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#letteratura nonsense
erimarian · 23 days
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Alice’s adventures in Wonderland, Lewis Carroll
Illustrazioni, Peter Newell
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gregor-samsung · 23 days
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" Carlo si arruolò in convento con il sogno pio di divenire papa, papa Carlo, senza primo o secondo, papa Carlo e basta, pontefice della religione, pioniere di un papato incorruttibile e vicino al senso cristiano della vita. Dopo pochi mesi Carlo già primeggiava in ogni disciplina, era terzo in latino, quarto in geografia, ottavo in preghiera a corpo libero, diciassettesimo al salto della cavallina, trentaduesimo al giro delle Fiandre, secondo in goliardia, sesto in condotta, novantaquattresimo in letteratura e settimo nelle opere buone. Tutti parlavano di Carlo, si chiedevano di come potesse eccellere in tutte le discipline, qualcuno sospettava doping e vennero prelevate le urine notturne di Carlo per sottoporle ai test pertinenti.
Le prodigiose urine erano ghiacciate, una granatina di cristalli a trenta gradi sotto lo zero, un escremento cetaceo con una temperatura corporea vicina a quelle norvegesi. Dopo un solo anno Carlo era pretore, eccelleva in diritto e in dovere, scriveva testi di esegetica e continuava a primeggiare in tutte le discipline: quarto in pesca trotacea, diciottesimo al salto triplo, ventunesimo in fioretto cattolico, settantatreesimo in toponomastica e terzo in preghiera con rito rigido. Dopo un anno e due mesi Carlo era arcivescovo di tutte le scozie, eccelleva e basta, senza bisogno di elencarne le vittorie che non sono poche: quinto al Tour, sesto a Stoccolma, ottavo a San Sebastian, centotrentaduesimo sul Tourmalet ecc. ecc. Dopo tre anni Carlo era papa, la fumata era bianca ma Carlo era più bianco della fumata, fumava tutto il vaticano e la cortina nascondeva il pontefice che appariva squarciandola come visione francese. Fumava bene Carlo, spezzava le sigarette, le porgeva ai suoi discepoli e le arricchiva. Il sesto giorno di pontificato Carlo, non vedendo più nulla, proibì il fumo e Roma tornò a respirare. "
Antonio Rezza, Non cogito ergo digito (romanzo a più pretese), La nave di Teseo (collana i Delfini, n° 62), 2019; prima edizione: Bompiani, 1998. [ Libro elettronico ]
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kommunic8 · 1 year
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Quando mio figlio era bambino non riuscivo mai a trovare libri per la sua fascia d'età in italiano che non fossero noiosi e pieni di insegnamenti morali. Improponibili, non solo perché io stessa li trovavo terribili, ma soprattutto perché mio figlio era abituato a quei fantastici libri della letteratura in lingua inglese, pieni di assurdità e di un sano divertimento per il nonsense, scritti in modo semplice e immediato. Spero che in questi 15 anni le cose siano cambiate e che anche i bambini e le bambine che leggono i libri in italiano possano leggere libri per l'infanzia pieni di puro divertimento. In fondo alla pagina vi metto il link del libro di cui parlo. TRASCRIZIONE [Engl translation below] Quando abitavo in Australia e mio figlio era molto piccolo, ogni volta che tornavamo in Italia io cercavo disperatamente dei libri da comprargli, così che lui potesse imparare bene la lingua italiana, perché anche se parlavamo italiano in casa, però lui parlava in inglese. E questo era un grande problema trovare i libri per l'infanzia adatti a un bambino di quattro, cinque anni in italiano, perché, magari adesso le cose sono cambiate parlo di 15 anni fa, però all'epoca tutti i libri in italiano per quella fascia di età erano non solo incredibilmente noiosi e poi avevano sempre la morale, e quindi non erano per niente divertenti. Per me era un grosso problema, anche perché mio figlio era abituato invece ad avere i libri in inglese, e la letteratura per l'infanzia in lingua inglese ha una bellissima tradizione di nonsense e di non rispetto delle regole. Infatti uno dei libri preferiti di mio figlio a quell'età era un libro che s'intitola 'That's mean', che in italiano possiamo tradurre come 'Che è cattiveria'. È un libriccino dove in ogni pagina c'è rappresentata una cosa cattivissima fatta da questo bambino, ma quando dico cattivissima veramente, si inizia con