punto, se fai questo sport, inizi a considerare normali (a parte il Brufen, s’intende), ma a vederle da fuori fanno un certo effetto. Normalmente in una gara americana a questo punto entrerebbe in azione un pacer, vale a dire uno che vi accompagna per l’ultima parte di gara. In Italia no. Per cui, se non possiamo vietare il Brufen, perché almeno non lasciamo i pacer? Sarebbe preferibile a mandare zombie tossici in giro per le montagne, e quanto meno anche noi avremmo qualcosa da fare. Davide, Paco e Tommy invece sembrano sapere esattamente cosa fare. Li ascolto mentre lavorano coi loro atleti, si confrontano, prendono per loro la scelta giusta.
Non so bene quando ho deciso di venire a Cortina. Forse quando Paco mi ha ingannato dicendomi che ci andavamo in camper. O sulla porta di casa, quando Ale mi ci ha lasciato a maggio e con la sua voce da crooner mi ha buttato lì un «…altrimenti ci vediamo a Cortina». Alla fine, abbiamo passato una notte a dormire sulle pietre e una nel bagagliaio di una macchina con una pompa da bici sotto ai piedi. Abbiamo preso un freddo cane, abbiamo perso la voce, ci siamo nutriti per tre giorni con dieci euro ricaricando il computer al bar, soltanto per incitare amici e sconosciuti ad arrivare in fondo a quella che per molti di loro era la gara della vita. Sono andato a Cortina perché in fin dei conti è sempre un bel circo, perché avevo voglia di vedere gli altri correre, e perché mi piace da morire l’ultrarunning. Ma alla fine mi sono anche portato a casa qualcosa. Non direi che il nostro ruolo sia stato utile, tantomeno determinante, non mi sembra insomma che ci sia molto su cui ricamare. Ma è sempre bello essere presenti quando gli altri realizzano i propri propositi, e credo che l’ultrarunning sia anche questo.
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(Eccoci col socio Filippo in una foto rappresentativa di un aspetto del nostro sport: l’ultrarunning. Abbiamo passato la notte in giro a urlare e abbiamo perso la voce per gridare incitamenti a persone presenti fisicamente o meno (ogni tanto partiva un “vai Riki Tortini”, o un “Alè Roberto”). Il mattino dopo, con poche ore di sonno, poca voce e poco cibo abbiamo continuato ad onorare il nostro compito per tutto il giorno. Così eccoci come due vecchietti al bar a giocare a briscola, solo con una tazza di the in mano in mezzo al sentiero e una copertina per tenere calde le gambe a incitare ogni singolo corridore che passava, a decidere chi sarebbe morto o risorto da lì a qualche ora, a puntualizzare “se non volevi soffrire non correvi ma giocavi a pallone” ai corridori che si lamentavano, a giudicare chi aveva un bel gesto e chi ciabattava male, a disquisire di top runner, a vedere impassibili gente vomitare, correre troppo forte, fermarsi ai ristori, a discutere di percentuali di arrivo dei survivor, a indignarci degli anti estetici accrocchi di colore degli outfit, a rifarci gli occhi con le gambe muscolose delle corridrici, a lamentarci se qualcuno correva troppo forte in paragone all’estetica brutta del gesto, a perderci in percentuali e aneddoti riguardanti la corsa, ad aspettare per ore che qualcuno passasse, a sperare di vedere in diretta un pezzo di storia, una scavigliata epica o un evento clamoroso e a sperare venisse il diluvio universale, visto che non correvamo (no questo lo speravo io). Fa tutto parte di un processo e queste sono esperienze formative per un corridore, tanto quanto le gare corse. Un grazie a tutti quelli che ci hanno fatto divertire. Anche se il livello di gara non era altissimo quest’anno, è bello esaltarsi per gli amici di qualsiasi livello e vedere il mondo dalla prospettiva esterna. E comunque, tutti bravi a correre LUT, a Translagorai Classic sarebbe arrivato il 10% dei presenti, garantito. — Paco)
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lamilanomagazine · 7 months
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Cerimonia di messa a dimora di una talea dell'"Albero Falcone"
Cerimonia di messa a dimora di una talea dell'"Albero Falcone". Roma. Il 10 ottobre, presso la Caserma Talamo, sede del Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri, alla presenza del Comandante Generale dell’Arma, Gen. C.A. Teo Luzi, del comandante delle Unità Mobili e Specializzate, Gen. C.A. Riccardo Galletta, del Presidente dell’Opera Nazionale di Assistenza per gli Orfani dei Militari dell'Arma dei Carabinieri, dei magistrati della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di quelle di Roma e Palermo e del dr. Alessandro de Lisi, curatore della “Fondazione Falcone”, è stata messa a dimora una talea del ficus macrophylla presente in via Emanuele Notarbartolo 23, davanti all’abitazione del Dr. Giovanni Falcone, a tutti noto come l’“Albero Falcone” divenuto, dopo le stragi del 1992, monumento civile, luogo memoria, di riscatto civile e di aggregazione per cittadini e studenti, non solo siciliani, per dare testimonianza del rifiuto della prevaricazione mafiosa. Nel 2021, l’Arma dei Carabinieri ha avviato il Progetto di educazione ambientale “Un albero per il futuro” che, per il quadriennio 2021- 2024, prevede la donazione e la messa a dimora di oltre 50.000 piante su tutto il