Tumgik
#soprabito
soprabito · 17 days
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Il soprabito fa chic
Soprabito e occhiali da sole, ed è subito chic!! Davvero, il soprabito è qualcosa che veste, sempre con eleganza. Più è semplice, più è elegante, secondo me. E gli occhiali da sole, necessari. aggiungono sempre un tocco di stile. Insomma come sempre ci vuole poco. Più attenzione che budget, più cura che griffe. E più sorrisi ovviamente #chic #style #soprabito #primavera #occhiali #occhialidasole…
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tvserie-film · 1 month
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Title: The Overcoat of Arsène Lupin (1926) Author: Maurice Leblanc Vote: 7/10 Fairly long story in which Lupine, in the guise of a gendarmerie investigator, assists a minister in solving a case in which no crime has been committed.
Leblanc excellently describes the personal justice of which Lupine is capable and which differs quite a bit from ordinary justice but is no less just for this reason. I had never thought about the concept of the unknown soldier nor had I given it the importance that is given to it in this story. Interesting point of view worthy of attention.
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vedova-nera · 1 month
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Squilla il telefono, rispondi.... Una voce che non lascia spazio al rifiuto ti dice: "vestiti in modo succinto, truccati e fatti trovare seduta al bar dove ci siamo conosciuti".. E così fai. Ti prepari con calma e arrivi a destinazione. Entri nel bar, ti accomodi ad un tavolino fuori, abbastanza appartato, e ordini da bere. Aspetti una decina di minuti quando entra un signore distinto che ti chiede di seguirlo senza fare domande. Entri in macchina, sul sedile c'è una scatola regalo con una lettera. La apri. C'è scritto solo "indossala". È una maschera nera che ti copre solo gli occhi. La macchina si ferma, scendi, quel signore ti prende per mano. Lo segui in silenzio. Il cuore batte a mille, una goccia di sudore scivola sulla tempia, un'altra goccia, più calda, scivola tra le gambe. Una chiave nella toppa, un portone si apre, entri. Ti accompagnano davanti ad una porta e li ti lasciano la mano. Resti sola e poi...... poi silenzio assoluto. Senti aprire la porta e capisci che sono io. Mi riconosci dal profumo che indosso. Ti prendo la mano e ti accompagno ad un tavolo pieno di cose da mangiare. Via il soprabito, ti metti seduta, non vedi nulla. "Apri la bocca!" ... E inizio a farti assaggiare di tutto, dolce, salato, piccante, amaro. Capisci che mi diverto nel guardare le tue espressioni del viso e nel sentire i tuoi mugugni. Avvicino la bocca alla tua, leccandoti le labbra, succhiandole, mordendole e poi butto a terra tutto ciò che era sul tavolo e ti faccio sdraiare. Piano piano ti spoglio, e gioco con te, prendo le manette e ti blocco i polsi, braccia alzate. Le caviglie immobilizzate con una corda sottile alle gambe del tavolo. Prendo la rotella di Wartenberg e inizio a giocare un po', passandola su tutto il corpo, spingendo su certi punti. Vedi che inarchi il corpo. Ti piace sentire il freddo e l'acuminato delle punte dell rotella. prendo il frustino..un bacio sulle labbra e 1..2..3..4..sul seno, sulla pancia, sulle cosce, sui piedi fino a diventare rossa ovunque. Afferro delle pinze e le stringo sui capezzoli tirando la catena verso di me. Rallento, respiro, ammiro il tuo corpo e le mie mani scivolano dentro di te...senza fermarsi un attimo...... Senti la mia mano sul collo che stringe poi........ Solo calore ovunque, frutto di un orgasmo potente.
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sayitalianolearns · 7 months
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Multilingual post about:
clothing - (i) vestiti/(l')abbigliamento - 옷/의류 - (les) vêtements - (las) ropas
ENG - ITA - KOR - FRA - ESP
trousers - (i) pantaloni/(i) calzoni - 바지 - (le) pantalon - (los) pantalones
jeans - (i) jeans - 청바지 - (le) jean - (los) vaqueros
shirt - (la) camicia - 셔츠 - (la) chemise - (la) camisa
shorts - (i) calzoncini/(i) pantaloni corti/(i) pantaloncini/(gli) shorts - 반바지 - (un) short - (el) short
t-shirt - (la) maglietta/(la) t-shirt - 티셔츠 - (les) t-shirts/(le) maillot - (la) camiseta
blouse - (la) blusa - 블라우스 - (la) blouse - (la) blusa
skirt - (la) gonna - 치마 - (la) jupe - (la) falda
jumper - (il) maglione/(il) pullover - 스웨터 - (le) pull - (el) pulóver
sweatshirt - (la) felpa - 운동복 상의 - (le) sweat - (le) suéter
sweatsuit/jumpsuit/sportswear - (la) tuta - 점프수트/운동복 - (le) survêt(ement) - (le) chándal
coat - (il) cappotto - 코트/외투 - (le) manteau - (el) abrigo
overcoat - (il) soprabito - 외투 - (le) pardessus - (el) sobretodo
leather jacket - (il) giubbotto di pelle/(il) chiodo - 가죽잠바 - (la) veste en cuir - (la) chaqueta de cuero
jacket - (la) giacca - 재킷 - (la) veste/jaquette - (la) chaqueta
vest - (il) gilet - 조끼 - (la) vest/(el) gilet - (el) chaleco
uniform - (l')uniforme - 제복 - (l')uniforme - (el) uniforme
suit - (l')abito da sera, (il) completo - (스리피스) 정장 - (le) tailleur/(le) costume - (el) traje
bathing suit - (il) costume da bagno - 수영복 - (le) maillot de bain - (el) bañador
pyjama - (il) pigiama - 잠옷 - (le) pyjama - (el) pijama
dress - (il) vestito - 원피스 - (la) robe - (el) vestido
socks - (le) calze - 양말 - (les) chaussettes - (los) calcetínos
stockings - (i) collant/(le) autoreggenti - 스타킹 - (le) bas/(les) collants - (las) calcetas
shoes - (le) scarpe - 신발 - (les) chaussures - (los) zapatos
slippers - (le) pantofole - 슬리퍼 - (les) pantoufles - (las) zapatillas
sneakers/trainers - (le) scarpe da ginnastica/(le) scarpe da tennis - 운동화 - (les) baskets/(les) chaussures de tennis - (las) zapatillas deportiva
underwear - (l')intimo - 속옷 - (le) sous-vêtement - (la) ropa interior
pants/slips - (le) mutande/(gli) slip - 팬티 - (les) culottes/(les) slips - (las) bragas/(los) calzones
baseball cap - (il) cappellino da baseball - 야구 모자 - (la) casquette de base-ball - (la) gorra de béisbol
beanie - (la) cuffia (di lana) - 털모자 - (le) bonnet - (el) gorro
gloves - (i) guanti - 장갑 - (les) gants - (los) guantes
scarf - (la) sciarpa - 스카프 - (l')écharpe - (la) bufanda
(neck)tie - (la) cravatta - 넥타이 - (la) cravate - (la) corbata
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teenagedirtstache · 1 year
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Mediterranea. Tessuto impermeabile per il soprabito e cotone principe di galles per i pantaloni. Camicia Goose & Gander
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sciatu · 11 months
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Madam Effie e la formula della felicità - Prima Parte
A VOLTE L’IMPOSSIBILE  DIVENTA PROBABILE L’uomo con il soprabito grigio guardò l’orologio. Si stava facendo tardi. Doveva decidersi. Via Palermo si stava risvegliando dopo il picco di caldo del pomeriggio. I vecchi stavano concentrandosi sotto gli alberi all’inizio della via per iniziare le loro interminabili partite a carte, le massaie incominciavano ad affollare i marciapiedi salutandosi e discutendo tra loro a voce alta con il loro siciliano stretto e sguaiato. Le macchine incominciarono a riempire il viale procedendo con lentezza e vociando tra loro a colpi di clacson. Un ragazzo si avvicinò al portone del palazzo che l’uomo osservava da più di un ora e guardò i citofoni “cinquantadue” Pensò l’uomo con il soprabito grigio. Il ragazzo schiacciò un bottone e qualcuno gli aprì facendolo entrare. Il ragazzo entrò e si diresse verso sinistra. L’uomo sorrise. Decise che a quel punto doveva andare e velocemente si avvicinò al portone cercando al citofono il nome di Madam Effie, ma il portone si apri da solo. “Cinquantatre” si disse soddisfatto ed entrando andò dalla parte opposta dove si era diretto il ragazzo, verso una porta senza nome. Stava cercando un campanello quando la porta si aprì e si trovò di fronte una donna minuta dai capelli bianchissimi e la pelle rugosa. La donna lo guardò attentamente, poi il suo volto si rilassò in un grande sorriso “Professore Gugliotta – esclamò sorridente – che bello rivederla” L’uomo strinse gli occhi dietro gli occhiali, concentrandosi su quel volto ed infine esclamò “Signora Strano, che sorpresa, non pensavo …” “Venga, venga, sono tanto felice di rivederla: lei era il professore che mio figlio apprezzava di più” “Si Filippo era uno dei pochi in quella classe a seguire con costanza ed interesse” “Lui lo diceva sempre che lei insegnava qualcosa che nessun altro conosceva: la logica ed il ragionamento” “Filippo era una persona speciale; mi dispiace per quello che è