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#dolce e chiara è la notte e senza vento
valentina-lauricella · 8 months
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Discorso intorno alla poesia
"Una notte serena e chiara e silenziosa, illuminata dalla luna, non è uno spettacolo sentimentale? Senza fallo. Ora leggete questa similitudine di Omero:
Sì come quando graziosi in cielo rifulgon gli astri intorno della luna, e l’aere è senza vento, e si discopre ogni cima de’ monti ed ogni selva ed ogni torre; allor che su nell’alto tutto quanto l’immenso etra si schiude, e vedesi ogni stella, e ne gioisce il pastor dentro all’alma.
Un veleggiamento notturno e tranquillo non lontano dalle rive, non è oltremodo sentimentale? Chi ne dubita? Ora considerate o Lettori, questi versi di Virgilio:
Adspirant aurae in noctem, nec candida cursus luna negat, splendet tremulo sub lumine pontus. Proxima Circaeae raduntur litora terrae, dives inaccessos ubi Solis filia lucos adsiduo resonat cantu, tectisque superbis urit odoratam nocturna in lumina cedrum, arguto tenues percurrens pectine telas. Hinc exaudiri gemitus iraeque leonum vincla recusantum et sera sub nocte rudentum.
[Spirano le brezze sulla notte né la candida luna nega il percorso, il mare splende sotto tremula luce. Si sfiorano i vicini lidi della terra di Circe, dove la ricca figlia del Sole fa risuonare i boschi inaccessibili di continuo canto, nella casa superba brucia l'odoroso cedro per le luci notturne scorrendo le sottili tele col pettine vivace. Di qui si sentono i gemiti e le ire di leoni che rifiutano le catene e ruggiscono nella tarda notte.]
Che ve ne pare? Quelle cose che sono sentimentali in natura, non sono parimente e forse da vantaggio in queste imitazioni?"
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angelap3 · 2 months
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«Dolce e chiara è la notte e senza vento e quieta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna e di lontan rivela …»
Giacomo Leopardi
"La sera del dì di festa"
Immagine Hugo Pratt
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molecoledigiorni · 2 years
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“Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
[…]
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia.”
- G. Leopardi
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quando la mattina presto il vento torna, e smuove le chiome degli alberi io affondo i piedi nella terra. E assaggio la vita quella poca che ancora scorre in me. il lenzuolo copre il tuo corpo bianco, dolce, insipido di luce la tua terra è bionda sul quel terreno che chiami “l’amore” quando mi abbracci, e apri le gambe, e mi bagni col regalo della tua vita affamata di sesso
sento il dolce sussurro delle tue parole, nelle orecchie prendimi, dici in un soffio e le foglie stormiscono prendimi mi baci la lingua e mi accarezzi  le labbra prendimi gemi sottovoce, quasi trattenuta dal godo, mentre bagni il letto col tuo profumo chissà … scivola via il lenzuolo mentre sei ancora avvolta nel sonno e l’aria soffia fresca sui resti dei nostri teneri e minuscoli reati notturni. scopri un fianco che fa luce come un sole chiaro la tua bellezza riluce e il tuo corpo emana la tua riconoscibile fragranza di mele e menta vedo leggeri i tuoi seni, senza difetti,  morbidi come due mele acerbe, seta come due pesche marocchine mi cerchi, afferri la mia mano nel sonno. e ti posi sul mio petto, continuando a dormire e sonnecchi lì sopra come fai a esserci anche mentre dormi, penso? ti svegli, e mi sorridi
fisso i tuoi occhi azzurro ghiaccio, stropicciata come un bruco fresca come un dono, chiara come la notte luminosa come il sole tra le fronde? caffè? mi chiedi e mi baci sulla bocca. certo, rispondo. caffè. lontano le fronde stormiscono leggere.
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Angels in the Dark
Le 3:00 di notte, la gente dorme, protagonista dei suoi sogni e dei propri incubi. Forse è così che mi piace pensarli. Inerti, con gli occhi chiusi, il respiro leggero e regolare, il viso d’angelo senza svegliare il loro lato assassino. Mi piace l’idea di non sentire le loro parole, i loro giudizi, tanto ascolterei solo bugie.
Ho un misto di rabbia, tristezza, e delusione per le persone, che ormai mi fanno solamente schifo.
In questo momento vorrei facesse davvero freddo, avere solo una felpa addosso e potermi risentire viva tramite i brividi e i tagli di gelo che lascia il vento sul mio corpo e sulle mie guance rosee; vorrei star seduta a gambe incrociate sugli scogli ed essere circondata dal nulla se non dal mare davanti a me. Vorrei aver lo sguardo fisso lontano, perso verso l’orizzonte, vorrei che il cielo fosse grigio, e di riflesso, anche l’acqua del mare. Grigio. Non c’è colore più adatto di come mi senta ora. Un’anima bianca di purezza, ingrigita dalle ceneri dell’inferno in cui si trova e vive.
E invece sono qua, immersa nel buio della mia stanza, con le gambe attorcigliate alle coperte, che con la luce della luna proveniente dalla finestra sopra il mio letto, sembrano di un colore bianco sporco e antico.
Ho appena avuto un incubo, e nonostante sia già metà dicembre, sono tutta sudata, coi capelli annodati e spettinati dai troppo giri e rigiri durante quelle ore. Un incubo: non c’è differenza tra il giorno e la notte.
È da un po’ che sono sveglia, ma non voglio sapere quanto tempo sono stata sdraiata sul letto a pensare a cose senza senso, guardando un punto non preciso del cielo attraverso i vetri della finestra; non mi interessa sapere che ore si son fatte, né pensare che domani avrei dovuto svegliarmi presto per andare a prendere quel treno vecchio e malconcio verso quella prigione di scuola. Dicono che qui ti insegnano a vivere. Io ho imparato solo a come morire.
Vorrei fermare il tempo, rimanere lì per sempre in quella buia e notturna tranquillità, eppure non vedo l’ora che questa notte passi, che tutto passi.
Ed il mio istinto è ancora quello di andarmene da un mondo in cui io non mi sento più parte.
Mi alzo dal letto e nonostante abbia solo una maglia bianca e leggera che uso per dormire, apro la maniglia di quella finestra che da sul tetto, e sento già il freddo invadermi il sangue.
Non importa.
Mi arrampico, e come ogni notte trascorsa nella mia solitudine, mi ritrovo ad osservare la vita notturna da lì sopra.
Le luci della città sono spente, così come la speranza, fiamma di una candela che resiste al gelo e alla neve, ma che si spegne per una piccola lacrima, un piccolo dettaglio che nessuno noterebbe.
Nessuno sveglio, a parte qualche rara persona innamorata, come me, delle stelle. Nessuno sveglio, se non quel groviglio di milioni di nodi, pensieri incasinati e taglienti come lame gelate. Brividi di freddo, ogni volta che uno di loro sfugge al mio controllo nella notte scura, che mi indebolisce e riemerge ogni mia paura.
Rimango sola, ancora una volta, ad osservare la notte, la parte morente del giorno, cullata dal vento che scompiglia i miei capelli, e che cerca invano di spegnere i pensieri, di far morire la mia dannata mente. Magari per un po’. Magari per sempre.
Mi sdraio sulle mattonelle rosse del tetto, per vedere le stelle. È una cosa che faccio fin da bambina, mi ha sempre rilassato, mi calmava quando piangevo, come se essere circondata da quella moltitudine di stelle mi facesse sentire meno sola. Ma quando i miei occhi si posano sul cielo, l’unica cosa che vedo è un colore cupo, velato, senza la presenza di quei piccoli fari di speranza. Si sta facendo brutto tempo, un po’ come dentro me. Passata la notte, la pioggia e il vento lasceranno spazio al sole. Ma la tempesta delle mie lacrime finirà mai?
Seguo la linea chiara e infinita che formano le nuvole col riflesso della luna, e la mia mente ne fa uno svago personale, finché non vengo strappata dalla mia quiete da delle risate, parole urlate troppo forti che stonano col dolce silenzio della notte, e poi il suono di una bottiglia di vetro che cade, che si spacca in mille pezzi. Ma qua non è l’unica cosa andata in frantumi.
C’è un ragazzo, alla fine della via. Corre, e trascina con sé una ragazza che lo segue senza smettere di ridere. Nella mano libera regge una bottiglia, di birra credo. Immagino gli occhi di lei brillare come stelle in mezzo al buio della notte. Li conosco quei pensieri, ragazza, il desiderio di essere felice, la speranza di essere amata per sempre.
Ma i desideri sono sogni che vorresti ma non puoi avere. E la speranza non è una certezza, è solamente un'illusione che pian piano si affievolisce e muore. E poi muori anche un po’ tu.
A volte mi domando perché tutto dipenda da degli stupidi pensieri, da immagini che vediamo , o parole che sentiamo. Condizioniamo il nostro umore, la nostra salute, e perfino la nostra vita, in un modo troppo semplice: gli altri causano avvenimenti che facilmente ricadono tutti su di te. Loro dettano la tua vita, e tu, come un protagonista di un libro, sei destinato ad obbedire ai loro voleri e a morire alla fine di quelle pagine. Perché chi ti vuole buttare giù inciderà parole indelebili che ti faranno affondare in acque buie e profonde, anche nel più secco dei deserti: non hai potere, loro dettano parole, e le parole dettano legge.
Sento un bruciore improvviso alle braccia: sta iniziando a piovere, come se avessi contagiato il cielo con la mia tristezza, e volesse riempire il vuoto che ho nel petto con le sue lacrime. I tagli si gonfiano e fanno male, ma sfortunatamente non troppo da poter deviare il pensiero da ciò che ho dentro. Ti avevo promesso di non farlo mai più. Perdonami.
