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#lacrime in bottiglia
sorrisicollaterali · 1 year
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I miei Libri
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lanavetro · 4 months
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Le cartoline sono cose per vecchie persone romantiche. Andrea, tu lo sei sempre stato. Nel frattempo che ci salutavamo sull’uscio della porta trattenendo le lacrime, sentivo già che mi mancavi. Non sai, tu, quanto mi farebbe piacere ritrovarti in quel dormitorio, presentarmi con una bottiglia di vino che avrei finito da solo e raccontarci come fosse andata la giornata. Io con gli addii non mi sono mai riuscito a confrontare. Non riesco mai a sopportare del tutto la scomparsa delle persone che hanno occupato un tempo cospicuo nella mia vita. Non possiamo essere meteore, perché non siamo fatti solo di qualcosa di simile alla roccia. C’è quella cosa che non si può spiegare che parte dalla punta dei piedi e si ferma tra il petto e la gola. E che rende troppo spesso complicato mandare giù anche la saliva.
Ti penso André, mi manchi tanto.
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Cosa ho davanti, non riesco più a parlare
Dimmi cosa ti piace, non riesco a capire, dove vorresti andare
Vuoi andare a dormire
Quanti capelli che hai, non si riesce a contare
Sposta la bottiglia e lasciami guardare
Se di tanti capelli, ci si può fidare
Conosco un posto nel mio cuore
Dove tira sempre il vento
Per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento
Non c'è niente da capire, basta sedersi ed ascoltare
Perché ho scritto una canzone per ogni pentimento
E debbo stare attento a non cadere nel vino
O finir dentro ai tuoi occhi, se mi vieni più vicino
La notte ha il suo profumo e puoi cascarci dentro
Che non ti vede nessuno
Ma per uno come me, poveretto, che voleva prenderti per mano
E cascare dentro un letto
Che pena che nostalgia
Non guardarti negli occhi e dirti un'altra bugia
Almeno non ti avessi incontrato
Io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato
Tu corri dietro al vento e sembri una farfalla
E con quanto sentimento ti blocchi e guardi la mia spalla
Se hai paura a andar lontano, puoi volarmi nella mano
Ma so già cosa pensi, tu vorresti partire
Come se andare lontano fosse uguale a morire
E non c'è niente di strano ma non posso venire
Così come una farfalla ti sei alzata per scappare
Ma ricorda che a quel muro ti avrei potuta inchiodare
Se non fossi uscito fuori per provare anch'io a volare
E la notte cominciava a gelare la mia pelle
Una notte madre che cercava di contare le sue stelle
Io li sotto ero uno sputo e ho detto "Olé" sono perduto
La notte sta morendo
Ed è cretino cercare di fermare le lacrime ridendo
Ma per uno come me l'ho già detto
Che voleva prenderti per mano e volare sopra un tetto
Lontano si ferma un treno
Ma che bella mattina, il cielo è sereno
Buonanotte, anima mia
Adesso spengo la luce e così sia
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messaggioinbottiglia · 4 months
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Recap(odanno) 2023
Mi dissotterro dal mare di coperte del letto di casa, dopo aver saldato il debito di sonno inconsapevolmente maturato nell'ultima settimana. Mentre vengo travolto da messaggi concernenti la fondamentale occasione di festa della notte di San Silvestro, torno indietro con la mente a ripensare all'anno che sta alacremente giungendo alla fine.
Nel 2023 ho avuto la fatidica conferma di avere un cuore. O meglio, non di averlo nel senso organico di possedere un muscolo, situato più o meno al centro del petto, che permetta al mio sangue di andare in circolo minuto dopo minuto, bensì di essere ancora in grado di provare quell'amore romantico e devastante che per l'appunto l'avere un cuore metaforicamente rappresenta. Mi sono, in parole povere, innamorato e nonostante il dolore sia stato insopportabile nel momento in cui tale emozione è venuta meno, è da considerarsi a tutti gli effetti tra gli apici del mio vissuto recente.
Continuo a diventare più esperto nel lavoro; lo capisco guardando i colleghi più giovani e rendendomi conto di riuscire a mantenere la calma in situazioni più o meno spinose. Navigo come posso (ossia a vista) nei meandri della specializzazione ma a più riprese mi sembra di raccogliere conferme che le cose stiano procedendo discretamente bene.
Ho stretto legami assai importanti. Ho conosciuto persone che mi hanno tirato fuori da brutti abissi emotivi. Come sempre ho cercato a mio modo di rappezzare quei rapporti che tempo, distanza e impegni sociali, hanno più clamorosamente danneggiato. Chissà se poi nel tempo essi si logoreranno definitivamente o per assurdo riusciranno a resistere.
Non riesco più a scrivere come prima. Purtroppo un miscuglio non del tutto comprensibile di fattori, ha reso e rende la cosa veramente complessa. Del resto, il mio rapporto con la scrittura è sempre stato in qualche modo altalenante e son fiducioso di poterla ritrovare negli arcani sentieri del 2024. O forse, più semplicemente, nell'attimo opportuno sarà ancora una volta lei a ritrovare me.
il 2023 è stato quindi brillante, impetuoso, debordante, inaspettatamente ricco di prime volte. Mi ha preso tra le braccia dolcemente, poi mi ha stritolato, poi mi ha baciato e mi ha dato un ceffone. Si è trattato di un anno molto personale, intimo. A tratti persino solitario e vuoto, ha saputo farmi cogliere, forse maggiormente rispetto ad altri, la mancanza e l'insofferenza. E al tempo stesso la bontà e l'affetto che costantemente mi circondano.
Nel complesso: tra il riso e le lacrime, come si direbbe per una grande bottiglia di vino, è stata una buona annata.
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ipotesi-controversa · 2 months
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ho capito che non c'è posto della terra in cui io possa dimenticarmi della tua esistenza, posso riempirmi la giornata, posso sfinirmi camminando per città che non conosco, posso tenere il mio cervello lontano da te, ma torno sempre, come un tossico in cerca della dose, a quella sera, seduti nella penombra a bere quella bottiglia di vino rosso che avevi portato per noi.
mi guardi da lontano, so che mi pensi, ma non mi cerchi; sai essere risolutivo, a differenza mia -t'ho sempre invidiato questa qualità, lo sai?
ho capito, stando un po' lontano da Torino, che, a volte, per quanto sembri assurdo, contorto e profondamente sbagliato, fanno più male i ricordi belli che i ricordi brutti.
non mi ricordo un litigio così nitidamente come i pacchi di tabacco sul tavolo, la bottiglia di vino, la musica di sottofondo, la finestra aperta e il mio andirivieni tra il balcone e la sedia e mi sembra così assurdo che, ora che ho finito le lacrime, sorrido.
era agosto e faceva caldo, io sarei dovuta partire e tu non dovevi essere lì; ma cosa cazzo è mai importato a noi degli schemi?
noi abbiamo sempre sabotato tutto; gli schemi, la noia, tutto. so che ci siamo tenuti sempre, senza dircelo, però che spreco e che nostalgia.
oggi non è facile essere liberi, non lo è per niente e vorrei scrivertelo, ma non trovo le parole e ho pure paura di sbagliare. credo nelle corrispondenze invisibili, tipo telefono senza filo; perché comunicare a parole se si è interconnessi?
non riesco a chiudere occhio, ma per favore, se provo a dormire, esci dalla mia testa per un po'?
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bustadicarta · 1 year
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Non va tutto bene, ho provato a fingere,
Dipingendomi il volto come un clown
Per renderti felice
Ma il mostro mi divorava dentro
Ho provato a fare di meglio
Ma non era mai abbastanza
Sola con le mie lacrime le mie paure
Il mostro cresceva e mi trascinva con se
E non dirmi che cosa c'è che non va
Ti ho aspettato
ti ho aspettato dentro quel armadio in cui mi nascondevo per farmi trovare da te
Il mio dolore non era finto
Ho nascosto le mie lacrime sul fondo di una bottiglia
E ho riso quando volevo solo urlare
Ho perso la speranza
E il mostro non faceva che crescere
Ero a terra ti aspettavo
Avevo toccato il fondo
Speravo mi salvassi
Mi hai usato, hai usato il mio mostro per mostrarti come la mia vittima
Quando la tua indifferenza
Il tuo non amarmi
Mi bloccava in quel armadio
Ti ho aspettato
Ho sperato mi liberassi
Mentre il mostro mi divorava
Non mi mai amato
Non mi hai mai voluto
Ero solo una pedina per il tuo gioco corrotto
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kon-igi · 2 years
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COLD HEART IN A COLD CRUEL WORLD
Tenevo i piedi appoggiati sulla scrivania, la sedia inclinata.