il ragazzino che tira le pietre agli uccelli e dice no, questa è una cattiveria, non farlo; fare pipì sui vasino, no è una cattiveria. Poi c'è un'escalation: sputare dalla finestra in testa alla gente che passa, strappare i disegni della sorellina, strappare le ali delle farfalle, torturare i pesciolini, dare calci al gatto, ammazzare le lumache a colpi di martello, ecc. Insomma, in ogni pagina c'era descritto un comportamento incredibilmente violento contro gli animali, contro la natura, contro gli altri bambini. Ma era fatto in un modo molto divertente e naturalmente faceva venire anche magari idee, se un bambino fosse stato incline a commettere cattiverie, questo libro sicuramente gli avrebbe dato altre idee. Però vi posso assicurare che mio figlio non solo non ha mai seguito gli esempi, non ha mai torturato i pesciolini rossi, o strappato le ali alle farfalle, ma quando leggevamo questo libro insieme ridevamo proprio per l'assurdità, l'enormità delle cose che venivano proposte. Ecco, ogni volta che invece io mi ritrovavo a cercare un libro in italiano scritto da autori, autrici italiani/e per quella fascia di età c'erano sempre le solite storie scritte poi in un italiano che anche se voleva essere per bambini, era sempre troppo forbito, sempre troppo curato, sempre troppo noioso. E poi alla fine c'era sempre il dito sollevato per dire sì, sì, vi abbiamo detto queste cose, però queste cose sono cose che i bambini cattivi fanno. Voi siete dei bambini bravi a non farlo. Insomma, terribilmente noioso. Spero che in questi 15 anni l'editoria per l'infanzia in lingua italiana abbia fatto dei progressi verso la follia. TRANSLATION When I lived in Australia and my son was very young, whenever we came back to Italy I would desperately look for books to buy for him so that he could learn Italian, because even though we spoke Italian at home, however he spoke in English. And that was a big problem finding children's books suitable for a four, five year old child in Italian, because, probably things have changed now as I'm talking about 15 years ago, but at that time all the books in Italian for that age group were not only incredibly boring but they always had morals, and so they were not fun at all. This was a big problem for me, because my son was used to having the books in English instead, and English-language children's literature has a beautiful tradition of nonsense and noncompliance. In fact, one of my son's favorite books at that age was a book called 'That's mean,' which in Italian we can translate as 'That's naughtiness.' It's a little book where on every page there's depicted a naughty thing done by this child, but when I say naughty really, it starts with the little boy throwing stones at birds and saying no, that's naughty, don't do that; pee on the flowers, no that's naughty. Then there is an escalation: spitting out the window at the heads of people passing by, tearing up little sister's drawings, ripping off butterfly wings, torturing little fish, kicking the cat, hammering slugs to death, etc. In short, on every page there was a description of incredibly violent behavior against animals, against nature, against other children. But it was done in a very funny way, and of course it also gave maybe ideas-if a child was inclined to commit naughtiness, this book would surely give him more ideas. But I can assure you, though, that my son not only never followed the examples, never tortured goldfish, or tore the wings off butterflies, but when we read this book together we laughed precisely because of the absurdity, the enormity of the things that were proposed. Well, every time I found myself looking for a book in Italian written by Italian authors, for that age group there were always the usual stories written in an Italian that, even if it was meant to be for children, was always too polished, always too precise, always too boring. And then at the end there was always the finger raised to say yes, yes, we told you these things, however, these things are things that bad children do. You are good children not to do that. In short, terribly boring. I hope that in the past 15 years, Italian-language children's publishing has made progress toward absurdity. LINK Il libro That's Mean https://books.unilibro.it/book/gervais-bernadette-pittau-francesco-ross-laura/that-s-mean/9781579123529 Un'immagine dal libro
