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#libri da collezione
marcogiovenale · 2 years
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libri a piazza vittorio: domenica 18 settembre 2022
libri a piazza vittorio: domenica 18 settembre 2022
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papesatan · 21 hours
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Ho trascorso le ultime settimane a flagellarmi testa e animo, sotto processo, ripensando ai miei furenti urlacci e alla logica paura dei bambini, per venir poi rimproverato dai genitori perché "non li sgrido abbastanza" e "gli faccio fare tutto ciò che vogliono". Mi torna alla mente in proposito la favola di Esopo: "Il contadino, il figlio e l'asino", ovvero come fai sbagli. Io giuro che ci provo a non mandar nessuno a fanculo e star calmo, ma poi vado a pulire il bagno e trovo laghi di pipì a terra. Potrei impazzire, poi però succede sempre qualcosa che mi fa tornare il sorriso, tipo Mirko che, avendo deciso di stracciare Daniele nella disfida dei regali, s'è presentato ieri con una busta carica di doni. Due libri comprati in edicola, tre santini (perché da grande vuole fare il papa), un portachiavi motivazionale, un disegno in stile Rorschach, un montone da presepe e il pezzo pregiato della collezione, un pupazzetto di Spiderman in posa plastica con tanto di ragnatela. S'avvicina Loris e fa, bramoso: "Giuseppe me lo regali?"
👿👿👿👿👿👿 Nei tuoi sogni, forse.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO TERZO - di Gianpiero Menniti
LE PAROLE NASCOSTE
Esistono presenze che marcano l'assenza.
Senza più sguardi.
In un bacio sbiadito, in una carezza mancata.
Il dolore scava l'angoscia quotidiana.
Le giornate corrono spente.
Lungo trincee senza orizzonte.
Volontà tradite formano cortine impenetrabili d'oracolo.
A lungo desiderati, sono gli amori sbagliati.
Restano enigmi irrisolti.
Consumati invano nei silenzi trattenuti.
Mentre attonite parole nascoste recano già il responso di amori finiti.
Arnold Böcklin (1827 - 1901): - "Ulisse e Calipso", 1883, Kunstmuseum, Basilea Giorgio De Chirico (1888 - 1978): - "L'enigma dell'oracolo", 1910, collezione privata - "L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio", 1911/12, collezione privata
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gregor-samsung · 2 months
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“ «Com'è strano, — pensava Veročka — già le sapevo dentro di me, già le presentivo, tutte le cose che ha detto sulle donne, sui poveri, sull'amore. Dove le ho imparate? Forse nei libri che ho letto? No, non là. In quei libri ci sono tanti dubbi, tante riserve, e ogni cosa sembra insolita, incredibile. Come si trattasse di sogni belli, ma irrealizzabili! A me sembra invece che questi sogni siano semplici, semplicissimi, comuni, che senza di essi non si possa vivere, che si dovranno avverare senz'altro. Eppure, secondo me, questi libri sono ottimi. George Sand; per esempio, è così buona e morigerata, eppure, tutto in lei è sogno! E i nostri? No, nei nostri non si parla di questo. In Dickens, invece, sì, ma tutto è come senza speranza; certo, lui se l'augura, perché è buono, però sa bene che non si avvererà. Come fanno costoro a non sapere che in mancanza di questo non si può vivere e che bisogna darsi da fare, e si lavorerà senz'altro, perché non ci siano più uomini poveri e infelici? Ma che, forse non lo dicono? Dire lo dicono, ma provano solo pietà, mentre pensano che tutto resterà com'è ora: sì, qualcosa migliorerà, ma per il resto. No, essi non dicono le cose che io penso. Se le dicessero, saprei che le persone buone e intelligenti ragionano come me. E invece sinora ho creduto di essere l'unica a pensarla così, perché sono una stupida. Nessuno pensa come me, nessuno si aspetta che le cose cambino realmente. E ora lui assicura che la sua fidanzata ha detto a tutti coloro che l'amano che le cose andranno proprio secondo le mie idee. E ha parlato così chiaramente, dice lui, che tutti già lavorano perché tutto avvenga al più presto. Che donna intelligente! Ma chi è? Lo saprò di certo. E come sarà bello, quando non ci saranno più poveri, quando nessuno sarà costretto a ricorrere agli altri per bisogno, quando tutti saranno allegri, buoni, felici...». Assorta in queste riflessioni, Veročka si addormentò, e dormì profondamente, senza sognare.  “
Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, Che fare?, traduzione e cura di Ignazio Ambrogio, Edizioni Studio Tesi (collana Collezione Biblioteca, n° 85), Pordenone, 1990; p. 78.
