Tumgik
#insoddisfazione
io-rimango · 1 year
Text
Ben venga
una buona dose di “insoddisfazione”.
Condita
da un sano senso di mancanza.
Ben venga la scontentezza,
il sapore vuoto di ciò che non mi basta.
Non mi basta ancora
o non mi basta più?
Non importa.
Nel mio mare di assenze
io ci pesco i sogni.
(Da “Sotto le scale”, edizioni Tabula Fati)
33 notes · View notes
lunamarish · 7 months
Text
È bene avere la beatitudine? O è migliore quest’ ansia, questa carica che irrigidisce i volti al lampo del fotografo e non ci fa contenti di come siamo? Pronto sempre a comporre gli estremi, Amerigo avrebbe voluto continuare a scontrarsi con le cose, a battersi, eppure intanto raggiungere dentro di sé la calma al di là di tutto… Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant'era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere.
Italo Calvino, La giornata di uno scrutatore
9 notes · View notes
illsadboy · 9 months
Text
Tumblr media
La mia vita è come un eterno semaforo arancione in mezzo a una strada trafficata.
8 notes · View notes
ima-koala · 3 months
Text
Ho fatto il massimo, e il mio massimo non é bastato
2 notes · View notes
ildiariodicoraline · 6 months
Text
È come se il tempo scorresse veloce e io non riuscissi a stargli al passo.
-Il diario di Coraline🌙
2 notes · View notes
yourtrashcollector · 8 months
Text
Ci sono due o tre cose che so di sicuro, e una di queste è il prezzo che si paga per non amare nessuna versione della tua vita, tranne quella che hai inventato.
Dorothy Allison, Due o tre cose che so di sicuro
4 notes · View notes
serenamatroia · 7 months
Text
Tumblr media
3 notes · View notes
princessofmistake · 1 year
Photo
Tumblr media
La febbre non mi scende. Eppure sono consumato dalla frustrazione (non mi basta mai), oppresso dal senso di colpa (siamo un paio di stronzi, e bugiardi), imprigionato in una routine (ci vediamo dalle cinque alle sette, come nelle peggiori commedie), disturbato dalla sua resistenza ad ammettere il legame (lui è il re del dribbling). Insomma, l’infatuazione potrebbe anche sfumare, il fervore intiepidirsi, e invece no, resta tutto intatto, il desiderio non si indebolisce e anzi il bisogno di lui cresce ogni giorno, come se l’insoddisfazione fosse carbone gettato nelle fauci della locomotiva, come se il disonore non avesse importanza, come se la ripetizione nutrisse l’avidità, come se la sua prudenza mi obbligasse a rivelarmi troppo.
14 notes · View notes
Text
Perché?
Perché oggi?
Perché proprio ora?
Perché mi sento stringere il petto?
Perché sento un macigno sul cuore?
Perché sento la tristezza avvolgermi come una coperta fatta di gelo interiore?
Perché?
Stava andando tutto bene
Non posso rinfacciarmi di non aver fatto niente oggi, cioè sono in "vacanza" fuori casa e quel che dovevo fare l'ho comunque fatto eppure ...
Eppure mi sento in colpa di aver buttato nel nulla questa giornata
Vivere con questa ansia di dover vivere ogni giorno a pieno
Sentirsi in colpa senza motivo
Fa male diamine
E non so come far smettere questo tipo di dolore interiore
Chiunque potrebbe dire: «Ma questo lo chiami dolore?! Sono cazzate le tue preoccupazioni non hanno senso» Si lo so ma ci sono e si sentono in tutto il loro peso
6 notes · View notes
melapiccola · 1 year
Text
Ho un lavoro così poco gratificante, che se mi facessi un ditalino mentre lo svolgo proverei dolore e insoddisfazione al posto che piacere.
2 notes · View notes
Text
Le delusioni sono il mio pane quotidiano.