Una bottiglia quasi vuota di bourbon filtrava il giallo sporco della luce del sole morente di un pomeriggio di tardo autunno newyorchese in riflessi ambrati che facevano sembrare le ragnatele polverose del mio ufficio quasi piacevoli.
Bevetti l’ultimo sorso, liscio - la macchina del ghiaccio in quel condominio fatiscente aveva tirato le cuoia in una notte di mezza estate - e mi scottai il labbro aspirando con disincanto l’ultimo millimetro della mia Pall mall senza filtro.
Il crimine non dorme mai - pensai, guardando la brace spegnersi - ma ultimamente doveva star facendo un pisolino con gli occhi aperti perché nessuno aveva più bussato sulla porta a vetri con su scritto OTAVIRP EROTAGITSEVNI - ZTIWOKCAJ NOMOLOS.
Perlomeno, quello era ciò che leggevo io, dalla parte sbagliata del vetro ma forse la mia vita era proprio quello: sperare che la gente si affidasse a uno che vedeva il mondo come un riflesso distorto della realtà.
Accesi un’altra Pall Mall.
Improvvisamente la porta si spalancò con un tintinnio di vetri polverosi e le gambe più lunghe e lisce di tutta la vecchia Mela portarono dentro una bionda boccolata di fresco, con un golfino aderente e una minigonna così corta che mi pareva di sentire ansimare Padre Connoly a sette isolati di distanza. Le labbra corrucciate sembravano capaci di sbottonare la cerata di un marinaio durante una tempesta col mare a forza nove e quelle tette prepotenti non avevano certo bisogno di un reggiseno per suggerirti di...
Mister Jacowitz... sta parlando a voce alta - fece lei.
Questo è il problema di aver dato le ferie alla mia segretaria - risposi, togliendo i piedi dalla scrivania e tendendo il nodo alla cravatta sgualcita - niente più macchina da scrivere pestata con stizza a coprire il suono dei miei pensieri. Cosa posso fare per lei, Mrs...?
Miss Fiona Birdwisthle - disse lei, premurandosi di stendere con finta noncuranza le dita prive di anello - e lei deve aiutarmi a ritrovare una persona.
- Chi, un fidanzato che ha cambiato idea all’ultimo momento? Un barboncino dimenticato in qualche boutique?
No, Mister Jackowitz - fece lei, una lacrima di rabbia che faceva capolino tra le sue lunghe ciglia vellutate - qualcuno che ha avuto torto su internet!
Sibilai il mio disappunto a denti stretti - Forse dovrebbe rivolgersi alla polizia... io sono solo un investigatore privato e l’ultima volta che mi sono occupato di un caso simile mi sono ritrovato sanguinante in vicolo mentre guardavo il lato sbagliato di un tubo di piombo brandito dall’amministratore di una pagina facebook di complottisti no-vax con 125.000 iscritti.
Ti prego, Solomon! - fece lei, passando al tu e innaffiando il mio cuore tenero con una cascata di lacrime damascate di mascara - Si tratta di un bruto che commenta sempre i miei post e i miei video in modo ironico e senza nemmeno mettermi un like! 
Come si chiama? - chiesi aprendo il cassetto della mia scrivania e facendo scivolare la 38 nella fondina ascellare.
Non lo so... deve aver creato molti profili falsi ma io so che è la stessa persona! Ti scongiuro, Solomon... non posso sopportare l’idea che su internet ci sia qualcuno che abbia torto!
- Bambolina... non sono a buon mercato ma quando si tratta di una bionda triste e in pericolo tolgo il portafoglio dalla tasca destra della giacca e lascio battere forte il cuore. A caso chiuso mi basta una cena romantica e candele lasciate consumare sul tavolo mentre in camera si balla. Ora torna a casa e lasciami fare qualche domanda in giro.
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La notte era calata sulla città che non dorme mai come una battona che annusa il giorno di paga degli scaricatori portuali ma io sapevo dove trovare le giuste informazioni su questo tizio. Solo che a rimestare tra la feccia dei bassifondi qualcosa di puzzolente ti rimane sempre attaccato alla suola e a me non piaceva lustrarmi le scarpe.
La sala scommesse di Bertie a Hell’s Kitchen ti pestava un occhio come un brillante falso incastonato sull’incisivo marcio di un pappone portoricano ma tutti sapevano che quella era solo un’attività di copertura. Bertie era un informatore della polizia postale e dio solo sa quanto le sue conoscenze gli avessero più di una volta salvato il culo... non puoi far chiudere migliaia di profili flaggandoli di segnalazioni e sperare che qualche stronzo disperato non ti venisse a scaricare un canne mozze nel culo.
Trovai Bertie nel suo fumoso ufficio sul retro, circondato da blogger di Only Fans che avevano cliccato ‘Ho 18 anni’ quando erano in seconda media.
Ciao, Bertie - feci io, chiudendomi la porta alla spalle.
Hey, Sol! - starnazzò lui - Se sei venuto per quella storia del furto di profilo, io non c’entro nulla! Voglio dire... non puoi mettere come password 12345 e poi lamentarti che qualcuno ti fotte l’identità. È come chiederlo a voce alta!
Un po’ come tu mi stai chiedendo di massaggiarti le gengive con questo crick? - sibilai io, avanzando verso la scrivania. Le ragazze si dileguarono veloci come se avessero sentito la campanella della ricreazione.
- Eh.. no... calmati Sol, sennò chiamo ad alta voce i fratelli Di Salvo e arrivano qua in un momento a farti il culo!
- Dove credi che abbia preso questo crick, Bertie? Dal bagagliaio della tua Dodge Charger dove ho messo a dormire sogni emicranici i tuoi stupidi gorilla. Tu lo sai chi sto cercando, Bertie?
L’ometto stava sudando e si agitava come il tipo con la tromba in un complesso Mariachi - Senti Sol, te lo giuro su dio... io me ne sono tirato fuori perchè non ne volevo sapere nulla! La persona che stai cercando è poco raccomandabile! Chiunque abbia provato a ribellarsi o a montargli una shitstorm contro adesso riposa in fondo alla baia con un paio di scarpe di cemento! Chiedilo a Edna la Zozzona... sicuramente lei se l’è scopato!
Edna la Zozzona. Se alle puttane intitolassero le vie allora dovrebbero dare il suo nome alla Interstatale 90. Una volta hanno dovuto mandare uno speleologo a recuperare il ginecologo che la stava visitando. Edna la Zozzona... se avevi un cromosoma Y ti aveva scopato. In realtà ti aveva scopato anche se respiravi. O se avevi respirato fino a qualche giorno prima. 
La trovai seguendo il cigolio arrugginito che facevano le sue gambe mentre mostrava la mercanzia tra la Brodway e Madison Avenue. Ciao, Edna - feci io, mantenendomi a distanza di sicurezza dalla ventosa - come vanno gli affari al mercatino dell’usato?
- Quanto sei spiritoso, Solly... eppure non mi sembrava proprio che qualche anno fa tu mi disprezzassi!
- Ti stai confondendo col mio bisnonno, Edna... mi hanno dato il suo nome. Pensa che ha preferito disertare e unirsi all’esercito austro-ungarico che farsi trifolare un’altra volta da te. Ma adesso basta convenevoli... sto cercando un tizio che ha torto su internet. Lo conosci?
- Hai descritto il 99% delle persone che stanno su internet. O perlomeno così afferma l’altro 99%.
- E quell’un per cento invece ha ragione?
- No. Hanno un Motorola Star Tac che non si connette a internet. Comunque cosa ti fa credere che sia un lui? Secondo recenti ricerche il 40% di che perpetra online harassment è di sesso femminile e il gender gap si colma fino quasi a invertirsi se l’oggetto dell’odio è un’altra donna. Oltre a essere più intelligenti noi donne sappiamo essere anche più cattive. Ti ricordi quella battona che stava a Brighton Beach, quella che ebbe un’attacco di dissenteria mentre faceva una gang bang con quel gruppo di seminaristi? Ecco, sul suo profilo Tinder il giorno dopo qualcuno...