Guardo la mia pelle, prima bianca come il latte, ora marchiata da lividi e da permanenti cicatrici, segnata per sempre da ricordi che bruciano di urla, e odorano di una vita passata a morire.
Le persone mi definiscono forte, nonostante mi diano della debole. È un controsenso, lo so, nemmeno io l'ho mai capito. Credo che ti diano aggettivi asseconda della situazione, di come viene comodo a loro.
Ma su una cosa sono tutti d'accordo: trasmetto forza alle persone, le metto un senso di tranquillità e di pace da poter affrontare ogni momento buio, assieme a me. Già, questo non lo nega nessuno, sono tutti bravi a prendere ciò che dai, senza che ti ritorni qualcosa in cambio. Amici. Questa parola contiene al suo interno la parola amore. Ma a quanto pare è uno sbaglio, non credo che amare voglia dire approfittare dell'altro per poi lasciarlo pieno di false speranze, ricordi che fanno male e cicatrici che non potrà più risanare. Amici. Questi non dovrebbero lasciarti in disparte perché han trovato qualcuno migliore di te. Amicizia non è usare e andarsene dopo averti consumato.
Eppure è ciò che lei ha fatto, ciò che fanno tutti. Avete presente quando ad un certo punto della vostra vita, vi sentite finalmente capiti da qualcuno, quando trovate qualcuno che vi fa ridere, con la quale ridere? Certo che lo avete presente. Almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti amici di qualcuno. E io mi sentivo amica sua. O meglio, ho sempre pensato che lei fosse mia amica. Ma il tempo vola, le persone cambiano, i sentimenti passano. Ma chissà perché, tra due persone, tutto questo succede solo ad una, mai ad entrambi. E l’altra rimane lì, a chiedersi perché, a guardare le persone allontanarsi, a sentire crollare il tutto. Cosa fanno gli amici? Sbaglio o si aiutano? Si confortano? È davvero questo il loro compito, o è solo una stupida recita che si scrive nei libri? Le raccontavo tutto, la rendevo parte della mia vita, e lei faceva lo stesso con me. Ero felice quando lo faceva. Credevo fosse normale, ma purtroppo credo a troppe cose. Sarò strana, ma sono felice quando le persone si aprono con me: la vedo come un segno di fiducia, o semplicemente, di amicizia. Ma a quanto pare in molti lo percepiscono come un peso, ciò che vogliono è recitare la loro parte e fare finta di tenerci. In effetti è anche colpa nostra. Abbiamo sminuito troppo il termine “amico”, ormai chiamiamo così anche chi conosciamo da poco, non diamo differenza tra chi lo è davvero un amico, e chi non. Forse perché non ce ne rendiamo conto. Troppo felici a pensare di avere qualcuno al nostro fianco. E poi arriva quel momento in cui ci rendiamo conto che siamo sempre stati soli. Amicizia è sostenersi a vicenda, esserci. E allora perché lei mi ha rinfacciato di ogni cosa che le raccontavo? Ho sempre messo lei prima di tutto, nel nostro rapporto, perché per me era importante. Ogni cosa che le raccontavo la alleggerivo, perché odio far pesare i miei problemi alle persone, eppure lei era stanca di questo, stanca di me, e mentre lo diceva, non ha più pensato ai momenti in cui l’ho fatta ridere.
Non ci provo più a definire qualcuno come ‘migliore amica’. Le persone sono tutte uguali, nessuno è migliore. O almeno, non con me.
Da quel giorno non mi sono mai più aperta con nessuno. E forse questo mi sta uccidendo: ogni cosa che mi tengo dentro è una lama di un coltello, un’arma, che graffia, squarcia, uccide piano piano, ogni parte di me. Ma almeno sono io a farlo. Non voglio più dare questo potere agli altri. O forse è esattamente ciò che sto facendo?
Tutti così fanno, ogni volta che rientro a casa, felice di aver incontrato qualcuno, mi aspetto sempre il giorno in cui lasceranno un vuoto dentro di me, che felice quasi non lo sono neanche più.
E mentre a me la pelle brucia, I due ragazzi prendono la pioggia elemento di gioco, finché sotto la luce dell'unico lampione sulla strada, lui la bacia, facendo ritornare il silenzio, nonostante il rumore della pioggia che cade, nonostante i pensieri che urlano.
Chissà che sapore hanno i baci, quelli veri, quelli dove è il cuore che parla, e non uno stupido meccanismo a cui non si è mai dato il giusto valore. Chissà come è baciare senza sperare disperatamente di valere qualcosa, aggrapparsi alle labbra di qualcuno come se ti stessi aggrappano al suo cuore. Chissà come è baciare senza pensare a nulla di tutto questo. E chissà come è essere sicuri che le braccia che ti stringono ora non ti lasceranno mai, avere la mente libera dal pensiero di perdere quella persona.
E io ne ho baciate di labbra, da cui pendeva solo veleno, ne ho strette di mani, le stesse che tenevano il coltello dalla parte del manico e la lama puntata al mio cuore.
Quanto posso essere ingenua, dare troppo con la sola speranza di essere un giorno ricambiata. E poi passano i giorni, ma di quel giorno nemmeno l’ombra. Ne arriva un altro, invece, quello in cui con le lacrime agli occhi, ti fa schifo la tua immagine riflessa, perché la dignità la hai, è che hai solo troppo cuore, e ti accorgi troppo tardi che tutto quanto ti ha tolto più di quanto avevi prima.
Non è colpa mia. Però glielo urlo sempre, alla ragazza riflessa allo specchio. A quella dagli occhi rossi per il pianto, le labbra insanguinate, le costole troppo evidenti, e la pelle segnata.
Il freddo inizia a farsi sentire più di prima, d’istinto mi riscaldo le braccia con le mani, ma non ho voglia di tornare dentro, resto a giocare coi brividi che il vento da. Mi è sempre piaciuto, convincere il mio corpo di essere più forte del freddo. Convincere me stessa di essere più forte di tutto.
Le mie mani fredde mi stringono in un abbraccio, sotto la pioggia di dicembre. Mani. Con queste puoi ricevere l’affetto migliore di cui nessuno parla: puoi far sentire una persona meno sola, soltanto afferrando e stringendo la sua; puoi ricevere abbracci e morirci dentro e rinascere allo stesso tempo, scordando tutto quello che ti tormenta. Non serve che vado avanti, sono l’ultima persona che può spiegare modi per dare e ricevere affetto. Eppure, le carezze, le mani che sfiorano dolcemente la pelle, lo trovo un gesto tanto dolce… Il problema è che le mani di certe persone, per quanto bianche di purezza siano, sono impregnate del rosso del mio sangue.
Anni dopo, la fobia non passa. Non può passare, quando fin da bambina hai imparato da sola che servono per fare del male. Ricordo ogni maledetta volta, ogni bruciore e ogni ferita. Ricordo troppo bene, come se fosse ieri, eppure ero ancora troppo piccola.
Avevo la mania di tenere un diario, da bambina, e non perché mi intrigava la cosa di tenere i miei segreti da qualche parte, ma perché quello era il mio sfogo personale, e nessuno avrebbe mai letto e giudicato. E quelle parole venivano lasciate lì, mai più rilette, ma mai più dimenticate.
Cosa può scrivere una bambina di 7 anni? Magari delle prime amicizie, delle marachelle a scuola, cose così. Non lo so, io non scrivevo queste cose. Quelle pagine non sanno più di carta, ma solo di lacrime. Su quelle pagine riportavo il disprezzo degli altri nei miei confronti, riportavo ogni rissa, ogni livido.
Scoppio a piangere, in silenzio, ricordando le lacrime di quella bambina che si rifugiava dentro i libri, e nella scrittura. La sua infantile grafia, le sue parole da matura.
E il mio pianto si unisce alla pioggia, mentre ripercorro ciò che mi ha ferito, ogni loro frase, attaccata al muro, le mani a proteggermi gli occhi, ma con nessuno a proteggere me. Nemmeno io lo facevo.
Cosa ho fatto per meritare questo già da bambina? I bambini dovrebbero crescere spensierati, avere ancora la testa fra le nuvole.
Io invece mi consideravo una nullità già a 7 anni. D’altronde, cresci con le idee che ti mettono in testa, con i discorsi e le parole che ascolti di più. E io sentivo solo quelle.
E le sento ancora ora, ogni giorno, mi ripeto che voglio essere perfetta per me, ma in testa ho ancora la perfezione che han dettato gli altri.
Non riesco a toccare cibo senza pensare i giudizi che hanno sempre avuto sul mio corpo. Prima troppo grassa, poi troppo magra.
Basta. Non voglio pensare a questo.
Voglio cancellare tutto dalla mia mente, spegnerla, azzerarla, ma non ci riesco.
Tutto ciò che riesco a fare ora, è piangere.
Eppure di piangere l’ho fatto troppe volte, ma ora non c’è più nessuno dalla mia parte. Mi avevi ripetuto, giurato, promesso, che non eri una copia degli altri, e sei perfino riuscito a farmelo credere. Eri così perfetto per essere vero, ma sei solo bravo a giocati la tua parte come giochi con le corde della tua chitarra. Ero convinta che ti interessasse davvero di me, e sono stata stupida a crederci, a chi interessa di me? A nessuno. E dovevo saperlo, non dovevo crederti, ma sei stato troppo furbo, e io ancora ingenua. Mi attiravi con l’affetto. Certo, le persone si attirano dando ciò di cui hanno bisogno. E tu l’avevi capito, che era questo il mio punto debole. Mi raccontavi un sacco di bugie, bugie che mi han fatto innamorare, finché le consideravo verità. E invece ho dovuto scoprire da sola tutto quanto, e da sola affrontarlo. Hai aperto al mio cuore ad un’altra tragedia: l’attore perfetto in una falsa commedia.