3 notes · View notes
silviaaquilini · 2 years
Photo
Tumblr media
8 notes · View notes
p--esca · 2 years
Text
La ricerca dell'infelicità 
Sarà che i soldi non fanno la felicità, ma almeno ti danno la possibilità di sbagliare e poter rimediare. Invece tu, poveraccio e disgraziato e probabilmente cresciuto in un contesto non propriamente funzionale, devi sapere con precisione cosa farai di ogni minuto della tua vita a partire dall'età di 10 anni (quando ti servirebbero ancora altri 20 anni per capire quanto tu sia stato deviato, accettarlo e trovare la strada migliore da percorrere). E mai sia sbagliare e dopo rendertene conto, perché a quel punto sarà troppo tardi per poter fare quello che vorresti davvero fare e dovrai accontentarti dell'ennesimo compromesso. E a quel punto vivrai fra l'insoddisfazione di una vita vissuta a metà, la mediocrità delle tue scelte, la rabbia nei confronti degli altri (che altro non è che rabbia nei tuoi confronti) e il tentativo di accettazione di tutto questo. Cercherai di convincerti che quel compromesso a cui sei sceso in realtà già rappresenta un cambiamento, seppur minimo, necessario per la tua ricerca della felicità e quindi il tuo fare quel qualcosa è comunque meglio del non fare nulla.
Eppure tutto ha il sapore dell'insoddisfazione.
5 notes · View notes
Text
Giubbotti gialli e giubbotti arancione
New Post has been published on https://www.aneddoticamagazine.com/it/22874-2/
Giubbotti gialli e giubbotti arancione
Tumblr media
Dopo una breve abbuffata di “giubbotti arancioni”, di bravi borghesi alla ricerca di qualche appalto da non condividere con alcuno se non con se stessi, il primato dei giubbotti, questa volta gialli, è tornato alla Francia, un Paese dove il numero dei borghesi leccaterga del potere pare un po’ meno elevato che in Italia. Disordini, proteste, insoddisfazione, disperazione, che qualche giornalista di potere attribuisce ovviamente agli “esclusi dalla modernità”, cercando così di gettare un po’ di fango su dei poveracci che non possono – come lui – contare sulla benevolenza (non gratuita…) dei potenti.
        Personalmente, ritengo che ci siano pochi spettacoli più divertenti di classi dirigenti che si precipitano consapevolmente verso il disastro: hanno distrutto il proletariato, hanno distrutto la classe operaia, poi la piccola e media borghesia. Ora non gli resta che distruggere l’alta borghesia e sé medesime, e paiono ben decise a farlo. Quattro quinti della popolazione di un Paese hanno problemi ad arrivare alla fine del mese, devono affrontare costi sempre più elevati in ogni campo (perché è da quel tipo di tassazione che i potenti traggono la gran parte delle loro ricchezze), si vedono sbeffeggiati da tentativi di spacciare ogni pseudo-riforma (in realtà semplicemente una tassa in più) come “fatta per il loro bene” e ovviamente si adirano.
       Ieri, in Francia, sono scese in piazza trecentomila persone, ma, dal momento che il governo e la classe dirigente parigina non sanno fare altro che continuare a tassare e ad aumentare i prezzi di un po’ tutto, non c’è da avere fretta. Non c’è da sperare, con Lenin, che saranno le classi dirigenti “a fornire la corda con cui impiccarle”, ma basta attendere, guardare, da entomologi della politica, per rendersi conto che le classi dirigenti stesse non hanno il problema di modificare i loro comportamenti ma – molto più semplicemente – di comprendere che cosa stia accadendo. Tra feste, festini, ricevimenti e weekend in località di lusso, proprio non sanno (e non vogliono sapere) che cosa stia accadendo alla gente comune, anche perché – com’è ovvio – a loro della gente comune non importa alcunché. Se la benzina e il gasolio aumentano di poche decine di centesimi, loro manco se ne accorgono, visto che sono molto ricche oppure, se appartengono all’establishment politico, viaggiano in auto blu e sotto scorta. Il francese medio, per contro, vede ulteriormente erosi i suoi già scarsi redditi, vede che non riesce a pagarsi un’auto nuova, che non ha i soldi per pagare le centinaia di tasse e balzelli che complicano la sua già difficile esistenza, e deve dolorosamente constatare che la pressione fiscale non solo diminuisce, ma aumenta. In un Paese, per di più, dove intere categorie di immigrati mai integrati pagano nulla e costituiscono e potenziano enclaves monorazziali e monoreligiose che stanno facendo della Francia stessa un Paese assolutamente irriconoscibile, che documenti ufficiali della Difesa, delle forze di sicurezza e dei servizi segreti giudicano ormai ingovernabile e a rischio sommovimenti di vario tipo.
