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#Letteratura tedesca del XX secolo
gregor-samsung · 1 year
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“ La principale attrazione dell’albero di Natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava “pace, pace”. Il segreto meccanico di quest’angelo, custodito gelosamente, mi si è rivelato solo più tardi, sebbene allora avessi occasione di ammirarlo quasi ogni settimana. Ma dall’abete di mia zia pendevano una infinità di altre cose, caramelle di zucchero, biscottini, figurine di marzapane, zucchero filato – e da non dimenticare – i fili di stagnola: attaccare tutte queste cosine, questi ornamenti – mi ricordo ancora – richiedeva una notevole fatica. Tutti dovevano partecipare e nessuno della famiglia, la sera di Natale, aveva appetito, per la tensione nervosa e lo stato d’animo – per così dire – era terribile: tranne che per mio cugino Franz che non aveva partecipato a tutti questi preparativi e che unico godeva e gustava l’arrosto, gli asparagi, il gelato e la panna. Quando poi per Santo Stefano noi arrivavamo in visita e osavamo esprimere l’azzardata ipotesi che il segreto dell’angelo parlante si basasse sullo stesso meccanismo che fa dire a certe bambole “mamma” e “papà” raccoglievamo soltanto risate di scherno. Si potrà immaginare quindi come le bombe cadute nelle vicinanze mettessero in estremo pericolo un albero così sensibile. Ci furono scene terribili quando i nanetti caddero dall’albero: una volta cadde addirittura l’angelo. Mia zia era inconsolabile. Dopo ogni incursione aerea, cercava di rimettere a posto, con enorme fatica, tutto l’albero com’era prima e tentava per lo meno di mantenerlo in vita durante i giorni di Natale. Ma già nel 1940 non c’era nemmeno più da pensarci. “
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Brano tratto dal racconto Tutti i giorni Natale (Nicht nur zur Weihnachtszeit, 1952), testo raccolto in:
Heinrich Böll, Racconti umoristici e satirici, traduzione di Lea Ritter Santini, Bompiani (collana Tascabili n° 59), 1977; pp. 103-104.
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carmenvicinanza · 2 years
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Svetlana Aleksievič
https://www.unadonnalgiorno.it/svetlana-aleksievic/
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Io non invento, non estrapolo, ma organizzo il materiale che mi fornisce la realtà. I miei libri sono le persone che raccontano e io stessa, col mio modo di vedere il mondo e di considerare le cose. Scrivo, annoto la storia contemporanea nel quotidiano. Parole vive, vite e destini.
Svetlana Aleksievič, Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, è una delle maggiori giornaliste e scrittrici contemporanee.
I suoi libri sono stati pubblicati in più di venti paesi e rappresentano uno struggente romanzo corale degli uomini e delle donne vissuti nell’Unione Sovietica e nella Russia post-comunista del XX secolo.
Da giornalista ha seguito i principali eventi del mondo sovietico dalla seconda metà del ‘900, dalla guerra in Afghanistan, al disastro di Černobyl, ai suicidi seguiti allo scioglimento dell’URSS.
Su ognuno di questi argomenti ha scritto libri che le hanno procurato importanti riconoscimenti e fama internazionale.
Nata il 31 maggio 1948 a Ivano-Frankivs’k, in Ucraina, è cresciuta in Bielorussia, in un ambiente pervaso dai ricordi della guerra appena terminata. Si è formata alla letteratura partendo dal giornalismo, fino a elaborare un’originalissima forma di narrazione ibrida, una sorta di racconto documentario.
Perseguitata dal regime di Aljaksandr Lukašėnka, è stata costretta a lasciare il paese perché su di lei gravava la falsa accusa di essere un’agente della CIA. Dopo un periodo trascorso tra Russia, Italia, Francia, Germania e Svezia, nel 2013 è tornata a vivere a Minsk ma, sotto la minaccia dell’imminente arresto da parte del regime, a settembre del 2020 è stata costretta alla fuga in Germania.
La sua è una scrittura basata sull’ascolto, il resoconto di una testimone che, di pagina in pagina, si sforza di farsi sempre più invisibile.
Nel 2013 ha vinto il prestigioso premio Peace Prize of the German Book Trade.
L’8 ottobre 2015 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura, “per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo“.