Voglio che tu trova l'amore, voglio sentirti parlarne coi tuoi amici come se fosse l'unica cosa che ai tuoi occhi sia perfezione. Voglio vedere i tuoi occhi brillare di speranza, il tuo cuore in fiamme per la ragazza con cui mi hai sostituito. Talmente in fiamme da bruciare. Voglio che lei lo alimenti quel fuoco, che ti faccia provare le fiamme dell'inferno, per poi lasciarti nella cenere. Ti auguro di provare ciò che sto provando io a causa tua, voglio vederti piangere, illuso dalle false speranze che lei ti ha dato. Voglio che ti salga la nausea a pensare ad ogni cosa che ti colleghi a lei, ad ogni cosa che hai detto, ad ogni bugia che hai creduto. Voglio che tu sappia quanto questo faccia schifo, voglio che tu prova quanto tu mi hai fatto male. Ti odio, con tutto il cuore, più di quanto ti abbia amato.
Le persone sono tutte uguali, o forse sono io troppo diversa. Mi sento sbagliata, in ogni posto: il cuore di qualcuno non avrà mai posto per me, la scuola non sarà mai il luogo dove avrò amici, e casa mia non potrò mai definirla casa. Cosa ci faccio ancora qua?
Le lacrime mi offuscano gli occhi, ma non offuscano i miei pensieri. La mia mente mi passa davanti immagini di falsi momenti in cui ero felice, come a ricordarmi cosa non ho, cosa mi è sempre stato strappato via troppo in fretta. Tutti gli amici andati, i tradimenti da parte di chi più amavo, la mia famiglia che mi ripete ogni giorno quanto io sia un fallimento, per loro è per tutti; e poi le botte a scuola, quella sera di cui non ho ancora il coraggio di spiegare davvero cosa sia successo.
Non mi è rimasto nulla. Nulla è nessuno.
Cosa ho di sbagliato? Cosa non ho che le altre hanno? Perché sono l’unica che non viene mai apprezzata, mai capita? Sono sempre la ruota di scorta, quella che viene usata. Uno strumento per far felice qualcuno. Uno strumento usato, consumato, e poi lasciato lì, quando non se ne ha più bisogno. Una bambola dei giochi di qualcuno, coi capelli un po’ spettinati, il vestito un po’ consumato, buttata in un angolo della stanza assieme a giochi vecchi, ormai passata di moda e dimenticata per sempre.
Se prima le lacrime scendevano in silenzio, ora i miei occhi si trasformano in fiumi di disperazione, e crollo, in un pianto troppo forte, troppo disperato. Perché quelle immagini fanno male, quei pensieri ammazzano.
Con le mani mi copro gli occhi, come se mi nascondessi dalle stelle, e mi sdraio del tutto sulle tegole rosse e fredde del tetto: la pioggia che mi bagna tutta la maglietta, che si mescola alle mie lacrime.
Il cuore batte forte, troppo forte, che quasi rischia di scoppiare e rompersi in mille pezzi. Non che non sia già in questo stato.
Non riesco a respirare. L’aria non mi arriva, inizio a vedere tutto più sfocato, eppure quelle immagini le ho sempre impresse nella mente. Il rumore della pioggia si fa più lontano, ma il mio pianto, le mie urla passate, quelle maledette voci, non si fermano. Non riesco a respirare.
Devo smettere di piangere o finisce male.
Mi tiro su, devo rientrare, devo prendere le medicine. Devo addormentarmi, non pensare a nulla.
Ansimo e piango allo stesso tempo, la testa mi gira, e per un momento non mi sento più dentro al corpo.
Le gambe mi cedono, ma io non me ne accorgo.
***
Sento un dolore fortissimo alla testa, ma anche alla schiena, alle gambe. A tutto il corpo, nulla escluso.
Sento la pioggia in lontananza, ma la sento lo stesso picchettare sul mio corpo, immobile e quasi inerte su un letto grigio e tagliente. I miei occhi bruciano, come la mia pelle.
Chiudo gli occhi, per poi aprirli lentamente. Non riesco a muovermi, ma riesco comunque a vedere quelle tegole rosse su cui poco fa piangevo.
Il respiro si fa sempre più pesante, mentre il cuore si fa sempre più lento. Sono stanca, stanca di lottare, stanca di sentirmi in questo modo.
Stanca di non essere mai stata apprezzata.
Ora sono felice, sono calma, come non mi sono mai sentita prima.
Ma questo raro sentimento si cancella, lascia spazio all’immagine di una bambina. Una bambina tanto forte che ha cercato di sopravvivere in mezzo a tanta amarezza. Quella bambina ha lottato per dare un futuro a me, e io ora glielo sto togliendo.
Non volevo arrivare fino a questo punto, non era mia intenzione, lo giuro. Potessi, tornerei indietro, non aprirei mai la maniglia di quella finestra.
Sono stata debole, ma io non volevo.
È stato un incidente.
Gli occhi mi si chiudono, ma voglio ricordarmi un’ultima cosa, di questo mondo.
Alzo gli occhi e vedo tanti puntini sfocati e lontani, che mi guardano, che mi accolgono: le stelle.
L’ultimo pensiero sono mamma e papà. Chissà cosa diranno. Io non volevo, lo giuro.
E poi a me stessa. Io non volevo.
Scusa.
***
Le sirene non smettono di suonare, la pioggia non smette di cadere. Anche una ragazza ha ancora le lacrime agli occhi. Solo che le sue non cadranno mai più sul suo volto e la sua anima non finirà mai di piangere.
La notte è buia, gelida. Qualche persona infreddolita, in pigiama e l’aria assonnata, si è riunirà attorno alla strada, intenta a capire cosa abbia interrotto il loro sonno. Un pianto disperato, delle urla, e poi un corpo coperto da un telo nero. E nell’aria gelida si sente l’odore aspro e metallico del sangue, della morte. Un velo di malinconia in questo scenario triste: il cielo piange la morte di un angelo.
È un suicidio. Gira la voce, chissà perché l’ha fatto. Il silenzio sparisce, e si riempie di chiacchiere inutili, come se loro sapessero e avessero il permesso di giudicare. Ma qualcuno, in quella via, non le sente quelle voci, non ne sentirà più pettegolezzi su di sé.
L’ambulanza parte, porta via quel corpo inerte dall’abbraccio disperato della madre, che ancora non capisce e lo rivuole con sé. Chiunque tenta di calmarla, di consolarla, poliziotti, vicini, ma lei in preda al panico non ascolta, come se non li vedesse. In fondo, è così, quando hai la paura negli occhi. Quando la morte ha strappato per sempre la vita di tua figlia.
Quel banco, a scuola, è vuoto, eppure la campanella è già suonata. Nessuno ci fa molto caso, in fondo non era occupato da qualcuno di speciale, qualcuno di cui si sente la mancanza. Ma Noemi si domanda il perché. Hanno litigato, qualche mese fa: l’aveva trattata male senza sapere nemmeno il perché, ma da quel giorno non è più stato lo stesso, sebbene abbiano provato entrambi a riavvicinarsi. Inizia a scrivere di nascosto un messaggio di rimprovero alla compagna, uno di quegli scherzi tra amiche. Ma quel messaggio non lo mandò mai più, intanto non c’era più nessuno a riceverli. In quella classe così disordinata e rumorosa, cala il silenzio, quando due professori dall’espressione triste, e il preside, entrano in quella stanza. E annunciano la sua morte. A Noemi cade il cellulare dalla mano, il vetro si frantuma in mille pezzi, e il suo cuore perde un battito. E la sua vita perde valore.
Tutti si accorgono forse per la prima volta di quel banco che troppe volte è stato in cattiva luce, e trattengono il respiro, ma lei non riesce a trattenere le lacrime.
Si alza e corre fuori, in corridoio, e non sente le voci di richiamo del preside e dei professori. Corre giù verso l’uscita, piangendo, incolpando se stessa per la morte dell’amica. Urla, e affonda le unghie nella carne delle sue braccia, lasciando piccoli taglietti, i primi di una miriade di insanabile cicatrici, e poi colpisce il muro con la mano, presa dalla rabbia, e le sue nocche si tingono di rosso. La mano le si gonfia, forse qualcosa di rotto, ma non fa male, nulla potrà più fare male, superare il dolore che sta provando ora. Si accascia a terra rimanendo appoggiata al muro, e si copre la testa nascondendola tra le ginocchia. Le sue dita intrecciare tra i capelli curati, ora ben pettinati, e senza accorgersene si tira qualche ciocca, come se il suo corpo stesse disperatamente cercando invano un dolore più grande. Il mascara che rifiniva le sue lunghe ciglia chiare, ora le riga il viso come le lacrime, e la pelle è ormai tagliata dalla troppa forza che mette con le unghie, come se servisse davvero a qualcosa, ormai. Qualcuno la solleva di forza, sussurrandogli un qualcosa che nemmeno ascolta, e la porta via, tra le urla incomprensibili, e la resistenza per restare sola; gli occhi colmi di dolore, di paura. La portano in infermeria, la fanno sdraiare sul lettino e provano a calmarla, ma smette di resistere, stanca di lottare per qualcosa che ha già perso. Ma le sue lacrime non smettono di essere in lutto. Tocca disperatamente la collana col ciondolo a forma di puzzle che le aveva regalato tre anni fa, come per sentire ancora il suo tocco, l’iniziale dei loro nomi che aveva scritto lei. Ma lei non c’è, non la rivedrà più.