La lasciai a parlare da sola, ancora più confuso di prima, quel tipo di confusione che si poteva dipanare solo con una tequila da El Barrio, idea che misi subito in atto.
Mentre ero seduto al bancone e dissertavo tra me e me di massimi sistemi - cioè se si dovesse ciucciare prima il limone o il sale - Miguelito, il proprietario del locale, mi urlò dalla cucina - Soooool! C’è una chiamata per te!
Trangugiai la tequila e presi la cornetta del telefono sul bancone - Pronto.
La voce all'altro capo del filo era quella del sergente Curtis della Squadra Omicidi, che mi doveva un favore per quella soffiata sul fantino zoppo dato trenta a uno (l’avevo azzoppato io).
- Solomon... stai ancora cercando quello che aveva torto su internet? - Cercando ma non trovando, Curtis. - Beh... qualcuno che risponde a quella descrizione è stato appena portato in obitorio. Faresti bene a fare subito un salto.
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L’anatomopatologo tolse il lenzuolo dal corpo e l’illuminazione cruda dei neon non mi risparmiò nemmeno un particolare. 
Lavoro brutale - dissi - ma non da professionisti. Chi gli ha fatto questo aveva un conto in sospeso con il poveraccio ma poi si è lasciato prendere la mano. Se fosse sopravvissuto di sicuro non avrebbe più sbloccato il suo iphone col riconoscimento facciale.
Mister Jackowitz - mi fece il coroner, mordendo nervosamente l’asticella dei suoi occhiali in tartaruga - le posso parlare con franchezza? Non lo scriverei mai tra le cause di morte sul referto autoptico ma anche se all’apparenza il cadavere appartiene a una persona che aveva torto su internet, in realtà io mi sono fatto un’altra idea.
- E cioè?
- Lo sguardo vitreo, le narici dilatate, le escorazioni da tastiera sulla punta delle dita. Questa non è una persona che aveva torto su internet... questa è una persona che voleva avere ragione su internet!
Poi sollevò una busta trasparente - Questo è l’unico effetto personale trovato sul corpo. Una catenella da collo con una lettera. Ha idea cosa possa significare, Mister Jackowitz?
E improvvisamente l’ultimo pezzo del puzzleandò al suo posto, con un rumore simile a quello della porta metallica di una camera a gas che si chiude dietro il condannato 
- Sì... che probabilmente il prossimo cadavere sul suo tavolo sarà il mio.
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Dio stava giocando a biliardo e dai lampi che illuminavano il mio ufficio, subito seguiti dal tremolio dei vetri scossi dal tuono, stava perdendo alla grande. 
La porta cigolò lentamente e poi lei era lì, una silhouette d’ombra, vestita di una pelliccia bianca che nella penombra vibrava di energia elettrostatica. O forse era la carica elettrica sospesa tra noi due, palpabile nell’aria come prima di una tempesta di sesso.
- Solomon... sono venuta appena mi hai chiamato! Hai trovato chi aveva torto su internet?
- Diciamo che l’ho trovato. Interessante che tu ne stia parlando al passato, visto che giace stecchito in obitorio... ma tu non lo potevi sapere.
- Oh, Solomon... allora non potrà farmi più nulla! Sono una donna libera! Libera di postare i miei contenuti originali senza essere più perseguitata dalle critiche!
- Vedi, baby... non so se mi abbia più ferito il fatto che tu mi abbia usato per farlo uscire allo scoperto e arrivare fino a lui per farlo fuori oppure che io ci sia caduto a pie’ pari come un allocco che ha danzato inturgidito al battito delle tue ciglia.
Ma cosa stai dicendo Solomon?! Tu mi hai salvato e io mantengo sempre le mie promesse... - e con un sinuoso gesto delle spalle fece cadere a terra la pelliccia. Sotto indossava solo il piercing all’ombelico. Si avvicinò lentamente e con una mano cominciò ad allentarmi il nodo della cravatta.
- Non era lui ad avere torto, zuccherino... eri tu che non sopportavi l’idea che la sua ragione fosse migliore della tua!
Qualcosa si ruppe nel suo sguardo seducente - Oh ma guarda... sei solo contento di vedermi oppure il duro che senti in mezzo alle gambe è la mia calibro 22 premuta suoi tuoi gioielli di famiglia?
Cristo! - sussurrai - La mossa Kansas City... guardi le tette a destra e non ti accorgi della pistola a sinistra!
- Potevamo essere felici io e te Solomon... avere un profilo condiviso, metterci i like a vicenda. Ma come hai fatto a capirlo?
Allungai una mano e con le dita sollevai il ciondolo che portava al collo - Il tizio morto. Ne aveva uno uguale al collo. Quando sei venuta la prima volta ero troppo distratto dalle tue tette ma poi ho ricordato, quasi troppo tardi.
Quasi?! - sibilò lei di rabbia - Ma È troppo tardi!
- Dimmi, piccola... cosa significa quella t minuscola? Tumblr? Dovevo capire che mi stavo infilando in un covo di narcisisti esagitati che si masturbano l’ego a colpi di reblog...
La pressione della canna della sua 22 aumentò in modo preoccupante - Senti, brutto stronzo! Ho più di 10.000 follower e ogni mio post viene rebloggato perlomeno...
Mi spiace, zuccherino - feci io con tono triste, guardando sopra la sua spalla sinistra.
- Cos...
E la 38 fece fuoco dalla tasca destra della mia giacca.
Fiona lasciò cadere la sua pistola e mi fissò con un oceano di stupefatta incredulità negli occhi - Come hai potuto farmi questo, Solomon? Io... io avevo ragione e lui aveva torto! 
Lei stava andandosene nel regno del grande mistero e avevo poco tempo - Pupa, il paradosso di Popper è un non sequitur concepito per mettere in risalto l’impossibilità di delineare un confine preciso tra il totalitarismo di chi parteggia per un numero sufficiente di persone che abbiano formalmente ragione e la fazione minore di chi invece è incasellato tra coloro che hanno torto ma che in virtù del loro egotismo riflesso contaminano la discussione trasformandola in una schermaglia infinita e sterile dove la reductio ad hitlerum si manifesta fin dalle prime battute.” 
Forse era troppo sottile ma mentre la luce le si spegneva negli occhi credo che alla fine abbia capito.
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rraskolnikovv · 1 year
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e all’improvviso flashback potente e sono ancora a Praga alle due del mattino di quel 6 agosto, seduta per terra sul marciapiede al bordo della strada, disperatamente in lacrime davanti al nostro ostello mentre accetto una bottiglia di vino bianco da uno sconosciuto che passando mi aveva vista particolarmente giù di morale.
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sorrisicollaterali · 1 year
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Hai mai pianto quelle lacrime? Quelle in cui il cuore di leggero non ha nulla con i singhiozzi a intermittenza per buttare fuori tutto. Così mi sono immaginata queste pagine.
- Lacrime in Bottiglia
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shambelle97 · 1 year
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Il liquido dolciastro dell’idromele scorreva a fiumi sul suo corpo, lasciandolo precipitare in un baratro di accecante follia e disperazione.
La maschera colma di alterigia e superbia era caduta in maniera definitiva.
Per mesi osò sfoggiarla, riscontrando ottimi risultati.
Tuttavia la situazione peggiorò col passare del tempo, costringendolo a rinchiudersi nelle proprie stanze.
Neppure Thor e il resto della famiglia riuscì a risollevargli il morale.
Il matrimonio con Sigyn sfumò a causa di un equivoco: un fraintendimento che la obbligò a lasciarlo.
Ella fuggì da quella sontuosa dimora, evitando di lasciare possibili tracce.
Tutte le notti bramava un tocco che non esisteva più.
Esse sembravano più lunghe e gelide.
Pregò affinché potesse tornare a stringerla.
E Lingua D’Argento non aveva mai supplicato nessuno.
La sua secolare esistenza era mutata in un vero e proprio inferno da quando lei se n’era andata.
Non avrebbe potuto reggere ancora per molto.