successo. Erano altri tempi. Al giorno d’oggi molte cose si accettano normalmente all’epoca erano uno scandalo. Quei suoi compagni che lo hanno bullizzato e spinto a quel gestro estremo   per la sessualità che aveva scelto, erano il frutto di un modo di pensare distorto. Illogico.” “Non importa, ormai non importa. Grazie però di essere venuto al funerale, lei è stato uno dei pochi, se non l’unico dei suoi professori.” “Ho sempre creduto nella ragione e nel libero pensiero: era un mio dovere” La vecchia sorrise nuovamente “Vada, Madam l’aspetta” E gli indicò il corridoio alle sue spalle. Mentre camminava nel corridoio, il professor Gugliotta si disse che era un controsenso per un uomo dedito alla logica e al ragionamento come aveva appena affermato, chiedere consiglio ad una cartomante, ma si rispose dicendosi che Madam Effie forse leggeva le carte, ma sicuramente non era una semplice cartomante. Prima di entrare prese il telefonino, guardò l’ora e poi lo mise su registrazione per registrare di nascosto tutto quello che si sarebbero detti. Voleva ragionare a mente fredda su come Madame avrebbe risposto alle sue domane. Mise in tasca il telefono ed entrò “Buonasera Madam – disse la faccia più cordiale che poteva fare – posso entrare?” E guardò davanti a se vedendo solo del buio “Prego, si accomodi” fece una voce profonda alla sua sinistra. Guardò in quella direzione vedendo una grande scrivania dietro cui vi era una figura avvolta in un saio di seta viola di cui si vedeva appena il volto scarsamente illuminato da dei lumini disposti a caso intorno a lei. Il volto aveva dei tratti classici, da statua greca, le sopracciglia grandi e marcate come ali di gabbiano davano a quel volto un’aria demoniaca sottolineata da due grandi occhi a mandorla, tanto scuri da non riflettere alcuna luce. Il tutto aveva un senso di spettrale reso ancor più angoscioso da pigre volute di incenso che si liberavano alle sue spalle. L’uomo aveva come la sensazione di sognare perché, come nei sogni, intuiva solo quello che lo circondava e focalizzava solo dei particolari che gli restavano nella memoria suscitandogli ora paura, ora curiosità “Venga, si sieda di fronte a me, c’è una poltroncina” “Tutto esattamente come da copione degli orrori” Pensò critico il professore ma obbedì alle indicazioni di Madam “Alla sua sinistra c’è un tavolino con dei mazzi di tarocchi, ne scelga uno, lo mischi e me lo dia” Ancora una volta l’uomo ubbidì. Da un tavolino d’ebano nero scelse un mazzo dal dorso verde su cui era disegnato con un tratto in oro un drago vichingo e lo mischiò. Dal largo vestito apparse una mano dalle lunghe dita e dalla pelle bianchissima che prese dalle mani dell’uomo i tarocchi. L’uomo notò che le dita finivano con unghie lunghe su cui erano scritti in caratteri piccolissimi quelli che gli sembravano dei mantra tibetani, ogni unghia era colorata con i colori degli elementi costituenti il mondo, terra, fuoco, aria, acqua e la luce. La donna prese le carte ed incominciò a disporle formando con le prime una croce e disponendo le altre intorno ad esse. Le osservò attentamente e alla fine chiese “Ha delle carte interessanti. Mi parli di lei” L’uomo, per nulla impressionato incominciò a parlare in modo spedito, come se da tempo si fosse preparato il discorso “Mi chiamo Ferdinando Gugliotta, sono un professore di matematica in un liceo qui vicino. Sono sempre stato un fautore della logica e del libero arbitrio, sono ateo e ho militato fin da giovane e con convinzione, in un partito popolare e democratico; ora disgustato, dal corso che la politica ha preso, mi sono distaccato dai compagni e dalle loro idee.” Si fermo per vedere l’effetto che le sue parole avevano sulla donna, ma questa lo ascoltava tenendo gli occhi chiusi “Sono sposato ma non ho figli. Ultimamente, con mia moglie, c’è come un distacco, non dovuto a lei, ma ad entrambi. Ognuno di noi due, è come se si stesse allontanando, non dall’altro, … ma da tutto. Non siamo più giovani, abbiamo i primi acciacchi, amici e conoscenti che se ne vanno presi da malattie o consunti dall’età. È come se una cappa grigia ci coprisse lentamente svuotando di senso ogni cosa che facciamo e facendoci sentire lontani, l’uno dall’altra, come se fossimo sconosciuti o peggio,  indifferenti agli anni vissuti insieme. È come se la vita fosse solo una sequenza di gesti automatici in cui non crediamo più e da cui non sappiamo trovare un motivo per vivere. Qualche mese fa, ho notato che in salotto le bottiglie di liquore che conserviamo per gli ospiti, erano quasi vuote. Da allora sono stato più attento e ho visto che il loro livello scendeva rapidamente per poi tornare a quello iniziale e ho capito che di nascosto mia moglie beve molto, quasi per stordirsi. Ho provato a parlarle, ma lei non si vuole aprire, non vuole mostrare cosa la spaventa o la induce a fuggire la realtà. Nello stesso tempo anch’io sentivo che avrei fatto la stessa cosa, che avrei voluto stordirmi e dimenticare le mie giornate grigie, routinarie e banali. – si fermò a guardare davanti a se un punto lontano – dimenticare che la mia vita è stata un opportunità che non ho mai colto” Per qualche secondo il professore perse la sua aria indifferente e nervosamente si levò gli occhiali e li pulì con un fazzolettino di carta “Mi sono reso conto che c’era qualcosa che non andava e ho cercato di parlare con qualcuno dei problemi che avevamo. Mi sono rivolto a mia cugina che è dottore e lei mi ha suggerito di venire da lei. Sul momento l’ho presa per pazza, ma lei ha insistito dicendo che una sua paziente aveva qualcosa di simile che le medicine non riuscivano a curare e che venendo da lei è rinata. Alla fine mi sono deciso ed eccomi qua.” Si rimise gli occhiali riacquistando la sua aria cinica e indifferente. Gli occhi magnetici di Madam si aprirono lentamente e lo osservarono per quasi mezzo minuto. Prese una delle prime carte che aveva posto sulla sua scrivania e gli mostrò il dorso con il drago dorato. “Lei ha scelto il mazzo di Tarocchi di Stella Goldschlag, una ebrea tedesca che durante la seconda guerra mondiale ha tradito migliaia di altri ebrei condannandoli a morire nei campi di sterminio. Il mazzo attira le persone ambigue e capaci di tradire” Girò la carta “È il sette di spade, che vuol dire tradimento, mentre il Matto – Madam prese la seconda carta scoperchiata dal mazzo del professore – vuol dire che lei non è sincero. Lei professore non mi stà dicendo la verità, nasconde più di una cosa che non vuol dire e che sta tramando. Se lei non è disposto a dire la verità io non posso aiutarla e questo incontrò deve finire qui.” Lui la guardò stupito. Madam aveva capito tutto e se era così non doveva andarsene “Ecco io ….” “La verità! - gli intimò Madam. - Un uomo senz’anima quale è lei, uno che non crede a nulla di quanto esiste nel Midgard non viene da una strega bianca chiedendo un miracolo.” Ora capiva, per il professore ora tutto era chiaro. Era una strega, di quelle vere, di quelle a cui lui non aveva mai creduto “Ecco, le chiedo scusa. Non ho detto tutto.” Prese il fazzoletto con cui aveva pulito gli occhiali e si asciugò la fronte. “Quando mia cugina mi ha parlato di lei, mi sono messo a ridere perché, come dice lei, non credo a nulla che non possa essere provato. Verificato scientificamente! Così, più per prendere in giro mia cugina che per vero interesse, ho fatto ricerche su di lei. Sono andato all’anagrafe, al casello giudiziario, cercando tramite amici, ex compagni di partito informazioni. Lei però non risulta all’anagrafe, non appare in nessun atto di nascita, o richiesta di residenza, da oggi fino al terremoto di Messina, quello del 1908 in nessuno ufficio municipale o al catasto o alle poste non c’è traccia di lei! Non esiste. Questo appartamento è di proprietà della signora Strano, che ho scoperto essere la madre di un mio alunno. Anzi, tutto questo palazzo le appartiene, ma gli inquilini che vi sono, sono tutti strani. Nessuno di loro paga un affitto, nessuno li ha mai visti, la spazzatura che viene raccolta è minima, il postino non consegna nessuna lettera, i contatori indicano consumi inesistenti. Non tutte le finestre sono illuminate di notte anche se gli appartamenti sono tutti abitati o sembrano tali. Ho contato cinquantatré persone, me compreso, che si sono avvicinate al portone. Venti hanno citofonato e sono entrate andando verso la sinistra del portone dove vi sono le scale e l’ascensore. Per trentatré persone una volta avvicinatesi al portone, questi si è aperto da solo e tutte e trentatré siamo venuti da lei: è come se il portone sapesse chi deve andare a destra e chi