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chez-mimich · 1 year
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ROBERTO BONATI E PARMA FRONTIERE ORCHESTRA: “LA FÒLA DE L’OCA” (parte I)
Il tempo è un’antica ossessione delle arti, di tutte le arti, dalla letteratura alla poesia, al teatro. Ma è nella musica che il tempo gioca davvero un ruolo fondamentale. Musica e tempo sono assai più simbiotici, almeno quando si tratta del tempo con la “t” minuscola. Quando si tratta del Tempo con la maiuscola, la questione si complica ulteriormente. Qui la letteratura ha prodotto capolavori assoluti, come ne ha prodotti il cinema. E la musica? Ci sono molti musicisti che hanno posto il tema, ma non tantissimi. Saluto quindi con grande gioia ed altrettanta curiosità, l’uscita “La Fòla de l’oca”, magnifico cd di Roberto Bonati, riflessione musicale sul Tempo,  prodotto da “Parma frontiere” e al quale hanno collaborato prestigiose accademie musicali, quali quelle di Oslo, Nürnberg, Hamburg, Göteborg, Stavanger e Glasgow. Il progetto, partito nel 2018, vede finalmente la luce dopo i tempi travagliati della pandemia. Il raffinato cd (anche da un punto di vista grafico) contiene sette intensissimi brani con i testi di Sant’Agostino, Eraclito, Marco Aurelio, Walt Whitman con loro riflessioni sul Tempo. Stranamente le prima parole che si incontrano in apertura non sono di nessuno di questi autori, ma vengono dalla saggezza popolare e sono sotto forma di filastrocca, “La fòla de l’oca” appunto, un “nonsense”, degno di Edward Lear, che viene dalla tradizione orale padana e che, come ricorda lo stesso Roberto Bonati, “ha l’odore della terra” e un ritmo verbale ancestrale che, oltre che costituire le radici dell’autore, rimanda alla circolarità del Tempo. E allora, silenzio e ascoltiamo, come si ascolta in questi casi, senza distrazioni, dedichiamoci solo al suono cominciando da “Quid est ergo tempus?” come si chiede Sant’Agostino. Brano molto particolare che inizia col frinire dei grilli di una immaginaria e immaginifica notte in campagna, dove la voce di  un’anziana donna recita ad un bambino la filastrocca al cui termine si materializza un ambiente sonoro rarefatto e sospeso, dal quale scaturisce la voce di Giulia Zaniboni che intona l’essenziale domanda agostiniana. Lo sviluppo musicale delle premesse è del tutto sorprendente poiché dalla pacata, ma solenne atmosfera iniziale, prende corpo un’orchestrazione leggiadra ed amabile molto in consonanza con le tematiche agostiniane e il suo cristallino argomentare. “Achanés tu aiónos” ci invita, con Marco Aurelio (nei “Pensieri”), a guardare alla “voragine” del tempo, sia quello che ci ha preceduto, sia quella che ci sta dinnanzi. (continua)
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archiviodelmaestro · 1 year
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Riflessioni sul contratto didattico, cosa si può cambiare?
In questo articolo riporterò una mia riflessione libera su un capitolo della "Grammatica della Fantasia" (capitolo 6) elaborata al termine di un laboratorio molto efficiente da parte del prof. Fraccacreta Alberto, tutto in relazione al contratto didattico.
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La Grammatica della Fantasia con qui anche il link per acquistare il libro: https://amzn.to/3MqSugm Riflessione di Canarini Cristian sul contratto didattico “Le ipotesi sono reti: tu getti la rete e qualcosa prima o poi ci trovi” questa l’affermazione (originariamente di Novalis) su cui si basa Rodari per il suo sesto capitolo della Grammatica Della Fantasia, ovvero partire dalla frase “che cosa succederebbe se…” e completarla con un soggetto e un predicato casuali creando così appunto un’ipotesi da cui inventare una storia. Questa è una tattica che ci permette di passare dal nonsense all’uso della fantasia per stabilire un rapporto attivo con il reale, ci avviciniamo o impariamo qualcosa della realtà attraverso elementi fantastici. Ora, questa modalità funziona perfettamente in letteratura donando anche abilità cognitive importanti come usare l’immaginazione con ipotesi impossibili o uscire dalla routine del razionale che circonda l’ambiente scolastico. Infatti proviamo per un secondo ad ampliare questa metodologia di Rodari ad altre materie per esempio la matematica. Per farlo utilizzo un esempio visto recentemente nel corso di didattica generale, in particolare