Molte donne incrociarono il letto del secondogenito, però solo la sua meravigliosa sposa riuscì ad appagarlo realmente.
Fugaci avventure senza importanza.
Accettare la loro relazione non fu affatto semplice.
Scoperto l’inganno, entrambi furono esiliati da Asgard per un anno.
Midgard disponeva di scarse risorse.
I coniugi dovettero cavarsela senza ricorrere alla magia: una terribile punizione imposta da Odino.
Le nobili gesta nei confronti degli umani permisero di rincasare al Regno Dorato.
Costui provò a reggersi in piedi, aggrappandosi allo scrittoio malandato.
Si guardò allo specchio, notando solo il riflesso di un fantasma.
Il vetro era in frantumi come la sua anima.
Quei riccioli neri così ordinati e perfetti, lasciarono spazio ad un paio di ciocche disordinate e malcurate.
Il bel volto del principe cadetto assunse un colorito più pallido del normale.
Le iridi smeraldine erano vitree e spente, circondate da vistose occhiaie.
Fu allora che un lieve scricchiolio della porta lo fece voltare lentamente…dinnanzi a lui c’era nientemeno che suo fratello.
“Guardati, Loki: guarda come ti sei ridotto.”
Proferì mesto, denotando un’aria sconvolta.
Il minore accigliò il proprio sguardo, ordinandogli perentoriamente di uscire.
“Che ne è stato di mio fratello? Colui in grado di ostentare un atteggiamento fiero, nonostante le avversità?”
Si chiese più a sé stesso che a lui, desideroso di aiutarlo con ogni mezzo.
“La sofferenza è tutto ciò che ne rimane.”
Ringhiò furente in preda ai postumi dell’alcol: se non avesse bevuto avrebbe ricorso alle solite menzogne, negandone l’evidenza.
Thor si limitò a scrutare ogni angolo della stanza.
Era circondata dal buio a causa delle pesanti tende scure e la pregiata mobilia godeva di pessime condizioni.
“Lascia che ti aiuti, fratello: non riesco a vederti in uno stato così pietoso.”
Riprese il Tonante, guadagnandosi una risposta sprezzante da parte del minore.
“Se pensi che mi stia crogiolando nell’autocommiserazione, stai commettendo un terribile errore. Non ho alcun bisogno del tuo aiuto, tantomeno della tua misera compassione.”
Gridò iracondo, con gli occhi velati dalle varie lacrime.
Dopodiché afferrò la bottiglia, frantumandola alla parete.
“Ti ordino di fermarti!”
Ammonì il primogenito, bloccandogli i polsi.
Il più piccolo svenne tra le sue braccia, necessitando di urgenti cure mediche.
Tre guaritori si avvicinarono a costoro, deponendolo in un’apposita barella.
Era opera di Frigga se giunsero al momento opportuno.
Il Dio del Tuono prese la decisione di recarsi personalmente a Vanaheim.
Bisognava riferire a Sigyn delle disperate condizioni del marito.
Da otto mesi risiedeva alla terra natia, vivendo in compagnia della madre.
Bjorn preferì ripudiare entrambe dopo lo scandalo che riguardava la sua unica figlia e il principe cadetto della Città Eterna.
Sigrid non l’avrebbe mai abbandonata.
Si avviò in direzione delle stalle, alla ricerca del suo fidato cavallo.
Fu lesto ad inserire le redini.
Montò in sella, impartendo al destriero dal manto bianco di partire.
L’animale galoppò verso il Bifrost a gran velocità.
Heimdall si accorse della sua presenza, intuendone le intenzioni.
Il Signore dei Fulmini scese dal quadrupede, riferendo al guardiano la meta prestabilita.
“Ho saputo di vostro fratello: sono davvero costernato.”
Pronunciò con velato dispiacere, inserendo la spada per attivare il pieno potere del ponte.
“Lei ha sofferto in codesti mesi: ricondurla ad Asgard non sarà prudente.”
Aggiunse l’uomo dalla carnagione scura in tono amaro.
“È un rischio che bisogna correre per il bene di entrambi: Sigyn non sarà affatto lieta di sapere come stia l’uomo che ama. Loki ha lottato con le unghie e con i denti per conquistare il suo cuore, impedendo a quell’idiota di sposarla...non lascerò che anneghino nelle loro sofferenze; il loro amore è solido.”
Illustrò determinato, sperando in cuor suo di portare a compimento la missione.
“Allora non mi resta che augurarvi buona fortuna.”
Replicò la sentinella, attivando il meccanismo.
Il fascio multicolore lo avvolse per intero, spedendolo nel regno dei Vanir.
Percorse le vie della città, chiedendo indicazioni ai passanti.
Fu un povero contadino ad accompagnarlo.
Le due donne abitavano in aperta campagna, lontane da occhi indiscreti.
Il figlio di Odino gli offrì alcune monete d’oro per ringraziarlo.
Bussò alla piccola porta in legno, ritrovandosi l’esile figura della cognata.
“Non mi aspettavo di vederti: prego, entra pure.”
Lo accolse con innata cordialità, facendolo accomodare.
“Gradisci qualcosa?”
Chiese la dama, tentando di offrirgli un liquore tradizionale della zona.
Egli rifiutò senza troppi ripensamenti.
“Loki non sta bene.”
Disse d’un tratto, rischiando di temere il peggio.
Sigyn sgranò le gemme azzurre per lo sconvolgimento.
“Non nominarlo mai più: se sei giunto fin qui per parlarmi di lui, puoi anche andartene.”
Thor non demorse, invogliandola a dargli ascolto.
“Sta soffrendo senza di te: non esiste un giorno in cui si riduce in stato di ebbrezza, distruggendo sé stesso sia a livello fisico che mentale.”
Spiegò affranto, ottenendo una replica da parte della giovane.
“E credi che me ne importi qualcosa? Quel bugiardo di mio marito ha osato dilettarsi con una squallida cortigiana nel giorno delle nostre vere promesse nuziali al termine del nostro esilio sulla Terra, fingendo di amarmi!”
Inveì, piangendo a dirotto: era giunta l’ora di raccontare la reale versione dei fatti.
“Sbagli, Sigyn: Lorelei lo ha baciato di proposito. Ha agito per vendetta dopo ciò che accadde al compleanno di mio padre un anno fa…non aveva digerito l’idea di essere stata usata solo per i suoi secondi fini. Loki ha rischiato tutto per te, dovresti saperlo.”
La Dea della Fedeltà conferì un chiaro e preciso ordine, asciugandosi le lacrime.
“Portami da lui: ho bisogno di chiarire tale questione.”
Il maggiore abbozzò un sorriso, attendendo che Sigyn ultimasse di scrivere un biglietto nei confronti della madre.
Varcarono l’uscita, permettendole di reggersi a lui.
“Heimdall, quando vuoi!”
Formulò a gran voce, sparendo oltre il fascio luminoso per tornare indietro.
Rincasarono all’osservatorio, rivolgendo i propri saluti al proprietario.
“Bentornata ad Asgard.”
Esordì il guardiano del ponte, dandole un sincero bentornato.
La moglie del cadetto ringraziò senza esitazione.
Salirono in groppa al destriero, incamminandosi verso Valaskjalf.
Gli Einherjar si inchinarono al loro cospetto.
Furono lesti a lanciare occhiate stupite nei riguardi di colei che ancora ricopriva il ruolo di principessa.
Frigga li accolse a braccia aperte, conducendoli alla Camera della Guarigione.
“Il principe Loki ha ingerito una dose massiccia di idromele, rischiando il peggio. La procedura di disintossicazione è terminata un’ora fa. Necessita di assoluto riposo in questo momento…potete visitarlo non appena si sveglierà.”
Sentenziò Eir, monitorando la salute del Fabbro di Menzogne.
“Per quanto tempo rimarrà sotto osservazione?”
Domandò la Vanir, preoccupata per le sue sorti.
L’amore che provava per il Dio dell’Inganno non aveva mai cessato di esistere.
“Se le condizioni miglioreranno, verrà dimesso oggi stesso.”
Informò l’anziana guaritrice, lasciandoli soli per qualche attimo.
Il paziente si svegliò dieci minuti più tardi con indosso una maglia di lino verde bosco e dei pantaloni in pelle nera.