a sinistra. Per questo sono venuto. Forse per curiosità, forse perché lei non è di questo mondo e può davvero risolvere i miei problemi.” Madam lo guardò attentamente. “Tu hai bisogno di credere.” Si appoggiò contro lo schienale della sua poltrona e sorridendo chiese “Che ora è?” Il professore inconsciamente alzò il braccio con l’orologio e lo guardò. Fece una faccia stupita e portò l’orologio all’orecchio per sentire se funzionasse. “Strano, sembra fermo” Madam sorrise Il Professore fu preso da un pensiero improvviso, mise la mano nel soprabito, prese il telefonino e lo guardò: il contasecondi del registratore che aveva attivato pochi secondi prima di entrare da Madam, era fermo: segnava solo i secondi che gli erano serviti a varcare la porta. Non funziona neanche l’orologio del telefonino. Madam sorrise nuovamente e chiese “vedi orologi in questa stanza?” “No, neanche uno” Rispose l’uomo dopo essersi guardato intorno “Infatti, sarebbero inutili, perché qui il tempo scorre in modo impercettibile, quasi non esiste: siamo  come dentro un fermo immagine.” “Ma non è possibile, non è scientificamente possibile. “ “Vi sono energie che la scienza ancora non può spiegare, ma che esistono. Il tempo in questa stanza scorre ancora ma in modo tanto lento che gli strumenti non riescono ad indicarne il movimento. Per questo palazzo hai ragione: ìl palazzo è vivo e sa chi è mio ospite e chi invece è una sua parte.  È pronto a combattere chiunque venga in nome del male. Sotto di me, diversi metri sotto le macerie del terremoto del 1908, c’è una chiesa Templare che i cavalieri chiamavano “Il Vertice”. La chiesa era infatti posta sulla punta di un triangolo i cui lati partono da Torino, arrivano a Praga e quindi fino qui a Messina e tornano a Torino. Tutte queste tre città hanno un passato di stregoneria e magia. Formano un triangolo al cui centro c’è Roma. Lungo i lati del triangolo scorrono energie positive che lottano contro quelle negative. Io sono come la guardiana di questo vertice e il palazzo mi protegge. Gli abitanti di questo palazzo sono ospitati solo temporaneamente perché sono tutti in viaggio. La maggior parte sono viaggiatori o esuli di luoghi e tempi lontani. La Casa li accetta perché li considera pellegrini così come i castelli dei templari ospitavano i viaggiatori diretti in Terrasanta.” Allungò la mano e prese un'altra carta da quelle messe a croce sulla scrivania “Questa è la donna di spade indica un tradimento con un’altra donna. Per andare avanti, le ripeto,  mi devi dire la verità.” Il Professore impallidì “Ecco, si. È successo tempo fa. Mia moglie, aveva avuto una brutta conclusione della sua gravidanza. Aveva abortito al settimo mese la bambina che aspettava ed era disperata. L’atmosfera a casa era terribile. Lei aveva rinunciato a un trasferimento in una città del nord. Anch’io, che avevo un posto di lavoro nella città dove lei doveva andare, rinunciai per starle accanto. Avevamo rinunciato ad una vita più ricca e più importante per permetterle di portare a conclusione la gravidanza che fin dall’inizio si era presentata come difficile e che alla fine si era trasformata in una tragedia. – il Professore si fermò guardando di fronte a se il dolore che aveva vissuto - Io ero contento che lei si fosse salvata ma mi dispiaceva moltissimo per la bambina. Noi volevamo tantissimo un figlio e per mesi avevamo fatto progetti su progetti per lei e con lei.” Avevamo deciso di chiamarla Beatrice perché ci avrebbe portato nel nostro paradiso. Restò qualche secondo in silenzio ed aggiunse con amarezza. “Invece morì.” Si fermò ancora schiacciato dal ricordo, poi riprese velocemente “ Mia suocera era venuta a stare con noi perché mia moglie era troppo debole. Io non andavo d’accordo con lei perché era una bigotta, vedeva la morte di Beatrice come una punizione di Dio perché non andavamo mai a messa. Incominciai a passare più tempo nella sezione del partito e a frequentare una compagna forse per la solitudine in cui ero. Anche lei stava passando un momento difficile e voleva che stessi il più a lungo possibile con lei. Una sera stavamo parlando della nostra situazione per strada vicino casa sua quando mi ha chiamato al cellulare mia suocera dicendo che mia moglie aveva provato a suicidarsi. Corsi da lei in ospedale preso dai sensi di colpa perché pensavo che lei avesse saputo del tradimento ma non ho mai avuto la certezza che lei sapesse. Non incontrai più la compagna di partito. Da allora, lentamente, sia io che mia moglie, ci siamo chiusi in noi stessi e passiamo giornate intere senza parlarci, fino a che, come dicevo prima, non ho incominciato a sentirmi morire, a sentirmi come chiuso dentro una bara che piano piano si stringe fino a farmi soffocare. Si, mi perdo nelle mie elucubrazioni, mi nascondo dietro il ragionamento, semplifico il tutto negando l’esistenza di un Dio, ma la verità è che sto lentamente affondando nel nulla pensando di aver sprecato la mia vita, come forse pensa mia moglie.” Il Professore si asciugò nuovamente la bocca “Lo so che sono stati d’animo risibili, che la vita è materia e i pensieri sono solo fantasmi, ma questi pensieri mi stanno uccidendo più di quanto potrebbe fare la materia stessa.” Madam lo osservò in silenzio Allungò la mano e prese la terza carta della croce mostrandogli il tarocco della morte. Il professore sobbalzo sulla sedia “Non è una carta negativa. Mavet vuol dire che ci sarà un cambiamento, una purificazione, ma come dice il bagatto che è l’ultima carta della croce iniziale, sarà il frutto di un cammino non semplice.” Madam continuò a scoprire le carte girandole una ad una e spesso fermandosi ad osservarne attentamente qualcuna. Mise dell’incenso particolare in uno dei lumini e un’intensa nube azzurra si sprigionò scomparendo subito nel buio. La stanza si riempì di un intenso profumo che penetrava nella testa e per qualche secondo fece venire le vertigini al professore. Dopo forse un minuto Madam riaprì gli occhi e sorrise “Devi fare un lungo percorso, ma hai bisogno di una guida. Alla tua destra c’è una cassettiera, vai li per favore. “ Il professore si alzò e obbedì a Madam.   “Conta dalla tua sinistra tre cassetti verso destra e quindi cinque verso il basso ed apri il cassetto – Il Professore obbedì ancora una volta – c’è una scatola nera, aprila e prendi la boccettina che contiene con la mano sinistra. Stringila forte nel pugno lasciando fuori di esso il tappo e torna da me” Madam aveva rimosso tutte le carte dalla scrivania e posto nel suo centro un piatto che sembrava d’oro su cui era incisa una spirale di parole in ebraico che dal bordo esterno convergevano verso il centro. Da un sacchettino raccolse delle erbe mettendole nel centro del piatto. “Ora dobbiamo fare un esperimento chimico – disse sorridendo Madam  - che qualcuno potrebbe chiamare magia. Mi devi dare i tuoi occhiali e quando te lo dico devi versare il contenuto della boccettina su queste erbe e fare un passo indietro” Il Professore ubbidì sentendosi un po’ scettico e molto curioso. Madam disse una parola in una lingua che lui non conosceva. Dalle erbe si innalzarono delle volute di fumo e quindi una fiamma pallida e tenue. Madam impose le mani sulla fiamma e recitò qualcosa in una lingua ancora più strana. Sotto le sue mani si formò una nube biancastra, densa e quasi immateriale. “Versa il liquido presto” Gli disse Madam e come gli aveva detto lui velocemente aprì la boccettina e verso un liquido etereo, con una fosforescenza azzurrognola che si sedimentò sulla nube facendola illuminare di un azzurro elettrico. Madame prese i suoi occhiali e appoggiò delicatamente i vetri sulla nube. Gli occhiali ondeggiarono come a cercare un equilibrio e quindi si fermarono a mezz’aria.  