lo studio di Stella Baruk nel suo libro “L’età del capitano”: “Un pastore ha 12 pecore e 6 capre. Quanti anni ha il pastore?” A questo quesito matematico la risposta nei bambini di solito è 18. Questo dipende dal cosiddetto contratto didattico instaurato in classe, dove non si danno quasi mai problemi senza soluzione o impossibili; dunque gli allievi introducono nel contratto didattico una clausola per cui “se la maestra ci dà un problema, questo deve essere risolto certamente”. Ma così facendo il contratto finisce molte volte per sconfiggere la ragione o limitare l’abilità del pensiero dell’alunno. Adesso, prendiamo il quesito soprastante come un’ipotesi da cui creare un racconto come nel metodo di Rodari, gli alunni abituati da un maestro che utilizza spesso questa modalità se la caveranno bene in modo fantasioso perché il suo contratto didattico è più flessibile o largo. Il punto della mia riflessione arrivati a questo punto è: avendo visto come funziona bene l’utilizzo del nonsense o di ipotesi fantasiose e impossibili nella letteratura grazie agli esempi di Rodari, forse questa modalità non andrebbe esportata anche in tutte le altre materie? Pensate ora a un bambino che si ritrova davanti un problema matematico riguardante il numero di ali di un drago o la potenza del canto di una sirena, sarà sicuramente più interessato? Rimarrà più impresso nella sua memoria il procedimento usato? Allo stesso tempo pensate quanto la capacità di ragionamento potrebbe essere estesa se ogni esercizio richiedesse ragionamento non solo sul procedimento preciso da usare per arrivare alla soluzione ma anche sull’esercizio in sé con tutte le sue componenti. Quindi la conclusione della mia riflessione è: la scoperta metodologica di Rodari è geniale anche nell’ampliare il contratto didattico tra insegnante di italiano e alunno (l’alunno non sa mai che aspettarsi da questi giochi e insegnamenti) perciò bisognerebbe apportare qualcosa di simile anche nelle altre materie. Se ti ha interessato questo articolo prova anche questo sullo stesso sito riguardante sempre la Grammatica della fantasia: https://www.archiviodelmaestro.it/il-binomio-fantastico/ Read the full article
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alemicheli76 · 2 years
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Il blog presenta "Tim Burton e il catalogo delle meraviglie. Un saggio pop tra letteratura e cinema" di Maria Cristina Folino, Dialoghi. Da non perdere!
Il blog presenta “Tim Burton e il catalogo delle meraviglie. Un saggio pop tra letteratura e cinema” di Maria Cristina Folino, Dialoghi. Da non perdere!
CAPITOLO ILa nuova AliceQuando parliamo di questa storia che va sans dire, che sfrutta i nonsense per parlare ai bambini quanto agli adulti tra satira e giochi di parole, dobbiamo sempre partire da una considerazione: Alice è un personaggio molto più complesso di quanto si possa immaginare. Già la sua origine, el’identificazione tra il nome e il modo in cui veniva rappresentata, risultano…
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nonsensemag-blog · 4 years
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@alfredhitchcockofficial #francoistruffaut sulle pagine di @nonsensemag_ vi parliamo di uno dei più importanti testi sul #cinema che illustra la visione del #regista britannico. 👉🏻link homepage in bio👈🏻 #alfredhitchcock #truffaut #movie #suspense #nonsense #nonsensemag @ilsaggiatoreed #bookstagram #instalibri #saggio #letteratura #arte #review #bookreview #bookrecommendations https://www.instagram.com/p/B_6k1QqqWA1/?igshid=1gi8homc9dt6n
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pangeanews · 5 years
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“Riempio di angoscia le filastrocche, questo è un libro senza precedenti”: dialogo con Tiziano Scarpa
