Tumgik
#forse adesso di solitudine un po' meno
campanauz · 3 months
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La frustrazione di avere un nodo in gola da mesi e non trovare le parole corrette per esprimersi.
Questo è uno di quei momenti in cui invidio gli intellettuali veri, quelli che scrivono per mestiere, quelli che fanno della comunicazione corretta un mestiere-mi viene sempre in mente la Murgia che si spiegava con milioni di termini e non ne sbagliava uno, che nella sua abbondanza era asciutta e perfetta, sapevi esattamente cosa intendeva dire- mentre invece io sono qui con un nodo in gola da mesi, dicevo, perché non sono abbastanza: non abbastanza ebrea da essere chiamata in causa, non abbastanza neutrale per poter sparare sentenze sui social, non abbastanza orfana per dare un dispiacere a mia nonna e dire apertamente cosa penso.
Non oso nemmeno dire di essere angosciata, guardo mia figlia e penso: se la perdessi per colpa di una guerra probabilmente mi farei esplodere, distruggerei tutto, e poi prego e mi sento in colpa perché mia figlia è al sicuro e il mondo è pieno di merda e io sono una sola e in mezzo a dichiarazioni orrende e nessuno con cui possa parlarne.
L'unica cosa che mi ha fatto sentire almeno un pochino meno stronza è questa lettera. (riportata dall'avvenire) dove per la prima volta qualcuno che appartiene al mio stesso gruppo genetico dice qualcosa in cui mi riconosco.
Poi dicono che le parole non sono importanti.
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tylergalpin-wrathchild · 11 months
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.         XX
          jericho-luna park
          8:00 PM
‘ You and I just collapsed in love and it looks like we might have made it. Yes, it looks like we’ve made it to the end ‘        
↓↓
Molte di quelle strade erano illuminate, trafficate dal via vai di persone. Chiassose e colorate… e il Tyler dei tempi passati si sarebbe confuso perfettamente tra quei sussulti di vita, ma tante cose erano cambiate. Lui, era cambiato… o forse era finalmente se stesso, probabilmente, ed aveva preferito prendere la via attraverso i boschi, quella buia e rischiarata dalle stelle. Lì il silenzio era compromesso soltanto dalle voci della foresta e Tyler si sentiva a suo agio in quella solitudine.
Tante cose erano cambiate, per un po’ si era così abituato a vivere in quei boschi che, in un certo senso, si sentiva finalmente a casa adesso che li attraversava e che l’odore degli alberi umidi gli riempiva le narici.
Gli occhi verdi gli si abbassarono solamente per dare un’occhiata al display del cellulare e rileggere quel messaggio da parte di lei che diceva di aspettarla all’entrata del Luna Park, e quando alla fine egli si trovò davanti ai cancelli spalancati, ormai fuori dall’abbraccio della foresta, Tyler se ne rimase un po’ fermo a osservare la scena dinanzi a sé.
Si trattava dello stesso luogo dove l’anno prima aveva incontrato Mercoledì dopo il lavoro, lo stesso luogo dove si era tramutato in hyde per proteggerla e tenerla in vita… e mentre quei pensieri gli passavano per la testa, Tyler affondò la mani nelle tasche ed aggrottò la fronte osservando le luci colorate che facevano da sfondo ad un tripudio di musiche e chiacchiericcio. Mercoledì doveva essere lì da qualche parte, impossibile che non fosse stata puntuale come sempre ed egli avanzò, sistemandosi poco dopo i cancelli.
Ed infine la mente gli si rischiarò con pensieri meno ingarbugliati e difficili, egli pensò che quello era ufficialmente un appuntamento, il primo senza sotterfugi e bugie da confondere, un autentico appuntamento in piena regola e non importava che si portasse dentro il peso del mostro perché Mercoledì aveva deciso di accettarlo e questo era ciò che contava davvero. Tutto il resto non aveva davvero, alcuna importanza e sì, probabilmente non ne aveva mai avuta.
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@wednesdayaddams-fullofwoe
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ross-nekochan · 1 year
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Sono giorni in cui sento la solitudine forte e chiaro. Non è la solitudine di cui ho parlato le scorse volte, in cui ero sola ma accettavo la mia condizione. Questa è diversa.
È una solitudine dove ti senti individuo unico: una monade.
Sarà stata la botta di due giorni fa, più il fatto che ora una coinquilina si è licenziata e l'altra è tornata a casa questo weekend, quindi sono partita sola per ritrovarmi di nuova sola.
Ma perché gli esseri umani si sentono soli e sono tristi per questo? Sarà uno di quegli istinti inspiegabili della biologia umana? Ci sta, in fondo persino gli animali vivono in gruppo, spesso perché si sopravvive come specie meglio insieme che da soli. Forse ci portiamo appresso questo bagaglio biologico e, avendo creato intere società, non riusciamo più a farne a meno, né della cooperazione né del contatto umano.
Ieri pomeriggio dopo aver letto tanto, non sapevo più come distrarmi e mi sono messa sotto le coperte. Ero stanca ma senza sonno. Avrei potuto piangere un po' ma non l'ho fatto. Ero quasi tentata dal riempire quel vuoto mangiando. Come al solito. Il mio fantastico metodo disfunzionale per gestire le emozioni negative. Oggi, invece, mi sono fatta una foto indecente in accappatoio.
In fondo, sono entrambi metodi per avere uno spike di dopamina. Il cibo, la foto (l'erotismo che ne consegue), il sesso, l'alcol, la droga: in fondo fanno tutte la stessa cosa ed è il motivo per il quale ne siamo ghiotti. Siamo proprio macchine perfette, tese continuamente a ristabilire i disequilibri organici e ormonali attraverso azioni che sembrano dettate dal niente... e invece col cazzo.
Forse ho veramente uno squilibrio in testa come mia nonna e ho bisogno degli psicofarmaci. Forse la mia costante depressione è peggiorata veramente. Forse ha ragione lei a dire che ha paura e che è preoccupata per me per il peggio, specie adesso che sto per andarmene lontano. In fondo una volta lì sarò davvero una monade ed esserci o non esserci sarà quasi impercettibile per chiunque, persino per me stessa.
Mi è ritornato di nuovo l'eterno dilemma del voler capire perché è così necessario per l'essere umano amare ed essere amati. Potrei prenderlo come un dogma, come la gente fa con le religioni, col veganesimo o con altre cose: è così punto e basta. E invece no. Perché ne abbiamo bisogno? Perché non essere amati adeguatamente causa certe ferite dilanianti dentro? Adeguatamente poi è pure un concetto estremamente soggettivo. Infatti amare è tutto un gioco di incastri per cui si sta in pace nel momento in cui il tuo modo di amare mi appaga e viceversa. Se non è così, è tutto un gioco di compensi e di accontentarsi.
Però io sogno sempre di poter sfidare le leggi dell'essere umano, di poter essere l'unica al mondo che non ha bisogno di essere amata e vivere perfettamente in pace con sé stessa così. Poi invece una persona a caso mi fa un complimento a caso e capisco che sono lontana trilioni di anni luce dall'essere quella che vorrei essere. Sempre perché è l'inesistenza della mia autostima che mi fotte, così credo almeno.
Chissà se esiste o se è mai esistita nel mondo una persona sola. Magari triste il giusto, però sola. Senza una relazione amorosa, senza famiglia e con giusto qualche affetto lontano. (Già solo a pensarlo, sembra una cosa impossibile. Ma perché sembra così impossibile pensare a un essere umano in una condizione del genere senza che sia in un'isola deserta?) Se sì come è morto? È morto di vecchiaia? Si è suicidato? Se sì, lo ha fatto in pace o in tormento? Avrà scritto un diario o un romanzo su di sé? Forse dovrei cercare, per non sentirmi sola...
Ecco, di nuovo la mia natura di essere umana mi riporta a voler sentire una connessione, un contatto umano. Non c'è scampo.
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badnotbad · 2 years
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Oggi ho capito cosa è l’amore
Ho iniziato a lavorare in questo bar tre settimane fa e sono tre settimane che servo un signore. Questo signore ha settantaquattro anni e dal primo giorno che l’ho visto e servito qualcosa guardandolo mi urlava che si sentisse profondamente solo e così quasi per gioco e un po’ per tirargli su il morale ho iniziato a decorare il suo cappuccino con cuoricini.
Oggi come tutti i giorni è venuto al bar e ha preso un cappuccino e una brioche (il solito bambina come dice lui).
Ho fatto il suo solito cappuccino con i cuoricini e poi ho servito altra gente, non sono riuscita a seguirlo molto perché avevo tanti clienti da servire ma mi aveva accennato che sarebbe tornato più tardi nella mattinata.
Verso le 11 quando il bar si era calmato è tornato e ha ordinato un caffè, l’ho servito e poi mi sono messa un po’ a parlare con lui.
Mentre parlavamo del più e del meno, mi racconta che improvvisamente la moglie è venuta a mancare, più o meno due mesi fa. Mentre parlava di sua moglie ha iniziato a piangere e a ricordare i momenti che passava con lei, non ho potuto far altro che ascoltarlo e commuovermi io stessa per come lui parlava di lei.
In breve tempo ho scoperto che si sono sposati quando lui aveva 17 anni e che insieme hanno passato sessant’anni della loro vita, fondendosi fino a diventare una persona sola.