I vetri diventarono di un bianco abbagliante e la montatura da marrone incominciò come a bruciare diventando di un nero cupo. Per quasi un minuto gli occhiali galleggiarono a mezzaria mentre la nube perdeva lentamente intensità diventando poco a poco una lenta spirale di fumo che prestò svanì nell’aria mentre gli occhiali scesero dentro il piatto d’oro tra la cenere lasciata dalle erbe bruciate. Madam li prese e li pulì con un panno nero passandoli quindi al Professore. “Ora li puoi mettere. Con essi vedrai tutto quello che esiste nell’ Akasha e quindi quello che è stato o che poteva essere” Lui la guardò confuso “Mi scusi Madam, ma cos’è l’Akasha.” “Per i popoli dell’India è l’etere, L’essenza di ogni cosa, il quinto elemento, quello dove l’universo esiste nella sua interezza partendo dalla sua più piccola parte. Per l’esoterismo occidentale è la memoria dell’universo, quella dove tutto esiste, anche quanto non è accaduto. I tuoi occhiali sono ora una porta tra il mondo che conosci e quello che esiste al di la del tempo e della materia. Vedrai quindi l’improbabile, e troverai un maestro che ti guiderà alla pace” “Un maestro? chi sarà questo maestro Madam? Lo conosco?” “In teoria no, non in questo universo, nella tua dimensione. Ma lei ti conosce bene” “Lei?” “Si lei, …  Beatrice, … tua figlia.” “Ma ….” “Non chiedere cose che non potrai capire o che i limiti della tua mente non ti faranno accettarle. Ora tra di noi c’è un legame e a causa di questo sottile filo che unisce chi cerca aiuto e chi aiuta, devi avere fiducia in me. Per i primi tempi quello che vedrai ti stupirà, ma non spaventarti: era già così prima che i tuoi occhiali diventassero una porta sull’esistere. Il nostro incontro deve finire. Devi andare, chi resta troppo in questa stanza viene inghiottito nel gorgo del tempo e perde il contatto con la realtà. “ Il Professore si alzò lentamente inforcando gli occhiali. “Madam, una domanda, l’ultima, perché mi ha detto tutte queste cose? Perché mi ha fatto notare che il tempo in questa stanza è immobile?” “Sei abituato a credere a quello che vedi fuori di te e che i numeri possono spiegarti. Un albero più un albero sono due alberi, non il respiro della terra; una rondine fa una gaussiana o un iperbole volando nel cielo, ma non ne senti la gioia o ne comprendi il senso di libertà. La nostra vita però, incomincia con quello che abbiamo dentro di noi e per capire quanto vedi devi capire chi dentro di te sta osservando. Per questo ti ho provato che esiste qualcosa in più di quello che i tuoi occhi osservano, di quanto la tua esperienza conosce, di quanto i numeri descrivono. Ed ora tocca a te: l’uomo deve sempre scegliere tra il bene e il male, questo lo distingue dagli animali, ti ho dato un potere, se lo usi male ti ucciderà, se lo usi bene, ti salverà. Tutto dipenderà da te, non da quello che ho fatto per te. Ogni maestro apre una porta ma solo il discepolo decide se attraversarla.” Il Professore lentamente si voltò ed osservò la porta e le pareti per capire se con gli occhiali vedesse in modo diverso, ma non notò nulla di particolare. Uscì nel corridoio e prese in mano il telefonino: il contasecondi riprese a muoversi regolarmente. Guardò le pareti ma queste non c’erano. Intorno vedeva solo stelle e stelle perdersi all’infinito. Arrivò alla porta della sala disorientato e  barcollando. Tornando nella sala d’attesa vide la signora Strano, ma non come l’aveva vista al suo arrivo, consumata dal tempo e dal dolore, ma ringiovanita, serena ed elegante. “È andato tutto bene Professore?” Gli chiese preoccupata “Si, … si tutto bene. Devo pagare a lei?” La signora sorrise. “No non deve. Se Madam l’ha aiutata vuol dire che sa che lei sarà utile a molti e che la ripagherà così.” Fece un sorriso per ringraziarla e lei tornò a sedersi sulla sua sedia accanto la porta. Fu allora che lo vide. Era un uomo molto giovane, con una bellezza femminile. Quando la signora si sedette, lui allungò il braccio e lo appoggiò alla spalliera della sedia quasi ad abbracciare la donna. L’uomo lo guardò e sorrise come se lo avesse riconosciuto quasi fosse un vecchio amico o un parente. Per quanto si dicesse che era impossibile, aveva la certezza che quell’uomo fosse Filippo, il figlio della signora morto tempo addietro. Lo guardò meglio. La sua figura era strana. Alle sue spalle non vi era l’ombra che il corpo della signora proiettava sulla parete. Capi che quel corpo non era della vecchia realtà a cui era abituato. Uscì, ma prima di chiudere la porta osservò ancora i due. Fu allora che notò che la mano di lui era in quella della madre. I due si vedevano, si toccavano erano coscienti l’uno dell’altra. Capì che il legame che legava la signora Strano a Madam doveva essere fortissimo: le aveva ridato suo figlio. Chiuse la porta e si diresse verso il portone. Guardò le pareti del corridoio e vide per tutta la loro grandezza un volto di donna sorridente che lo seguiva mentre arrivava al portone. Stava per tirare la grande vetrata verso di se, ma questa si aprì da sola. Uscì dicendo grazie e il volto del corridoio apparve riflesso sul vetro del portone e, nuovamente, gli sorrise
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white-queen-lacus · 3 months
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I'm on my way to sharing the epilogue of my YuuMori ff on EFP, yet I can't help but share this Adlock scene because I'm very satisfied with the result! ❤️ I'll put it under spoilers, mostly because it's quite long!
Nel percorrere il salone, Sherlock vide la combriccola impegnata a seguire le spiegazioni di Herder nel mostrare le sue invenzioni. Qualcuno mancava all’appello, ma chi gli interessava non era presente. Nel notare l’assenza del cappotto bianco, soffrì al pensiero di dover lasciare il tepore per affrontare il gelo, ma indossò ugualmente il suo soprabito nero, per poi uscire da una porta laterale. Nel varcare la soglia, si voltò non appena vide Bond, schiena appoggiata al muro e mani in tasca, intenta a osservare il gioco di luci che attraversava il cortile in lontananza. Nell’accorgersi di lui, sgranò gli occhi azzurri. “Sherly?!” esclamò, raddrizzandosi.
“Hai intenzione di rimanere qui a congelare?” chiese, stringendosi nel cappotto.
Bond lo guardò perplessa, poi sorrise con aria maliziosa. “Devo ricordarti la volta che ti sei spogliato per darmi i tuoi vestiti rimanendo in mutande o quella in cui ti sei tuffato nel Tamigi con Will?”
Sherlock non sapeva se essere impressionato o sentirsi a disagio, quindi si appoggiò con la schiena al muro accanto allo stipite opposto della porta. Il fiato gli uscì in uno sbuffo visibile e si limitò a osservare a sua volta i giochi di luce. Pochi istanti e capì cosa ci trovasse. Non aveva mai visto delle luci correre insieme, poi a scatti, poi inseguirsi in percorsi lunghi e tortuosi. Era magnetico. “Herder ne sa una più del diavolo, eh?”
Bond inclinò appena la testa. Sorprenderla nei modi più disparati era da lui, ma raramente l’aveva visto temporeggiare per qualcosa. “Già…” disse tuttavia, tornando a guardare le luci. “Dubito che ci sia qualcuno di più geniale di lui.” aggiunse, con l’intento di punzecchiarlo facendo leva sulla sua proverbiale megalomania. 
Sherlock, invece, non vi dette corda, alzando gli occhi al cielo. Aveva la stessa postura e la stessa espressione di quando, presentandosi a lui in abiti femminili al posto di Moneypenny, durante la missione al Kensington, l’aveva scorto appoggiato al muro, in attesa. Soprabito invernale e sigaretta mancante a parte, ma l’odore del tabacco era sempre lì. Bond gli rivolse uno sguardo nostalgico. Gli aveva detto, in quell’occasione, che la magia di Cenerentola sarebbe durata soltanto per quella notte e così era stato. Dopo aver risolto il caso, Sherlock era andato via e lei aveva fatto ritorno a casa sorbendosi le frecciatine di un redento Moran e i complimenti del maestro Jack. Dopodiché, aveva riposto l’abito azzurro e la parrucca che riproduceva fedelmente i suoi lunghi capelli biondi nell’armadio. Se la parrucca le era tornata utile per ingannare il visconte Simmons, l’abito era rimasto lì, intoccato. 
“Sherly… è tutto a posto?” chiese, con un tono ora sinceramente preoccupato. “C’è qualcosa che devi dirmi, vero? Che ti ha detto tuo fratello?”
Sherlock realizzò di non aver con sé le sigarette. Sempre un passo davanti. Non era mai facile, quando si trattava di Bond. Di Irene. Ogni volta che pensava di raggiungerla, lei sfuggiva. Era stato più semplice, durante la mascherata. Ma quando le maschere cadevano, lui era soltanto un uomo che non aveva idea di come gestire quel sentimento che era nato come semplice incomprensione, poi ammirazione, poi… non sapeva più nemmeno lui stesso come definirlo in un modo che significasse, per lui, dover ammettere qualcosa che aveva sempre rifuggito. Sapeva anche che rivedere quella che John aveva definito la Donna era qualcosa che non avrebbe mai ritenuto possibile e che non era in grado di capire perché ogni qualvolta si avvicinassero, lei finisse con l’allontanarsi. Proprio come le luci del percorso. Correvano insieme, si bloccavano, si inseguivano. Eppure, in un angolo remoto della sua mente, non riusciva a non pensare a quanto fosse orgoglioso del fatto che, in quei tre anni, fosse diventata la punta di diamante del MI6 al punto tale da suscitare la curiosità della stessa Sua Maestà. Più in basso però, nel suo cuore, avvertiva qualcosa di profondamente diverso e sconvolgente. 
“Sherly, dannazione! Ti sei incantato o cosa?”