 NOTA: Il testo originale (Что делать?), che Černyševskij scrisse in prigionia nella fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo, cominciò ad essere pubblicato a puntate nel 1863 sul mensile letterario russo Sovremennik sino a quando le autorità sequestrarono l’intera opera, ritenuta sovversiva. Il libro circolò quindi clandestinamente fino alla pubblicazione integrale nel 1905, all’inizio della breve stagione riformista dello zar Nicola II.
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der-papero · 6 months
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Non so se vi rendete conto di cosa ho avuto in regalo ieri dal buon @egemon, che ringrazio per la bella serata (che rifaremo), oltre che per il regalo 🤗
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Cioeeeee, 1987 😍😍
Cimelio prezioso per la mia collezione, che adesso sta cominciando ad avere un po' di volume.
Lungi da me convincervi a fare una roba simile, perché io ucciderei chiunque provasse anche solo ad osare di chiedere in prestito tomi di cotal guisa, ma ci provo comunque, non si sa mai.
Se avete libri un bel po' datati, ma che non siano stati presi a calci o fatti saltare in aria con un petardo, di
ogni ramo della matematica (in particolare la trigonometria)
tutto quello che ha a che fare con la teoria dei segnali e le comunicazioni
ogni cosa legata alla navigazione, dalla quella terrestre a quella astronomica
informatica (mi raccomando, roba massimo anno 2000, tutto quello che è stato scritto dopo è pura merda, e ovviamente stiamo parlando di libri tipo come quello nella foto, non "come imparare ad usare Word in 3 giorni")
Papero si fa carico anche delle spese di spedizione, ovviamente solo nel caso in cui occupi prezioso spazio e/o volete farmi felice privandovene a malincuore ma mi volete troppo bene e/o avete già deciso per la pattumiera, perché dovete fare spazio all'ultima puttanat... ehm... capolavoro letterario sfornato.
La chat è aperta, fatevi sotto, non siate timidi.
P.S. per favore, non mi scrivete "ce l'avevo, ma l'ho buttato" che mi spezzerete il cuore 💔
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diceriadelluntore · 3 months
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Un bicchiere di vino con un panino....
In una mia riposta ad un post molto bello di @cinismoerancore avevo scritto che se mi fosse piaciuto il finale del libro che stavo leggendo ne avrei scritto, perché si legava ad un tema che il post tendeva a sottolineare (anche @biggestluca mi ha chiesto che libro fosse).
Voglio subito dire due cose: Felicità© di Will Ferguson, scritto per la prima volta nel 2001, uscito per Feltrinelli qualche anno dopo e riproposto, con nuova traduzione di Andrea Bezzi, che curò anche la prima stampa, da Accento, è un libro da leggere. Per due terzi meraviglioso, sul finale si poteva fare di più. Vi dico subito l'altra cosa che non mi è piaciuta, la copertina:
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Quella di Accento non ha nessun riferimento al libro, mentre invece la prima di Feltrinelli si
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(per chi è curioso lo spiego in privato).
Restano da dirvi due cose: il libro è la storia di Edwin De Valu, junior editor alla Panderic Inc., casa editrice di New York il cui più grande successo sono i Manuali di Mr Etica, bizzarro personaggio che voleva insegnare fondamenti filosofici per vivere meglio, ma va in carcere per aver ucciso e sotterrato in giardino gli ispettori del Fisco che erano andati a fargli visita. Edwin è specializzato in manuali di autoaiuto, alla Panderic quando arrivano manoscritti del genere vengono messi ad attendere in uno spazio, la montagna di fuffa, sopra la quale campeggia la lavagna con la collezione delle più improbabili espressioni trovate alla prima, unica e superficiale lettura. I libri si accumulano, ma un giorno arriva a Edwin un manoscritto di oltre mille pagine, con appunti a penna e stantii adesivi di margherite. Ha un titolo, Quello che ho imparato sulla montagna, e un autore, Tupak Soiree, che ad Edwin puzzano di broglio da chilometri. Il libro fa la fine di tutti gli altri. Solo che stavolta il suo capo, il Signor Mead, nell'attesa di pubblicare il manuale definitivo sul perdere peso mangiando porco fritto, vuole un titolo che rimpiazzi quelli di Mr Etica. Edwin spavaldamente dice di averne uno straordinario, solo che ritornando nel suo cubicolo ufficio non trova più il libro con le margheritine. Inizia qui il primo viaggio: alla ricerca fisica del manoscritto. Che nel modo più assurdo possibile verrà pubblicato. E nel modo più assurdo funzionerà, regalando ai suoi milioni di lettori la felicità. Ma qui viene il bello (che ovviamente non vi svelo): che conseguenze ha sul mondo il fatto che la gente, di punto in bianco, si senta felice?