A lavoro, il padre, non riesce a distogliere lo sguardo dal giornale che riporta il nome e la foto di sua figlia. E poi guarda il vuoto, con gli occhi che minacciano di piangere, pensando a tutte le volte che l’aveva portata in ufficio con lui, e l’aveva sgridata perché faceva troppo rumore parlando a voce troppo alta, quando da bambina si portava le bambole con cui giocare. Pian piano quella voce si è fatta sempre più rara, sempre più triste, e i silenziosi libri avevano sostituto quelle bambole. Ora avrebbe dato la sua di vita, solo per sentire la voce della sua bambina che non era riuscito a salvare. Avrebbe voluto ne parlasse con lui, di ogni problema, e si morde le mani per tutte le volte che le ha detto di avere di meglio da fare. I colleghi chiedono se ha bisogno d’aiuto, ma lui ha bisogno solo di sua figlia, viva. Gli occhi non trattengono le lacrime, e piange. E lui non piange mai.
È passato un anno, ma quella notte in quella casa non passa mai. La madre ha smesso di curarsi: i suoi capelli sono sempre spettinati, e di vestiti non ne ha più comprati di nuovi, come se non le importasse. Le guance sono sempre più affossate: ha smesso di farsi da mangiare perché ogni volta, a forza dell’abitudine, preparava e apparecchiava anche per la figlia, finendo in lacrime ogni volta, guardando quella sedia vuota, quel piatto sempre pieno. Passa il giorno nella camera della sua bambina, prende in mano tutti gli oggetti per sentirla più vicina, ma nel suo intento non riesce. Piange e non si è ancora riuscita a perdonare, come se fosse l’unica ad averne colpa. La notte non dorme, la passa nel letto singolo di quella stanza, guardando le stelle come faceva la figlia, nella speranza di vederla salire da quella finestra, nella speranza di afferrarle la mano e strapparla dalla morte.
Il padre ha perso il lavoro, non riusciva a concentrarsi più sui suoi doveri, e nessuno capiva più il suo dolore. Tutti danno sempre il peso sbagliato delle cose, pensano che nulla può segnarti per sempre. Passa le giornate a vedere quelle bambole ordinate e ben pettinate, ricordando le manine della bambina che le stringevano. Quanto darebbe per stringere ancora quelle mani, per sorridere di nuovo, e invece ha sempre dato tutto per scontato, finché non lo ha perso per sempre. Poi sfoglia i suoi libri di cui tanto era affezionata, e scoppia a piangere ogni volta che prende in mano quel libro ancora da finire, appoggiato ancora sul comodino, con in mezzo un segnalibro. Interrotto come la vita della figlia. Crede che ci sia ancora il suo odore intrappolato in quelle pagine.
Entrambi non hanno più nessuno per cui vivere, e sentono di aver fallito nel loro compito più grande: hanno lasciato che la loro figlia si distruggesse proprio davanti ai loro occhi, senza nemmeno accorgersene.
A scuola quel banco è ancora vuoto, e così sarà per sempre. Adesso è ricoperto di fiori e bigliettini che mostrano così tanto amore ad una ragazza morta a cui si era mostrato solo tanto odio. Quei biglietti inutili sono solo la prova della loro falsità, durante la sua vita, e durante la sua morte: scrivono “ci manchi” con affianco il cuore, ma sanno benissimo di avere distrutto il suo. Eppure le danno dell’eccentrica per il suo gesto, eppure loro non sanno, ora è sempre al centro dei discorsi di tutti, eppure lei voleva solo sparire.
Noemi è ancora lì, la compagna di quel banco vuoto, hanno cercato di spostarla, ma lei in lacrime aveva gridato che sarebbe sempre stata lì, ad aspettarla. Ed ogni lezione non la segue, s’incanta a leggere e rileggere ciò che lei aveva scritto sul suo banco, ricordando quei momenti, pensandola ancora viva. Ora non c’è più traccia dei suoi capelli biondi, li ha tinti neri come quelli dell’amica, e come erano quelli di lei, sono sempre in disordine e sciolti, per non dover mostrare troppo il volto. Gli occhi sono ricolmi d’odio, ma nel petto ha un vuoto da tanto tempo. Ora si guarda allo specchio e capisce cosa provava l'amica, a guardare e ad odiare quel corpo troppo magro. Non mangia, ed è finita molte volte in ospedale per anoressia, e non c’era nessuno accanto a lei. La collana si è ormai consumata, a furia di sfregarla ogni secondo, prendendone forza, come se davvero ce ne fosse: le ricorda quando si davano la mano, la fossetta che aveva le volte in cui sorrideva. Quanto darebbe per vederglielo ancora, quel sorriso che giorno dopo giorno si era sempre più spento, e lei non aveva fatto nulla, se non contribuire a farla crollare…
Non è riuscita a salvarla, a dimostrarle quanto bene le voleva. E ora ogni notte siede nel tetto di casa sua, e piange, ma non ha ancora trovato la forza per andare da lei, forse perché spera ancora che sia lei a tornare, ad abbracciarla. Dio, non sapete quanto le manchi un abbraccio, un suo abbraccio: la sua pelle calda, ora è diventata fredda, un po’ come la sua anima d’altronde, fredda e nera. Sul braccio destro, il nome dell’amica scritto col suo sangue, con tagli di un coltello che nasconde sotto al letto. Le nocche ormai deboli e consumate a causa di ogni scatto d’ira.
Non ha più amici, lei era l’unica, e non glielo ha mai detto. Ma cosa che più le spezza il cuore, è che mai più lo saprà. Però continua a scriverle, ogni giorno, le racconta la sua vita, o quel che ne rimane, perché viva non si sente più nemmeno lei. E finisce ogni frase chiedendole di tornare, come se fosse una sua scelta, perché niente è più come prima, senza di lei.
Ormai non ha più nessuno con cui condividere, e sente di aver fallito nell’amicizia. Avrebbe dovuto capirla, invece l’aveva lasciata distruggere.
È passato un anno e mezzo, e il padre era distrutto. È appena tornato dal funerale di sua moglie, della madre della figlia che non ha saputo proteggere. Si è lasciata morire, non mangiava, e nemmeno le preghiere disperate del marito bastavano. Voleva andare da lei, e c’è riuscita. Si riabbracceranno, ora la ragazza saprà quanto le voleva bene, e quanto non le aveva mai dimostrato.
Ora la sua tomba è vicino a quella della figlia, sotto un albero di salice piangente.
Ora quell’uomo si è chiuso in casa, in quella casa che sa di disperazione, di morte, di sangue. E non riesce a guardare più nulla senza scoppiare a piangere, senza urlare da dolore. Non esce di casa da giorni, e nessuno ne ha più notizia. Ma forse a nessuno importa davvero, di quella famiglia distrutta. Di quel che resta di quella famiglia.
I fiori su quel banco sono diventati secchi, ormai è acqua passata, ma Noemi non smette di portarci ancora qualche nontiscordardimé, e ripete ogni volta che si rivedranno presto. Ora non ha nemmeno più la forza di piangere, il suo corpo è pieno di cicatrici insanabili e lividi. La pelle che prima tanto curava è diventata una tela dipinta del suo dolore.
Va spesso in quella casa, nella stanza di lei, a vedere i suoi libri, toccare l’inchiostro dei quaderni che scriveva. Ha trovato una lettera nel cassetto del comodino dell’amica, qualche giorno fa. Era indirizzata a lei, ma sembrava lasciata in sospeso, come se non l’avesse mai voluta inviare. L’aveva rallegrata leggere qualcosa di suo, leggere parole nuove, ma piangere le aveva mozzato il respiro e procurato un attacco di panico. O di dolore.
“Cara Noemi,
scrivo a te perché la maggior parte delle volte sei stata tu a capirmi.
Spero che capirai anche questa mia decisione. Da quello che vedo, da quello che mi hanno sempre dimostrato, ho capito che nessuno ha bisogno di me, e io non ho più voglia di sentirmi inutile. Sento che con me intorno porto solo guai, solo negatività.
Tu non meriti qualcuno da tirare su, rischio solo di trascinarti con me a fondo, e questo credimi che non lo vorrei mai. Tu meriti di essere spensierata tutto il giorno, senza doverti preoccupare di me. Meriti di essere circondata da tantissime amiche, senza dover pensare a stare solo con me e i miei complessi di inferiorità. Meriti di ridere, di non pensare a ciò che di male esiste.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarti mentre mi difendi ogni volta a scuola, non sopporto più il fatto che tu riceva qualche schiaffo che doveva essere indirizzato a me. Ti sei messa in mezzo troppe volte, tra me e il male, e te ne sono grata, ma non posso più vedere farti del male per colpa mia. Per colpa mia, Noemi, perché io porto solo guai, complico la vita delle persone, rovino sempre tutto.
I miei genitori mi dicono sempre come dovrei essere, marcando e rimarcando ogni mio difetto. Sono solo un peso per loro, a quanto dicono. Mi sento inadatta anche a casa mia, faccio di tutto per cercare di renderli felici, ma non basta mai nulla.