Battendo le palpebre, si decise a prendere un enorme respiro, poi voltò appena il viso verso Bond. Non aveva idea di che espressione avesse, ma ne vide le guance farsi rosse.
“Sei felice?” domandò, al posto di rispondere. 
“Che… domanda è?” chiese di rimando, incerta. 
“La vita che hai ora… ti rende felice?” 
Il sopracciglio sinistro tremolò e Sherlock affilò lo sguardo. “Beh… non posso dire che non lo sia… insomma, guarda… sono James Bond. L’agente con licenza di uccidere.”
Lui annuì, ripensando alle sue lacrime, la notte in cui si erano congedati. Se non avesse scommesso sul Lord del Crimine, Irene sarebbe morta per mano di Mycroft. E facendolo, Irene era morta ugualmente, dando vita a James Bond. Si chiese se quella fosse davvero la sola strada percorribile, se alla fine, Irene Adler non poteva esistere più. La donna che mai avrebbe potuto dimenticare. La sola che aveva totale controllo sulla sua razionalità tanto da spingerlo persino a mandare in fumo il suo stesso appartamento e a mostrarsi proprio a lei per prima, dopo esser tornato. Non ultimo, quel tarlo che gli arrovellava il cervello al pensiero di lei stretta al suo braccio, della sua espressione inintelligibile… della voglia totalmente irrazionale di stringerla a sé e di prenderne le labbra carnose in un bacio. E poi, quel gesto che aveva fatto quando, prima di scappare dalla residenza Simmons, aveva posato la mano sul ventre fasullo con aria pensierosa… e, durante la cena, il modo in cui i suoi occhi si erano spalancati per un istante mentre Moneypenny annunciava il lieto evento, per poi addolcirsi.
Bond sospirò, notando che Sherlock era completamente chiuso in chissà quali pensieri. A quanto pareva, era di malumore e non aveva intenzione di aprirsi. D’altronde, il fatto che avesse più volte invocato di tornare in America le sembrava già abbastanza penoso. Aveva persino pensato di indossare un abito da donna, quella sera… blu, perché il blu le donava, come lui le aveva detto una volta. Ma negli ultimi tempi, Sherlock sembrava aver deciso di metter da parte qualunque sentimento provasse per lei in favore della risoluzione dei casi che si erano presentati nuovamente alla porta del 221B. Eppure, in quel momento le aveva chiesto se fosse felice. La verità era che era tornata ad esserlo, dopo che lui aveva fatto ritorno. La sola idea le era bastata persino ad esser pronta a mandare al diavolo l’identità che aveva assunto pur di trascorrere del tempo insieme. E non era abbastanza. Distolse lo sguardo, rincantucciandosi nel cappotto. “Io rientro. Effettivamente, c’è troppo freddo.” disse, facendo per rincasare. 
“Irene. Irene Adler.”
Nel sentire il suo nome pronunciato con tono serio e fermo, si bloccò.
“James, Sherlock.” lo corresse, tagliente.
“Per me sei sempre Irene, lo sai.”
Gli occhi azzurri di Bond si fecero lucidi e il suo cuore mancò un battito. “E questo dovrebbe bastarmi, ora?”
“Sei troppo intelligente per chiedermi qualcosa di cui sai già la risposta.”
Bond sbottò, voltandosi di scatto e afferrando Sherlock per la collottola. “Ma voglio sentirlo ugualmente. Da te. Che tu mi dica… una volta per tutte… che cosa provi davvero… Sherlock…” disse e nel mentre, la sua risoluzione si fece sempre più debole, così come la sua presa, nel perdersi negli occhi blu notte dell’uomo che la guardavano come mai. Sherlock tolse le mani dalla tasca, sollevandole fino a posarle sulle sue. Per fermarla. Perché non prendesse freddo. Perché anche soltanto il poterla toccare era la prova che entrambi erano vivi.
“Sei tra gli agenti del MI6 che potranno spostarsi in missione all’estero.” disse e Bond lo guardò con gli occhi sbarrati, incredula. “Cosa?!”
Sherlock strinse la presa. “Se le circostanze lo dovessero richiedere… vorresti farmi da partner?”
“Eh?”
“Sì, insomma… in coppia… come coppia… cioè… aaaaaaah! Maledizione!!” incespicò nelle sue stesse parole, imbarazzato.
“Mi stai chiedendo di… aspetta… non capisco… perché non riesci semplicemente a dire le cose come stanno?!” protestò Bond che, diversamente da lui, capiva fin troppo bene, dal suo modo di fare, che intendeva altro ma, ogni volta, era capace di farla diventare matta. 
“Perché non è facile, Irene! Non è facile…” disse, infine, tornando a guardarla. Nella loro vicinanza, nonostante i capelli corti e l’assenza di trucco, Irene era lì e lo guardava a sua volta, bella, indomita e brutalmente capace di farlo capitolare su una graticola. 
“Quando mai qualcosa per te è stata facile? Tu ami i misteri… le cose complicate…”
Sherlock sospirò, vinto. Persino risolvere il mistero del Lord del Crimine si era infine rivelato meno difficile che capire il cuore e le azioni di quella donna. “E tu sei il mistero più complicato di tutti…” 
Irene sgranò gli occhi, col cuore che aveva preso a batterle forte. Ciononostante, si morse le labbra per non dargliela vinta. “Dillo ancora…” sussurrò, con voce tremante.
Nel sentirla, riconobbe in quel tono lo stesso con cui gli aveva detto addio una volta. Si era voltato altrove, perché non vedesse che in quell’istante, anche lui era commosso. E le aveva detto che si sarebbero rincontrati, se lei fosse stata viva. Lo era. Lo sentiva dai battiti che palpitavano con più forza nei polsi di Irene. E da quel viso che aveva contemplato in foto, poi ogni qualvolta fossero insieme. “Anche se pensi che non sia così… io ti vedo, Irene. E voglio te al mio fianco.” sussurrò, addolcendo la presa intorno alle sue mani, per poi voltare la situazione in suo controllo, provocandole un sobbalzo a quel gesto inaspettato, portandola con le spalle al muro e, come le luci che tornavano a giocare insieme, abbandonarsi a un bacio a lungo agognato da entrambi.
Nessuno di loro due, tuttavia, aveva notato che in alto su quella porta, come sulle altre, pendeva leggermente del vischio, mentre la mezzanotte scoccava, annunciando a tutti il Natale.
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i-mmaginando · 2 years
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Questo soprabito... si apre sempre
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manozingara · 4 months
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sogno-pensiero mattina 01/01/2024, casa
davanti ad una scuola c'è Gabriella, psichiatra conosciuta, molto sorridente e provocante. Che fai qui, lavoro ad un progetto. Cerco di starle vicino mi piace. Soliti capelli nero corvino sorrisone labbra rosse da rossetto e occhi scintillanti neri. Poi fuori ad un altro edificio la rincontro in mezzo ai ragazzi sotto alle finestre attraverso una rete ha un soprabito verde forse va via. Mi dispiace.
Poi dopo mi sono svegliato con una bella erezione.
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woolsboutiqueuomo · 1 year
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cutulisci · 11 months
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Sono cresciuto chino su una scacchiera.
Amavo la parola scaccomatto.
Il che sembrava impensierire i miei cugini.
Era piccola la casa, accanto a un cimitero romano. I suoi vetri tremavano per via dei carri armati e caccia.
Fu un professore di astronomia in pensione che m’insegnò a giocare.
L’anno, probabilmente, il ’44.
Il Re bianco andò perduto, dovemmo sostituirlo.
Mi hanno detto, non credo sia vero, che quell’estate vidi gente impiccata ai pali del telefono.
Ricordo che mia madre spesso mi bendava gli occhi. Con quel suo modo spiccio d’infilarmi la testa sotto la falda del soprabito.
Anche negli scacchi, mi disse il professore, i maestri giocano bendati, i campioni, poi, su diverse scacchiere contemporaneamente.