In uno stile ironico, lineare e a certi tratti sottilmente drammatico (poichè dietro certi passaggi da ridere ci sono riflessioni profondissime), Ferguson lega il mondo della comunicazione con quello della costruzione sociale di ciò che siamo: lo scrisse nel 2000, quindi lontano da quello che siamo adesso dove l'aspetto è totalmente più pervasivo, ma ci sono già dei pilastri del sistema ben chiari. Non è solo ironia sul ruolo dell'autoaiuto, che oggi si è spostato dai manuali al webinar o alle pagine dei social network, non è solo la capacità di dare l'impressione che siamo in grado di prevedere gli eventi (frase cult: "il marketing? come capacità predittive delle tendenze siamo una tacca sotto al controllo delle viscere degli animali), ma anche l'accento, tra il serio e il faceto, su tutte le attività che sappiamo chiaramente distruttive (spesso per noi, spesso anche per gli altri) ma che sono fondamentali per la vita economica, sociale e persino culturale del mondo, tanto che il povero Edwin si troverà a fronteggiare una parte di questa porzione di mondo rimasta tagliata fuori dall'esplosione della felicità, venendo a mancare questo assunto:"tutta la nostra esistenza si fonda sul dubbio e l'insoddisfazione. Pensa che cosa succederebbe se tutti fossero veramente, autenticamente, felici" (pag. 230).
Si può fare critica sociale ridendoci su? La domanda sembra quasi inopportuna: però ci sono state delle pagine, quando all'inizio il cambiamento si diffonde come un virus alternativo, che mi hanno fatto pensare davvero tanto. Perchè è lampante come certi meccanismi ormai non siano nemmeno più sottotraccia, tipo passare dall'idolatria al dileggio in pochi giorni o scoprire alla prova dei fatti che le ricchezze basate sul nulla producono soldi veri per pochissimi e fregature per tantissimi, oppure indirizzare l'attenzione a specifiche categorie sociali, incapaci o a cui non è più permesso un coinvolgimento intellettuale a ciò che sta intorno loro, e che sia evidente che questi meccanismi siano ormai irrefrenabili, se non cambiando radicalmente il sistema, tanto che segnalarne le storture è presa come una questione di invidia.
Edwin De Valu , lo dice in un passo delizioso quando il Signor Mead gli chiede di lavorare su &lt;<un manuale di autoaiuto per donne sovrappeso che spieghi come fare a mangiare maiale e perdere peso. sarà una nuova teoria. Possiamo chiamarla "il paradosso del porco">> (pag. 150), si è laureato in letteratura comparata con tesi su Proust, da una prospettiva postmoderna. Lui è l'autore di una delle più grandi immagini della felicità, che come rassicurazione suppongo sia ancora presente nell'animo di molti di noi:
Mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. Una deliziosa voluttà mi aveva invaso, isolata, staccata da qualsiasi nozione della sua casa. Di colpo mi aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi disastri, illusoria la sua brevità, agendo nello stesso modo dell’amore, colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio, quell’essenza non era dentro di me, io ero quell’essenza. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente mortale. Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura. Da dove veniva? Cosa significava? Dove afferrarla? Bevo una seconda sorsata nella quale non trovo di più che nella prima, una terza che mi dà un po’ meno della seconda.
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fashionbooksmilano · 1 year
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Ozbek
Spring/Summer 1997 Collection
Rifat Ozbek, 1997, 86 photos, 12 x 15 cm
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Rifat Ozbek (1953) è uno stilista turco che all’inizio della carriera ha lavorato anche in Italia, con walter Albini . Negli anni ’70 è in Inghilterra per studiare architettura, ma lascia per iscriversi alla Saint Martin’s School of Art. I suoi primi abiti, commissionati da una catena di magazzini, sono ispirati all’Oriente. La collezione del debutto è dell’84. Si afferma a livello internazionale a partire dalla seconda metà degli anni ’80, con uno stile multietnico, opulento e fantasioso. Collezioni ispirate spesso all’arte, ma anche al costume: tra i temi più celebri, gli esistenzialisti, gli orientalisti, Capri anni ’50, i balletti di Martha Graham, alcuni film o libri, ma anche idee prese a prestito dallo street style e dal disco-look, ripensate in chiave prêt-à-porter. Nell’87 lancia la linea Future Ozbek. Ma è soprattutto dall’88 — da quando cioè inizia a collaborare con l’italiana Aeffe, azienda che produce e distribuisce le sue collezioni — che Ozbek consolida la sua popolarità e i suoi prodotti sono venduti in tutto il mondo. Affronta gli anni ’90 con una nuova visione: una collezione tutta bianca, ispirata alla New Age, che lo rende uno dei paladini della moda avant-garde internazionale. Sperimenta poi il video come forma alternativa di presentazione delle sue collezioni. Nel ’91 debutta nel calendario degli stilisti milanesi; nel ’94 sfila a Parigi; nel ’96 disegna i costumi per l’apertura dei giochi olimpici di Atlanta, lancia il profumo Ozbek, una linea Rugs and “Kilims” e partecipa infine alla Biennale di Firenze della moda. Nel ’97 debutta sulle passerelle newyorkesi.