Nel 2018 è sbocciato un poeta. Nel 2018 Tiziano Scarpa, con cui dialogo spesso, per “un ingorgo editoriale non premeditato”, come dice lui, ha pubblicato un romanzo – Il cipiglio del gufo, con Einaudi – e due raccolte poetiche, una s’intitola Le nuvole e i soldi (stampa sempre Einaudi), l’altra, che a onor di sottotitolo è una raccolta di “storie in rima”, si chiama Una libellula di città (stampa minimum fax). In realtà, il genio di Scarpa è che tiene il piede linguistico in più scarpe: fa romanzo, teatro, poesia, mantenendo la stessa posa, ma mutando il peso della forma. Se altri esperimenti poetici – Nuove galassie oggi come oggi, Groppi d’amore nella scuraglia – non sono stati ben digeriti dal mio cranio lirico – cioè: gonfio di pregiudizi e di astuzie – quest’ultimo, questa collezione di libellule in versi, all’apparenza fragile, effimero come uno sbuffo di luce, che Scarpa si porta appresso da lustri – “La più vecchia di queste storie in rima è… scritta nel 2000” – mi sorprende. Con atletismo letterario e tempra da alchimista, Scarpa rinnova l’arte bambina, e rischiosa, della filastrocca – distici in rima baciata, endecasillabi – incatramandola di tenebra, tuffandola nell’angoscia, nell’horror, nel grottesco. A me fa venire in mente un David Linch che beve una china calda con Palazzeschi, mettendo in scena Twin Peaks con una falange di ‘scapigliati’, lui mi dice che ha preso a spunto Edward Lear, virtuoso del limerick. In ogni caso, questa libellula di città custodisce sketch corrosivi, come la storia del ragno leopardiano (“Sono contento di essere nato?/ O questo mondo è tutto sbagliato?”) che cerca la verità nei lamenti delle sue prede (“La vera musica che sognavo,/ dalle mie vittime lo aspettavo”), quella dello Scultore più retto del mondo che “doveva squadrare/ il più grande tabù circolare”, quella della Giocoliera di Tolmezzo che ha un finale epigrafico, canonico, straziante (“Il grande artista è sempre quello morto”). Soprattutto, filastrocheggiando, ci occhieggiano versi molto belli, piccoli pezzi di cristallo, come questi: “Volano verso il fiotto splendente./ Cieche, risalgono alla sorgente”; “Da quella stirpe illusa e felice,/ si staccò un’indole controluce”; “Qualcosa pullula in mezzo al nulla./ Alle mie spalle il buio sfarfalla”, tutti tratti da Una falena a Cinecittà. Anche l’intervista, d’altronde, per sua natura è falena – e a volte felina – godetevela così, come una fiammata di verbi nella trita oscurità. (d.b.)
Intanto. Due raccolte poetiche nello stesso anno (l’altra è Le nuvole e i soldi, stampa Einaudi), fanno di te più che altro e più che tutto un poeta. Parola – “poeta” – passata di moda, che sta tra il marmo e la sfiga. Cosa dici, ci stai nella didascalia – poeta – o per te la poesia è gioco, “anello che non tiene”, sfogo liminare alla prosa, alterità che si fa verbo?
Che questi due libri – Le nuvole e i soldi e Una libellula di città – siano usciti nello stesso anno è casuale, un ingorgo editoriale non premeditato. Nessun gioco: scrivo poesie quando sento il fervore della forma. Quanto a Una libellula di città, non sono sicuro che si tratti di poesie; io le chiamo storie in rima: scusa se faccio il puntiglioso nel precisare questo, ma se ci pensi è un modo di risponderti, perché la parola “poeta” è una specie di piedistallo, può indicare il posto da cui hai intenzione di parlare; più o meno così: «Ecco, adesso salgo sul piedistallo di marmo dove è incisa la parola “POETA” e vi parlo da lì». No, per favore. Non guardate da dove vi parlo. Leggete, se ne avete voglia, le parole che ho scritto, prendetele per quello che dicono, senza badare al presunto piedistallo da cui vengono pronunciate.
In questi versi poco civici e piuttosto cinici leggo, in controluce, Palazzeschi, Govoni, un poco di Dossi: è vero? Da dove arrivano queste filastrocche macabre e colorate?
Quasi tutte queste storie cominciano come i limerick di Edward Lear: si indica un personaggio in maniera generica, accanto alla città di provenienza: “There was an Old Person of Dover”, “There was a Young Lady of Dorking”; “C’era un elefante di Pordenone”, “C’era un mastro vetraio di Murano”… Il riferimento principale è quello, i limerick, anche se poi ogni mia storia è molto più lunga, e ha una sua coerenza, non è un nonsense. È raccontata con le rime baciate, che di solito si usano nelle storie per bambini. C’è un libro Rizzoli, del 1968, intitolato Le nuove filastrocche, con testi di Landolfi, Arpino, Rodari (che mi piace anche se non lo ammiro formalmente, perché era metricamente sciatto) e altri, fra cui un autore bravissimo e dimenticato, Vezio Melegari. Ma in Una libellula di città io racconto agli adulti storie tragiche e disperate usando le rime e la metrica che gli adulti stessi riservano ai bambini. Capisci? Ritorco contro noi adulti una forma che riteniamo puerile, e la riempio di angoscia. Perciò penso che questo libro non abbia precedenti nella nostra letteratura; o almeno, io non ne conosco.