Charles Simic
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santillo1970 · 1 year
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Raglan sport coat in cammel shade made from vintage fulled wool - featuring a vent at the back, raglan sleeves and a belt. The fabric has an average weight of 400 gr and is extremely soft thanks to the structure totally free of internal canvases: a process that requires technical skills in the choice and development of proportions. I prefer that this kind of sport-inspired garment to be oversized, or at any rate not strict, so that they can be worn over several layers and blazers. ///🍂✂️ Cappotto sportivo raglan color cammello realizzato in lana follata vintage - caratterizzato da uno spacco sul retro, maniche raglan e cintura. Il tessuto ha un peso medio di 400 gr ed è estremamente morbido grazie alla struttura totalmente priva di tele interne: una lavorazione che richiede abilità tecniche nella scelta e nello sviluppo delle proporzioni. Preferisco che questo tipo di soprabito, di chiara ispirazione sportiva, sia oversize, o comunque non stretto, in modo da poter essere indossato su più strati e blazer. https://www.instagram.com/p/ClWfVh8MWtJ/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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sciatu · 11 months
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Madam Effie e la formula della felicità - seconda parte
I NOSTRI INCUBI CI CONOSCONO MEGLIO DI CHI AMIAMO
Il professore Ferdinando Gugliotta illustre, rinomato professore di matematica in uno dei licei più rinomati di Messina, era confuso. Malgrado ateo, e convinto assertore della logica e del raziocinio, tanto che teneva sempre sul comodino il Candido di Voltaire e i libri di Beltrand Russel, era stato convinto dalla cugina, l’unica persona di cui avesse un qualche rispetto, a visitare Madam Effie, una cartomante che secondo i registri del comune non esisteva. Madam aveva fatto qualcosa ai suoi occhiali dicendogli che da quel momento avrebbe potuto vedere sua figlia Beatrice, la figlia che non era mai nata. Uscito dal caseggiato vivente di Madam, si fermò a guardare le sue mani. Non capiva perché ma ci vedeva meglio. Le rughe, i peli delle mani gli apparivano nitidissimi, pieni dj particolari mai notati. Alzò gli occhi al cielo e vide le nuvole come volare, scivolando velocemente da un capo all’altro del cielo. Uno stormo di fenicotteri passo velocemente nella direzione opposta alla corsa delle nuvole. Guardò per strada e vide che vi erano tanti passanti. Alcuni camminavano lentamente, altri apparivano e sparivano in un lampo. Altri ancora attraversavano alberi e macchine come se questi non esistessero. Si levò gli occhiali. La strada era semivuota, con le case dai colori anonimi e qualche raro passante. Il cielo era senza nuvole e nessun uccello, in quelle calde ore del pomeriggio, si azzardava a mostrarsi. Si mise di nuovo gli occhiali e le case diventarono subito di un colore intenso, la strada tornò a ripopolarsi di figure e ombre sfuggenti, riapparvero le nuvole che si inseguivano in un cielo dal colore mutevole. Si sentì disorientato, con la testa che gli girava. Doveva sedersi. Vide un bar con dei tavolini sul marciapiede. Si sedette in quello più isolato e cercò di raccogliere le idee. Cosa era successo? Pensava di poter controllare la situazione e smascherare Madam Effie come una delle solite false maghe. Invece … “Prende qualcosa ?” Disse improvvisamente una figura bianca accanto a lui “Un’acqua tonica con dentro della granita al limone.” L’ombra bianca si dileguò. Anche la storia del tempo che nella stanza di Madam si fermava poteva essere spiegato – si disse convito – bastava creare un campo magnetico e tutti gli orologi si sarebbero fermati. Poi la storia che aveva tradito la moglie, chissà quanti andavano li perché avevano tradito. Non ci voleva molto a capire chi aveva capito e chi no … Insomma tutto si poteva spiegare, tutto poteva essere ricondotto a dati e situazioni tangibili e concrete. Fu soddisfatto della sua valutazione. “Buongiorno Gugliotta tutto bene?” Una persona con un impermeabile grigio, e un cappello alla Borsalino passò velocemente salutandolo “Buongiorno – rispose velocemente il professore cercando di capire chi fosse e riconosciutolo aggiunse – Buongiorno signor preside tutto bene grazie” Rispose contento di vedere il professore Saija, che aveva avuto come dirigente molti anni prima La sua contentezza duro ben poco, ricordando che il preside forse era venuto a mancare anni prima. Non ne era sicuro, ma gli sembrava di essere stato anche al funerale. Si appoggiò allo schienale della sedia, osservando i passanti, cercando di capire se fossero reali o meno. Osservò un vecchio alto e allampanato che gli sembrava reale e due signore camminare lentamente impegnate in una discussione intensa che le obbligava a fermarsi ogni tre passi per spiegare dettagliatamente il loro pensiero sottolineandoli con gesti degni di un direttore d’orchestra. Notò una ragazza che camminava sul marciapiede opposto, avvolta in un elegante soprabito rosso. Stava parlando al cellulare e sorrideva felice muovendo i suoi lunghi capelli rossicci che le coprivano le spalle con lunghe e morbide onde. Il professore sottolineò con un sorriso quella bellezza fresca e gioiosa così diversa dall’inverno che sentiva nella sua anima. Guardò meglio e notò che la ragazza aveva dei tratti che gli ricordavano qualcuno, forse un’ alunna degli anni passati o una parente della moglie. La ragazza si fermò dall’altro lato della strada, guardò nella sua direzione e sorrise. Continuò a parlare velocemente al cellulare, poi chiuse la chiamata e mettendosi il telefono in tasca attraversò la strada. Il professore girò la testa per non dare l’impressione che la stesse fissando come un maleducato, ma la ragazza si diresse verso di lui e spostando la sedia che aveva di fronte si sedette sorridendo. “Ciao – gli disse felice – come stai?” Lui l’osservò stupito “Ci conosciamo?” Chiese disorientato “Certo papà, sono io, …, Beatrice, tua figlia.” Lui la guardò stupito “Ma …” Cercò di dire che non era possibile, che sua figlia era morta nella pancia di sua madre ed il suo corpo era stato bruciato. Era stato lui a chiedere che fosse trasformato in cenere. quello che nella vita non sarebbe più stata una primavera. Ma ora la primavera lo guardava. Sorridendo. Felice di vederlo, come se da sempre lo avesse quotidianamente frequentato restituendogli quegli incontri che lui aveva con lei nei suoi pensieri più tristi.  In quei pensieri senza speranza e voglie in cui riassumeva in modo impietoso e cattivo, tutta la sua vita. Ma lei ora era li e di fronte a lui, occhi simili a quelli di sua moglie e labbra tenere come quelle di sua madre chiuse dentro un ovale del volto che era il suo, lo guardavano felici, mentre i capelli oscillavano rossicci e mossi come quelli che sua moglie aveva quando si erano conosciuti. Era Beatrice, sua figlia, ne aveva l’assoluta certezza e tutta la sua logica, il raziocino illuminato che aveva scelto come senso della sua vita, non riuscivano a spiegare perché lei fosse li, non riusciva a trovare una valida, lucida e fredda ipotesi che chiarisse perché la stesse osservando. La sua razionalità, come stava capitando alle sue emozioni, era in silenzio e non voleva fare alcuna valutazione: silenziosamente ammirava l’imponderabile e l’inspiegabile fatto che Beatrice, la figlia che non era mai nata, fosse li, di fronte a lui. “Beatrice” Disse di getto e allungò la mano per toccare quella che lei teneva sul tavolino ma sentì solo il freddo della nera lava con cui era fatto il tavolino. Lei sorrise “Papà, io esisto solo nel tuo Karma, non puoi toccarmi” “Scusa non lo sapevo rispose sorridendo - ma lasciò la sua mano dove vedeva quella della figlia. -Vuoi dire che sei una mia illusione?” “No, sono tua figlia, la tua vita unita a quella della mamma, per questo non sono ne una tua, ne una sua illusione, ma quel destino che poteva essere e non è stato” “Ma ci sono migliaia di destini che si possono sviluppare da un singolo evento” “Ma io sono solo quello che tu e la mamma avete pensato, immaginato, desiderato,  e che vive nell’Akasha. Io sono una parte di voi e voi, pensandomi e immaginandomi, mi fate vivere. Non perdere tempo però, non posso essere presente a lungo di fronte a te, alle volte la tua energia emotiva non è sufficiente a far si che tu mi veda a lungo” “Sei razionale e precisa come a me – disse orgoglioso il professore – ecco, in breve: mi sento perso. Con tua madre non riesco più a parlare anche lo vorrei. Ora mi manca, ma quando è con me, mi da fastidio. E lo stesso sentimento ho con me stesso, con la vita, con il lavoro. Non riesco pensare più a niente, ripeto gli stessi gesti ogni giorno e la sera, quando vado a dormire mi rendo conto che non mi ha lasciato nulla se non la fatica e l’inutilità di vivere” Si fermò stupendosi di  aver detto tutte quelle cose d’un fiato. La faccia di Beatrice lo guardava seria, quasi