Gli smeraldi del corvino si posarono nello sguardo di Sigyn, manifestando una spaventosa freddezza.
Una rabbia che avrebbe tentato di reprimere ad ogni costo.
Era colpa sua se il raziocinio ebbe modo di abbandonarlo.
Da sempre paragonava un sentimento come l’amore ad uno splendido pugnale.
Un’arma a doppio taglio, pronto a lasciarlo sanguinare alla prima occasione.
Tale comportamento non le piacque per nulla.
Comprese di aver effettuato un viaggio a vuoto, rimpiangendo la tranquilla vita nelle campagne di Vanaheim.
Corse via, allontanandosi da quella maledetta stanza.
Sostò vicino ad una colonna, sfogando il dolore che le attanagliava il petto.
Un pianto disperato e al contempo liberatorio.
Era evidente che non l’amasse più.
L’Amica della Vittoria si concesse una passeggiata nei pressi dei giardini reali per riordinare le idee.
Ammirò alcune rose, inspirandone il profumo.
Rammentò il loro primo incontro come se fosse ieri: un battibecco scaturito da un innocuo scherzetto.
Avrebbe voluto ritrovarselo accanto, ripetendo l’illusione del serpente attorno al braccio.
E infine stringerla a sé, chiedendole di fare l’amore con lui.
Pianse a quel ricordo, guardando in faccia la realtà.
Niente sarebbe più tornato come prima.
La voce dolce della sovrana la riscosse dagli amari pensieri.
Costei si rincuorò che fosse ancora nei paraggi.
“Sei una donna forte, Sigyn: non lasciarti sopraffare dal timore dell’abbandono. Per quanto possa sembrare cinico e spietato, mio figlio non ha mai smesso di amarti.”
Garantì onesta, sperando di essere persuasiva.
Sigyn scosse la testa in disappunto.
“No, Altezza: il nostro amore si è rivelata una mera illusione. Tornerò a Vanaheim entro domattina.”
Annunciò atona, voltandole le spalle.
La regina non si arrese, scorgendo l’animo ferito della fanciulla.
“Lascia che ti dica una cosa: non rinuncerà mai a ciò che gli appartiene. Fingere è nella sua natura.”
Concluse la regnante, esortandola a rientrare.
Eseguì quanto detto, venendo accompagnata agli alloggi che fino a otto mesi prima condivideva con il consorte.
Notò l’eccessivo disordine, intristendosi di colpo.
Persino i cocci della bottiglia rimasero al loro posto.
“Loki rientrerà questa sera: tra poco giungeranno le ancelle per ripulire le vostre stanze. Nel frattempo concediti un po’ di sano riposo.”
Consigliò Frigga con fare materno.
Al calar della sera, la bionda si nascose nella camera riservata agli ospiti.
Udì i passi felpati dell’amato, dirigersi verso la piccola stanza.
Rimase dietro la soglia come se avesse intuito che ci fosse qualcuno al proprio interno.
Non ebbe il coraggio di manifestarsi al Dio dei Misfatti: temeva che l’avesse ferita con quella lingua sagace e tagliente.
La scaltra divinità si recò in refettorio dopo interminabili minuti a fissare la porta.
Sigyn non si degnò nemmeno di cenare, sdraiandosi sopra il divano.
Scivolò in un sonno privo di sogni.
Un paio di affusolate dita sfiorarono le ciocche lucenti, ridestandola dallo stato dormiente.
Due familiari specchi d’acqua si limitarono ad osservarla.
“Credevi che non lo sapessi? Credevi che non fossi al corrente della tua incantevole presenza, mia adorata moglie?”
Incalzò l’Ingannatore con una lieve nota canzonatoria.
Non era intenzionato realmente a schernirla, ma chiarire la difficile situazione tra loro.
La rabbia scemò appena la vide dormire sullo scomodo divanetto.
Desiderava riaverla nel proprio giaciglio, imprigionandola in una morsa protettiva.
Inspirare l’odore di miele dei capelli, spingendolo a bramare qualcosa di più profondo.
Il battito accelerò, venendo scossa da brividi di puro terrore.
Loki se ne accorse, riservandole un abbraccio.
“Non voglio recarti alcun male: desidero solo riavere al mio fianco la donna che ho sposato.”
Mormorò sincero, asciugandole una lacrima col dorso del pollice.
“Mi ami tuttora, Loki di Asgard?”
Costui la baciò intensamente, annuendo attraverso il romantico gesto.
Non avrebbe mai osato tradirla, nonostante tale natura gli imponesse di farlo.
L’avrebbe protetta per sempre.
Si era pentito amaramente di rivolgerle determinati pensieri.
Pensieri scaturiti da un atroce dolore.
La sollevò in braccio, conducendola al letto matrimoniale.
Slacciò frenetico i lacci del corsetto, liberando i seni dolci e rotondi della sua bellissima moglie.
Un’occhiata lasciva e maliziosa trapassò lo sguardo febbrile della ragazza.
Accennò un lieve sorriso, abbandonandosi a quell’erotico contatto.
Roteò la lingua attorno all’areola destra, suggendole il capezzolo...stesso procedimento avvenne col secondo.
Sigyn gemette in preda alla libidine.
Si spogliarono dei loro abiti, liberando il sentimento.
Una lunga scia di baci percorse ogni singola curva della donna.
Risalì verso il collo, lambendolo e baciandolo con sfrenata passione.
Invocò il suo nome, beando le orecchie del Dio.
Invertirono le posizioni, permettendo alla graziosa vanir di esercitarne il controllo.
Le ciocche dorate ondeggiarono in maniera selvaggia ed elegante.
Loki rimase folgorato da una simile bellezza.
Aveva atteso quel momento da troppo tempo.
Una bramosia incessante e corrosiva da renderlo instabile, quasi folle.
La Dea della Fedeltà si dilettò a farlo impazzire.
Sfiorare i candidi pettorali si rivelò l’assoluto punto debole.
Osò chinarsi per baciarglieli, concedendo all’amato di gemere senz’alcun contegno.
“Mia piccola e insolente Vanir: non hai la minima idea di quanto abbia sentito la tua mancanza.”
Sussurrò sfacciato e voluttuoso, confessando i propri sentimenti.
La razionalità lo abbandonava ogni volta che faceva l’amore con lei.
“Anche tu mi sei mancato, amore mio: perdonami per non aver creduto alle tue parole. Per non averti dato ascolto.”
Ambedue le divinità passarono gli ultimi mesi, costituiti da un inferno colmo di disperazione.
Tuttavia non si sarebbero riconciliati quella notte, soddisfacendo soltanto dei puri piaceri carnali.
Continuarono ad amarsi, finché l’orgasmo non li colse in pieno.
Le lenzuola sgualcite furono testimoni dell’amplesso appena consumato.
L’Ase assunse una posizione supina, lasciando che Sigyn poggiasse la propria testa sul suo petto.
L’oscuro mago carezzò la morbida consistenza dei capelli d’oro per rilassarla.
“Per quanto possa godere della perfetta fama di bugiardo, tradire la mia splendida consorte non rientra tra i miei subdoli piani.”
Garantì l’asgardiano, proseguendo con le docili carezze.
Una sincerità che manifestava solo quand’era in sua compagnia.
“Thor mi ha narrato ogni cosa: ho agito impulsivamente senza concedere la possibilità di spiegarti. Sono consapevole d’aver sposato il temibile Dio dell’Inganno per ben due volte, ma di avere al mio fianco anche un uomo che cerca di essere onesto e sincero a modo proprio.”
Lo sposo sorrise, baciandole il capo.
Un sorriso genuino, destinato solo ed esclusivamente alla sua signora.
“Non ti lascerò andar via: non più.”
Ribatté risoluto, voltandola a sé per assaporare di nuovo quelle labbra vellutate.
Una nuova ondata di erotismo li travolse, riprendendo coi passionali amplessi.
Si amarono fino all’alba, scivolando in una tranquilla e dolce dormita.
Due cuori indissolubilmente intrecciati che ritrovarono il loro equilibrio nel mondo.