Ho scoperto che lei era una donna forte e che la sua scomparsa ha devastato quest’uomo
Ho scoperto che lui tiene la sua foto nel portafoglio ed è pronto a mostrarla al mondo vantandosi di essere stato suo marito.
Ho scoperto che lei avrebbe tanto voluto un cagnolino e ho consigliato in lacrime a questo signore di prenderne uno per avere un po’ di compagnia, la sua risposta è stata “adesso è troppo presto mi ricorderebbe che lei non c’è”
Ho continuato ad ascoltarlo e ho vissuto da esterna una breve parte della loro storia e mentre vedevo il viso di quest’uomo rovinato dalle lacrime e dalla solitudine non sono riuscita a trattenere il pianto.
La cosa che forse mi ha colpita di più è che mentre piangevo lui cercava di consolarmi dicendomi che lui stava bene e che anche se lei gli manca riesce ad andare avanti ricordando i loro momenti e la loro vita insieme.
Il signore poco dopo ha pagato ricordandomi che anche se ora soffre per la sua scomparsa rifarebbe tutto da capo perché non c’è sofferenza più grande che rinunciare a vivere un’amore.
Ho salutato il signore verso le 12 e ora che sono le 19 sto scrivendo di lui perché il racconto e le emozioni di questo signore mi hanno così tanto stretto il cuore che non posso fare a meno di raccontare la loro storia.
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Forse credi di poter avere più felicità in futuro se ci rinunci adesso, ma non funziona così. La felicità richiede tanto esercizio quanto l’infelicità. È vivendo che vivi di più. Aspettando che aspetti di più. Ogni giorno di attesa rende la tua vita un po’ più povera. Ogni giorno di solitudine ti rende un po’ più piccola. Ogni giorno di non-vita ti rende meno capace di vivere.
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tma-traduzioni · 2 years
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Mag 159 - #0182509-B - L’ultimo
[Episodio precedente]
[CLICK]
[RUMORE DI ONDE E INTERFERENZA; PASSI SU SABBIA BAGNATA]
ARCHIVISTA
Martin!
Martin!
[INTERFERENZA CHE AUMENTA DI VOLUME, COME UN AEREO IN ALTO NEL CIELO]
PETER
(soffuso, distorto) Non vuole vederti.
ARCHIVISTA
Dove sei?
PETER
(distorto) Non sono qui, Archivista. Nessuno lo è.
ECO DI PETER
Nessuno lo è.
PETER
Sei da solo.
ECO DI PETER
Sei da solo.
ARCHIVISTA
Bene. Allora forse “nessuno” può rispondere a qualche domanda.
[LA VOCE DI PETER CONTINUA A ECHEGGIARE; PRENDE UNA PAUSA DOPO OGNI FRASE, PER DARLE IL TEMPO DI RIPETERSI, PRIMA DI PASSARE ALLA SUCCESSIVA.]
PETER
Hai ancora tempo, Archivista. Torna indietro e vattene. Hai fatto la tua parte. Ora vai.
ARCHIVISTA
Che problema c’è, Lukas? Hai paura di parlare faccia a faccia?
PETER
(risatina) Ovviamente. O non hai prestato attenzione finora?
[L’ARCHIVISTA FA UN SUONO AGITATO. I PASSI CONTINUANO.]
ARCHIVISTA
Martin!
PETER
È veramente strano. Pensate entrambi di essere così concentrati l’uno sull’altro, ma quanto vi conoscete veramente? Quanto tempo avete passato insieme al di fuori del lavoro, o senza bisticciare o fuggire dal mostro assassino del momento?
Quindi. Cosa state cercando? L’immagine che avete creato l’uno dell’altro?
Le persone che pensate di amare non esistono. Non veramente. Ed è una posizione così solitaria in cui trovarsi.
ARCHIVISTA
(interrompendo l’eco di Peter) Silenzio!
Martin!
PETER
(compiaciuto) Non… vuole… vederti.
ARCHIVISTA
Allora lascia che sia lui stesso a dirmelo.
PETER
Vattene via.
ARCHIVISTA
Mandami via tu.
A meno che tu non ne sia in grado. La Solitudine e l’Occhio non sono così diversi tra loro, no? Non esattamente. Che c’è di bello nell’essere soli se non sai quanto solo sei veramente?
Il che significa… be’, penso che tu sia preoccupato. Sai che lo troverò prima o poi, e sai che posso trovare anche te.
[DIVERSI SECONDI DI SILENZIO.]
Mh. Come pensavo.
[PASSI.]
(sorpreso) Martin!
MARTIN
(a bassa voce, distorto) Jon?
ECO DI MARTIN
Jon?
[LA VOCE DI MARTIN È DISTORTA COME QUELLA DI PETER, ECHEGGIA DEBOLMENTE ALLO STESSO MODO. SEMBRA ESSERE STANCO.]
ARCHIVISTA
S-Sono qui. Sono venuto per te.
MARTIN
Perché?
ARCHIVISTA
….Pensavo ti fossi perso.
MARTIN
Sei reale?
ARCHIVISTA
Sì! Sì, l-l-lo sono. Avanti, dobbiamo andarcene da qui.
MARTIN
No. No, non credo.
ECO DI MARTIN
No. No, non credo.
ARCHIVISTA
(atterrito) Perché?
MARTIN
(echeggiando) Devo rimanere qui. È il posto giusto per me.
ARCHIVISTA
(sopra l’eco di Martin) Martin, non dire così.
MARTIN
Non c’è sofferenza qui. Solo silenzio. Persino la paura è delicata qui.
ARCHIVISTA
Così non va bene. Non è da te.
MARTIN
Invece lo è.
(risata ironica) Ero veramente innamorato di te,  sai?
ARCHIVISTA
Ha chiaramente fatto qualcosa. Peter ha fatto qualcosa per confonderti le idee-
Maledizione! Martin! Martin!
PETER
(echeggiando) Ho provato a dirtelo. È andato. Ha fatto la sua scelta. E non ha scelto te.
ARCHIVISTA
Lo ha fatto per me, però. Sono io la ragione per cui lui… è colpa mia tanto quanto è colpa tua.
PETER
Sì. Immagino di sì.
Dove sono i tuoi amici, Archivista?
ARCHIVISTA
Tim e Sasha sono morti.
PETER
Sì?
ARCHIVISTA
Daisy e Basira sono… probabilmente morte.
PETER
Per. Colpa. Tua.
ARCHIVISTA
Georgie e Melanie mi hanno abbandonato.
PETER
E?
ARCHIVISTA
Martin è andato.
PETER
Sei da solo, Archivista. L’unico sopravvissuto. Ti avevo avvertito. Volevo che te ne andassi, ma… forse sarebbe meglio se rimanessi per un po’. Dopo tutto - non puoi far del male a nessuno qui.
ARCHIVISTA
(apparentemente sconfitto) Già.
PETER (COME ECO DELL’ARCHIVISTA)
Già.
ARCHIVISTA
(fermamente) Oppure forse potresti rispondere a qualche domanda.
PETER
(echeggiando) …cosa?
[L’INTERFERENZA AUMENTA E DIVENTA PIÙ PROFONDA MENTRE L’ARCHIVISTA PARLA.]
ARCHIVISTA
Se fossi in te eviterei di provare a scappare. Riesco a vederti adesso. Posso trovarti ovunque tu vada.
PETER
(senza eco) Va bene! Era solo un’idea. Allora vattene.
ARCHIVISTA
Non prima di aver ricevuto qualche risposta.
PETER
Non succederà.
ARCHIVISTA
Raccontami la tua storia, Peter Lukas.
[MENTRE L’ARCHIVISTA PARLA,  L’INTERFERENZA SFRIGOLANTE DELLA COMPULSIONE AUMENTA DI VOLUME.]
PETER
No!
ARCHIVISTA
Racconta.
[PETER SI LASCIA SCAPPARE QUALCHE LUNGO LAMENTO DOLORANTE.]
PETER (DICHIARAZIONE)
(arrabbiato) Va bene!
Va bene.
Da dove vuoi che cominci? Dall’inizio? Una gioventù solitaria, il mio percorso graduale verso il diventare figlio unico?
Vedi, è questo il punto di un credo di famiglia. Bisogna puntare sui credenti.
Mia madre ebbe cinque figli nel corso della sua vita, prima che mio padre finalmente sparì. Era una Lukas nell’animo, nonostante non fosse nata in famiglia, mentre mio padre, sebbene si fosse sempre ritenuto pronto ad una “vita senza obblighi”, gradualmente si disperse nel nulla mentre lei accresceva lo spazio tra di loro.
La casa era enorme. Le nostre stanze venivano mantenute il più lontano possibile, e cambiate spesso, mentre un insieme di tate e tutor regolarmente alternati si prendeva cura di noi.
Sai che mia madre è ancora viva? Ma non riesco comunque a ricordare la sua faccia con chiarezza. E lo considero una benedizione. Non provo nemmeno rancore nei suoi confronti: è semplicemente qualcuno che esiste, lontano da me. Fu quella sorta di infanzia che non ci saremmo potuti permettere se non avessimo avuto i soldi, ma siamo una vecchia famiglia con, diciamo, una (eheh) notevole linea diretta di eredità. Il genere di famiglia che non avrebbe permesso a nessun assistente sociale di mettere piede nella sua proprietà.