Parli, spesso, con l’arma della rima in apparenza facile, di morte: perché? Non c’è davvero, dunque, altro tema che questo? 
Una storia su due parla di morte, ma quasi sempre negli ultimi versi. Ciò che conta non è la morte, ma da dove ci si arriva, che percorso si fa per raggiungerla.
“Sono contento di essere nato? / O questo mondo è tutto sbagliato?”: a parlare è un ragno esistenzialista. La domanda che si pone il tuo ragno, la faccio io a te, rispondi!
È significativo che ti abbia colpito proprio questo testo, che è anomalo in un libro fatto di storie in terza persona: Una libellula di città è antilirico, parla di altri, donne e uomini che non sono io, piante, animali: non c’è quasi mai identificazione tra chi dice “io” e il protagonista della storia. Te lo faccio notare solo per mettere in evidenza che la nostra cultura poetica è fatta così: tutto ciò che è scritto in versi tendiamo a considerarlo un’immediata effusione dell’io, della sua posizione esistenziale. Quando uno sale sul piedistallo di marmo dove è incisa la parola “POETA” e parla da lì, ecco che si dà per scontato che stia parlando di sé. Ma Una libellula di città ha sì e no cinque storie su trenta raccontate in prima persona. Comunque, non voglio sottrarmi alla tua domanda: “Sono contento di essere nato? / O questo mondo è tutto sbagliato?”, si chiede il ragno. Ammetto che mi ha fatto effetto scrivere quei due versi, anche se li ho messi in bocca a un personaggio diverso da me: lì il pronome “io” è in prestito. Io sono contento di essere nato anche se questo mondo è tutto sbagliato. In quella storia il ragno pretende un canto di verità dalle sue vittime durante la loro agonia. Spero di non essere altrettanto sadico, ma penso anch’io che la vita sia ipocrita. Non ci si dice la verità, che è fondata sulla coscienza di dover morire prima o poi. La letteratura è uno dei modi per rimediare a questa ipocrisia.
Non mi pare che al primo posto dei piani culturali del paese ci sia la poesia, letta, semmai, nel suo aspetto liofilizzato, via Instagram, e…
Scusa se ti interrompo. Ma anche la scuola liofilizzava la poesia, o la incaprettava dentro categorie assurde che a me sembrano modi per disinnescare la forza di ogni singolo testo annebbiandolo dietro un’etichetta: pensa a “decadentismo”, “crepuscolarismo”, “ermetismo”… Spero che oggi le cose vadano meglio; non so, non conosco gli attuali programmi scolastici né i manuali. Giorni fa in una bancarella ho trovato il primo volume dell’Antologia popolare di poeti del Novecento, curata per Vallecchi da Vittorio Masselli e Gian Antonio Cibotto negli anni Cinquanta: poesie di Saba, Govoni, Rebora, Palazzeschi, Campana, Sbarbaro, Ungaretti, Montale e altri, scelte per il grande pubblico, pubblicate per colmare una lacuna. Senti che cosa scrivevano i due curatori nella prefazione, rivolgendosi al lettore: «Tu sei uno dei tanti che durante gli anni scolastici hanno letto le poesie di Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio e ne conservano ricordo. Ma se ti si parla della poesia del Novecento, scorgi distintamente, nel fondo della memoria, soltanto La signorina Felicita di Guido Gozzano. Degli altri poeti del Novecento hai una pallida idea perché mai nessun critico letterario del nostro tempo ha saputo o voluto parlartene con semplicità di linguaggio nei giornali comuni che legge il cittadino comune». Quindi, anche allora “non mi pare che al primo posto dei piani culturali del paese ci fosse la poesia” (per citare le tue parole). Instagram e Facebook sono le antologie popolari dei nostri tempi. Così le poesie arrivano anche a chi non prenderebbe mai in mano un libro di versi. Tra un post su Salvini e uno sui gattini, la poesia cresce come una piantina interstiziale che ha attecchito chissà come sul muro rasente un marciapiede: cammini per la strada con gli occhi fissi sul tuo smartphone, navighi in rete e ti imbatti per caso in una poesia che sboccia sul tuo minuscolo schermo. Le nuvole e i soldi e Una libellula di città sono i miei libri di versi di cui ho potuto constatare per la prima volta la propagazione sui social. Il mio libro precedente, Discorso di una guida turistica di fronte al tramonto, era del 2008, quando Twitter, Instagram e Facebook non erano così pervasivi. Una poesia rilanciata su quei canali, oggi, raggiunge decine di migliaia di persone, spesso per caso, cogliendole di sorpresa. Su carta, la leggono sì e no in mille: con la differenza che questi lettori devono aver deciso di prendere in mano un libro di versi e aprirlo. Cosa dici? È un bene? È un male? Meglio leggere poesia per caso o per volontà? Era meglio prima? È meglio adesso?