08/05/23
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scalpcollector · 27 days
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Tempo fa ho messo a posto la mia libreria perché era tutto un gran casino. Quindi ho fatto lo scaffale apposito per i libri, lo scaffale dei fumetti, lo scaffale degli elettronici, lo scaffale per i dvd e cd, e in alto il mio fantastico scaffale/ altarino di TLT!
Insieme ai libri ci ho messo tutta la roba di scheletri e teschi che ho. Però il fatto è che con il passare del tempo accanto all’altare della nona casa ci ho buttato il mio cappello da soldato confederato che ho comprato per carnevale. E da lì in poi ci ho messo tutte le mie toppe con la bandiera confederata che colleziono perché mi piace essere la persona più fastidiosa del mondo. E non sono né razzista, né tantomeno del sud statunitense (quello mi sembra ovvio), però fa anche molto ridere che io abbia queste cose, quindi collezione sia.
Quindi quando si entra nella mia camera si può vedere subito: Gideon la nona; Harrow la nona; Nona la nona; teschio di zotico sudista; numerose bandiere confederate; scheletri.
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precisazioni · 1 year
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ho aperto un profilo su goodreads e mi sto entusiasmando all'idea di recuperare ogni libro che ho letto. lo scorso anno ho fatto qualcosa di simile con letterboxd, glitchwave e prima ancora con rateyourmusic; giorni fa ricordavo come, nelle crisi depressive, passavo intere giornate a catalogare la mia collezione di dischi per poi cancellarla, e di nuovo catalogarla e cancellarla, dalla mattina fino alla sera: mi piazzavo appena sveglio al computer a catalogare migliaia di dischi; arrivava la sera a cancellavo tutto per poi il giorno dopo ricominciare
non ho idea di come abbia capovolto i disturbi ossessivo compulsivi: il recupero è in larga parte avvenuto per mano mia. non che ne faccia un vanto, per anni ho provato indifferenza nell'aiutare: la percezione era che nessuno, nel concreto, l'avesse fatto con me. non che ne sia sicuro, ma forse le cose non stavano esattamente così: a ripensarci, oggi non escludo che all'epoca, preso dai miei patemi, non mi rendessi conto di chi, vanamente, provava a darmi un aiuto
posso affermare con discreta fermezza di avere voltato pagina alla depressione, al disturbo ossessivo compulsivo e all'insofferenza altrui; ho smesso di cancellare tutto e di intendere la mia vita come surrogato di un'esistenza digitale mai soddisfacente. adesso è il turno di goodreads, dove a recuperare i titoli letti mi è venuta voglia di leggerne altrettanti, di moltiplicare il tempo che dedico tra i libri; un obiettivo di cui dovrei più spesso sentirmi lieto, dato che per anni non sono riuscito a concentrarmi abbastanza da permettermi di leggere
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milleeunoframmenti · 6 months
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Mille e uno frammenti
Benvenuti in questo spazio di espressione. Questo post vuole essere una breve descrizione introduttiva e, in quanto tale, si evolverà con me. Indi per cui, se mai rileggendo queste righe le troverete cambiate, non dubitate di voi stessi, perché saranno effettivamente diverse. Cresceranno insieme a me.
Scrivere è da sempre la mia naturale forma di comunicazione, con me stessa e con gli altri. A volte le parole mi giungono in rima, sin da piccola sperimento la poesia. Nell'infanzia scrivevo per tutti, poi impaginavo quei piccoli versi, li ornavo di una cornice colorata e la consegnavo alla persona di interesse. A pensarci oggi, provo molto tenerezza per questa dolce parte di me, verso cui a volte sono stata negligente.
Negli anni dell'adolescenza purtroppo persi la mia capacità di mostrarmi vulnerabile agli altri, a volte persi persino le parole. Proprio in quel periodo iniziai a nominare le poche rime che riuscivo a comporre come frammenti, pezzi che si strappavano da me e cadevano lungo la via. Forse affinché un domani potessi guardare indietro e ritrovare la strada, come Gretel.