Ma nonostante tutto, a parte qualche stranezza dovuta alla nostra fede, non so quanto la mia infanzia sia stata diversa da quella di altri rampolli dell’aristocrazia. (eheh) Da quello che so, tagliare ogni connessione con la propria umanità è pietra miliare di un’educazione dell’alta società… comunque mi sono stati risparmiati i traumi mirati del collegio, dato che mia madre era fermamente convinta che il pericolo di fare amicizia con qualcuno fosse troppo grande.
Immagino che definirmi “figlio unico” sia, tecnicamente, sbagliato. Due delle mie sorelle sono ancora vive, anche se hanno rinnegato la famiglia e si sono trasferite molto, molto lontano. Comunque… essere separati dalla propria famiglia è di suo un tipo di solitudine molto speciale, no? Quindi serviamo tutti il nostro dio in qualche modo.
Gli altri due - mio fratello, Aaron, e mia sorella, Judith - be’, loro non furono abbastanza accorti da diventare silenziosamente adulti e sparire. Semplicemente non avevano il temperamento giusto per fiorire in casa Lukas, provavano sempre a… iniziare giochi. Fare amicizia. (debole disgusto) Creare connessioni con le persone.
Per quanto ne so, sono stati mandati via a vivere con parenti molto lontani, per non fare più ritorno. Sono certo sia possibile che mia madre abbia risolto il problema in modo meno piacevole, ma dalle poche interazioni che abbiamo avuto, non mi è mai sembrata una donna crudele, e tendo a credere che, per dei bambini di quell’età, la paura e isolazione dell’essere allontanati dalla propria famiglia e mandati via di casa è forte quanto quella del dover affrontare un… destino più cruento.
Io, ovviamente, ero il figlio preferito, considerando quanto fossi silenzioso e riservato, e, in ogni momento, profondamente dedicato alla mia stessa solitudine. Non avevo tempo per libri o televisione, o per qualunque tipo di escapismo e le amicizie artificiali nate dalla narrativa. No, ero me stesso, e mi bastava. Passavo i giorni a esplorare i vasti terreni e foreste della nostra proprietà, alla ricerca di angoli nascosti dove pensavo che nessuno mi avrebbe trovato - anche se adesso mi chiedo quante generazioni di Lukas abbiano avuto questi stessi pensieri, in quegli stessi luoghi.
Non appena fui  abbastanza grande, cominciai a scappare di casa per giorni interi. Prendevo i soldi di cui avevo bisogno dalla borsa di mia madre, e facevo l’autostop verso qualunque città potessi raggiungere. A ripensarci, mi rendo conto di quanto fosse strano che la sua borsa fosse sempre così piena di contanti, e credo che potrebbe essere stata la cosa più vicina alla sua approvazione che io abbia mai ricevuto.
Quando arrivavo in qualunque destinazione avessi scelto arbitrariamente, di solito si era fatta notte. Camminavo per le strade buie, immerso nelle luci dei lampioni, guardando le finestre illuminate dei palazzi che mi circondavano, ognuna un piccolo, accogliente covo di calore e umanità, e godendomi la mia distanza da loro.
A volte, incrociavo qualche altro viaggiatore notturno per strada e li odiavo. Infrangevano la distanza, il mio bozzolo di quieta immobilità, e desideravo con tutto il cuore che semplicemente scomparissero.
E un giorno… uno di loro lo fece.
Lo ricordo ancora bene. Era alto e robusto, indossava un impermeabile verde che aveva chiaramente comprato durante la sua giovinezza. C'era una pioggerella sparsa quella notte, una di quelle piogge che non si vede, ma che lascia tutto scintillante e umido, e lui stava lottando con un ombrello. Provai a superarlo velocemente, ma i suoi occhi incontrarono i miei e lui ... (disgustato) sorrise. E chiesi se potevo aiutarlo.
Non riesco a descrivere la sensazione che mi attraversò. Posso solo dire che gli chiesi di sparire. E lui lo fece.
O forse ... fui io a sparire. Ripensandoci, è difficile stabilire con sicurezza chi dei due si allontanò dal mondo popolato, ma in ogni caso, il senso di incantevole sollievo, bordato da una strana paura crescente - era qualcosa che non avevo mai provato prima. Era inebriante.
Quando ritornai, fui accolto da mia madre e da un piccolo gruppo di parenti dalla faccia severa che non avevo mai visto prima, tranne che ai funerali. Mi portarono nel seminterrato e mi mostrarono la verità sulla nostra famiglia. All'inizio fu ... difficile da accettare. Non perché non volessi che fosse vero, ma perché sembrava incredibile che qualsiasi dio potesse essere così perfettamente in sintonia con il mio cuore.
Poco dopo lasciai di nuovo casa e presi il mare, e non vidi mai più mia madre - eccetto, ovviamente, per i funerali.
Alcuni dei miei ricordi più sereni furono sulla Tundra. Avevo riunito un piccolo gruppo di persone fidate che sapevo fossero leali e dedite… ai miei soldi. Non avevano scrupoli o morale per ciò che facevamo su quella barca e, su mia richiesta, si fecero assumere sotto falso nome, così non avrei mai dovuto sapere chi fossero. Quelle solitarie notti di sacrificio e attesa, passate ad ascoltare il terribile suono del fischio dei miei antenati vagare sulle acque scure e minacciose, sapendo che un'altra anima stava lasciando questo mondo...
Dio, come vorrei essere lì in questo momento. Chiuso nella mia cabina, ad osservare il vuoto silenzioso del mare aperto.
Ma è ormeggiata adesso, e io sono tornato a terra, su (arrabbiato) richiesta di Elias. Il mio equipaggio è là fuori, che aspetta una chiamata che adesso dubito sarò mai in grado di fargli.
Lo chiamerò “Elias” dato che questo è il nome con cui l’ho conosciuto per la maggior parte della nostra… collaborazione, anche se lo incontrai per la prima volta quando era ancora James Wright, Capo dell’Istituto Magnus. Mi sembrò un ometto noioso inizialmente, così desideroso di guardare le altre persone soffrire, di perdersi nel loro dolore e i loro drammi - esattamente quel genere di cose che io ho sempre voluto evitare.
Era Gertrude quella di cui avevo paura. Sembrava non avere alcun interesse nell’incontrarmi, cosa che io apprezzavo, ma c’era qualcosa nei suoi occhi quando mi guardava. Come se stesse facendo qualche calcolo e io fossi un valore indesiderato che stava decidendo se rimuovere o meno. Fu solo molto tempo dopo che capii esattamente quanto fosse vero. Comunque, sembra che non sia mai stato un problema abbastanza pressante da darmi la caccia in mare - o anche solo aspettare finché non tornassi a terra e aggredirmi. Immagino che nemmeno lei avrebbe potuto prevedere come sarebbe andata a finire.
A pensarci adesso, forse una delle ragioni per cui sono durato così a lungo è che, a conti fatti, sono stato prevedibile. Una cifra conosciuta. Avevo il mio piccolo appezzamento, mandavo i miei poveri marinai smarriti verso loro desolata fine, ma raramente ne uscivo fuori. Quando penso a tutti coloro che ho incontrato che hanno viaggiato in questo mondo segreto in cui ci siamo trovati - Gertrude, Simon, Mikael, persino Rayner - ce ne sono molti a cui la mia morte avrebbe potuto rendere la vita più facile, ma era raro che mi allontanassi dalle mie abitudini.
Forse è per questo che, quando mi imbattei in (lieve disapprovazione) Adelard Dekker, finimmo a parlare e mi raccontò la sua teoria sull’Estinzione – qualcosa che rimase con me anche dopo che lui morì perseguendola.
Il fatto è che la solitudine che desidero, che riempie il mio cuore di quel rassicurante disagio, si basa sulla distanza dalle altre persone. Ma un mondo senza persone, o quantomeno qualcosa che riconoscerei come persone… ? Non ha senso. Senza la finestra illuminata in lontananza, come faccio a vedermi separato da essa? No.
Un mondo del genere sarebbe terribilmente noioso e mi spaventa in un modo molto diverso. Una paura che sono felice di offrire, ovviamente, ma che preferirei non si realizzasse.
Il mio istinto era molto simile a quello degli altri: pensavo che se avessi potuto completare per primo il mio rituale, allora la potenziale nascita del terribile cambiamento sarebbe stata priva di significato. Lo iniziai poco prima che Simon mi convincesse a unirmi a lui nel suo piccolo esperimento spaziale. Fu interessante, ovviamente, ma un enorme spreco di denaro a conti fatti, tutto solo per spaventare un singolo astronauta. Ma pensavo avrebbe potuto distrarre dal mio vero obiettivo.
Avevo commissionato i servizi di architetti, designer e sociologi, tutti con una varietà di pretesti, e mi ero assicurato un appezzamento di terreno vicino ad Aldgate East. Avevo intenzione di costruire un palazzo tutto mio. Oh, è stata una meraviglia di design! Appartamenti apparentemente ampi, ma nessuno spazio abbastanza grande per un letto matrimoniale o un divano di dimensioni dignitose. Attrezzature da cucina che sembravano adeguate fino a quando non provavi a usare qualcosa che non fosse il microonde. Uno spazio ufficio in ogni appartamento, ma senza porta, in modo da non poter mai veramente sfuggire al proprio lavoro. Nessuno di loro aveva più di una camera singola, sebbene ognuna avesse un bagno principale e un bagno privato, un piccolo tocco di cui ero molto orgoglioso.