Non mi pare, devo dire, che la cultura in sé sia il primo dei pensieri di questo e di altri governi. Come si reagisce (ma poi, c’è bisogno di reagire?), che cosa bisogna fare quando anche il gesto stesso di “pubblicare” pare atto medioevale, vetusto, in fondo inutile? 
Io le porto in giro, le leggo in pubblico, da solo o con una musicista formidabile, Debora Petrina. Per me le letture sceniche non sono né un cavallo di Troia né una strategia pop: sono una forma d’arte, perché la parola non è solo inchiostro, è anche suono, voce, suggestione fonosimbolica, percussione degli accenti. Stampare un libro è un atto moderno, non lo definirei medioevale: fonda un rapporto gutenberghiano, individuale, diretto, silenzioso, interiore, protestante, fra il testo e chi lo legge: non è che oggi le cose siano cambiate troppo; come succede da sempre per la letteratura – aedica, orale, papiracea, amanuense, su codici, a caratteri mobili, linotypistica, digitale – pubblicare innesca anche conseguenze sociali, relazionali, comiziali fra l’alfabeto e i corpi.
***
Una ragazza che vive in Alaska
  Una ragazza che vive in Alaska vuole viaggiare senza niente in tasca,
senza coltello né soldi né mappe: lascerà al viaggio dettarle le tappe.
Farsi guidare dalla libertà. Intanto andarsene, poi si vedrà.
Pensa al suo viaggio, si immagina i monti, picchi, cascate, voragini, ponti,
gorghi, vertigini, cavalcavia, fiordi, caligini, periferia.
Boschi notturni, ululati, creature. Sarà fantastico: quante avventure!
Muoversi a caso, da nord verso sud: Canada, Messico, Cuba, Perù,
poi con l’aereo volare a Hiroshima solo perché dopo Lima fa scena.
Senza un criterio, così, allegramente, cogliere ciò che racchiude il presente.
Non stare lì a criticare ogni bivio: prendere il largo e sfruttare l’abbrivio.
“Parto”. Si chiude alle spalle le porte, vede una freccia con la scritta Morte.
Segue quel senso, ridendo di cuore. Fa un passo, incespica, ruzzola, muore.
Tiziano Scarpa
*da “Una libellula di città e altre storie in rima”, minimum fax, 2018
L'articolo “Riempio di angoscia le filastrocche, questo è un libro senza precedenti”: dialogo con Tiziano Scarpa proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2SxrugA
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thediamondage · 7 years
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Forse non tutti sanno che
gli studenti più indisciplinati del corso di letteratura sci-fi della Columbia University di New York per punizione vengono messi in piedi dietro la lavagna indossando un cappello da Asimov. #nonsense #domandoscusa #wikisaimon
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radioteatro · 4 years
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I Thugs
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gaiaitaliacom · 7 years
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Il nonsense al cinema e in letteratura, nuovo appuntamento alla Passerini Landi di Piacenza
Il nonsense al cinema e in letteratura, nuovo appuntamento alla Passerini Landi di Piacenza
di Gaiaitalia.com, #Piacenza     Martedì 31 ottobre, alle 16.30, la sala Balsamo della Biblioteca Passerini Landi ospiterà un nuovo incontro per il ciclo “Il nonsense al cinema e in letteratura”. Le traduttrici, scrittrici e giornaliste Francesca Cosi e Alessandra Repossi parleranno de “Le filastrocche nonsense di Edward Lear e la divertente sfida della traduzione italiana”.     (27 ottobre…
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erimarian · 25 days
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Alice’s adventures in Wonderland, Lewis Carroll
Illustrazioni, Peter Newell
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erimarian · 4 days
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erimarian · 4 days
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Alice’s adventures in Wonderland, Lewis Carroll
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erimarian · 6 days
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Alice’s adventures in Wonderland, Lewis Carroll
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erimarian · 6 days
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