Scusa Noemi, ma mamma dice sempre che non faccio nulla di giusto che possa farla contenta, e maledice troppe volte il giorno in cui ha avuto me, e troppe volte mi si spezza il cuore a sentirle dire quella frase. Papà si arrabbia sempre con me, per qualunque cosa, l’ha sempre fatto, ha sempre dato precedenza al lavoro, e ripenso sempre a quella volta che ha detto che preferisce mille volte più stare fuori in compagnia di altre persone, che a casa con la sua famiglia.
Rovino tutto Noemi, non c’è persona che mi è vicina che sia fiera di me, che mi dica che vado bene in qualcosa.
Che mi abbia dato un motivo per restare.
Me l’hanno sempre fatto capire, fin da piccola, che questo mondo non era il posto adatto a me. Ne ho passate tante che nessuno sa, perché non ho mai voluto essere un peso, eppure è ciò che mi dicono tutti. Troppe voci da ascoltare, troppe da sopportare: la testa mi scoppia e la mia mente mi ripete ogni cattiveria che mi è stata detta. Perfino in camera mia, da sola, quelle parole risuonano, e ci sto credendo Noemi, a tutto quello che dicono che tu del tutto non sai. Ci sto credendo, e non mi distruggono solo loro, io li sto aiutando a distruggere me stessa.
Troppe volte messa all’angolo del muro, troppi lividi che non sono mai riuscita a spiegare, mai riuscita a dire la verità. Ma infondo nessuno se ne preoccupava. Troppe volte a sentirmi sbagliata, Noemi, e gli sbagli si cancellano, prima che danneggiano tutto quanto.
Scusa Noemi, ma non riesco più a guardarmi allo specchio senza odiare il mio corpo, senza odiare me stessa. Senza voler rompere quel riflesso, e la persona che vedo riflessa. Tu non lo sai, nessuno lo ha mai saputo, il perché di tutto quanto. Nessuno ha mai sentito tutte le volte che giudicavano il mio fisico, tutte le volte che mi guardavano con disgusto. E credimi, dopo una vita passata ad assimilare ogni loro parola, arriverà a tormentati, e ogni volta che avrai qualcosa dentro al piatto ripenserai a tutto quanto. Nessuno sa, e nemmeno tu Noemi, del perché ho paura di farmi sfiorare, il sussultare ad ogni tocco. Nessuno sa il perché. Non ho mai raccontato di tutte le lotte a scuola, dove io non riuscivo a difendermi. Non ho mai raccontato di quella volta, di quella sera, e non riesco più a guardare il mio corpo senza pensare a quello che mi ha fatto, senza pensare a quelle mani sconosciute che hanno causato traumi indelebili. E quella cicatrice, sai, l’impatto col muro è stato un po’ troppo forte, e ora mi porto dietro per sempre la cicatrice di quello che è accaduto quella sera.
Spero non capirai mai, come è vivere odiandosi, trovarsi difetti ovunque. Spero che tu, Noemi, possa ricevere milioni di abbracci, possa pensare e fare l’amore senza che ti venga la nausea solo al pensiero di poter essere sfiorata.
Scusa, ma avevo voglia di scriverti come sto, come mi sento. Volevo esprimere ciò che a nessuno dicevo. Un piccolo sfogo personale condiviso con te, senza risolvere nulla. Volevo soltanto descrivere a parole il vuoto che ho dentro. Un vuoto che incasina tutto quanto. Forse è per questo che non sono mai riuscita a scriverne, a parlarne, e ora non ho nemmeno reso l’idea. Il vuoto è il nulla: zero parole, zero pensieri, ma quando incasina dentro, niente va come dovrebbe andare.
Scusa se ti lascio sola, Noemi, ma sarai felice, te lo prometto.
Grazie per tutto quanto, sei stata l’unica amica che ho avuto.
Vorrei chiederti di non dimenticarmi, ma forse è meglio così, devi lasciarmi indietro, andare avanti, pensare a te stessa e alla tua vita.
Ti voglio bene, ti ho voluto molto bene, Noemi, non dimenticarlo questo.
Per sempre tua,
Isabelle.”
La data era di agosto, quattro mesi prima del suo suicidio reale: a quel tempo non ha mai avuto il coraggio di farlo. O forse non era quello che davvero voleva. Nel cuore di Noemi si accende una piccola speranza, spenta da due semplici pensieri. Lei stava male, e lei è comunque morta.
Ora Noemi la legge ogni notte, quella lettera, accarezzando la carta e ogni parole scritta dalla sua amica. Si chiede come ha fatto a non capirlo prima. Come ha fatto ad essere così cieca in cose così evidenti. Stava gridando aiuto, e lei era incapace di ascoltare.
Una notte sente i suoi genitori litigare, al piano di sotto, mentre con una mano stringeva quella lettera, e nell’altra il coltello preso poco prima da sotto al letto. Litigavano per lei, e non sopportava quelle urla, quelle parole, ormai ripetute troppo spesso già da troppo tempo.
E forse lei sbagliò, perché lei più di tutti sapeva cosa si provava a perdere qualcuno. A quanto le persone sbagliano a pensare di non valere nulla.
Ma quando le lacrime velano gli occhi, e le urla di disperazione abitano la mente, non si vede più giusto, e non si sente ragione.
Su un foglio a righe scrisse a caratteri grandi “Scusa”, con le lettere un po’ disordinate e una grafia tremolante, scritte col suo sangue. E poi, da ciò che colava da un altro taglio appena fatto, scrisse dietro al foglio il nome dell'amica morta, come se questo le facesse ritrovare, come se fosse una sorta di invito. Da un lato c’è un addio per chi lascia, dall’altro un messaggio per chi andrà a trovare.
Piegò il biglietto, lo baciò, anche se non sa esattamente il perché, e lo tenne stretto in mano. Aprì la finestra anche lei, quella notte. Piove. È dicembre. È tutto così dannatamente uguale. Prova e capisce cosa aveva provato la sua amica. Guardò per l’ultima volta la sua stanza, come per salutarla, e il cielo, e nonostante le lacrime, sorrise.
Ora, dopo due anni da quel primo dicembre, c’è un altro cadavere in strada, e un’altra madre che urla, un altro padre a pezzi.
Ho sempre pensato che gli angeli avessero le ali. A quanto pare le cose non stanno così. Dovremmo iniziare a dire ai bambini di rappresentarli con un’aureola di sangue attorno alla testa, le lacrime agli occhi, il corpo pieno di lividi e i tagli indelebili sui polsi e sul cuore.
Dobbiamo iniziare a pensare agli angeli come anime pure, bianche e solitarie. E disperate.
Isabelle pensava che col suo suicidio avrebbe messo fine per sempre al suo dolore. Ma inconsciamente l’ha trasmesso a tutte le persone che le volevano davvero bene, anche se non glielo hanno mai dimostrato. Pensava di fare un favore a tutti, togliendosi la vita, ma è stata la bomba che ha ferito e ucciso chi più aveva vicino.
Sarebbe bastato poco, per salvare quelle vite distrutte.
Qualche attenzione in più. Qualche messaggio in più. Qualche abbraccio dato più spesso. Qualche bugia in meno. Meno falsità in ciò che facevano.
Prima di agire pensa, prima di parlare pensa. Non puoi sapere come la prenderanno le altre persone.
Ogni tua parola è un coltello, ogni tuo gesto uccide.
E se amate, se vi mancate, ditelo. Perché sarebbe bastato anche un misero e sincero “ti voglio bene” per salvare tutte quelle vite."
- Lucia G. S. ( @guerrieradeimieisogni), "Angels in the Dark"
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Dolce e chiara è la notte e senza vento (...) non brillin gli occhi tuoi se non di pianto (...) Tutto è pace e silenzio, e tutto posa...
Giacomo Leopardi
( The night is soft and clear, and no wind blows
Your eyes shall not be bright for any cause
Except for weeping
All is silence and peace; the world is still )
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l-incantatrice · 4 years
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Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna.
Giacomo Leopardi
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ttiraamisu · 4 years
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[...] Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna [...]
-La sera del dì di festa ; Giacomo Leopardi
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olgadischivolanti · 5 years
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Analogic chilling.. would you like to relax like this?
Cesso2012 by Fatur
Dolce e Chiara È la Notte e Senza Vento by BoB Lugli
Seventy Glass by Milch
Listen on Spotify or visit olgadischivolanti.com ! 
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storieumane-blog · 5 years
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"Anima di fata".
Pubblichiamo oggi il primo racconto ricevuto da uno di voi.
Questa è la storia di una persona che vuole farsi chiamare "Il Vento".
Anima di fata
Tante persone si sono sempre chieste chi fossi. Forse per il mio essere misterioso o forse per il fatto di trasmettere loro qualcosa di diverso. Comunque, per chi non lo sapesse, sono un ragazzo come tutti, o forse come pochi. Mi sono presentato qui come Vento. Perché? Be’, è una lunga storia che inizia quando ero bambino. Diversamente dagli altri facevo cose particolari: mi isolavo dal mondo entrando in una realtà completamente nuova, dove il tempo non esisteva. Ricordo che ciò mi terrorizzava perché ero troppo piccolo per capire. Ne parlai con i miei genitori, come farebbe ogni bambino, ma loro, nonostante l’immenso bene che mi volevano, non compresero ciò che intendevo. Un giorno mi dissero che immaginavo tutto e fu allora che mi ritrovai veramente solo. Nessuno mi capiva e nessuno poteva capire.