Negli ultimi tempi ho iniziato a collezionare tutti i miei scritti ed ho cercato di riconnettermi con la piccola Gaia cominciando a scrivere un diario o Journal. Trovo l'inglese molto più efficace per quanto riguarda gli studi di genetica e psicologia, per volta anche per esprimere meglio termini legati alla crescita personale, alla meditazione e alla spiritualità.
Come la collezione di caramelle mille gusti più uno, assemblo i miei preziosi milleeunoframmenti. Sì, sono anche io una inguaribile potterhead.
Da sempre dicono che le mie riflessioni possano smuovere forti sgomenti interiori. Io credo che se anche una sola delle mie parole può aiutare qualcuno a processare e unire i propri di frammenti, allora il mio dharma è compiuto. Credo profondamente che ognuno di noi possa dare forma al mondo e che quindi bisogna assumersi responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni. Sfortunatamente non sono dotata dell'autostima necessaria per espormi pubblicamente sui temi che mi stanno a cuore. Però, in questa pagina, io proverò a dare il mio contributo. Condividerò non solo le mie riflessioni, ma anche i libri e gli eventi quotidiani e/o di cronaca che mi portano ad un profondo dialogo interiore.
Se anche solo uno di voi lettori troverà conforto nelle miei parole o uno stimolo per soffermarsi a migliorare sé stessi, semplicemente ne sarò felice.
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a-tarassia · 1 year
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Parlami del museo egizio di Torino
Il Museo Egizio di Torino è uno dei più antichi e importanti musei egizi al mondo, fondato nel 1824. Possiede una vasta collezione di oggetti d'arte, mummie, papiri, statue e monumenti che coprono un arco temporale di oltre 5000 anni di storia egizia. Il museo è famoso per la sua esposizione di sarcofagi, tra cui quello del re Ramesses II, e per la sua sezione dedicata alla vita quotidiana in antico Egitto. La sua posizione a Torino, in Italia, lo rende una tappa obbligata per gli appassionati di storia e cultura egizia.
Questo è quello che ho chiesto a ChatGPT e cosa l’AI di produzione testi mi ha suggerito in risposta. È tutto corretto? Sono andata al museo di recente e non mi è sembrato per un cazzo di vedere il sarcofago di Ramses II, vero è che di sarcofagi è pieno il museo, ma non c’era quello di nessun Ramses. ChatGPT deve smetterla di dire minchiate e affinare la tecnica di ricerca, approvvigionamento e rielaborazione delle info se vuole competere con boold and flesh, ma ci sta, di certo non demonizzerei la tecnologia, bisogna imparare ad addestrarla e ad usarla invece di ostracizzare in un moderno ritrovato luddismo, il flusso non lo fermi caro mio, no no.
Volevo parlare di ChatGPT? No. Volevo parlare di morti.
Il Museo Egizio di Torino è il secondo contenitore al mondo di antichità egizie, il primo mi pare sia al Cairo. Come mai proprio a Torino? Eh beh come te lo spiego? Diciamo che i regnanti all’epoca volevano della storia da esporre e visto che di proprietà non ne avevano, almeno non ne avevano di prestigiosa, allora hanno deciso di andarsela a cercare. Contesto e congiunture vogliono che si vada a finire in Egitto, mettono insieme una squadra e si va alla scoperta di archeologia del luogo, precisamente archeologia di pratiche funerarie, insomma si va a trafugare tombe. Belle tombe per carità. Tombe ricche, ma sempre tombe. Mi immagino tipo che tra mille anni comincino a scavare nei vari cimiteri monumentali e a portarsi via le lastre, le urne, i mausolei, che ne so, i lumini, ste cose e poi le mettono tutte in un edificio per mostrarle ai posteri: guarda cos’abbiamo trovato, che grande civiltà, morivano, vedete? Una volta morivano. Mi è piaciuto il museo egizio di Torino? Please, Ferragni, come to visit Musei Egizi Because we want be famous like Uffizi Ecco boh io ho preferito gli Uffizi, ma ho un debole per le statue e un po’ più di idiosincrasia verso resti biologici umani dentro delle fasce. I cocci mi annoiano, ma vengo da quindici anni trascorsi a Roma e lì i cocci la gente li trovava anche sotto il lavandino della cucina se scavava un metro di troppo, quindi non è che vado matta per le ciotole in cui si mangiava tremila anni fa, non sono cambiate di molto, son sempre ciotole, l’ikea è piena, meno della metro di Roma certo. I cocci mi annoiano, i gioielli mi annoiano, ho scoperto che pure i libri dei morti mi annoiano, i lunghissimi