                                           𝑭𝒊𝒏𝒆
 One Shot:
~ Mischief And Fidelity ~
Name Chapter:
~ Hell Is Living Without You  ~
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decadence-brain · 2 years
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un tranquillo weekend di tristezza
Era sabato, chiuse la porta della casa di sua madre alle spalle e si avviò, scuro in volto, verso casa. Entrò l'aria pesante e scura, scura come i suoi pensieri, tolse le scarpe e si avviò scalzo verso la cucina prese dal frigorifero una bottiglia di vino bianco, tolse il tappo e andò in bagno si spogliò e bevve il primo sorso, poi tornò in cucina mise su una padella con poco olio e un cipollotto tagliato finemente, girava così nudo per casa senza pensare al bello o brutto che lo aspettava in quella notte bianca. Fece soffriggere poco la cipolla (altro sorso dalla bottiglia) a parte aveva messo un pentolino dove preparò del brodo di pesce, andò in bagno e aprì l'acqua della vasca poi di nuovo in cucina il brodo bolliva aggiunse mezzo cucchiaino di curcuma mescolò e poi spense (altro sorso di vino) andò a immergersi nella vasca. La vasca da bagno orrido posto pieno di pensieri rimase così immerso nel tiepido dell'acqua mentre continuava a bere, si lavò si asciugò alla bene meglio e uscì dal bagno prese dal freezer una manciata di gamberetti riaccese il fuoco sotto la padella mise a tostare tre manciate di riso (altro sorso) poi aggiunse il brodo e i gamberetti mise su le cuffie del lettore mp3 e fece partire la musica, aveva scelto sandali jeans e una larga camicia bianca, tornò in cucina il riso era cotto e il vino finito ma non aveva fame, prese il riso e lo mise in un contenitore (l'indomani il gatto avrebbe mangiato bene) fece scendere l'ultima goccia di vino si vestì e uscì in strada. La strada era deserta dalle case con le finestre aperte si sentivano le trasmissioni tv, scosse le spalle mise le cuffie e salì in auto. Arrivò nella piazza del paese dove sul palco stavano portando a termine le operazioni di sistemazione degli strumenti, solo con i pensieri colore dell'inchiostro si avviò verso uno dei chioschi che vendevano bevande "una media rossa.. grazie" la musica andava e lui non sapeva nemmeno a cosa pensare, sapeva del suo destino questo essere l'artefice della morte di ogni suo sogno un attila l'unno per se stesso, sradicava ogni cosa buona le passasse accanto, forse per paura di perderla la annientava prima, la escludeva pur sapendo di fare la cosa più sbagliata per se stesso e per gli altri d'altronde cosa poteva dare se non tristezza e lacrime? si mise accanto a un albero così seduto osservava il muoversi della gente sul palco senza sentire altro oltre la musica che aveva alle orecchie arrivarono i primi musicisti osservò che era strano molta gente tende a arrivare mentre lui era sempre quello che se ne andava tolse le cuffie quando iniziò il concerto ma la birra era finita quindi diresse i suoi passi verso un altro chiosco "una media rossa.. grazie" la musica era invitante ma era troppo triste per ballare, avrebbe voluto lei ma lei non c'era ne mai ci sarebbe stata  continuò a bere birra finché le gambe decisero che era ora di iniziare la danza, si alzò tolse i sandali e iniziò a danzare lui e la sua compagna di sempre la solitudine, la gente guardava stranita quell'uomo che danzava quella triste danza, era come se avesse perso qualcosa, parte dell'anima era li di fronte a lui la vedeva ma non poteva toccarla, inconsistente come un sogno, un' allucinazione lei rimaneva li immobile e osservava la sua danza, cominciarono a scendere lacrime sul volto dell'uomo che continuava però a ballare e bere birra lui non si accorse del tempo che passava e così si arrivò alla fine dei concerti per nulla turbato mise le cuffie e continuò a danzare per quella donna, a piangere di desiderio e solitudine, alcuni iniziarono a ridere di quello strano personaggio altri no rimanevano in silenzio a osservare il dolore di quell'uomo, finirono anche le pile, i chioschi erano chiusi, rimise i sandali e si avviò a piedi verso casa, arrivò che albeggiava entrò e si buttò sul letto e di nuovo lei apparve così bella come sempre come era ancor prima che lui sapesse della sua esistenza si addormentò.
Erano le nove della domenica quando parti un antifurto "cacchio la grigliata" non che lo facesse impazzire l'idea ma l'avevano invitato quindi si alzò, entrò in bagno si lavò poi uscito andò in cucina a bere un piccolo sorso di grappa sciacquando la bocca dal gusto del dentifricio, si vestì prese il solito marsupio a spalla con un block notes una matita una penna il lettore mp3, prese il contenitore di riso per il gatto e uscì di casa, arrivò alla macchina che aveva lasciato la sera prima parcheggiata nel centro del paese si diresse a casa dei suoi per la pappa del gatto quindi partì alla volta della grigliata. Arrivò che ormai nessuno lo aspettava più (come sempre) raccolse le solite battutine del caso è andò a far legna le cuffie trasmettevano alle sue orecchie chopin e lui tagliava legna con l'accetta una volta finito si caricò il fascio di rami e tornò verso gli amici posata la legna prese una bottiglia d'acqua e andò a sedersi all'ombra di un albero guardava la gente semi spogliata buttata al sole si sentiva come in terra straniera non afferrava nulla di ciò che gli succedeva intorno rimise le cuffie, prese il block notes e la matita e cominciò a ricreare quello che vedeva intorno a se ma nel suo disegno gli alberi non erano verdi e pieni di foglie, nel suo disegno era inverno, la stessa stagione che sentiva dentro di se. C'era una ragazza lui iniziò a disegnarla ma per tanto che si impegnasse il lineamenti non erano i suoi i lineamenti erano di un altra lei girò pagina e riprese, a un certo punto la ragazza si avvicinò "ci conosciamo? è da un po’ che mi guardi.." "no... non ci conosciamo stavo cercando di disegnare il tuo viso, ma non riesco" "ho dei lineamenti così difficili da disegnare?" "no... il fatto è che in testa ho un altro viso" "ah capisco la tua donna, la donna che ami" "no non la mia donna a parte che non ho mai avuto donne di proprietà (sorrise)" lei rispose al sorriso.. "posso sedermi un po’ qui con te?" "certo se non sporchi però" sorrisero entrambi. Finalmente lui riuscì a disegnarla mentre parlavano del più e del meno la invitò a unirsi alla loro mensa lei accettò "aspetta solo che chiamo la mia amica (sorrise)", si misero a tavola continuando a parlare di musica, di film, di libri e un po’ di vita. IL pomeriggio sfilava via veloce a un certo punto lei disse che dovevano andare prese il block notes dove scrisse il suo numero di cellulare "se vuoi.." si salutarono lei si avvicinò e lo baciò sulle labbra, lui non disse nulla, non sentì nulla, lei andò via, lui sapeva che non l'avrebbe chiamata,  no non l'avrebbe fatto.
Entrò in casa si spogliò, andò in bagno, aveva voglia di piangere, prese una lametta da barba dall'armadietto e si mise nudo nella vasca da bagno vuota sulla sinistra su una mensola il block notes accese la radio ma non ascoltava la musica, il desiderio di farla finita era grande, finalmente avrebbe liberato se stesso e gli altri dei suoi tanti pesi. Continuava a guardare la lametta e a pensare a tutte le situazioni che aveva distrutto durante la sua vita ma ogni cosa, ogni pensiero portava sempre inevitabilmente a lei. Stanco, come un uomo che ha appena fatto uno sforzo sovrumano avvicinò la lametta al polso sinistro, poi la posò alla sua destra sulla tavoletta del cesso prese il block notes cancellò il numero di cellulare poi si mise a scrivere "domani è un altro giorno.. e poi L. potrebbe cercarmi" chiuse il block notes lo posò sulla mensola e aprì l'acqua.
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seicasaperme · 2 years
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Casa- parte II
Anche ieri abbiamo avuto una lunga giornata ,ma stavolta in clinica, non in ospedale. L'ospedale ha chiesto un terzo consulto, ad una oncologa che viene dall'istituto più importante che abbiamo in Italia e due giorni fa ci avevano avvertito che sarebbe stata in zona appositamente per noi. Così con la solita routine da giornata intera fuori casa, ci siamo preparate e alle 14 siamo partite
Siamo arrivate con un quarto d'ora di anticipo più o meno, con pazienza attendiamo il nostro turno.