Tuttavia, non persi la speranza e continuai a vivere la mia vita. Un giorno, durante uno dei miei isolamenti, iniziai a chiedermi chi fossi. Questa domanda mi aprì le porte di due realtà distinte entrambe parte della vita: la realtà del corpo e la realtà dell’anima. Fu quest’ultima a sollecitare il mio interesse, tanto da incanalarmi in questa via sconfinata, e così acquistai un biglietto per un lungo viaggio. La parola “anima” deriva dal latino “anima, animae”, che a sua volta è connesso col greco “ànemos”, che significa “Vento”.
Il Vento dunque è inteso come anima, ossia la parte più profonda dell’essere umano. L’uomo, sin dai tempi più remoti, ha sempre cercato di trovare il giusto equilibrio tra anima e corpo, anche se oggi questo è molto più difficile a causa della superficialità che impregna il nostro mondo. Una superficialità dovuta a tante influenze superflue che ci allontanano dalla giusta via, senza che noi ce ne rendiamo conto. Un esempio pratico: Facebook. un modo per conoscerci? O un modo per dimenticare chi siamo? Valutate voi.
Col tempo ho imparato tanto: cose che nella mia realtà sono all’ordine del giorno per altri, sono solo fantasia. La strada che ho intrapreso da bambino mi ha portato a conoscere me stesso. E più impari a conoscere te stesso, più impari a conoscere gli altri.
Sono comparso qui per un motivo preciso: vedere quante persone sarebbero riuscite ad afferrare e cogliere i miei messaggi senza sapere nulla di me. Inizialmente non è stato facile ma poi ho conosciuto tante belle persone e questo devo riconoscerlo! Molte di esse si sono fidate di me al punto di rivelarmi i loro segreti e le loro paure. Questo mi ha inorgoglito, anche se col tempo mi sono reso conto che sono davvero tante le persone che stanno male e che hanno bisogno di essere ascoltate e capite. Per questo motivo ho cercato di aiutare chi ne ha bisogno, per dimostrare che si può ancora farlo senza volere nulla in cambio, gesto raro al giorno d’oggi.
Come anticipato, ho conosciuto tante persone che volevano vedermi e sapere chi fossi, ma ho sempre detto che mi basta mostrare la mia anima anziché il mio corpo, perché oggi il mondo si incanta solo con ciò che vede con gli occhi, tralasciando altre cose di fondamentale importanza. Tra tante persone, una in particolare mi ha sorpreso: una ragazza con cui ho avuto un legame unico e insolito. Tutti i legami sono unici nella diversità che li distingue. Lei rimaneva spesso colpita da ciò che scrivevo, come se leggesse con gli occhi dell’anima, cogliendo appieno i miei messaggi. Disse che io ero l’unico capace di comprenderla.
Così le sono stato accanto più che ho potuto durante un periodo buio della sua vita. La cosa singolare fu che si creò una straordinaria affinità tra noi e mi legai indissolubilmente a lei. La cosa potrebbe apparire incredibile visto che di me non sapeva nulla, neanche il mio nome. Io, invece, avevo visto le sue foto e conoscevo il suo volto. Questo però, ha poca importanza, dato che di lei mi ha colpito la purezza della sua anima. Così un giorno decisi di darle io un nome adatto e visto che si trattava di una persona molto particolare, decisi di chiamarla Fata. Le piacque subito e, strana coincidenza, mi disse che da bambina disegnava sempre le fate. Ne aveva persino una dipinta sul muro di camera sua.
Iniziammo a sentirci costantemente, e il nostro desiderio di incontrarci era sempre più forte. Sarebbe stato bellissimo, visto il nostro legame, ma purtroppo non sempre tutto va come vorremmo. Devo riconoscere che la Fata mi aveva incantato, ed era incessantemente presente dentro di me. Penso che quando una persona riesce ad entrare in un determinato spazio, dove solitamente entro solo io, è normale che rimanga impressa. Sì, certo mi sarebbe piaciuto incontrarla, soffiare il suo viso con una brezza leggera, osservare i suoi profondi occhi, sentire la sua voce che tanto ha accompagnato i miei sogni, ma la realtà è diversa.
Ciao, dolce Fata, questa nota è per te e per il tuo essere speciale. Mi hai incantato ed è stato bellissimo. Avrei voluto conoscerti, parlarti, avrei trasformato un giorno con te in una favola che neanche il tempo avrebbe mai potuto portar via. Tu hai già una persona al tuo fianco e questo è quanto basta per volare lontano. Sono sicuro che anche lui ti capirà. Forse chiunque, al mio posto, non avrebbe fatto lo stesso ma io non sono come gli altri. Credo ancora nei valori della vita, anche se, giorno per giorno, è sempre più dura. Con questo gesto non cambierò il mondo ma almeno dimostrerò ancora una volta di meritare il nome che porto.
Sono sicuro che capirai e spero che tu sia sempre felice. Ogni giorno di più, è stato bello conoscerti, una Fata non si dimentica mai. L’altra notte ho letto i tuoi pensieri e mi sono svegliato con te nella mente. È incredibile perché questo è ciò che ho visto: il tuo animo è buono, anche se con molte persone tendi a mostrarti in maniera diversa. Vuoi proteggere te stessa e agisci così per evitare di soffrire, anche se alla fine soffri ugualmente. Non sei una persona che, per essere felice, ha bisogno di possedere tutto. Ti basta poco, anche un piccolo pensiero e il tuo cuore riprende a sorridere. Spesso fai delle cose che non vorresti, e poi te la prendi con te stessa, chiudendoti in solitudine. C’è un modo per stare veramente bene e io t’indicherò la strada. Ti manca convinzione, credi poco in te, pensi di sbagliare ogni decisione ed ecco che poi il mondo ti crolla addosso. Ricorda che sei speciale e questo è ciò che dovresti sapere, a prescindere dalla gente che ti sta attorno e che probabilmente non ti capirà mai. Segui te stessa e un giorno sarai veramente felice.
Fata ora ti saluto, non dimenticare mai ciò che ti ho detto. Ma prima come potrei volare via senza lasciare un’opera tutta per te:
Anima di Fata
Anima chiara,
anima pura,
vivi il presente,
senza paura.
Nel silenzio dei sogni
lasciasti una scia,
un sorriso nel vuoto
dell’anima mia.
Udivo il tuo canto,
tenue, sereno,
che ornava i colori
dell’arcobaleno.
Oh dolce Fata
che fidavi nel Vento
il tuo triste pensiero,
cercando la quiete
nel suo celato sentiero,
oh dolce Fata
nel tuo cuore una lacrima
che calava la sera,
che il Vento asciugava
con la brezza leggera;
oh dolce Fata
dei cieli assai cara.
sorridi, sorridi,
è la vita ch’é amara.
vivremo nei sogni.
la realtà ci separa;
oh dolce Fata
che per esser capita
ignoravi la vita.
apri le ali.
e il mondo chi sei capirà.
Addio fata,
Il Vento
Fine.
Inviaci anche tu la tua storia.
Sarà pubblicata anonimamente.
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Since you're on the roll.. What about a metamoro soulmate au? (You wrote it yourself in the tags) one when maybe is involved a particular mark on their backs somewhere that links them?
Hey you
You wanted a soulmates au?
And that’s what you’re gonna get
Prima di tutto, mettiamo delle linee guida base
E cioè come funziona questo mondo
Tutti nascono con una strana voglia sulla parte destra del petto
(Si ad altezza della tasca destra in alto)
Questa strana voglia rimane informe fin quando non incontri la tua soulmate
Which is all fun and games ma essendo un punto piuttosto coperto in genere e si incontrano millemila persone ogni giorno diventa problematico se magari è qualcuno con cui hai scambiato un “buongiorno” al supermercato
Which is why la gente che si cosa con le proprie vere soulmate non dico che è rara ma non sono neanche così tanti
Anche perché molti avvertono un formicolio sulla pelle, quando la voglia assume un significato preciso, ma that’s not necessarily true e dipende dalla sensibilità della persona quindi, metti che succede davvero una mattina mentre sei di turno al supermercato, come fai a ricordare e capire chi sia la tua soulmates?
A onor del vero, se sono soulmates di solito le ribecchi in altre occasioni, ma non è scontato e insomma si tiene in considerazione anche della capacità e della volontà individuale
e sopratutto, se è la tua soulmates davvero -eccetto in alcuni casi- la ribecchi in giro
veniamo a Ermal e Bizio
Fabrizio aveva rinunciato alla cosa dell’anima gemella da quando aveva circa 25 anni ed era già molto se ci voleva stare lui con se stesso, figuriamoci dover costringere un altra persona che magari poteva vivere una vita meno incasinata senza un peso simile
ora, a 43, ha una considerazione un po’ migliore di se stesso, ma rimane il fatto che per se non vuole manco considerare l’ipotesi
Con Giada era andata come era andata e okay, alcune cose potrebbero essere gestite meglio, ma aveva due figli bellissimi e una famiglia che funzionava a modo suo, quindi chi era per lamentarsi?