libri dei morti che venivano redatti per chi trapassava per evitare una vita ultraterrena difficile, voi dell’aldilà non trattatemi male il mio morto. Insomma la visita partiva già male prima di iniziare, in più nel museo egizio c’erano i morti, quelli veri. Antichissimi morti. Morti per i quali il libro dei morti è ben servito a poco visto che nessuno avrebbe mai potuto prevedere che il corpo del defunto venisse usato come oggetto da esposizione per orde di visitatori della domenica, don’t you think? Ecco il morto, ecco il lunghissimo libro del morto. Benvenuti. Non sono una fan dei musei, non di certi tipi di musei, del resto non sono ancora molto convinta del restauro a tutti i costi, quindi mi spiace non andremo mai d’accordo. Da Torino, e non solo, partivano spedizioni di studiosi per scavare ste tombe, tra la fine del 1800 e la prima metà del 1900 per scoprire e portare alla luce queste tombe ormai sotterrate dal tempo sotto strati di terra e colline, operai egiziani, all’epoca ancora di colore, non mediorientali, quanto ancora proprio africani, non so come dirlo, ma oggi quelli che ho visto (direttamente in egitto) e che ho conosciuto qui sembrano di un’altra razza proprio, voi non trovate? Scavavano tombe, le ripulivano, ne mettevano insieme i pezzi, mummie, arredi, gioielli, animali tumulati insieme a loro, sarcofagi, libri dei morti e poi una volta pronti li portavano in Europa per esporli. A Torino ci sono anche delle enormi statue dedicate agli dei egizi che sono state portate fin qui e tirate su, in una stanza ci saranno decine di statue identiche della stessa dea, altissime, enormi, come le palle che mi sono fatta a girarle tutte. Ad un certo punto, nella prima stanza c’è un morto (che stranezza) infilato in un buco e messo in posizione fetale, un morto in un buco, ma era un bel buco, con del terreno interessante, evidentemente un terreno che aveva delle caratteristiche particolari al punto che il morto dall’Egitto di migliaia di anni fa stava a Torino in una teca per il nostro piacere culturale. Del resto chi non si sveglia una mattina e pensa che è proprio la giornata giusta per andare a farsi un tour dei morti. Uno scheletro vero, di una persona vera, chissà chi, infilata in un buco. Bellissimo rega’, bellissimo. Poco dopo c’era questa mummia, nel senso di cadavere conservato dentro delle bende, di uno scribacchino, un funzionario dell’epoca, che è morto ovviamente, essendo uno che in un certo senso contava, lo hanno fasciato, inserito in un sarcofago con i propri oggetti personali, amuleti, che ne so cocci, cosette sue, calato nel suo sarcofago e via biglietto di sola andata per Torino, in una teca. Ci pensate? Io impazzisco. Sfilze di morti fasciati nelle bende, che sia chiaro, cambiano da epoca ad epoca bende e rito, ed è l’unica cosa interessante, perché tutto il museo parla della civiltà egizia come se questi avessero una sola cosa interessante e solo quella: il rito del morto. Per carità, ci sta, ma davvero il rito funerario è arte? E che lo sia o no, ammettiamo pure che lo sia, è davvero un elemento, un momento, un passaggio da esporre come se fossero numeri da circo? Che senso ha esporre i morti? E se non è arte, ma una componente di una civiltà evidentemente più grande di ciò allora perché incaponirsi sulle mummie? Vedete? Qui c’è una mummia col sarcofago. E qui un’altra mummia con sarcofago e col suo gatto, anch’esso mummificato. Certo ok tutto a posto, tutti tranquilli, hanno mummificato pure il gatto, oggi volevo proprio vederlo un gatto mummificato. E qui la sua sedia e i vestiti per la vita ultraterrena. E i due chilometri di testo del libro dei morti. Qui una coppia, era una tomba matrimoniale, due sarcofagi e due mummie yeah! Qui c’è la galleria con dentro le mummie di ogni età, vanno dai neonati fino ad alcune mummie adulte, ma se non vi regge lo stomaco potete evitarla, c’è un avviso prima. È vero. C’è la galleria che spiega come funziona il processo di mummificazione che in ogni caso è cambiato nel corso delle epoche e prima di entrare in questa galleria c’è proprio un disclaimer che parla di questo dilemma etico: esporre o no i morti? Io sono entrata a vederli, so che mi lamento e me ne sono lamentata tutto il tempo, ma Luca ormai è abituato e di solito ride, però la curiosità mi mangia viva e allora anche se non tollero la vista di cadaveri, di nessun tipo, e sono sinceramente sensibile al tema, sono andata a vedere