arrabbiata “Papà per favore, finiscila di dire tutte queste minchiate! Mi fai incazzare quando ti metti a fare l’esistenzialista sfigato!! Come puoi pensate di dire tutte queste cose quando sai che sono solo i pensieri di un borghese idealista frustrato.” Vide le labbra della figlia diventare una fessura e quasi impallidire dalla rabbia “Tu sai che dici queste cose solo per non affrontare il problema vero” Lui la guardò seccato che sua figlia potesse avere un pensiero diverso dal suo “E qual è allora il problema vero?” “Che tu e la mamma non vi parlate! Da quando io sono morta vi siete chiusi nei vostri silenzi e avete fatto solo casini” “Beatrice, per favore: stai esagerando!” “Non sto esagerando – fece lei piccata con la stessa passione e cipiglio con cui lui difendeva le sue idee nelle discussioni politiche della sezione di partito – È così! Lei si sente una donna fallita, tu hai pensato bene di consolarti altrove” Lui arrossì “Che ne sai tu? Non puoi giudicare….” “Perché? Perché non sono viva? O perché sono giovane e per te essere giovane vuol dire non poter giudicare.” Si girò sulla sedia guardando da un'altra parte e continuò “Io posso giudicarvi, perché sono la parte migliore di entrambi. Se fossi nata, la vita mi avrebbe corrotto, avrei imparato le ipocrisie, i compromessi, i giudizi egoistici con cui vivete. Ma sono rimasta come voi mi desideravate, con l’amore,  il coraggio e la chiarezza che voi avete perso giorno dopo giorno per poter vivere la follia dei vivi.” Si voltò di nuovo a guardarlo “Papà pensaci: secondo te la mamma non sapeva nulla di te e di quell’altra? Secondo te ha tentato di fuggire nella morte alla sensazione di fallimento della sua vita solo perché io ero morta? Secondo te, adesso si stordisce di liquore perché pensa a me o è angosciata, come lo sei tu, di vivere con te senza però sentire di vivere nei tuoi pensieri, nel tuo amore?” Il Professore la guardò e dopo qualche secondo abbassando la testa disse semplicemente “Ho capito, ho capito, abbiamo fatto un errore dietro l’altro. E ora cosa dovremmo fare se siamo ormai alla fine di tutto” Appoggio una mano sulla fronte, quasi a coprire gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime e con il gomito appoggiato sul tavolino quasi come se stesse pensando continuò “Io ti volevo. Tua mamma ti voleva, avevamo rinunciato a tante cose, e avevamo fatto tanti progetti e ora tu non c’eri più. A stare insieme, anche nella stessa stanza sentivamo e sentiamo ancora l’uno il dolore dell’altra. Tu non eri una semplice figlia era la vita che si manifestava, eri il nostro amore che si incarnava. Morta tu sono morti entrambi” “Papà non rincominciare a compatirti, non serve a niente - disse lei con dolcezza – la vita non può finire è parte del fluire dell’Akasha, l’amore non è morto: perché hai fatto questa cosa per te assurda di andare da Madam se non per amore? Dovevi essere disperato per farlo” “Lo sono ancora” “E allora usa questa tua disperazione alzati e vai contro questo vuoto che provi. Sei andato contro i padroni, la mafia, i dittatori, a maggior ragione puoi andare contro quella tua parte che si nasconde dietro questo vostro vivere l’uno nascosto all’altra. Parlale. Finche vi parlate sarete vivi. Io sono qui perché entrambi mi avete parlato ogni giorno della vostra vita. Per questo puoi vedermi, gli occhiali, sono solo un mezzo non il motivo per cui sono ancora con voi.” Lui la guardò. Si, era sua figlia, quella che avrebbe voluto vivere. Aveva la sua logica e la tenerezza di sua madre. Pensava queste cose il professore e capì che avrebbe fatto quello che lei gli aveva detto. La vide sfuocarsi. “Cosa succede, non ti vedo bene … gli occhiali …?” “No, non ti preoccupare, è la tua energia emotiva che mi materializza. Ora dentro di te hai deciso e questa decisione ti rassicura, ti calma, per questo l’energia sta diminuendo, non mi vedrai, ma sarò sempre accanto a te.” Scomparve “Va bene, ti aspetto. Dobbiamo parlare ancora.” Disse il professore come se vedesse ancora Beatrice di fronte a se Non si mosse. Sentiva che lei era ancora li intorno a lui. Voleva gustare l’idea che sua figlia non era morta, che non fosse finita, persa per sempre. Ma che invece fosse sempre accanto a lui e con lui vivesse una vita parallela, al di la della materia e del senso consolatorio che gli poteva dare il pensarla presente. Presente e viva grazie ad un sentimento quale l’amore, a  cui aveva creduto in modo marginale, un sentimento funzionale per la riproduzione, che non si poteva pesare o misurare e che nessun grande matematico aveva tradotto in una formula matematica. Uno di quei sentimenti piccolo borghesi che aveva sempre contestato, un illusione o un sogno che ora gli dimostrava che comandava le vite e ignorava la morte. Si alzò e si incamminò verso casa pensando a cosa doveva dire a sua moglie Maria, in che modo iniziare nuovamente a parlarle, parlarle veramente, non come fino ad allora avevano evitato di fare “Devi dirle la verità” Gli disse improvvisamene una voce dentro di se. Tanto improvvisamente che gli sembrò strano averlo pensato. Poi capi. Era stata Beatrice a dirglielo, a far nascere in lui un’idea che non arrivava dopo nessun altro suo pensiero. “Ma allora sei ancora qui” Le disse e capi che non poteva essere altrimenti, che lei non lo aveva mai lasciato e che sarebbe stata con loro anche a casa. Per un attimo, piccolo e intenso, fu felice.
Entrò in casa fischiettando e andò in cucina per mettere in frigo un vassoio di dolci che aveva comprato. La moglie era seduta vicino la porta finestra ad osservare il cortile dove alcuni bambini giocavano. Lo guardò sorpresa. “Come mai?” Chiese stupita “Ho pensato che era tanto che non ne mangiavamo, cosi li ho presi” Si levo il soprabito e tornando in cucina disse “Lo sai? Mi è sembrato di vedere il preside Saija, quello del ciclo precedente, ma mi devo essere sbagliato perché è morto mi sembra, te lo ricordi” “Si è morto tre anni fa, sei andato al funerale con la scuola” “Ecco vedi, questo non me lo ricordavo e per un po' mi sono chiesto se fosse proprio lui …” E continuò a parlare, tranquillamente ricordando il giorno del funerale, e quindi dei colleghi, passò poi a parlare della figlia del collega Carmelo che gli avevano detto si fosse sposata a Milano e di come dovevano andare anche loro a Milano a vedere il Duomo e il Cenacolo, come avevano sempre desiderato. E continuava a parlare, a parlare, mentre tagliava i pomodorini e aggiungeva le zucchine e la menta. Mentre metteva su la pasta e disponeva sul tavolo della cucina la tovaglia per cenare. La moglie lo ascoltava senza guardarlo. Metteva dritte le posate e piegava i tovaglioli di carta ma non lo guardava ne rispondeva alle sue domande, ne commentava i suoi pensieri. Il professore dentro di sé era contento di sentire la sua voce, di rivolgersi a sua moglie riuscendo a stare nella stessa stanza con lei senza sentirsi disperato a angosciato. Non accese neanche il televisore, tanto era il piacere di parlarle, di aver cambiato qualcosa che sembrava ormai tristemente eterno. Mise la pasta nei piatti e si sedette di fronte alla moglie e augurandole buon appetito incominciò a zappare nel piatto con la forchetta. La moglie spostò a destra e a sinistra qualche filo di pasta e poi lo guardò seria in volto “Cosa vuoi dirmi?” “Come?” “Tutta questa sceneggiata, i cannoli, il preside, tutto questo tuo parlare, a quale scopo? Per quale motivo?” La guardò finendo di masticare la pasta. Non la vedeva com’era il giorno prima, con le rughe intorno agli occhi e la ricrescita bianca dei capelli poco curati. La vedeva come era anni prima, gli occhi nocciola pieni di luce, i capelli lunghi ed ordinati, le labbra rosse come se avesse passato poco prima il rossetto. Appoggiò la forchetta al piatto “Volevo solo parlarti, scambiare con te qualche parola, riuscire a vincere la solitudine che ci circonda.” Lei lo guardò seria e diffidente “E perché? - Chiese acida – perché dovremmo parlare? Cosa dobbiamo dirci?” “Ad esempio che in fondo ci vogliamo bene” “Proprio tu parli di volere bene, tu che in tutti questi anni mi hai ignorato, che hai pensato solo a te stesso” “ci è successo qualcosa di brutto, all’inizio di questi anni. Qualcosa che per noi è stato tanto terribile che non l’abbiamo saputo gestire. Ora dobbiamo reagire, dobbiamo trovare un’altra strada, un altro modo di stare insieme. Io ho fatto tanti errori, tanti sbagli che mi hanno allontanato ma che non mi hanno mai fatto andare via da te. Mi sono chiesto cosa potevo fare e mi sono risposto che dovevo ricominciare almeno a parlarti” “Per dirmi cosa? Per giustificarti? Ma come puoi essere cosi … cosi ipocrita e falso da dirmi queste stupidate, queste banalità inutili, mentre dentro di noi tutto è già morto.” La guardò. Non era una cosa semplice come diceva Beatrice. Nel pensarla lei apparve, entrò in cucina e si sedette tra di loro, guardando preoccupata la madre. Capì che era preoccupata per lei, perchè sua moglie, anche chiusa nel silenzio e in una sprezzante