Ermal credeva alle anime gemelle…… ma per gli altri. Non del tipo “ah non troverò mai la mia oh no” (nonostante abbia passato un periodo così)(da hipsterino edgy nsomm), però non era neanche la sua preoccupazione massima
I mean, se non era Silvia - per cui era stato disposto a mandare al diavolo tutto quel sistema di credenze - chi altri avrebbe potuto?
quindi no, si occupava del suo lavoro, della sua musica, e stava benissimo così
jump to Sanremo 2017
e tutto il teatrino con Fabrizio che è antipatico eccetera eccetera
certo è che se lo becchi appena finisce le prove e sta spompato tipo dopo una maratona la colpa è anche un po’ tua, Ermalì
però a difesa di Ermal, lui stava tutto emozio-eccitato di incontrare uno degli artisti che seguiva da una vita figherrimo che solo gesù lo sa quanto ha rotto i coglioni a tutti e lui è—-kttv.
però va beh non è che ha il tempo mo’ per mettersi a vedere cose ha un festival a cui arrivare terzo, un Albano da cui farsi fregare i fiori e sopratutto il TOUR
il bello del tour, dei tour con gente che conosci e a cui vuoi bene, è che pare sempre di essere in gita di quinto
e lui amava da morire i suoi compagni di viaggio
sopratutto quando lo appoggiavano nelle puttanate 
come fare i turni per dare fastidio a Marco ogni volta che la notte la passava a russare
o decidere di rubare lo spazzolino a Vige a ogni tappa, così che debba ricomprarselo ogni santa volta
e i cappellini di Emiliano. SU COSA SONO STATI QUEI CAPPELLINI.
O fermarsi vicino alla costa a fare i tuffi incuranti del fatto che potesse spezzarsi l’osso del collo
e esattamente in quella situazione i nostri magici amycy e in particolare Ermal hanno finalmente notato che la voglia sul petto di Ermal aveva smesso di essere un blob informe e !!!!!!!!!!!!! era qualcosa
“è una mela” “una spazzola” “un ragno” “SEH, SUPERMAN”
la forma poteva anche essere chiara ma in realtà non lo era manco per il cazzo
però di base è una cosa uguale per i due membri della coppia, quindi nel loro caso saranno confusi in due
EH MA CHI SARA’ MAI si domandano in coro i nostri ometti
“qualcuno che hai conosciuto di recente, no?” “Grazie al cazzo, Ma’, sai quanti cristiani ho conosciuto in stì mesi?” “ma scusa quando è l’ultima volta che ci hai fatto caso” “…” “marzo?” “…” “febbraio?” “..” “..”
Pure Vige ha un po’ pietà per lui. Deeno se la rideva
Ermal non rideva popo pe’ niente che cazzo
quindi con un tacito accordo tutti decisero ovviamente di non far uscire la roba da là che già così era un macello, immagina se la gente si fosse fatta prendere dal fanatismo
“vuoi dire, di più?” commenta saggiamente Emiliano, mentre Roberto era impegnato ad aiutare Paolino negli spergiuri e le preghiere perché già così stavano messi male 
quindi la vita fluisce tra i soliti casini, i concerti e le canzoni da inserire nel nuovo album e ora pure quest’altra roba
che si Ermal poteva pure dire che non gliene fregava niente e gne gne gne
ma in realtà gliene fregava a s s a i
almeno abbastanza da passare le notti con Macco, che tanto la sleep schedule era andata a farsi benedire da quando Anna era a NY
e manco le ragazzine nei peggio teendrama americani anuwanawei si mettono a vagliare le possibilità tra la gente che Ermal potrebbe aver incrociato
“ma possibile che non hai  sentito proprio niente?” “none” “ma manco un bruciore? un solletico? un fricciorio?” “seh, so’ fatto Nino Manfredi”
“oh, io stavo per avere un infarto quando ho conosciuto Anna” “quello era il colpo di calore nel girare a Bologna a luglio a mezzogiorno”
E a Marco era venuto il pensiero di Bizio, si insomma, scorrendo i nomi della gente a Sanremo, sperando che non fosse l’assistente dell’assistente
però lui ci stava quando Ermal c’era rimasto male, e je dispiaceva ad aumentare il carico 
però, però, PERO’
quando una sera Ermal si ritira sulla group chat #guessthatpockemon tutto gnegnino perché “no raga non indovinerete mai chi è vento stasera a parlare, roba da non crederci, pazzesco” perché Fabrizio Moro proprio lui proprio Bizio si era avvicinato a scambiare due chiacchiere, a Marco il dubbio gli ritorna
ma per bene placido se sta zitto che campa 100 anni
nel frattempo Ermal gestisce il fatto che nella sua già bella che incasinata vita si è aggiunto Fabrizio Moro che, a quanto pare, voleva a tutti i costi diventare suo amiketto
(mo’, cì, ci sono problemi più gravi da avere suvvia)
mentre i suoi amici se ne escono ogni giorno con spiegazioni più fantasiose al simbolo perché in teoria è legato a qualcosa di importante per le persone
ma il destino è stronzo quindi è “iMpOrTaNtE” a cazzi suoi, tipo per Marco e Anna era l'ombrellino del cocktail che Marco le ha regalato dal suo drink per fare il dolcino e nessuno dei due se ne sarebbe mai reso conto se non fosse stato iper ovvio
dicevo, il destino è stronzo
così stronzo che non solo Fabrizio vuole essere amiketto suo, ma deve pure essere BELLO DIVERTENTE SIMPATICO AFFASCINANTE SENSUALE TALENTUOSO E DEVE PURE SAPER CANTARE nello spazio vitale di Ermal
il disrispetto purissimo
ma a Fabrizio frega un cazzo di essere cortese buon giorno e per favore, visto che si stava insinuando nella vita del più piccolo sempre di più
e non è che Ermal “è chiuso, fa il calabrese di testa” E’ CHE GLI PIACE FINGERE DI AVERE UN CONTEGNO e non fare la scolaretta alla prima cotta che “prendimi, sono tua”
ma te faccio vedè come il contegno passa in settordicesimo piano quando Fabri gli propone la canzone assieme e “ah e pensavo di chiedere anche a —” “NON SERVE BASTIAMO NOI”
da scolaretta delle medie a ragazzina di quarto liceo che SA di dover sfruttare tutte le occasioni per stare con la sua crush è n'attimo eh
quindi via il contegno e indossiamo i nostri abiti più vulnerabili che vuoi che sia una canzone che tratta le ferite di entrambi e la loro vittoria su di esse per spiegarle al mondo, un giro di giostra proprio
e raga, Ermal davvero se potesse evitarlo lo farebbe, chiuderebbe baracca e burattini e andrebbe a Honolulu a vendere noci di cocco, tutto pur di non affrontare il fatto di starsi invaghendo per Fabrizio
Fabrizio così paziente e dolce, ma anche stronzissimo quando vuole
Fabrizio che gli ha aperto casa e vita come se non fosse manco la sua (beh, considerando che ci era appena andato ad abitare, quasi quasi manco lo era)
Fabrizio che era tantissime cose, ma sicuro non ne era due: innamorato di lui, ad esempio. E la sua anima gemella sorella vitasnella, per dirne un'altra.
e questa cosa sarebbe bello usarla per farsi passare la cotta, no? per stare bene
e invece ogni volta che si incontrano Ermal deve fare training mentale per non sospirare grandemente come la dramaqueen che è nell'anima
quella sciocchissima cotta non andava da nessuna parte ed avevano ancora tutto Sanremo davanti, e “oh il 16 canto all'Olimpico” “fantastico mettimi da parte un biglietto” “ma scusa a sto’ punto sali a cantare”
e le serate passate a parlare e scambiarsi idee su quel mondo così pazzesco e incasinato, ma che sembrava meno spaventoso con Fabrizio affianco
Ermal non era mai stato una persona particolarmente fisica, ma stava riscoprendo il piacere di essere stretti al punto che quando non succedeva per giorni di seguito cominciava a sentirne la mancanza
Però stava tenendo botta bene.
Se per bene intendiamo il momento più awkward della storia stile Rossana con la neve che scendeva e loro due che si salutano sulla porta di casa di Ermal a Roma e l'aria fredda che fa arrossare le guance e nessuno dei due che vuole tornare a casa
“Ermal te sei.. insostituibile” “insostituibile?” “Si. Perché non è che solo sei unico, o necessario, o importante, ma proprio che o sei tu o non se ne fa niente” “io… grazie.”
Macco and Vige singing kiss the girl in the background
Ermal vorrebbe dirgli quanto è anche lui insostituibile. Miracoloso. Vero. Tutte le cose belle del mondo e dell'universo.
“sai cos'è la galassia di Hoag?” dice invece, perché le cose semplici ci fanno schifo e no, Ermal, nessuno lo sa. “è un corpo celeste visto da questo tipo, Hoag, assolutamente assurdo, con un anello attorno, un centro luminoso e pulsante e il buio nel mezzo. Nessuno sa cosa ci sia dentro. Ecco, tu sei così - spettacolare, fuori. E hai permesso di far vedere al mondo parte del tuo io interiore, che è luminosissimo. Ma per sapere cosa ci sia tra le due cose uno deve stare con te, deve viverci, deve essere così fortunato che tu glielo permetta. Ma sono convinto ne valga la pena”
e dopo una dichiarazione del genere, chi ha la forza di biasimare Fabrizio se decide di baciarlo e far collassare tutti i sistemi e il cosmo di Ermal, roba che tutte le sue stelle sono diventate cadenti e i desideri se li era fregati tutti quel bucchino di Bizio
Ermal torna a casa quella sera che grazie al cielo erano due scale da salire che se avesse dovuto guidare sarebbe sicuro andato a sbattere
Fabrizio Moro!!!! aveva baciato!!! lui!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
“ma quindi ora state assieme?” chiede una assonnato Marco al telefono. Erano le tre del pomeriggio.