territorio nazionale. Il progetto, che è ancora in pieno svolgimento, ha permesso finora di distribuire circa 41.000 piante a oltre 6.000 Istituti scolasti o Enti di varia natura. Nell’ambito del citato progetto si è sviluppato il programma “Gemme di legalità” che prevede la donazione a tutte le scuole d’Italia che ne fanno richiesta dell’ “Albero Falcone”, che assieme alle altre piante autoctone donate sottolinea la valenza di “educazione alla legalità ambientale” attribuita a questo progetto. Tutte le piante vengono riprodotte da talee, un metodo di moltiplicazione vegetativa con il quale si ottiene una pianta identica a quella madre, in grado di svilupparsi in un nuovo individuo con un genoma identico a quello dell’esemplare da cui è stato prelevato il rametto. Le talee prelevate grazie alla collaborazione fra Carabinieri, Fondazione Falcone, Comune e Soprintendenza di Palermo diventano piccole piante grazie alla competenza specialistica del moderno Centro Nazionale Carabinieri per la biodiversità forestale (CNBF) del Reparto CC biodiversità di Pieve Santo Stefano (AR), all’avanguardia in Europa nello studio e conservazione di specie forestali autoctone rare o in via di estinzione. Il valore aggiunto del progetto consiste proprio nella riproduzione e diffusione di piante geneticamente identiche all’ “Albero Falcone”. Il “grande bosco della legalità” che si sta mettendo a dimora su tutto il territorio nazionale è partito grazie alla collaborazione dell’Arma con la Fondazione Falcone quando il 22 novembre 2021, nel cortile dell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone, alla presenza di oltre 500 studenti provenienti da tutta la Sicilia, è stata piantata la prima gemma riprodotta per talea dall’albero di Falcone. Ad oggi gli oltre 1600 alberi di Falcone, distribuiti in tutte le regioni Italiane, rappresentano idealmente un unico individuo che affonda le proprie radici su tutto il territorio nazionale quale simbolo dell’impegno della intera società e dello Stato nella lotta alle mafie. Nella mattina odierna una di queste piccole piante ha trovato dimora negli spazi del Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri, reparto dell’Arma in prima linea nella lotta alla criminalità di tipo mafioso che, in una continuità di impegno operativo, negli anni, ha portato alla individuazione di numerosi partecipi dell’associazione mafiosa “cosa nostra”, dei responsabili di gravi fatti delittuosi di origine mafiosa e alla cattura di numerosi latitanti, tra i quali – da ultimo - Matteo Messina Denaro, irriducibile stragista corleonese ancora in libertà. L’ “Albero Falcone” ha trovato posto nella stessa aiuola ove è posato il cippo che ricorda il martirio del Ten.Col. M.O.V.M. Manfredi Talamo, trucidato dai nazisti alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944, al quale è intitolata la caserma che ospita il Raggruppamento Operativo Speciale. Il comandante del ROS, Gen. C.A. (r) Pasquale Angelosanto, nel corso del suo intervento, ha rimarcato come «da oggi, al fianco delle donne e degli uomini del Raggruppamento Operativo Speciale, che conducono l’attività di contrasto alle mafie con professionalità, passione, abnegazione e spirito di sacrificio, ci sarà un nuovo simbolo, l’“albero falcone”», a ricordo delle idee e delle intenzioni di un uomo straordinario, le quali “continuano a camminare sulle nostre gambe”. A chiusura il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, nel sottolineare come la “Fondazione Falcone” sia uno dei baluardi della legalità in Italia, ha evidenziato come sia di fondamentale importanza profondere il massimo sforzo nella lotta alle mafie che minano le libertà individuali e la democrazia, faticosamente conquistate con il sacrificio di numerosissimi italiani. Enorme sforzo in questo senso è profuso dalle istituzioni, prime fra tutte la magistratura e le forze di polizia che nel corso del tempo hanno visto cadere numerosi rappresentanti, tra cui il dr. Giovanni Falcone. In proposito, il Gen. C.A. Teo Luzi, ha rimarcato come il contrasto alle mafie deve essere svolto contemporaneamente su più piani. Non solo quello giudiziario ma anche e soprattutto quello culturale, che deve far crescere una consapevolezza collettiva circa la pericolosità di queste organizzazioni e quindi favorire il culto della memoria per far si che le nuove generazioni mantengano i legami con un passato, seppur molto difficile, per orientare al meglio il futuro. In questo importante compito educativo le istituzioni scolastiche sono affiancate anche dall’Arma dei Carabinieri che profonde molto impegno nella diffusione della cultura della legalità, sia attraverso interventi presso le scuole che con iniziative come i progetti “Un albero per il futuro” e “Gemme di legalità”.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sguardimora · 2 years
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Questa mattina alcune classi della scuola elementare di Mondaino, accompagnati dalla maestra Annarita Nardi, hanno incontrato l’artista Simona Di Maio, che insieme a Lorenzo Montanini e Isabel Albertini hanno presentato Into The Woods - La finta nonna, all’interno della settimana delle Residenze Digitali 2021.