le mummie dei neonati e no, il dilemma etico per me parte da ben prima della decisione di esporre o no i morti, ha senso certamente, dal punto di vista culturale, come la buona parte di voi direbbe, ma è anche vero che la maggior parte di voi attraverserebbe questo museo, e buona parte della cultura di cui siamo invasi, come un fantasma letterario attraversa i muri, senza curarsene e senza notarlo nemmeno. Quindi non venitemi a dire niente per favore, ok? C’erano gli animali domestici mummificati, i pet, gatti, cani, piccoli coccodrilli, uccellini, uno spettacolo raccapricciante, pareva di stare nel castello di francesco ferdinando in boemia perdio. Pare che, nell’antico egitto, ci fossero le bancarelle con gli animali mummificati in vendita, che magari se ti moriva un parente e tu volevi che un dio in particolare lo prendesse sotto la sua tutela allora lo tumulavi con un animale, mummificato in sacrificio, però il problema è che se non te lo mummificavi tu l’animale, è possibile che ti vendessero un fake, tipo come il mattone al posto dell’iphone e il dio col cazzo che ti tutelava. Succedeva anche nell’antico egitto, ma ste cose al museo non te le dicono, devi informarti ed è forse per questo che serve il museo, a traumatizzarti. Ovviamente gioco, più o meno, non è un posto in cui muoio dalla voglia di tornare e non ho un interesse così estremo verso i riti funerari in generale, né verso i cadaveri, però è chiaramente un’opinione personale. È ancora più controverso, a mio avviso, che quelli che abbiamo visto, essendo quelli meglio conservati e “facilmente” ritrovati erano in un certo qual senso quelli che se lo potevano permettere, che avevano soldi per un processo costoso, che avessero soldi per occupare spazi molto grandi anche da morti, che avessero talmente tanta roba al punto che valesse la pena di portarsela appresso in un’altra vita, gente che scriveva per loro lunghissimi testi di presentazione per il regno dei morti, il libro dei morti è una sorta di curriculum praticamente e quindi mi immagino che anche oggi noi stiamo qui a celebrare chi si è potuto permettere un posto nel futuro, quelli che si so fatti il sarcofago più bello e grosso, i vestiti dei tessuti migliori e la storia è sempre la stessa insomma. Fatto sta che se fosse come dicono loro, nell’aldilà noi saremo quelli co le pezze al culo senza uno straccio e decomposti per intero, loro invece c’avranno pure gli animali da compagnia e un curriculum coi controcoglioni. Chiamali scemi.
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Quanto è grande la tua casa?
Abbastanza grande da contenere una collezione di vinili, film e libri invidiabile.
E una piantina nuova.
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Da: SGUARDI SULL'ARTE LIBRO QUINTO - di Gianpiero Menniti
LA PERDITA
L'istante della parola inespressa è già rimpianto per un ricordo mai vissuto.
- Wilfried Fitzenreiter (1932 - 2008): "Un ragazzo e tre ragazze", 1988, promenade del fiume Spree, Berlino - In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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argentcoquelicot · 1 year
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25 dicembre 2022
Ho passato un buon natale pieno di felicità e divertimento. Tra i tanti regali che ho apprezzato due sono stati quelli più amati: una lampada di sale e una collezione di due libri facenti parte di una saga da tempo già iniziata e che avevo intenzione di riprendere successivamente alla conclusione della lettura della prima parte di guerra e pace, romanzo russo, che mi sta portando via molto tempo ma che sto apprezzando.
In questo ultimo periodo sono stata meglio e sto cercando di apprezzare me stessa e evitare di imbattermi in fissazioni nei confronti di persone a caso che mi hanno degnata di un singolo sguardo. A dir la verità mi sono stufata di rincorrere le persone e di sperare in nulla perché alla fine sarei sempre io la prima ad allontanarmi e a scappare.
La cosa principale è la mia carriera e la mia salite mentale che ha bisogno di riprendersi.
Non penso più a quella ex e anzi sta iniziando ad infastormi sia lui che i suoi comportamenti del cazzo usati solo per farmi capire che è andata oltre... tango si sa che una meglio di me non l'avrà mai ma è giusto così ognuno è diverso e lascia dei ricordi diversi nella vita di ognuno di noi .
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-I love you
-It will pass...