Ci chiamano. Entriamo in uno studio.
Di fronte a noi la scrivania del medico, alla nostra sinistra un lettino. Due finestre grandi a far luce.
L'oncologa dall'accento tipicamente veneto è gentile, umana, ci sorride si dimostra comprensiva.Mi fa qualche domanda "tecnica", ti chiede come ti senti e ti chiede di descrivere alcuni sintomi ormai quotidiani; poi dice che non devi abbatterti,che dobbiamo essere forti e attendere la diagnosi dall'ospedale. Diagnosi alla quale lei aggiungerà il suo contributo. Ci congeda affettuosamente dopo quasi due ore di visita comprensive di tante cose dette per poter avere un quadro completo da analizzare.
In silenzio usciamo fuori , in questo immenso giardino con tanto verde e tante panchine, facciamo due passi..poi ci fermiamo su una panchina. Tu di fronte a me guardando nel vuoto con gli occhi pieni di lacrime, mi chiedi la bottiglia d'acqua. Cerco di farmi forza,perchè tu hai bisogno. Passa una mezz'ora e mentre ero al telefono mi dici "Ari, andiamo a casa, portami a casa." E io :si, ora andiamo.... "
Siamo in macchina e scoppi a piangere,per la paura di morire.
Arriviamo a casa. Ormai è sera. Ti sdrai a letto per riposare un po' prima di cena. Inizia a piovere ed io mi stringo a te. Il mondo potrà pure crollare, ma io resto qui, qui con te.
A CASA.
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1.
Chiudo gli occhi stanchi e nella mia testa la tua immagine si fa strada tra i mille pensieri che alloggiano indisturbati nella mia mente e so che è la fine. Un dolce finale anche se speravo in uno diverso per noi. 
Ora siamo un quadro.
Uno di quei dipinti attaccati alle pareti di qualche cazzuto riccone alla ricerca di qualcosa che riempi il vuoto che lo accoglie ogni volta che posa piede nel suo regno fatto di monete d'oro. 
Siamo quel quadro sul muro della sala da pranzo. 
Lo vedi? 
Amore, caro amore mio.
I colori freddi, tristi, pieni del dolore e del odio che ci siamo buttati addosso, come piatti buttati sui muri candidi di una cucina vuota, fin troppo grande per delle presenze talmente piccole. 
La tua mano stringe il fondo della bottiglia rotta, il resto, i suoi frammenti, ora sono sparsi sul pavimento scuro del triste ambiente. 
Siamo due morti che se ne sono scordati di crepare, percorriamo la strada verso l'inferno, ma ci perdiamo alla ricerca della grande porta che accolga le nostre anime dannate. 
La mia gola tagliata.
Il corpo ricoperto di sangue rosso, fin troppo nero, ormai secco e quasi bruciato. 
La testa all'indietro.
Le labbra schiuse. 
Gli occhi stanchi. 
In una supplica di pietà e perdono. 
Il tuo sguardo fermo, freddo, fisso sul mio corpo svuotato da ogni briciolo di vita. 
Siamo un quadro.
Amore, caro amore mio. 
I miei polsi legati col nastro rosso che scende tra le mie scapole coprendo a malapena la mia nudità. 
Il tuo piede sul mio petto preme come se potessi scappare, alzarmi e come uno zombie affamato iniziare a correre in modo scomposto alla ricerca di qualcosa che non riuscirei a raggiungere. Alla ricerca di qualche lampo di pietà, pentimento o dispiacere che non troverò mai nei tuoi scuri, cupi e freddi come il ghiaccio, occhi. Quei maledetti occhi che non fanno trapelare nemmeno l'amore, nemmeno la paura, nemmeno l'umanità che si cela da qualche parte in quel guscio tremendo che ti fa da corpo. 
Sono morta, un ultimo respiro ed il bianco della mia pelle ora è malato, spento, grigio. Il corpo senza vita di una bestia che ha lottato. I graffi. I lividi e persino le lacrime secche sulle guance che increspano il sangue che le colora. 
Una lacrima sola sulla tua guancia, appena visibile tra le ciocche dei capelli che ti ricadono delicatamente sul viso stanco. 
Siamo un bel quadro nella sala da pranzo di un riccone cazzuto, triste, privo di senso. 
Guardalo mentre entra nella vuota, spoglia casa. Appoggia il soprabito sulla sedia della cucina, non guarda lo specchio davanti a se mentre passa per il corridoio freddo con le pareti più bianche del latte, si fa schifo, o forse si odia. Non lo saprai, non lo saprò nemmeno io. Siede nella poltrona scura, il trono del suo regno. Le spalle curve, le braccia abbandonate vicino al corpo sulle maniglie consumate. Spacca la bottiglia di vino dopo averla svuotata bevendone a grandi sorsi e sporcandosi il davanti della candida camicia. Afferra il fondo della bottiglia. Un taglio netto, la testa ricade all'indietro, il sangue schizza sui muri donando loro per la prima volta un colore vivo, la casa inizia a vivere, i muri si muovono e i mobili iniziano a ballare un valzer triste, Jean Sibelius regna nell'aria fresca che odora di ruggine. Il nostro quadro ora è ricoperto di un rosso diverso. 
Amore, caro amore mio. 
Il cazzone ricco muore, come muoio anch'io. 
Un taglio netto e moriamo insieme, o muoio solo io?
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keikko · 2 months
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Catastrofi Innocenti #8
Fiamma uscì silenziosamente dalla stanza. Chiese ad una delle infermiere che avevano improvvisamente ripopolato il corridoio dove fosse il bagno e si chiuse dentro. Con gli occhi puntati al suo riflesso le parve di non riconoscersi. Aveva lo sguardo spento e la faccia pallida. Si pose una mano sul petto, cercando di rallentare il respiro. Le sembrava che improvvisamente il suo corpo avesse deciso di reagire alla vista macabra a cui aveva appena assistito. Reazione un po' ritardata, pensò vagamente distratta. Infilzò le unghie di una mano in una coscia, per calmarsi, e prese un boccone d'aria dopo l'altro. Si aspettava le lacrime che le rigavano il viso, ma una parte di lei ne rimase comunque sorpresa. Era morto. Era certamente morto. Un corpo vivo non raggiunge mai in tutta la sua vita quel colore. Quel viola non è compatibile con la veemenza con cui un cuore sano sbatte sulle costole, con la vivacità con cui il sangue, vermiglio, colora le gote per trepidazione, o con l'impetuosità con cui per la fatica i polmoni riprendono fiato. Quel colore negava tutto ciò. Era una manifestazione - la prima a cui Fiamma faceva caso- di due stati dicotomici, la cui coesistenza era impossibile. Vita, morte. Caldo, freddo. Rosso, viola.
Calabras non era mai stato presente nella sua vita. Dieci anni più grande di lei, era sparito quando lei ancora gattonava e bofonchiava qualche sillaba confusa, ed era tornato qualche mese dopo che aveva iniziato le medie. Fiamma ricordava la notte in cui era apparso sull'uscio di casa con in mano una piantina ornamentale e una bottiglia di vino rosso. “Ciao mamma,” le dette una bacio sulla guancia.“Ciao albicocca,” disse indirizzando a Fiamma un sorriso che le sembrava familiare.
“Oh, Ciro!” Esclamò la mamma con gli occhi lucidi, mentre lo stringeva in un abbraccio. Calabras la prese in braccio facendo una piroetta su se stesso e sorridendo. Quando si furono tutti calmati Calabras iniziò a rispondere alle domande che freneticamente continuava a fargli la mamma.
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francyfan-bukowsky · 3 months
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Parlava lei un po' e io stavo a sentire poi parlavo io.
Il colloquio andava avanti senza sforzo.
Pareva che scoprissimo tanti segreti comuni a entrambi.
Quando ne scopriva uno grosso Cass scoppiava a ridere
— quella sua risata — solo lei era buona.
Era come la gioia sprizzata dal fuoco.
Sempre parlando ci abbracciavamo, ci baciavamo.
Così andammo su di giri e ci venne voglia di andare a letto.