I quattro piani inferiori furono lasciati deliberatamente vuoti, quindi chiunque abitasse nel palazzo poteva vedere solo le persone sottostanti da una certa distanza: le luci della città da cui erano stati allontanati. Le finestre erano spesse e ogni parete era insonorizzata. I corridoi erano pieni di  finte porte, così anche se ogni piano era stato progettato per ridurre al minimo la probabilità che i residenti si incontrassero, avrebbe comunque dato l’impressione di essere affollato da porte che non si sarebbero aperte bussando. Resi gli ascensori molto piccoli.
Quindi, offrii le camere ad un prezzo assurdamente basso per la loro posizione nel centro di Londra, e poi esaminai i candidati senza pietà. Diedi priorità a coloro che si erano appena trasferiti in città: laureati che avevano bisogno di un alloggio economico e stavano per iniziare lavori intensi e ad alto stress che avrebbero dato loro poco tempo per socializzare. Anche i recentemente divorziati erano particolarmente adatti, specialmente quelli i cui amici si erano schierati con il loro partner. Li ammassai, spingendoli a ribollire in un cocktail di luci lontane, corridoi vuoti e tiepido takeout per uno.
Il piano era di aspettare fino a quando le persone all'interno non avessero raggiunto livelli critici di solitudine e disperazione, quindi, tutto in una volta, intrappolarle a distanza. Tagliare le loro linee telefoniche e internet e lasciali morire, da soli, nei loro sventurati monolocali mentre l’Abbandono emergeva dal loro terrore. Lo chiamai Silenzio, anche se ad essere onesti, lo feci principalmente perché pensavo che dovessero avere dei nomi. Non so se il titolo fosse terribilmente ispirato.
(rassegnato) Poi - ovviamente - Gertrude Robinson. Sai cosa fece? Quale devastante arma usò per mandare all’aria il mio piano? Il giornale. Fece una soffiata a qualcuno del Guardian.
Ricordo ancora di aver visto il titolo, nero su bianco: "L'edificio più solitario della Gran Bretagna". Il mio errore fu l’aver scelto solo gente bianca e di classe media, gente di cui importava davvero alle persone, facevano a gara per dichiararla "emblematica dei problemi del mondo moderno". (ugh) Gli articoli iniziarono a dilagare, le candidature iniziarono a diminuire e io ero dentro fino al collo in (esasperato) programmi di sensibilizzazione della comunità. Nessun modo per salvarlo. Anni della mia vita e una considerevole fortuna andati in fumo. E lei non ebbe nemmeno la decenza di uccidermi
Mi scoraggiò profondamente. Mi ci vollero anni per ritrovare me stesso. Tornai sulla Tundra, cercai di dimenticare, ma il problema era che avevo avuto un assaggio del gioco. E avevo ancora fame. Suppongo sia per questo che fui così entusiasta quando Elias si fece sentire. Eravamo rimasti in contatto, ovviamente: la mia famiglia ha contribuito a finanziare l'Istituto, e lui aveva sempre fatto un buon lavoro nell’informarmi su potenziali vittime. Vivere qualcosa di orribile può farti sentire davvero isolato, soprattutto se sai che nessun altro ti crederà.
E ovviamente… sapeva che avrei trovato difficile resistere ad una scommessa.
Se fossi riuscito a convincere uno dei suoi impiegati a diventare volontariamente un fedele della Solitudine, sarebbe stato tutto mio. Mi lasciò pure scegliere la vittima. Era così sicuro che l’Istituto, il Panopticon e un volontario che lo usasse sarebbero stati una vincita troppo grande per me da poter resistere. E… aveva ragione. Semplicemente le cose non sono andate esattamente come speravo.
Sai, questa è una delle prime scommesse che ho perso contro di lui . Ma immagino sia così che funzionano i truffatori, no? Perdono e perdono finché non sei disposto a giocarti tutto, e poi – ti intrappolano.
Quindi suppongo sia per questo che ho reagito così avventatamente, provando a strappare la vittoria dalle sue mani. Tenerti qui. Ma sembra che io abbia sottovalutato il mio opponente ancora una volta.
ARCHIVISTA
Cosa c’era in palio per lui? Cosa avrebbe ottenuto con la tua sconfitta?
PETER
(disinteressato) Oh, c’eri tu in palio.
ARCHIVISTA
N-non capisco.
PETER
E non sarò io a spiegartelo.
Ne ho abbastanza.
ARCHIVISTA
Dimmelo.
[LA COMPULSIONE RICOMINCIA.]
PETER
(sofferente) Non… dirò… un’altra… parola.
ARCHIVISTA
Dimmelo, o sarò io a tirarlo fuori da te.
PETER
No…
[L’INTERFERENZA CRESCE D’INTENSITÀ.]
ARCHIVIST
Rispondi alla mia domanda!
PETER
(echeggiando ancora) No! Lasciami… da… SOLO!
ARCHIVISTA
RISPONDI!
[LO STRIDIO AUMENTA DI VOLUME MENTRE L’ARCHIVISTA FA A PEZZI PETER LUKAS. LUKAS LANCIA UN ULTIMO GRIDO DI RIBELLIONE CHE SI DISSOLVE NELLA REGOLARE INTERFERENZA.]
ARCHIVISTA
(sussurro) Sciocco ostinato.
[PASSA QUALCHE SECONDO, RUMORE DI PASSI.]
Martin. Se n’è andato, Martin. Se n’è - se n’è andato.
MARTIN
(echeggiando) Il suo unico desiderio era di morire da solo.
ARCHIVISTA
Che peccato. Ora - ascoltami, Martin. Ascolta.
MARTIN
(vuoto, echeggiando) Ciao, Jon.
ARCHIVISTA
Ascolta, lo so che pensi di voler stare qui, lo so che pensi che sia più sicuro, e be’ - be’, forse lo è. Ma abbiamo bisogno di te. (disperato) Ho bisogno di te.
MARTIN
No, non hai bisogno di me. Non seriamente. Siamo tutti soli, ma sopravviviamo comunque.
ARCHIVISTA
(interrompendo l’eco di Martin) Non voglio solamente sopravvivere!
MARTIN
Mi dispiace.
ARCHIVISTA
Martin. Martin, guardami. Guardami e dimmi cosa vedi.
MARTIN
Vedo...
[LA VOCE DI MARTIN TREMA.]
Vedo te, Jon.
[SI LASCIA SCAPPARE UNA RISATINA INCREDULA, POI UN’ALTRA. L’ECO S’INTERROMPE.]
Vedo te.
ARCHIVISTA
(sollevato) Martin.
[IL RESPIRO DI MARTIN AUMENTA DI VELOCITÀ. SINGHIOZZA, LA VOCE ROTTA DAL PIANTO.]
MARTIN
Ero… ero da solo. Ero completamente solo.
ARCHIVISTA
Non più. Avanti. Torniamo a casa.
MARTIN
Come?
ARCHIVISTA
Non preoccuparti. Conosco la via.
[COMINCIANO A CAMMINARE, E IL NASTRO SI CONCLUDE.]
[CLICK]
[Traduzione di: Sim]
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notizieoggi2023 · 2 months
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Perché il silenzio di Chiara Ferragni fa rumore Vanno a due velocità diverse, Chiara e Fedez. Lei tira il freno, lui corre. Dopo l'annuncio della rottura - anche se nessuno ha ancora pronunciato ad alta voce le parole definitive che sanciscono la fine - l'imprenditrice si è rifugiata negli affetti, nelle vacanze di famiglia, nei giri sulle giostre, nelle feste di compleanno, in quei piccoli attimi di normalità che ti tengono nel presente. E nel silenzio, ormai conscia di non essere più alla guida della macchina perfetta che era la sua immagine. Niente fit-check, niente "best of these days". Un silenzio che sta facendo rumore: i detrattori dicono che senza figli, attualmente a Miami con Fedez, adesso non le rimanga nulla da postare e che questa sparizione sia obbligata. I fan invece sono preoccupati, la vedono smagrita e triste, le scrivono parole di incoraggiamento sotto ai post, invocano una rinascita. La verità è probabilmente un'altra: Chiara è tornata da Dubai e ha trovato la casa vuota, perché il marito nel frattempo ha portato via le sue cose mentre lei e i bambini non c'erano. Non sono supposizioni, lo abbiamo visto mentre succedeva nelle storie di lui. Davanti ai segni della sua relazione che si sgretola, Chiara forse ha deciso di elaborare in solitudine. Dopo Dubai, dove ha trascorso la Pasqua con i suoi affetti fidati e i suoi due figli Leone e Vittoria, non a caso è sparita: non posta da giorni, latitano pure gli aggiornamenti fugaci che segnano il suo feed fin dal pandoro gate di dicembre. Sembra, così tutto d'un tratto, che abbia smesso di fingere che tutto vada bene, che non abbia più voglia di rimanere iperconnessa com'era prima, ancorata a uno sguardo dove a trionfare era una proiezione dell'influencer inattaccabile e ideale. Fedez intanto corre: ora è a Miami con i figli e si diverte a fare il bagnino di Baywatch, a Milano ha ripreso a uscire, si è trasferito nella nuova casa dove ha già piazzato i suoi gadget amatissimi come a marcare il territorio. La stampa lo tratteggia come "uomo nuovo" ringalluzzito dalla rottura, come se questi anni di matrimonio lo avessero represso e ora fosse tornato a respirare. Chiara, a confronto, sembra sperduta: prima aveva il lavoro, oggi anche quello non funziona, è tutto bloccato al 15 dicembre, giorno in cui il caso Balocco è esploso. E se quella prenatalizia è ancora oggi una data simbolo per i Ferragnez, ce n'è un'altra che incombe con altrettanta invadenza: quella del 9 aprile. Giorno in cui il marito (forse) rivelerà, seduto sullo sgabello di Belve, cosa è successo alla coppia più invidiata d'Italia. Le diffide di Chiara a Fedez per evitare che parli dei fatti loro in trasmissione sono state in parte smentite (Francesca Fagnani ha fatto presente che a lei non è arrivato nulla. Ma non sappiamo se lo stesso valga per il rapper) e le anticipazioni parlano di un Fedez in lacrime che parla della sua compagna perduta e dei figli. E intanto, almeno mentre scriviamo, di Chiara non c'è traccia. Forse ha tenuto fede alla promessa fatta a Fabio Fazio durante l'intervista a Che Tempo Che fa: meno tempo davanti allo smartphone, più tempo per la vita vera. Lì per lì sembrava una frase vuota, forse però adesso che la vita vera si è affacciata sgretolando la perfezione del passato, da sempre filtrata a uso e consumo di quelli che non fanno difficoltà a passare da follower a hater in un lampo, Chiara Ferragni ha trovato un po' di sollievo.