       Non c’è spettacolo più dolce che vedere i disastri – a lungo previsti ed evocati – realizzarsi giorno dopo giorno. C’è un’intima gioia, in tutto questo, perché era stato facile prevedere che sarebbe avvenuto e ora infine sta avvenendo. Lentamente, ma inesorabilmente.
  Foto di copertina via Twitter
0 notes
Text
Voglio andare in un posto, qualsiasi.
Uscire da questa cazzo di casa, fare qualcosa di diverso da questa routine che mi fa uscire matta.
Ma se lo facessi mi chiederei dove andare, con chi
E la risposta sarebbe “non lo so” e “con nessuno”
Non c’è un posto dove andare, solo uno in cui tornare, dal lavoro, dalla spesa, dal giro col cane.
Tornare e fare sempre
le stesse
cose.
Coi tempi stretti, con la rabbia di quando non vengono, con quel costante sentore di impazienza di mancanza di insufficienza.
“Mi prudono” gli occhi, non le mani.
Perché ho voglia di vedere. Di stupirmi, di avere le “stelline” negli occhi. Quelle della meraviglia, della scoperta, della chiave che mi libera dalla gabbia.
Ho fame di legami, perché certe cose da sola non le so proprio fare. Sebbene a volte da sola ci vorrei stare 24/7.
Ma mi rendo conto che la mia lista degli invitati, al matrimonio, è vuota. Che non sono stata capace di coltivare, quando ne ho avuto la possibilità, e ho fatto terra bruciata.
E ho paura di chi mi giudicherà. Ed arriva l’ansia la ricerca di una fuga.
Andare. Via.
Scapperò su un cavallo come Julia Roberts.
E fingo che non mi importi. Faccio leva su una storia familiare fatta di donne che hanno vissuto l’inferno e ne sono uscite con la forza. Che non hanno mai avuto ciò che volevano davvero, ma hanno vissuto a testa alta, senza il minimo rimorso.
Ma io quella forza non ce l’ho.
Mia mamma ha portato tutto il mio mondo sulle spalle come un Atlante, degli anni 90.
E mi ha insegnato l’indipendenza. Si è così radicata quest’idea in me che ho mangiato pane e orgoglio per anni, e ora pago le conseguenze di un’ulcera che distrugge il mio stomaco fatto di desideri soppiantati dalle priorità. E sono costretta sempre a un passo indietro.
Ma non ho il coraggio di farlo in un’altra direzione, questo passo.
Quindi è un circolo vizioso. Una ruota per criceti che gira, sempre, senza schiodarsi mai.
E io vorrei, farei, direi.
(Ma quella ruota me la sono costruita da sola.)
1 note · View note
neottolemo · 1 year
Text
Con occhi di bambini
Non siamo mai contenti.
Sembra essere, questa, una condizione piuttosto diffusa. Ma si tratta sempre di qualcosa di negativo? Se il malcontento ci inclina troppo spesso a lamentarci, a dare spazio al risentimento amaro o alla recriminazione cupa, allora possiamo dirlo con franchezza. Occorre ammettere che in noi c'è qualcosa che non va e che, probabilmente, non siamo in grado di riconoscere e apprezzare quei "punti luce", quelle ragioni di bene e di gioia che arricchiscono le nostre giornate.
Non sempre, però, è così.
A volte, infatti, abbiamo a che fare con un senso d'insoddisfazione che è del tutto salutare.
Ci sono infatti desideri di questo tipo: più vai loro incontro colmandoli, più si amplificano e domandano di essere ascoltati. In questo caso non abbiamo a che fare con un'insoddisfazione lamentevole, ma con l'allegria del desiderio mai spento.
Come un bimbo, i cui occhi accesi comunicano la gioia curiosa che sta nella possibilità di cercare, molto più che nel trovare. 
Sta a noi, forse, dare a tutti quei desideri l'importanza che meritano. Cercare dove?
Nel desiderio di un'amicizia affidabile. Nell'incanto di una poesia che scava l'anima. Nella cura premurosa rivolta a chi attende la luce gentile di un sorriso.
Sono solo pochi esempi. Cose semplici.
1 note · View note