Allora Cass si tolse quel vestito con il colletto alto e io la vidi:
la brutta cicatrice frastagliata, attraverso la gola.
Era larga e spessa.
"Mannaggia a te, donna," le dissi dal letto,
"mannaggia a te, che cosa ti sei fatta?"
"Ci ho provato con un coccio di bottiglia una sera.
Non ti piaccio più? Sono ancora bella?"
La tirai giù dal letto e la baciai. Essa si sciolse e rise.
"Certi sganciano la grana anticipata e poi,
quando mi spoglio, non gli va più di fàrmisi.
Io mi tengo il decione. È una cosa buffissima."
"Sì," dissi, "da morir dal ridere… Cass, sciagurata,
io ti amo… smettila di distruggere te stessa:
sei la donna più viva che io abbia mai conosciuto."
Ci baciammo ancora. Cass piangeva in silenzio.
Sentivo sulla pelle le sue lacrime.
I lunghi capelli neri erano sparsi intorno a me
come un vessillo di morte.
Ci congiungemmo e, piano, con dolcezza,
con mestizia, facemmo l'amore, meravigliosamente.
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-Charles Buk🖤wski-
da “Storie di ordinaria follia”
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mediterraneosud · 3 months
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L' IRA DI UN DIO
"Ti devo parlare"
Disse Serena
Si incontrarono dove lavora lei.
Era un po' sulle sue
Seria
Si sedettero su una panchina, lei si accese una sigaretta si passò le mani sulle gambe , era agitata
- "Cosa succede? È successo qualcosa con il tuo ragazzo?"
"No... Ho visto che tu e Cassandra vi siete divertiti l'altra sera"
Subito il demone dentro Alex si agitò
Divenne serio.
- "Parla..." Rispose con voce secca.
"Lo conosco..."
Alex sogghignò
L'oscurità dentro di lui cominciò a bisbigliare ad accarezzarlo e accudirlo
-"Ma davvero? Hai capito la Serena" rispose con tono umoristico
"Si... A 18, 20 anni con mia sorella ci portavamo i cinquantenni"
Alex scoppiò a ridere e abbassò la testa
-"Ok... Continua..."
"Perché ridi?... E niente... Poi altre cose come sai con la Francesca con l'altra amica mia..."
- "Ok"
"Non dici nulla? Non traspare niente sei un po' inquietante"
- " Quindi?..."
"Vorrei proporti alcune cose..."
L'incendio dentro Alex bolliva di rabbia e dolore, l'oscurità in lui continuava a ripetergli "Te l'avevo detto che sono esseri inferiori sono feccia"
- Cosa vuoi propormi una cosa a 4 con il tuo ragazzo? Mi pare che avessi detto questo alla festa"
"Non solo... Quando alla festa avete parlato con il mio ragazzo e ti ha conosciuto ha detto che con te si è sentito non giudicato , libero. Lui è feticista dei piedi e appena avete parlato delle mie scarpe e dei piedi curati tu l'hai fatto sentire compreso. Gli hai detto che mi ci vedi Miss e che sono il tipo di donna da cui si parte dai piedi fino a salire."
- "Si... Ho detto esattamente questo è quello che penso."
"Poi il ragazzo di mia sorella..."
- "Ci osservava lo so "
"Fammi parlare per favore... Ha detto che siete una bella coppia perché siete liberi cioè ve ne fregate , ha detto che vi siete messi a giocare con i tappi della bottiglia o insieme al mio ragazzo a parlare di League of Legends e di sbarre di metallo su cui legare le gambe. È una delle poche volte che lui si apre così."
- "Fate cose tutti insieme e anche con tua madre giusto?"
"Non ti si può ingannare... Comunque si è capitato diciamo che sono qui più per mia madre. A mia madre sei sempre piaciuto, cioè ha detto che sei un bravo ragazzo e io gli ho detto ridendo se va beh è il peggiore di tutti è un diavolo."
- "Ringraziala è une bella donna anche lei molto composta"
Il sole ormai era sorto un freddo pungente nella città.
Tutto intorno c'era silenzio
"Mia madre mi ha detto che quelli come te sono i migliori a letto" disse Serena scoppiando a ridere
Era un po' imbarazzata, innocente quasi.
Ma Alex era serio, fermo , silente come la stessa morte . Perfino Ade si sarebbe inginocchiato dinnanzi a lui.
- "No."
La risposta fu secca, si perse subito nel vuoto della città ma sembrava riecheggiare come un eco nell'infinito.
"Ok... Ma perché a Cassandra non interessa? Cioè è troppo?"
La rabbia di Alex ribolliva l'oscurità avrebbe stritolato il collo di Serena fino ad annichilirla del tutto ad annullarla completamente.
- "Al parco giochi mi chiesi se mi piacessi ancora. Ma 3 anni fa se ben ricordi ti avevo travolta stavi con un co***one che pensava solo al lavoro e gli hai messo più corna tu che non so chi. Uno zombie mo**o dentro.
Il fatto è che vi fanno proprio con lo stampino a voi, siete tutti uguali , noiosi , scontato , privi di qualsiasi virtù. 3 anni fa ci hai giudicato hai fatto sch**o e non solo non sei stata mai sincera anche in macchina l'ultima volta. Vedi tutto quello che mi hai proposto per me è come bere un bicchiere d'acqua ma mi repelle la tua falsità... Dimmi... Serena perché dovrei dirti di sì?"
"Mi ha spaventato la tua intensitá, non sono tutti come te anzi per dirla tutta nessuno lo è e poi..."
Alex era in lacrime, odiava il mondo intero , esseri inferiori...
- "Pensavi di scandalizzarmi? O che ti giudicassi ? Sai che ca**o me ne frega? Il fatto è che mi ricordi troppo una donna... "
"Scusami... Ma non è facile"
- "Che cosa? Essere veri? Dire la verità? Essere sinceri? Credi che non sentissi già quello che eri? Io sento tutto prima, ho qualcosa dentro che mi fa vedere prima cosa siete... Non potete nascondervi ai miei occhi!"
"Avevo paura... "
- "Dovresti avere paura di quelli che ti sco***o senza amore, della falsità, della menzogna se proprio devi avere paura di qualcosa non della passione! Non dell'amore! Dovevi dirmi la verità in quel momento quando sentivi addosso tutto non ora! Non ora perché hai visto che viviamo le cose anche io e Cassandra e allora perché ti ho spiattellato i video in faccia della serata e di quello che abbiamo fatto dopo hai deciso che andavamo bene. Non devo dimostrare niente a nessuno! E non sono io a dover essere valutato!"
"Non ti conoscevo bene... Scusami... Di alcune cose me ne vergogno del mio passato"
- "All'Amore non frega un ca**o del tuo passato! Quando qualcuno ama veramente accetta tutto quello che c'è in una persona luce e ombre e vive tutto e quello che per voi è il sesso libero il sesso intenso ecc per l'Amore è niente è noia. Per quello che porto dentro siete risa ... Siete un gioco."
"Lo so... Scusa"
- "Sai cosa penso che ti sei riavvicinata a me solo perché sto diventando un figo e sono dimagrito solo perché hai capito che ho tutto e sono tutto e si te lo dico io non ci sarebbero problemi a sco**rti qui in piazza davanti a tutti. O e non solo a fare molto peggio questo è niente "
"Lo so.. ma sei tu che sei così... Sei diverso... Sei più unico..."
- "Non dirlo! Non dirlo porco D*o!
Vattene... Amo un'altra donna vai a lavoro."
"Certo perché l'amore giustifica tutto vero?"
- "No... L'amore non è mai perdonato mentre lo sch**o, il marciume , il male viene sempre giustificato."
" Altro che angelo tu sei il diavolo davvero"
- "Si! E va benissimo così! Ringrazia tutti e salutameli"
Alex prese e se ne andò scoppiò in lacrime lungo la strada di casa urlava nel silenzio.
L'oscurità in lui gli parlava lo abbracciava gli sussurrava perfino.
Parlò con sé stesso:
"Che cosa hai deciso di fare?" Chiese l'oblio
- "Andiamo a caccia..."
"Si mio Signore... "
- "Chi si frappone tra me e lei distruggilo"
"Esige questo?"
- "Esigo prendermi il mio posto accanto a lei"
"Cosi sia..."
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