Il lavoro si compone di una serie di episodi che, traendo ispirazione dalla omonima fiaba di Italo Calvino, danno forma a un innovativo dispositivo narrativo che mescola il teatro di figura al il teatro d’oggetti alla realtà aumentata dando vita a un mondo magico che ha fatto catapultare i bambini e le bambine nel meraviglioso.
In classe i bambini e le bambine, guidati dalla maestra, hanno seguito gli episodi di Into the woods. Subito sono state colte le tracce della fiaba più famosa, quella di Cappuccetto Rosso che è stata ispirata da questa fabula molto più antica e della quale resta ben poco nell’intreccio più conosciuto. E proprio questo è emerso dalle tante domande, dai disegni e dalle riflessioni fatte insieme: anche Anna, una bambolina di pezza disarticolata mossa a quattro mani, intraprende da sola il suo viaggio in un bosco fatto di lana sfidando la paura, ma al contrario della bambina con il cappuccio rosso, durante il percorso aiuta altri personaggi che diventano suoi amici e che l’aiuteranno a tornare a casa. Nessuno la salva, non c’è un cacciatore che uccide il lupo cattivo, ma la bambina si salva da sola: prima grazie al suo ingegno riesce a scappare dalla nonna/orca e poi con il supporto degli amici incontrati durante il cammino ritorna sana e salva. 
La magia del teatro - così vorrei definirla perchè ci hanno tenuto molto a precisare che non è stato come vedere un cartone animato - ha chiaramente colto questi giovani spettatori che si sono molto interrogati sulla costruzione di ogni singola scena, delle voci e dei rumori, e su alcune scelte drammaturgiche che hanno infine lasciato spazio a una domanda che le racchiude tutte: come avete pensato e creato questo mondo? 
Gufi e serpenti, gatti volanti e orche assassine, figurine dal cuore grande e lombrichi di carta, un’orca grande quanto il bosco e una scena che sta dentro il guscio di una lumaca, o meglio che è vista attraverso gli occhi di una lumachina che all’improvviso passa e se ne va. Sono tantissime le suggestioni giunte dai bambini e dalle bambine che con una grande curiosità e apertura, e la complicità della maestra, si sono confrontati con Simona che non ha esitato a mostrare alcuni meccanismi e tecniche di messa in vita di figure e oggetti. 
Un’altro aspetto che molto li ha incuriositosi è stata la possibilità di vedere non solo la scena ma anche, grazie alle potenzialità della realtà aumentata, il lavoro degli artisti nel muovere la scena stessa. 
E infine, attraverso la ricostruzione degli oggetti di scena, dei materiali utilizzati e delle forme, sono emerse, grazie all’accurato racconto di Simona, le tracce di quei momenti che ognuno di noi ha attraversato durante il lockdown chi in dad, chi a immaginare e costruire mondi fantastici con materiali di recupero trovati in casa o poco distante da lì. 
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turuin · 2 years
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La cosa che non molti ricordano di Hansel e Gretel è che i bimbi non si perdono nel bosco per un incidente: vengono abbandonati dai genitori poverissimi perché in casa non c'è abbastanza da mangiare per tutti. E non una volta, ma tre volte, perché le prime due riescono a tornare a casa grazie alla traccia di sassolini; la terza volta diventano molliche di pane e gli uccellini le beccano via. E non si tratta quindi di un momento di debolezza dei genitori, ma di una decisione durissima e reiterata fin quando i bambini non spariscono davvero. Lasciamo stare che poi tornino a casa dopo aver sconfitto la strega che li voleva mangiare e trovino il padre miseramente pentito per averli abbandonati (nel frattempo aveva trovato dell'altro lavoro e rimpiangeva amaramente la sua decisione), rimane il fatto che la premessa della fiaba è terribile.