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valdis-d · 10 months
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Esame di stato - ricordati
31 Luglio 2023
Forse sto migliorando un po', quando ho aperto adesso Tumblr per scrivere, non ho aperto la modalità incognito del telefono. Sarà perché sto cominciando ad avere meno paura di tutte queste paturnie e temo meno che qualcuno le legga? Ho anche più facilità a dire che faccio terapia. Se tutto questo dovesse cambiare e tu dovessi effettivamente "guarire" ricordati sempre com'erano pericolosi i weekend, dove non potevi rimanere da solo, altrimenti i pensieri ti catturavano e ti deprimevi. Come non potevi uscire a fare una passeggiata da solo, altrimenti la depressione ti prendeva. Ricordati dei capodanni, delle vacanze estive, di come hai desiderato e tutt'ora desidereresti lavorare 7 giorni su 7. Di come hai paura alla sera a tornare a casa ad affrontare la solitudine. Stai scrivendo dal sagrato de Duomo e hai l'esame di stato fra quattro ore. Speriamo vada bene. Non per la carriera, quello non credo lo userò mai, più che altro per il mio personale equilibrio mentale, che rischia di esplodere. La mamma per fortuna sta meglio. Ha fatto l'operazione e non dovrà fare chemio.
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a volte sto bene
a volte sto male.
non so che mi prende,
ma so che in qualche modo ci sei tu di mezzo, anche e se continuo a negarlo,
davanti all’evidenza.
Sarà perché la sera mi abbraccia la solitudine, e non riesco a non pensare a quando stavamo in chiamata le ore,
adesso tu stai con un altro, che ti ha reso molto più felice di me, continuo a convincermi che forse è stata solo la distanza a distruggerci..
anche se sappiamo tutti e due che non è stata quella..
ti ho amata posso dirlo, veramente tanto, e non mi rendo conto di come sia finita così velocemente..
E se penso al perché ho soltanto un nodo alla gola, che se lo mando giù mi accoltella il cuore.
Il fatto che quando stai con lui non mi pensi, mi fa stare male, ed è come se non fossi stato così importante come dicevi, tutte le notti che aspettavo solo un tuo messaggio, le vorrei rivivere altre mille volte, e so che è stupido pensare al passato, ma non posso farne a meno.
Mi hai beccato nel periodo in cui ero più felice che mai, che avevo trovato la pace con me stesso, il periodo in cui stavo provando ad aprirmi con le persone, a fidarmi delle persone, a completarmi, stavo bene da solo, mai stato meglio, poi sei arrivata tu, nonostante io ho voluto mettere subito le mani avanti, tu non mi hai capito, e mi hai distrutto.
Pezzo per pezzo mi avvicinavo sempre più a te, mi svegliavo e pensavo “oh cazzo che bello, un’altra giornata insieme a te”
Non puoi capire quanto ti ho amata, quanto cazzo sei stata importante per me.
La settimana che smettemmo di scrivere, misi la felpa nell’armadio, sperando si levasse l’odore, ieri la presi e sapeva ancora di te, inutile dire che.. vabbè..
il primo giorno con la speranza che tornassi, ti chiamai, non era solo per sapere come stavi.
Forse tutto questo è anche un po’ colpa mia, ma neanche tanta, perché alla fine, volevo solo che tu fossi felice e se non ti avessi detto certe cose, forse stavi ancora a parlare con me e quel ragazzo non ti starebbe neanche interessato..
Ma sai, ero diventato anche un po’ il tuo migliore amico e avevo capito che ti piaceva, anche più di me.
buonanotte, spero tu stia dormendo bene.
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yomersapiens · 3 years
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Uscire dalla tana.
Nel nuovo ufficio sto cercando di pormi come un uomo diverso. Voglio tagliare col passato fatto di sette anni di quasi totale solitudine così sto esplorando nuove parti di me. Ad esempio, sto socializzando a pranzo. Capita spesso che vada in cucina mentre tutti mangiano e mi metta pure a parlare. L'altro giorno ero con la Social Media Manager, una ragazza giovane che si veste sempre benissimo. Talvolta troppo bene per quello che facciamo là dentro. Noto che cercava qualche argomento di conversazione. - Sei italiano? - Eh sì. - Cosa pensi di questa pizza che sto mangiando? Va bene anche se ha il tonno e la cipolla? - Se a te piace mi va benissimo. - Perché non la trovo molto saporita. Forse ci metto su del pesto di basilico. Cosa pensi? - Penso che devi fare quello che credi. Non giudicherò. Mette il pesto. La addenta. Mi guarda. - Adesso sì che è proprio buona! Devi provarla! - Ti ringrazio ma preferisco di no. - È perché sei italiano? - Vero. Apprezza lo sforzo che sto facendo nel non urlarti addosso per aver messo del parmigiano sopra il tonno. - Infatti, sei molto calmo riguardo al cibo, per essere un italiano. - Voglio scappare da certi cliché. Qualche anno fa sicuro mi sarei messo a farti la paternale sul destino del povero tonno che non solo muore ma viene pure umiliato da cadavere cosparso di formaggio. Invece oggi sono felice per te. Noto che come sfondo del telefono ha la foto del giorno del suo matrimonio. Io non capisco sta cosa degli austriaci, che si sposano sempre. Convivono subito. Fanno figli come hobby e divorziano e vanno avanti fino al prossimo matrimonio. - È stato un bel giorno? - Quale? - Quello del tuo matrimonio - Ah sì, molto bello - Ti sei divertita? - Molto! - Quindi lo rifaresti di nuovo? - Non capisco... in che senso? - No niente, pensavo a certi cliché che ho nella testa io di voi austriaci... - Tu non sei uno che parla molto con le persone, vero? - Per niente. Parlo tantissimo. Qua mi trattengo perché non voglio farmi conoscere. O spaventare. O forse solo perché non ne ho voglia. Mi sembra sempre di dover riiniziare da capo oramai. Conosci una persona nuova, racconti quello che sei e speri che ci creda subito così poco dopo puoi andartene avendo lasciato un'immagine di te che funziona. Come una bella storia. Ecco alla fine penso che oggi conoscere persone sia diventato un ripetere costante la propria storia. Bella o brutta che sia, è solo quello che vuoi venga percepito, perché non abbiamo più tempo reale per metterci a conoscere qualcuno. E se poi ci stanchiamo? Si va avanti. Posso mettermi a parlare e conoscere un centinaio di persone in un pomeriggio quasi senza fatica. È un potere immenso che mi annoia. Così adesso sto tranquillo e cerco di comunicare il meno possibile, ripetendo la storia di me che mi piace di più. - Wow. Sei davvero uno che parla tanto. - Eh lo so. - Hai figli? - No. - Ne vorresti avere? - Non mi piaccio così tanto da volermi vedere riprodotto in formato minore. Cioè, guardo i nostri colleghi che hanno 3, 4 figli e penso "Cazzo, devi proprio credere in te stesso se vuoi che ci siano tre versioni di te ulteriori sul pianeta". Io credo in me stesso per altre cose, però forse se lascio qualcosa sul pianeta dopo di me, deve essere qualcosa che lo migliora sto posto. - Ah ok. Capito. Per me invece è ancora troppo presto. - Quanti anni hai? Se posso chiedere. - 25. - Sì sei molto giovane. - Perché chiedi il permesso per ogni cosa? - Tipo? - Mi hai chiesto il permesso per sapere la mia età. - Ah. Non lo so. Questione di privacy? Rispetto? Magari non ti andava. So che ci tenete molto alle distanze voi. - Voi? - Voi giovani. - Quanti anni hai? - Vado per i 38. - Come? Te ne avrei dati massimo 30! - Eh. Ci provo davvero tantissimo a sembrare giovane. Tatuaggi, piercing, colori pastello. È uno sforzo notevole. - Ti manca l'Italia? - Tutti i giorni. - E pensi mai di tornarci? Per me è bellissima. Ci vado sempre in vacanza. - Ecco per le vacanze è ottima, ma non credo tornerei mai a viverci. L'ho lasciata quasi 10 anni fa oramai, non ce la facevo più, non facciamo altro che
litigare tra di noi. Lo facevamo ai tempi di Roma. Tra Guelfi e Ghibellini. Tra città, ducati, regni. Nord e Sud. Oggi per i vaccini. - E per l'ananas sulla pizza - Ecco meno male che hai messo il pesto, io cerco di trattenermi e fare il bravo ma ho anche io un limite - Dovresti venire più spesso a pranzo tra noi, non sei così antipatico come credi - Ti ringrazio, ma facciamo un po' alla volta. Oggi è stato un esperimento. - Vuoi un pezzo di biscotto? - Adesso no, più tardi magari sì - O adesso o me lo mangio tutto. - Vaffanculo. Se fossi mia amica ti direi che morirai da sola. - Ah. Ok. Ora capisco perché ti trattieni qua dentro. - Eh. Che ci vuoi fare. Dai tu sei sposata, se fai meno l'austriaca sicuro avrai qualcuno al tuo capezzale dovesse andare male. Ci salutiamo, prima di tornare a lavorare vado in bagno. Sulla scrivania trovo metà biscotto. Sono fottuto. Ha capito come tirare fuori l'orso dalla tana.