indifferenza, stava soffrendo e che quello era, come gli aveva detto Beatrice, il momento di dire la verità. “Non devo giustificarmi, non servirebbe a niente – rispose il professore lentamente – devo chiederti scusa, è vero, ma anche questo, non servirebbe a niente.” Restò qualche secondo in silenzio “È inutile che ci giriamo attorno, abbiamo fatto degli sbagli enormi, tu hai cercato di …. – per quanto si sforzasse non riusciva a dire che aveva cercato di morire – io ho fatto i miei errori facendomi illudere e cercando una illusione consolatoria. Alla fine siamo diventati dei sopravvissuti incapaci di ricostruire una nuova vita.” “Sei tu che mi hai lasciato tra dolore e sangue, tu non mi hai fatto piangere sulla tomba di mia figlia e ora te ne vieni, a fare il brillante a dirmi, è finito tutto, rincominciamo come se nulla fosse, come se nostra figlia non fosse mai morta e tu non mi avessi fatto le corna” “Lei vorrebbe cosi!” “Ah lei vorrebbe cosi? E te lo ha detto lei?” “Si, me lo ha detto lei” Lei lo guardò seria “Tu sei pazzo, pazzo ora è tutto chiaro” Il professore scosse la testa “Io non posso vivere senza di te per questo ho fatto una cosa che non avrei mai fatto ne mai pensato – esitò nel continuare – sono andato da Madam Effie” “Non dire quel nome – disse subito spaventata la moglie – attira il diavolo” Poi si fermo a ragionare e seriamente gli chiese “E che ti ha detto?” “Che dovevo parlare con Beatrice” “E come? se lei non c’è mai stata” Il professore esitò ancora poi lentamente si levò gli occhiali e li mise sul tavolo “Con questi … con questi la vedo … e vedo tante altre cose che non dovrebbero esistere” “La vedi? e dove?” “Dove devo vederla, - fece seccato di doverle spiegare tutto – ora è qui, seduta di fronte a te” Maria lo guardo poi afferrò gli occhiali e tenendoli per le aste li osservo e quindi li indossò guardando le sue mani. “Ma ..  vedo bene” fece stupita ed alzò la testa guardando la sedia dove era seduta la figlia. Trasalì nel vedere qualcuno che in realtà non c’era Il professore sentì come in sibilo o un fruscio e capì che Beatrice stava salutando sua madre “Ma ….” Fece la donna e dopo qualche attimo si lanciò ad abbracciare il vuoto piangendo. Da madre non si era chiesta chi fosse quella ragazza che non aveva mai visto. Il suo parlarle ogni giorno, ogni ora del giorno, ogni istante che creava il passare del tempo, le avevano fatto capire che davanti a lei c’era la figlia che non aveva mai conosciuto. Il professore avrebbe voluto dire qualcosa ma vedendo la moglie abbracciare il vuoto e piangere decise che non era necessario, che in quel momento, in cui l’impossibile era reale, non bisognava fare e dire nulla e bisognava lasciare che venisse vissuto, amato e ricordato. “Come sei bella” disse la moglie distaccandosi e guardando il vuoto attraverso gli occhiali del marito “Si, è vero” Continuò mettendosi a posto una ciocca dietro l’orecchio come per cercare di rendersi presentabile “Ma sono successe tante cose per questo … Lo so, … ma… “ Abbasso la testa e cattiva fece dandogli un’ occhiata obliqua piena di ostilità. ”è colpa sua … lo sai che lui …ah si?” Alzò la testa a guardare la sedia con un’aria stupita “Davvero? …. “ Sorrise “È sempre il solito” Scosse la testa e lo guardò sorridendo. Si rasserenò, poi continuò verso l’angolo vuoto del tavolo “È che senza di te ….” Si fece seria ascoltando il vuoto che aveva davanti “Hai ragione è proprio così “ Abbassò la testa “ mi sentivo sola e abbandonata” Restò ancora ad ascoltare con il viso serio finché non sorrise “come dall’inizio … che vuoi dire?” I suoi occhi erano fissi sulla sedia vuota “Si, anch’io, ma tu…” Fece una faccia felice “Veramente? …. Ma allora …” Ascoltò ancora in silenzio poi abbraccio il vuoto “Anch’io, tantissimo  .. mi manchi .. sempre …” E da dietro gli occhiali uscirono delle lunghe lacrime. Il professore osservava la moglie parlare con quel vuoto che l’amore di madre aveva riempito. Quando vide che lentamente si levava gli occhiali e con cautela li appoggiava sul tavolo le si avvicinò e le diede un tovagliolo di carta per asciugarsi gli occhi “Hai visto che bella ragazza che è” Lei sorrise “Con me era una bambina. Ma lei cambia mi ha detto, a seconda di chi la guarda. Aveva i miei capelli lunghi e rossicci – gli disse felice – era come l’ho sempre immaginata: allegra, positiva, volitiva.” “E che ti ha detto ?” Chiese curioso il professore “Mi ha detto …. – si fermò e sorrise gli prese la mano – vieni” E se lo portò dietro in salotto, fermandosi al centro della grande stanza. Lo lasciò li in piedi e corse dove c’era lo stereo, cercò qualche secondo e poi fece partire un lento degli anni sessanta. Tornò da lui e lo abbraccio e incominciò a muoversi come a ballare un lento “Ha detto che dobbiamo rincominciare da capo. … Ti ricordi? Tutto è  iniziato così” Lui la guardò. Ora lei aveva sedici anni, i capelli raccolti in una lunga coda, una gonna che arrivava sotto il ginocchio e un maglioncino rosa. Intorno a loro lo stanzone vuoto e buio si popolò dei loro compagni di classe e di luci soffuse. Sentiva anche l’odore di qualche spinello. Ma era lei, lei per come gli era entrata la prima volta nel cuore che riempiva tutta la stanza. “Cosa vedi ?” Chiese lei curiosa “Tu che ha sedici anni, i compagni di classe, la stanza come era allora” Lei lo strinse e appoggiò la testa contro il suo petto, chiudendo gli occhi e facendosi portare dalla musica. Quando la musica finì lei gli prese ancora la mano “Vieni” Ripetè andando verso la zona notte. Entrò in quella che era la sua stanza quando era ragazza e si sedette sul piccolo letto con lui e l’osservò nella penombra “E ora?” “Ora sei vestita come la prima volta che abbiamo fatto l’amore, con la camicetta e i jeans” E la guardò stupito sentendo persino il profumo di limoni che usava allora. A quel punto fece quello che aveva fatto allora, si avvicinò lentamente e appoggiò le sue labbra su quelle di lei, aspettando che la sua lingua andasse incontro alla sua per raccogliere il miele della vita. Incominciò a sbottonarle la camicia, e lei incominciò a fare lo stesso. Quando le levò la camicia lei gli levò gli occhiali e lui l’osservò stupito. Era quella che vedeva ogni giorno, con i capelli scomposti, piccole rughe intorno agli occhi, il corpo smagrito e la pelle ringrinzita e con le prime macchie Lei notò il suo sguardo. “Cosa c’è? Come mi vedi ora?” “Come sempre, bellissima” Sorrise “Beatrice ha ragione: non sai dire le bugie” “Dico solo la verità allora” Rispose sorridendo. Si misero sotto le coperte e lei si strinse a lui. “Tu dici che ci sta vedendo?” “Probabilmente” Lei sorrise. “Mi ha detto che ti ha visto anche con quell’altra” “Ha visto ben poco allora” “Ha detto che le parlavi sempre di Marx - E sorrise di gusto – poverina l’avrai annoiata a morte” Si fece serio “Perché dobbiamo parlarne, mi fa sentire a disagio” “Dobbiamo farlo, dice Bea, dobbiamo ricostruire gli anni in cui ci siamo persi.” “Che senso ha parlare del passato?” “Perché dobbiamo vivere il presente e dobbiamo evitare gli errori di allora” “Parli come la collega che insegna storia” Sorrise “Domani mi porti da qualche parte?” “Domani andiamo a Taormina, ci sediamo al caffè dei tedeschi e ci prendiamo un aperitivo” “Non l’abbiamo mai fatto” “Infatti, dobbiamo fare tutto quello che abbiamo perso “ ed incominciarono ad elencare cose che avrebbero voluto fare finchè lei non si addormentò stretta a lui.
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Il freddo - di Erri De Luca
Si usa dire: ”Ho preso freddo”. Pure se il verbo è all’attivo, l’effetto è passivo, fa sentire freddo.
Dico per me: ”Ho preso il freddo”, nel senso di averlo preso volontariamente, perché è inverno e il corpo reagisce coprendosi, non aumentando i gradi di riscaldamento della casa.Mi sono abituato, scaldo un solo ambiente, la cucina, dove passo il giorno.
Niente zanzare, mosche, visite di formiche, il freddo è pausa, riposo e custodia della terra.
Si usa d’inverno rientrando in casa togliersi il soprabito, il cappotto, il berretto di lana. L’appartamento è tiepido. Il mio no, perciò resto vestito come per l’esterno.
Intanto il giorno prolunga la parabola del sole, tramonta un po’ più in là e già questo pensiero mi scalda un sorriso.
Nella casa lontana nel tempo di Montedidio a Napoli non c’era riscaldamento, come in quasi tutti gli alloggi di allora. Un paio di stufette elettriche addomesticavano la temperatura. Non si dovevano accostare le mani intirizzite altrimenti venivano i geloni.
Nelle case più povere un braciere a carbonella mandava più fumo che tepore, oltre al micidiale monossido, che uccideva nel sonno.
L’inverno non era una stagione, ma un attraversamento. I vecchi che doppiavano il Capo Horn di febbraio si erano guadagnati un altro anno.
Sono rimasto in buoni rapporti con il freddo, non lo butto fuori di casa. Coperto a dovere, lo prendo, lo respiro. Quello che non prendo è il raffreddore.
Erri De Luca, 23 gennaio 2023
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