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FREAKS OUT: I fenomeni da baraccone diventano fenici incapaci di rinascere.    
-        Sono speciali non straordinari
 Aspettative molto alte aleggiavano sul nuovo film di Gabriele Mainetti, è un tema che mi sta molto a cuore, su cui, per dirla con Godano, c’è ancora tutto da fare, e Mainetti, il suo ultimo lavoro argomentano proprio questa tesi.
Roma, anni Quaranta, il circo Mezzapiotta, giudato da Isdrael, un barbuto ebreo con la bombetta, richiama i bimbi del posto promettendo stupore, magnificenza e avverte i più piccoli che troveranno pane per la loro capacità immaginativa, in una possibilità di materializzarsi con la forza di un’epifania.
Così conosciamo Cencio, giovane carnale ed impulsivo, capelli diafani, muscoli tesi, incantatore, di insetti con predilezione romantica per le lucciole; poi c’è Mario la calamita umana con particolare confidenza con forchette e cucchiaini da thè affezionati alla sua fronte. Immancabile Fulvio, per la famiglia Fù, gigante affetto da leontasi ma che più che il film di Bogdanovich ricorda, Chwube effetto l’Oreal o il Robert Downey di FuR; infine c’è Matilde, occhi lucidi e spalancati, trecce ricce con un corpo naturale conduttore d’elettricità: il suo numero è una danza di subrette tra lampadine accese senza sforzo tenute tra le mani ed i denti.
Israel ha trovato un modo per andarsene in America: quel sogno lo promette a tutti i suoi compagni in cambio di trecento lire: è consapevole d’essere ebreo ma è convinto probabilmente che quei soldi lo traghetteranno in una fuga possibile e mimesi meno codarda di quella offerta dall’armistizio di cui, come tutto il suo Paese si è ritrovato spettatore. Il capo circense convince i suoi al viaggio della speranza, mentre in città è arrivato il circo di Berlino. L
Le due ore che seguono sono la narrazione di quattro fenomeni da baraccone, una versione 3.0 di comne li aveva scovati Browning nel ’32 che la retorica del sensazionalismo trasforma i Supereroi. Il viaggio topico per restare liberi (ed uniti) come quattro lepri in un bosco pieno di trappole naziste, si rivela raddoppiato con la Storia che li vuole morti perché anormali ed un freaks ariano che li vuole salvatori della Grande Germania proprio con l’anormalità strumento allo scopo supremo.
Mainetti, gira un film italiano, con l’aspirazione di far breccia nel cuore americano e mainstream di ogni spettatore.
La prima parte sembra un viaggio di ritorno nelle atmosfere povere ad autentiche di Fellini, senza la violenza dei dialoghi e la disillusione del Matto de “La strada”: così Mainetti perde la traiettoria del proprio discorso autoriale (che con Jeeg Robot l’aveva reso straordinario): si lascia ammaliare dall’accessibilità della retorica della fabbrica del Supereroi in un susseguirsi di citazioni – viaggio nell’etere – che fa eco ai boomers più nostalgici del proprio coming of age.  
Tutta la prima parte, fino alla rivelazione dell’evento puro/ferita di Matilde, ci tiene catapultati ed ancorati ad una speranza di un finale tragico-catartico motore di un cambiamento inevitabile: ma poi l’universo interiore dei personaggi è destinato a restare a sepolto, surclassato da citazioni continue – che certamente sono tributi ad una cinematografia sterminata e super partes al tema - senza riuscire a divenire mai davvero politico. L’aggregazione di Matilde ai partigiani (quasi tutti mutilati e/o comunque tutti rappresentati non conformi dal loro non allineamento al sistema) ed è l’unico vero momento del film in cui lo spettatore sente d’esser tale, in una storia di diversità, diluita in una narrazione del diverso come marginalizzato, esemplare, ma mai sufficientemente degno d’essere annoverato per la sua umanità.
La scelta del finale non stratificato è l’ultimo indizio di un film che fallisce la propria caccia al tesoro per una narrazione in cui la diversità non chiede di essere normalizzata tanto quanto non chiede d’esser ricordata per gesta eroiche, semplicemente di coesistere. Per cambiare la storia, come ci ha mostrato Tarantino, oltre la polarizzazione del gusto, con la forza dell’umano petere ci vogliono ben altri politici presupposti.  
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