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta.  E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigherà Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granché; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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bicchiere · 2 years
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Dopo la mattinata passata a fare esercizi di elettrotecnica ci siamo diretti al Panorma per prendere qualcosa da mangiare per il pranzo. Un'ora di giri a vuoto era passata e abbiamo capito che il viaggio è stato una puttanata, abbiamo ripiegato su una pasta aglio, olio e peperoncino e ce ne siamo andati con sole tre pizzette e tre bevande, in teoria dei cocktail in bottiglia, in pratica della roba dolce con il 4.5% di alcol. Poca roba insomma ma il tanto che basta per proseguire la tradizione degli aperitivi fatti la mattina dopo aver studiato. La Franci ha messo decisamente troppo olio nel condimento, Fede ha esagerato con il peperoncino e io ho scotto la pasta, fortuna che la Barilla tiene abbastanza bene la cottura. Alla fine era buona. Finito di mangiare ho pronuciato qualcosa tipo "Alexa, riproduci dello smooth jazz". La cucina della Franci è tutta in legno, uno di quei legni antichi e caldi, l'atmosfera era estremamente familiare. Abbiamo parlato del più e del meno. La Franci finalmente sta scopando in giro ma non la vedo felice, vorrebbe affezionarsi a qualcuno ma l'unica cosa che ha trovato di interessante in quelli con cui è uscita era il loro cazzo. Capisco fin troppo bene cosa sta passando. Fede è tornato con l'ex, da un po' in realtà. Le cose vanno bene adesso sembra, complice il fatto che lei si è trasferita a Roma e si vedono meno? Lui dice di sì e probabilmente ha ragione. Io mi ero da poco svegliato nel letto della persona che amo quindi bene. Non ho idea di come ciascuno di noi sarebbe arrivato al terzo anno senza gli altri due. Forse dovrei davvero smettere di cercare di mantenere questo freddo rapporto tra colleghi. Per ogni passo che loro fanno verso di me io ne faccio due all'indietro e prima o poi si stancheranno. Che poi questa non è altro che la genealogia della mia solitudine: un passo verso di me e due lontani da te.
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nulla-cambia · 3 years
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L'amore toglie il fiato, toglie parole.
L'amore non è mai doversi vergognare, è mostrarsi come si è. E’ ridere insieme dei fallimenti o di una pasta poco cotta. Non è mai vergognarsi per una parola spinta, per una fantasia nascosta. L'amore non è mai doversi vergognare, è sapere che non sono perfetta ma esserlo ai tuoi occhi. A volte ho paura di non essere capace di viverti, di non cogliere quei dettagli senza i quali non saresti tu, quei dettagli come strofinarti gli occhi quando hai sonno, come un bambino. Dettagli che se fossi stata meno attenta forse avrei perso e ricordato poi quando tra le mie braccia non ci saresti stato più. Ma tu resta. Resta anche quando non me lo merito.Tu non lasciarmi andare. Rincorrimi quando scappo, stringimi quando mentre dormo ho gli incubi.Tienimi. Conoscimi. Sai che quando sono nervosa mi mordo il labbro inferiore, e piango e che quando litighiamo mi sento morire. Sei l'amore che mi riempie il cuore. Sei l'amore che resta invece di scappare. Sei bellissimo quando mi chiedi di darti un bacio, bellissimo quando mi dici che sono speciale. Sei bellissimo perchè esisti.
Tu resta, resta sempre, che io non vado da nessuna parte senza te. Che io non sono nessuno senza te, che se non mi tocchi, non mi respiri, non mi ami sono invisibile persino a me. Sei bellissimo perchè ti sceglierei sempre. Non ho bisogno di pensarci sù per sapere che sceglierei sempre e solo te. Tu non lo sai, ma io ti scelgo anche mentre dormi e sei indifeso contro il mondo ma protetto da me. Io ti ho amato già altre mille volte almeno, io ti ho riconosciuto subito, io mi innamorerò di te ogni volta che respiri, che mi scegli.Ma tu, ti prego, il brutto scherzo di andar via non farmelo. Ho imparato a camminare da sola ma non ho imparato a camminare senza di te. Lasciami il tempo di esplorarti, conoscerti dentro, viziarti, coccolarti, amarti, respirarti, assemblarti e modellarti sotto le mie mani, datti lo stesso tempo. Datti il tempo di farmi diventare indispensabile. Non per solitudine, non per avere qualcuno da chiamare, non per avere un corpo caldo invece del posto freddo nel vuoto del letto. Non per finzione ma per avermi. Non per confusione ma per certezza. L'amore quando c'è è una certezza, non puoi rispondere diversamente dal “non ho bisogno di capirlo, io lo sò che ti amo”. Prendimi le mani e andiamo, chiudi i pugni introno alle mie dita e andiamocene via. Dove vuoi oppure qui. Io e te esistiamo ovunque.
Io esisto nello spazio di passo dove posso ancora sentire il tuo profumo.
Io esisto nello spazio di battito dove posso ancora sentire il tuo cuore pulsare.
Io esisto ovunque fino a te. Ferirsi è inevitabile anche per chi si ama tantissimo, anche per chi fa l’amore solo guardandosi negli occhi. È inevitabile, capita di litigare violentemente, di aver voglia di lanciarsi uno schiaffo, una parola di troppo. Ferirsi non è una conseguenza al non amore, anzi, molto spesso chi si ama si ferisce spesso e con violenza. Basta pensare a tutti quegli amori che non hanno il coraggio di ammettere di essere tali. Basta pensare a tutte le volte in cui invece di rispondere con una carezza ad un complimento si risponda con una parola cattiva perché è difficile credere ai complimenti. È difficile credere che qualcuno ti possa guardare con occhi così innamorati e dirti che sei la donna più bella che abbia mai visto. Quando passi una vita a credere di essere invisibile è difficile convincersi che lui possa vederti davvero e amarti per quella che sei. È inevitabile ferirsi quando sembra di parlare due lingue opposte. Quando io ti aspetto e tu non arrivi. Quando dimentichi di dirmi che sono bella. Quando ti volti dall’altra parte e non ritorni a stringermi. Quando ti arrabbi e mi dici che sono una bambina. Siamo persone, siamo due vite che vivono una storia sola, siamo deboli in fatto d’amore. Ci offendiamo quando non sappiamo cosa dire. Ci urliamo “è colpa tua” ed aspettiamo che sia l’altro a correre da noi. Io ti ho amato anche in quei momenti, anche quando avrei voluto mandarti via, anche quando urlavo di lasciarmi sola io ti ho amato.
Amarti è un’altra cosa inevitabile. Una cosa che non posso smettere di fare.
E ti amo perché quando vai via mi si chiude il cuore e sento l’abbandono gelarmi il cuore. Perché mi guardi dormire, perché mi premi le labbra forte sulle mie per svegliarmi. Perché se ti dico di non farmi il solletico tu me lo fai più forte per farmi ridere di più. Ci vuole coraggio per restare, un coraggio che si trova quando si capisce che si ha molto da perdere, forse tutto da perdere.