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diceriadelluntore · 1 year
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La costruzione di un dolore
Un maestro zen vide uno scorpione annegare in uno stagno e decise di trarlo in salvo. Quando lo fece, lo scorpione lo punse. Per l’effetto del dolore, il maestro lasciò l’animale che di nuovo cadde in acqua in procinto di annegare. Il maestro tentò di tirarlo nuovamente fuori dall’acqua e l’animale lo punse nuovamente.
Un giovane discepolo che vide la scena gli si avvicinò e gli disse: – Scusate, maestro, ma perché continuate? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua, lo scorpione vi punge? Il maestro gli rispose: – La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare.
Allora il maestro rifletté e con l’aiuto di una foglia, tolse lo scorpione dell’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò:
– Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni. Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano. Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è ciò che sei, mentre la tua reputazione è solo ciò che gli altri pensano di te. Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere.
Ho una collezione enorme di racconti zen. Eppure zen non lo sono affatto: per me è davvero complicato superare l’attaccamento, accettare il superamento di sé stessi e altri insegnamenti per l’illuminazione. Ma adoro gli insegnamenti morali che da quasi tutte si traggono, soprattutto nel rapporto con gli altri.
Dopo anni ho usato questo posto per parlare di una situazione personale. Non che la musica che mi piace, i miei libri, le curiosità, le citazioni, le mie amate etimologie non lo siano. Stavolta ho deciso di parlare di un dolore mio, di un dolore che mi è successo. Un dolore che non ho mai provato. Che lo voglio dire subito: è stato frutto di una legittima scelta di un’altra persona, che accetto per il rispetto che mi impongo verso le persone che ho voluto (voglio e vorrò) bene. Non lo contesto, per quanto per me sia insensato. La questione che ho voluto esprimere è stata di esternarlo in un posto per dirlo indirettamente a tante persone. Non ho accusato, ho raccontato. Un risultato che mi ha fatto tanto bene: l’empatia che mi è stata data, in maniera persino sorprendente, da coloro che dietro un nome di un blog celano una persona che a volte conosco, di altri di cui so il nome e la voce, di altri ancora, per un meraviglioso tacito accordo, che non so, ma è come se lo sapessi, ma soprattutto messaggi da coloro che non conosco affatto, che hanno solo letto e hanno sentito il bisogno di scrivermi un pensiero. Che tra l’altro, ed è una soddisfazione, arrivano tutti ad uno stesso punto su di me, che mi scalda il cuore.
Non ho scritto né per vittimismo, né per far apparire una persona che ho adorato profondamente una carnefice. Non è mai stato quello il mio fine. Ho scritto per egoismo, ecco perchè non sono del tutto zen. Ho scritto per il principio che un’altra storia Zen racconta:
Un allievo chiede al suo maestro: “Come posso superare il dolore?”. Il Maestro con un sorriso gli ordina di prendere un pugno di sale e di versarlo in una ciotola di acqua. Gli chiede di berla. “Come è?” chiede. “È aspra, è cattiva!”. Ordina al discepolo di prendere un nuovo pugno di sale e di seguirlo. Lo porta ad un lago, entra con lui dentro l’acqua per 4 passi, e gli chiede di versare il sale nell’acqua. Dalla tunica prende la ciotola, la riempie di acqua e chiede di berla. “Come è?”. “È fresca, è buona”. “Ecco la via per superare il dolore: trasformati da ciotola in lago”.
Nel cercare le storie, ho ascoltato questa canzone, che è una gemma lucente in un disco che all’epoca fu bistrattato, ma che a distanza di tanti anni suona nuovissimo, anticipando tendenze e visioni della musica a lui futura. Lo lascio come ringraziamento a chi è arrivato a leggere fino a qui, e a chi mi sta aiutando a diventare un lago.
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Please
So you never knew love Until you crossed the line of grace Then you never felt wanted 'Till you had someone slap your face So you never felt alive Until you almost wasted away You had to win You couldn't just pass The smartest ass At the top of the class Your flying colors Your family tree And all your lessons in history Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Please So you never knew How low you'd stoop to make that call And you never knew What was on the ground 'till they made you crawl So you never knew that The heaven you keep you stole Your catholic blues Your convent shoes Your stick on tattoos Now they're making the news Your holy war Your northern star Your sermon on the mount From the booth of your car Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Leave me out of this So love is hard and love is tough But love is not what you're thinking of September Streets capsizing Spilling over Down the drain Shards of glass splinters like rain But you could only feel Your own pain October Talking getting nowhere November December Remember Are we just starting again? Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Please So love is big, bigger than us But love is not what your thinking of It's what lovers deal It's what lovers steal You know I've found it hard to receive 'Cause you my love I could never believe
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