“figurati, chi si mette assieme dopo un bacio. Anzi, probabilmente per lui non ha avuto neanche tutta sta importanza, insomma”
come volevasi dimostrare, Ermal ha torto marcio perché Fabrizio gli scrive quella sera per cenare assieme e “ma guarda che è un appuntamento, capito?” “si si, capito”
si guarda lo strano simbolino sul petto, e pensa che il destino possa allegramente andarsene a importunare altri se proprio ci tiene
Una parte di lui, che suona stramaledettamente come Paolino, lo avverte di non far scoppiare casini prima o durante Sanremo e loro sono iper mega bravi a non far trasparire niente
così niente che al party pre-robe metà della gente aveva capito che gatta ci covava ma hey, è lo showbiz, tutti se la fanno con tutti and all your faves are gay
ma almeno non fanno gli infami e bisogna dare qualche credito a entrambi, nei primi tempi sono quasi professionali
poi, la COSAtm succede: pochi giorni prima di Sanremo, vanno a fare quella specie di intervista a Radio Italia (da cui sono uscite foto di esibizioni ad oggi mai viste grrrrrrr ma che sono così soft che mi sento a disagio a guardarle) e li becca una degli speaker con le solite domande di routine e Fabrizio dice una cosa MARIA MANDA L’RVM 
#ATUPERTU 
e appena l’intervistatrice sparì, Ermal capì. Capì la strana forma sul suo petto, capì perché con Fabrizio era tutto giusto come doveva essere, capì TUTTO.
BEH tutto, capì quello che doveva capire e fu abbastanza da prendere Fabrizio per infilarsi nel primo bagno disponibile a domandare spiegazioni 
spiegazioni che a quanto pare Fabrizio non voleva dare visto che aveva cominciato a levarsi la maglia e ora si vedeva giusto la canotta e oh mucho calor vero Ermal? perché non ti spogli pure tu e maga—AH E’ PER VEDERE LA VOGLIA SCUSA FABBRì QUA SIAMO MENTI DEBOLI
“quindi.. tu lo sapevi?” “l’avevo capito dar primo momento” “dall’inizio?” “dar giorno in cui ce siamo conosciuti, dal momento stesso proprio” “e perché non mi hai detto niente scusa potevamo risparmiare un sacco di tempo”
“è che, cè, io ‘nme ce so voluto buttà subbito perché volevo prima capì se ce stavamo a amà perché sì o pe sta cosa de quattro segnacci su'a pelle, capito?” (cit. @chiamatemefla grazie amò)
E Ermal non gli poteva dar torto eh, cioè di base è pure il suo pensiero
però una cosa è sapere la roba IN POTENZA e magari pensare a come sarebbe andata la sua storia con Fabrizio, un conto è sapere che quella persona meravigliosa era stata messa al mondo solo per te
roba da rimanerci secchi
e ora guardava il simbolino gemello al suo, un trapezio con delle striscette sotto ed era perfettamente consapevole di cosa fosse, e si sentiva un enorme cretino a non aver riconosciuto la versione stilizzata di un diffusore
ma poi il suo sguardo si perse nel resto del petto dell’uomo davanti a se, le braccia, la barba e le labbra dolcissime, i capelli scombinati e gli occhi che lo scrutavano per capire se fosse arrabbiato o meno
e forse avrebbe dovuto, forse non gli sarebbe dovuta andare a genio la cosa tanto facilmente
ma quel bucchino birbante di Fabrizio ormai era tanto così al centro del suo cuore che l’unica cosa che sentiva era il bisogno impellente di stringerlo e ribadire ancora una volta che si erano trovati e amati e perché volevano, non perché qualcuno aveva deciso per loro, e un amore libero è un amore condannato a durare.
a few things:
-ho cercato di renderla più light possibile perché con me le soulmates!au sono sempre un peso micidiale boh roba epocale ed impossibile da racchiudere in un bullet point
-also sono pienamente consapevole di essere meno divertente del solito ma boh, oggi va così
-l’oggetto di Hoag (non galassia, Ermal, lo so che volevi fare il carino ma no.) esiste davvero ed è bellissimo
- nel caso qualcuno non ci fosse arrivato, è esattamente questo il simbolo sul petto di Ermal e Bizio ed è tutta la notte che ridacchio per sta cosa perdonatemi tutti (ovviamente nel mio fantastico mondo immaginario è disegnato meglio ma come la metti e come la volgi rimane un: diffusore)
(capirò se nessuno mi vorrà più promptare nulla e direi che me lo meriterei anche sorry)(ma non ho davvero resistito scusate il destino è stronzo ma io di più)
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imcharliebrown · 5 years
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Dolce e chiara è la notte e senza vento, e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna. (Giacomo Leopardi) ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ Sweet and clear is the night and no wind, and quiet over the roofs and in the middle of the gardens lays the moon, and from afar reveals serene every mountain. (Giacomo Leopardi) ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ #andreamichienzi #panasonicphotography #panasonicitalia #lumixphotography #changingphotography #fz200 #moonrise #lunasorgente #lunachesorge #landscapephotography #nightscape #nightshots #nighttimephotography #nighttoshine #giacomoleopardi #yallyally #nocturne #sorgente #yallerscalabria #shotz_of_calabria #super_calabria_channel #calabriadaamare #calabria_cartoline_ #calabria_illife #calabria_photogroup #calabrianews24 #italia_photogroup #italia_cartoline #ig_mediterraneo (presso Calabria) https://www.instagram.com/p/BvlhaZflmCt/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1idd0gdjrudnw
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azurea · 5 years
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(via Dolce e chiara è la notte e senza vento... | Antonio Palmerini | Flickr)
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5june79 · 6 years
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"Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna."
(Giacomo Leopardi)
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palazzomondo · 3 years
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Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i #tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna (Giacomo Leopardi) (presso Acciaroli, Campania, Italy) https://www.instagram.com/p/CTb8NjdsUt9vfbD2oZgZ83Z_n_o4JyyoBgRYkA0/?utm_medium=tumblr
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Tu non sai quanto ho aspettato quel momento. Quel singolo preciso momento in cui avrei baciato le tue labbra e tu ti sei lasciata baciare. Avevi 6 anni:  non ci conoscevamo e già suonavi il piano, i tuoi capelli vibravano nell’aria e facevano rima coi tasti bianchi e neri. Io ne avevo 7 e leggevo gialli, e libri di mare, in ogni romanzo c’era una dama, e quella dama eri tu, ma non lo sapevo. Imparavi la letteratura a 11 anni, in Tedesco, andavi a catechismo già da alcuni anni, e io mi comunicavo davanti a un Vescovo a 12, e la ragazzina col velo bianco e gli occhi azzurri in fila davanti a me eri tu, ma non ti conoscevo. Facevi il Liceo a Bonn, mentre io studiavo Greco, e la ragazza del mio banco di cui mi ero innamorato, eri tu. Ma non lo sapevo. Lei scuoteva i suoi capelli, e io non ci dormivo la notte Suonavo in orchestra tu cantavi nel coro a 900 km di distanza, non parliamo neanche la stessa lingua:  la violoncellista che mostra le sue seducenti gambe di 15 enne e schiocca le sue labbra rosse e vivaci mentre legge la parte, è uguale a te, tu; ma io non potevo saperlo ancora. Il suo corpo sa di profumo, e le sue mani sono uno sport agile, e i suoi occhi sono i tuoi, ma io non ti conoscevo ancora. Nuoto in piscina, mentre tu giochi a Pallavolo. E io indosso un fucile e un berretto Cremisi di un corpo scelto, mentre tu studi le funzioni bijettive all’Università, ma io non so chi sei. Io scrivo lettere di carta a Giovanna, la  bellezza iconica e senza pudore: Briseide in fiore, che mi regala baci nelle notti tiepide. E le sue guance sono le tue, e anche se i seni sono diversi, il suo corpo è il tuo. Parli Italiano e Francese, mentre entro nella sala dove ti vedo per la prima volta, Mi siedo al tavolo e mi presento; sono S, sono A  mi dici, e mi dai la mano. Vedo i tuoi occhi, e i tuoi occhi  vedono me. Per la prima volta. Come sei formale, e come sei bella. I tuoi occhi sono color cobalto. E’ notte fonda, la sera chiara e calda, e il rumore del mare lontano e il vento amico. Tu sei di fronte a me, io cerco di rubarti una risata, e un sorriso… Sei bella, sei la donna più bella che Dio abbia mandato in Terra. Non ti ho mai vista così da vicino, ma è come se ti conoscessi da sempre. I tuoi occhi sono miei, la tua bocca aria, il tuo profumo amaro, e il tuo corpo è come se fosse nudo per me. E non ti ho mai visto prima. Mi avvicino al viso con la scusa di un vezzo, di un motto, e rido di te e tu mi sfidi. Io ti guardo, vedo i tuoi occhi, e i tuoi occhi vedono me. Di nuovo. E i tuoi sguardi scintillano. Sei il sole ed è notte.
Ti bacio. E il tuo profumo fragrante, il tuo collo dolce, i tuoi capelli biondi, il tuo seno, le tue parole, la tua bocca, e quella dannata voce di angelo che hai, con quel tuo accento bleso, che rende femminile persino il tuo tedesco. Ti bacio di nuovo, e ancora, e tu ti lasci baciare, con un occhio tormentato e azzurro, e lucente, e io non sono mai sazio di te. Ti bacio, e per la prima volta in vita mia, capisco che io sono davvero io. Per la prima volta da sempre mi dico, eccomi:  sono  qua. Sono tornato. Siamo insieme. Sono tuo. Sono chi aspettavi da sempre. E ti attendevo da quando esisto. Erano 23 anni che aspettavo di baciarti, e finalmente, oggi, sono  di nuovo da te. Tu non sai quanto ho aspettato quel singolo preciso momento in cui ho baciato le tue labbra e tu ti sei lasciata baciare.
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