Il primo amore faceva male, ma a ripensarci adesso era bellissimo. Soffrire per amore,per la prima volta. Tutti dicono che il primo amore non si scorda mai, ma della prima volta in cui si perde un amore non si parla mai. Si parla tanto dei primi baci, ma si parla troppo poco di quel dolore assoluto che non lascia spazio ad altro. All'inizio andavo a letto e pensavo a lui. Mi svegliavo e pensavo a lui. Scrivevo il suo nome ovunque. Scrivevo che lo amavo ovunque. Mi accendevo solo se si trattava d'amore. Solo per quello. Non avevo mai provato niente del genere prima e a scuola non t'insegnano che di sopravvive.Ti tocca capirlo da sola. Ti tocca andare avanti terrorizzata da un'idea che si fa sempre più ingombrante: ‘probabilmente, senza di lui, morirò’. Invece non si muore, anche se fa piuttosto male. Ed è assurdo da dire adesso, forse, ma era meraviglioso. Tutto quel dolore, tutta quella dolce fiducia riposta in un unico essere umano. Tradita, certo, ma incondizionata. Tutte quelle lacrime, tutte quelle speranze. Infrante, certo, ma belle vive. Non si muore, dicevo, ma qualcosa cambia irrimediabilmente. Cambia il nostro modo d'amare. Come la prima volta non si ama più: è vero, ma non è proprio un discorso troppo romantico. Dopo la prima volta non si ha più paura che possa finire, perché siamo quasi sicuri che lo farà. Lo mettiamo in conto fin dall'inizio. E tutto ci sembra un pochino meno importante. Una telefonata non ricevuta, ma che vuoi che sia? E un bacio in meno, che importa? S'impara a soffrire con dignità. Con moderazione. A me piaceva tanto segnare sul diario con un cuoricino blu ogni bacio che mi dava. Dare un peso spropositato a qualcosa di estremamente leggero. Mi piaceva credere che fosse per sempre, devo essere onesta. Mi piaceva pensare in grande. Illudermi, anche. Adesso, invece, non c'è più spazio per un sentimento così ingombrante. Non c'è più tempo. Non ha poi tanta importanza, l'amore, da un certo punto in poi. Anche per una come me, che l'amore lo vede ovunque. Anche per me, lo devo ammettere, è difficile ricordare che in realtà è tutto quello che conta. Che lasciarsi morire un po’ per via di un addio non è poi così ridicolo. Che le canzoni d'amore non sono ridicole. Che si può costruire il castello più bello del mondo, alto e lucente, ma se mancano le fondamenta con il primo soffio di vento crolla tutto. Se mancano i baci. Era bellissima quella dolce ossessione. Contare i minuti. Si continua a fare tutto anche dopo, ma non è la stessa cosa. Si contano i minuti e ci si lascia distrarre dal lavoro, da altri pensieri. Era bello, così bello, quando l'amore era l'unico pensiero. Luminoso o devastante che fosse, era bello. Riuscire a parlare di una carezza per giornate intere. Saper scendere dal nostro personalissimo piedistallo per cederlo a qualcun altro. Dimenticarsi di esistere finché non arrivava al bar e non ci offriva un gelato. Essere felici per un gelato. Essere immensamente tristi per dieci minuti in meno da passare insieme. Pensare di essere gli unici, insostituibili. Non credere alle nostre orecchie sentendo pronunciare le parole 'non ti amo più’, perché l'amore non finisce. Così si pensava. Ed era grande. Era super. Era un errore, ma era incantevole.
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Tumblr media
Forse credi di poter avere più felicità in futuro se ci rinunci adesso, ma non funziona così. La felicità richiede tanto esercizio quanto l’infelicità. È vivendo che vivi di più. Aspettando che aspetti di più. Ogni giorno di attesa rende la tua vita un po’ più povera. Ogni giorno di solitudine ti rende un po’ più piccola. Ogni giorno di non-vita ti rende meno capace di vivere. Ann Brashares
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a-dreamer95 · 3 years
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Se c'è una cosa che la pandemia mi ha insegnato è stato imparare a stare bene da sola. Prima la mia vita sociale era abbastanza piena: appuntamenti, cene, aperitivi, compleanni... Che stress...
Forse è l'età che avanza, forse è la noia che sopraggiungeva dopo aver passato anche solo un'ora del mio tempo con amici che non mi trasmettevano niente, non lo so, ma avere il calendario meno impegnato mi dà un senso di libertà maggiore, forse anche di solitudine, ma adesso non mi fa più paura come prima.
Le relazioni mi soffocano, mi privano di energia.
La verità è che un po' mi manca avere degli amici ma il mio problema è che non riesco più a fidarmi, ad aprirmi con nessuno. E così non sono me stessa con loro per paura di essere nuovamente ferita, è solo il mio modo di proteggermi: mi comporto come penso agli altri piaccia, anche se non sempre è così...
Ad oggi tutte le persone che ritenevo i miei migliori amici se ne sono andate via da me e ci ho sofferto tanto. 
La questione è se affezionarsi nuovamente ad altre persone nuove o rimanere da sola, che non è poi così male. La prima opzione comporta un rischio perché potrei nuovamente restare delusa, la seconda è semplicemente una scelta di vita.
Purtroppo le persone non si conoscono mai abbastanza per poterci fidare totalmente, questo è l'aspetto più tetro dell'amicizia.
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intotheclash · 4 years
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La coppia era seduta ad un tavolo in disparte, nello spazio esterno di quel minuscolo ristorante. La cornice era da mozzare il fiato. Antichi palazzi signorili incastonavano quella piazzetta di Trastevere, facendola risplendere senza arroganza, come un diamante grezzo non ancora tagliato. A prima vista, i due, avrebbero potuto essere scambiati per una coppia felice in luna di miele, o, quanto meno, per due furtivi amanti in vena di sfidare la gabbia dell'anonimato. Ma un attento osservatore avrebbe sicuramente colto il procedere incerto di chi veleggia su una rotta sconosciuta. Mangiavano poco o niente, parlavano molto. In verità era soprattutto lui a parlare. Troppo e con troppa enfasi. Come un attore consumato che, dopo aver ripetuto la parte un'infinità di volte e limato ogni sbavatura, va in scena la sera della prima convinto di ammaliare e catturare il suo pubblico. Si sentiva in forma, bello ed irresistibile. E bello ed in forma lo era pure, ma di una bellezza stereotipata, da rotocalco rosa. Indossava un impeccabile vestito firmato, grigio scuro, abbronzatura perfetta, denti sfavillanti; proprio non vedeva alcun motivo che potesse impedirgli di fare colpo.
Il problema era che le donne, una parte delle donne, almeno quella, lo vedeva benissimo. Fin troppo evidente. Lo sapeva ancor prima di accettare l'invito a pranzo. Lo sapeva, ma aveva tentato lo stesso. Voltando deliberatamente le spalle all'evidenza. Aveva paura della solitudine e aveva accettato.
Durante il pasto non aveva quasi aperto bocca, tranne che per poche frasi di cortesia e per assaggiare quel cibo, tanto ricercato quanto insipido. Non per mancanza di sale, ma di passione. Era bello, questo sapeva vederlo, ma quella bellezza che arrivava agli occhi era poi incapace di raggiungere la bocca dello stomaco. Niente da fare, la linea doveva essere interrotta. Come se non bastasse, aveva assunto l'atteggiamento del professionista della conquista, era evidente che si sentisse tale. Lei posò la forchetta sul piatto, sbuffò contrariata, si coprì gli occhi con una mano e chiese :"Di che colore sono i miei occhi?"
L'uomo fu colto alla sprovvista. Colpito ed affondato. Non era in grado di rispondere, così cercò, in maniera maldestra, di prendere tempo.
"Come dici Andrea?" Andrea era la donna.
"Ti ho chiesto: di che colore sono i miei occhi? Non è troppo difficile. Puoi farcela anche tu! Non si vince nulla, è tanto per giocare."
"Che razza di domanda è? Dove vorresti arrivare? Non capisco!" Aveva capito bene invece. Non era stupido. Non fino a quel punto, almeno.
"Lascia perdere, non importa. Chissà cosa succede se ti sforzi troppo. Ti faccio la domanda di riserva: quanti giorni sono che ci frequentiamo?"
L'uomo era in difficoltà. Sentiva il sudore iniziare ad imperlargli la fronte. E non era per il caldo. La situazione stava sfuggendogli di mano. E non riusciva neanche a trovare il tasto reset.
"Quattordici!" Quasi urlò. Cazzo, questa era facile!
"Bravo Umberto! Una l'hai presa! Quattordici giorni e non hai trovato un secondo di tempo per guardarmi negli occhi?"
"Non è vero! Nel modo più assoluto! I tuoi occhi sono bellissimi!" Rispose, ma con uno slancio eccessivo e un tono a metà strada tra l'offeso ed il piagnucoloso che la donna trovò infantile e disgustoso.
"Scommetto tutto quello che ho, anche se non è molto, che se ti chiedessi come sono le mie tette, che taglia porto di reggiseno e di che colore è, non esiteresti un istante a rispondere. Ti giocheresti pure il jolly. O sbaglio?"
Certo che non sbagliava! Aveva delle tette meravigliose. Che sfidavano sfrontatamente la legge di gravità. Sulla taglia del reggiseno, nutriva qualche perplessità. Se la giocavano alla pari la terza e la quarta. Non ne era sicuro. Il colore era facile, visto che ne sporgeva un pezzetto. Turchese. Probabilmente coordinato con le mutandine, che, ormai ne era sicuro, non avrebbe mai visto.
"Il tuo silenzio conferma che ho ragione. Eppure ancora avresti potuto salvare la faccia. Sarebbe bastato ammetterlo. Dirmi: è vero, non ho fatto altro che ammirare le tue tette! Non ci sarebbe stato niente di male. Anche se tu ti sei lasciato prendere un po' troppo la mano. D'altra parte a me non dispiace mostrarle. E fino a quando riusciranno a tenersi su da sole, continuerò a farlo. Anche in questo non c'è nulla di male. Solo una sana dose di civetteria. Ma, a rischio di sembrare banale, ti informo che c'è dell'altro."
"Eccome se c'è dell'altro!" Pensò l'uomo. E l'espressione trasognata e vagamente ebete lo tradì di nuovo.
Difatti non sfuggì alla donna. Evidentemente, oltre ad essere decisamente bella, doveva avere un cervello niente male. Non roba che si possa trovare ad ogni angolo di strada.
"Ascolta, Umberto," Era giunto il momento della disillusione, "Facciamola finita. Ho paura che, da adesso in avanti, tutto ciò che potresti dire, non farebbe che aggravare ulteriormente la situazione. Peccato, avrebbe potuto essere diverso. Ma non tra noi due. Questa è la mia parte, stammi bene e addio." Concluse sorridendo e lasciando trenta euro sul tavolo. Prese la sua borsetta, fece un mezzo giro sui tacchi e sparì per sempre dalla vista dell'uomo, accompagnata dallo sguardo di tutti i presenti. O, almeno, di quelli appartenenti al genere maschile.
Erano appena le tre e le si era liberata la giornata. Non aveva voglia di ritornare nel suo appartamento, in un anonimo palazzone della sterminata periferia romana. Aveva bisogno d'aria e di camminare per rammendare le idee. Puntò decisa verso Villa Borghese. Quel polmone verde, che dava respiro a tutto quel cemento che lo circondava, le ricordava vagamente la campagna dove era nata. Scelse con cura una panchina e si sedette a fumare e riflettere. Riavvolse il nastro della sua vita, con particolare attenzione a quell'ultimo anno. non le sembrava di avere davanti un bilancio troppo positivo. La linea spezzettata sul grafico, anche se non cadeva a picco, scendeva inesorabilmente verso il segno meno. Solo il lavoro faceva eccezione. Era un'agente immobiliare, vendere case le piaceva e con la gente ci sapeva fare. Aveva chiuso diversi contratti, alcuni molto travagliati e al limite del possibile; ciò le aveva permesso di guadagnare bene, oltre che in vile moneta, anche nella stima dei suoi colleghi. Ci sapeva davvero fare. Ma, tolto il lavoro, cosa le restava? Tolto il lavoro si poteva tranquillamente parlare di disastro. Disastroso il rapporto con i suoi genitori, disastroso il rapporto con gli amici, disastroso il rapporto con gli uomini. Già, gli uomini...ma che razza di bestie erano? Aveva trentaquattro anni, era una bella donna, lo sapeva e ne riceveva conferma ogni giorno. Ancora catturava occhi e sorrisi. Allora come mai si ritrovava da sola? Che fosse colpa sua? Certo, era finita da un pezzo l'epoca dei vent'anni. Col passare del tempo, era diventata molto più esigente ed insofferente. Non aveva voglia di accontentarsi, si rifiutava di accettare ciò che non riusciva a digerire. non voleva saperne degli altrui difetti, quelli che, come tutti dicono, poi impari ad amare. Se ne fotteva. E, soprattutto, non era disposta a cambiare, a cambiarsi. Non poteva condividere i sogni con chi, in ultima analisi, era incapace di sognare. O tutto, o niente. Forse davvero era colpa sua! Era diventata insofferente.
Anche gli uomini, però, ci mettevano del loro. E ne avevano da metterci! Anche quell'Umberto, per esempio, non era male...era un bell'uomo, elegante, curato, pulito, in sporadici casi, anche brillante, ma, come tipico della sua "razza", demandava troppo spesso il compito di ragionare al suo fratellino più piccolo. Quanto piccolo sarà stato poi? Tale riflessione la fece ridere come una scema, ma riprese subito il controllo, sbirciando in giro a sincerarsi che nessuno se ne fosse accorto. Le venne in mente un brano di Davide Van De Sfroos, La ballata del Genesio, dove cantava: ho dato retta al cuore e qualche volta all'uccello. Centro. Era ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che sapesse dar retta al cuore e all'uccello contemporaneamente. Non le sembrava chiedere troppo!
Accese un'altra sigaretta, guardò l'orologio: le cinque e trenta del pomeriggio. Alzò il viso e, solo allora, si avvide dell'uomo che, non più distante di una quindicina di metri, stava puntando dritto verso di lei. Lo soppesò con lo sguardo e decise che non c'era da preoccuparsi. Era decisamente attraente, si muoveva con estrema leggerezza, sembrava scivolare sul terreno come l’acqua; certo che era vestito in maniera del tutto anonima e pensò che fosse un vero peccato. E peccato anche che l'avesse puntata. Voleva starsene da sola e in silenzio. Niente mosconi a ronzarle intorno. Non oggi.
"Mi perdoni, ma avrei bisogno di accendere." Disse l'uomo senza inflessioni dialettali nella sua voce, sbollando un pacchetto di Pall Mall.
La donna sbuffò infastidita e col tono del: con me non attacca, bello! Rispose:" E' un po' vecchiotta, forse ti conviene provare altrove."
"Non importa che sia vecchia, non a me, comunque. L'importante è che abbia ancora voglia di accendersi e di accendere. Mi creda, non desidero altro."
Lo fissò dritto negli occhi, occhi in moto perpetuo, non inebetiti sulle sue tette. Forse... ma no, l'approccio era stato di una banalità disarmante, così:"Mi dispiace, non ho da accendere" Soffiò fuori in fretta.
"Fa niente, andrò a cercare miglior fortuna altrove. Ma capita anche che le cose siano esattamente come sembrano. Mi perdoni l'intrusione. Le auguro che la sua giornata migliori." Le disse con un accenno di sorriso e guardandola, per la prima volta negli occhi.
Fu sinceramente colpita da quella sorta di congedo. Lo seguì con lo sguardo e lo vide avvicinarsi ad una coppia di anziani, ottenendo, ormai era evidente, quello che stava cercando. Si era comportata come un qualsiasi idiota. Si era dimostrata prevenuta e scortese, Non le piacque affatto il suo comportamento di poc'anzi e tentò di rimediare.
"Ehi!" Gridò, agitando la mano per richiamare l'attenzione dell'uomo. Lui si voltò, le mostrò la sigaretta accesa, sorrise apertamente e tornò a voltarsi per la sua strada.
"Aspettami!" Disse ad alta voce, alzandosi dalla panchina per raggiungerlo. Non lo avrebbe lasciato andare portandosi via un'immagine di lei così odiosa.
"Non serve che si giustifichi, una brutta giornata capita a tutti." La anticipò.
Fu di nuovo colta di sorpresa, le parole stentarono ad uscire, ma parlare era parte del suo mestiere, la parte che le riusciva meglio e se lo ricordò appena in tempo.
"Toccata! Mi sono comportata come una stupida. Ti avevo cucito addosso un bel giudizio precotto. Scusami di nuovo e, credimi, di solito non succede."
"Sono felice per te. Perché, al contrario, di solito è esattamente quel che succede. Affibbiare etichette sembra essere lo sport nazionale. Altro che il calcio. Forse è come con i cani, che hanno bisogno di marcare il territorio. Allo stesso modo, gli uomini devono orinare sui propri simili per avere l'illusione di saperli riconoscere."
"Posso farti una domanda?" Non capiva cosa le fosse preso, ma ormai era andata.
"Certo, basta che non implichi il dovere di una risposta."
"Ho smesso da un bel pezzo di pretendere."
"Allora puoi andare con la domanda."
"Di che colore sono i miei occhi?"
"Domanda a doppio taglio. Non è così facile come potrebbe sembrare..."
"Lo sapevo, peccato." Pensò la donna, ma, ancora una volta, era giunta a conclusioni affrettate.
"Oggi, con questo sole abbagliante, di un bel celeste trasparente, ma direi che il più delle volte potrebbero essere sul verde, con tendenze al grigio nelle giornate di pioggia." Sentenziò l'uomo, dopo una profonda boccata di sigaretta.
Partì anche la seconda domanda. Partì prima del pensiero, prima che la vergogna per averla fatta le incendiasse il viso:"E le mie tette come sono?"
Lui non si scompose e, senza distogliere lo sguardo da quello di lei rispose: "Dovresti fare più attenzione. Perché, a volte, potrebbe capitare che rubino il palcoscenico agli occhi."
"Posso offrirti un caffè? Per rimediare!"
L'uomo la trapassò con la vista come una freccia di balestra e trapassò anche tutto quello che c'era dietro di lei, per finire dove nessuno sapeva dove. "Rimediare è un verbo privo di significato." Disse "Non c'è possibilità di rimediare al passato; per quanto prossimo. Possiamo solo comportarci diversamente."
"Sarebbe un no?"
"Al contrario, sarebbe un si. Non so se tu ti aspettassi un'altra risposta, nell'eventualità, mi dispiace. Ma io non rifiuto mai un buon caffè." E sorrise.
"A proposito, non ci siamo ancora presentati. Io mi chiamo Andrea." Disse la donna.
"Avrei potuto usare le stesse parole."
"Cosa?"
"Se prometti di non scambiarlo per un segno del destino, sono pronto a farti una rivelazione: anch'io mi chiamo Andrea." Anche se quello non era il suo vero nome. Era quello che si trovava stampato sulla sua carta di identità, sotto alla sua vera foto. La carta non era la sua. Era stata rubata in un'altra città poco prima della sua comparsa nella capitale.
"L'uomo medio si cura se le cose siano vere o false, ma il guerriero no. L'uomo medio procede in modo specifico con le cose che sa essere vere e in modo diverso con le cose che sa essere non vere...Il guerriero agisce in entrambi i casi."
Il libro non concedeva tregue durature.
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