Nel suo discorso di ringraziamento aveva affermato: «Sono stata definita scrittrice delle catastrofi, ma non è vero, io cerco continuamente parole d’amore. L’odio non ci salverà. Solo l’amore. È la mia speranza»
Nel 2018 ha dovuto annullare un incontro con i lettori nel Teatro Verde di Odessa dopo aver ricevuto minacce dai nazionalisti locali. Il suo nome era stato aggiunto a una lista di “nemici dell’Ucraina” in quanto avrebbe “propagandato discordia interetnica e manipolato informazioni importanti per la società“.
Il suo libro più famoso è La guerra non ha un volto di donna. L‘epopea delle donne sovietiche nella Seconda Guerra Mondiale, del 1985. Sebbene scritto in prima persona, le vere protagoniste sono le combattenti di quella che, nella retorica di regime, è la Guerra Patriottica contro il nazifascismo.
Nei suoi testi non si pone mai al centro della scena. A interessarle è sempre l’altro e l’altra che, con i suoi drammi e i suoi slanci, rappresenta un intralcio insormontabile per ogni versione di comodo patrocinata dal potere.
Insignita con la Gran Croce al Merito dell’Ordine della Repubblica Tedesca nel 2021, è attualmente l’unica facente parte del Consiglio di Coordinamento dell’opposizione bielorussa che abbia finora scampato l’arresto.
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chiamatemefla · 6 years
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15, 24, 28 🌼
15. do you prefer space or the ocean? Sono stata di quelle bambini che ha amato le stelle finché non ha scoperto che, per studiarle, ci vuole la matematica. Però le stelle mi mettono ansia, soprattutto la parte in cui la gente afferma che nelle tue stelle c'è scritto il destino e quella in cui penso all'universo sconfinato, e quindi dico l'oceano.C'ho vissuto affacciata sull'oceano e se lo guardi dal tuo porto sembra quasi come il mare, solo più freddo, vagamente più ostile. Direi l'oceano, sì.
24. what is your favorite thing to learn about?Ecco che spunta il mio lato noioso. Sono particolarmente affascinata dalla parte di storiografia mitica della zona Nord europea e dunque tutta la roba delle Cronache in antico inglese, delle saghe dei re scandinavi e dei poemi epici germanici. Quelli sono i miei guilty pleasure(s). Poi c'è la letteratura scandinava del XIX/XX secolo che adoro. E tutta la letteratura tedesca del XX secolo che fermiamoci un attimo ad apprezzare lo studio della parola e sì, insomma, se mi parlate di queste cose io inizio a sbrodolare e leggerei mattoni su mattoni solo per saperne un pochinino di più.
28. do you have someone where you can’t decide if you like them romantically or just as a friend?Mi è successo solo una volta, abbiamo deciso di provare a stare insieme, non ha funzionato e, anzi, il limbo in cui ci siamo buttati a vicenda è diventato ancora più limbo e meh.
Kuore per te 💛
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joenatta · 4 years
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Stanotte cercando fra i libri di poesia ho trovato questo: “Le liriche più belle della letteratura tedesca dall’XI al XX secolo”. Non ricordavo di averlo ed è pure una edizione del 1929 piena di appunti, vissuto come piace a me! 📚🔝 https://www.instagram.com/p/CC5zeF5qnAt/?igshid=jjtaub4xi69n
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perfettamentechic · 5 years
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Elsa Schiaparelli nacque nel 1890, nel palazzo Corsini a Roma. Con un padre che era il direttore della biblioteca dei Lincei e un professore di letteratura orientale, un astronomo zio e una madre discendente dai Medici, Elsa è cresciuta in una famiglia di aristocratici e intellettuali. Ha studiato filosofia, anche se il suo sogno era diventare un’attrice. Nel 1911 pubblicò una raccolta di poesie apertamente sensuali, Arethusa . Quando i suoi genitori lo hanno saputo, è stata mandata in un convento in Svizzera, dove è ripartita dopo aver fatto lo sciopero della fame. Il 1913 ha segnato l’anno dell’emancipazione. È partita per Londra con uno degli amici di sua sorella per aiutare a prendersi cura dei suoi figli. Questa città ha dimostrato di essere l’inizio della libertà. Quando partecipò a una conferenza di teologia del conte Wilhelm Wendt de Kerlor, ne rimase affascinata di questo giovane teosofo. Si sposarono nel 1914 e lasciarono Londra per New York nel 1916, dopo aver trascorso diverse stagioni a Nizza. Sulla nave che li portava a New York, Elsa stringe amicizia con Gabrielle Picabia, la moglie del pittore Dada. Questo incontro avrebbe introdotto Elsa nella cerchia degli artisti d’avanguardia dell’epoca: MAN RAY. MARCEL DUCHAMP. EDWARD STEICHEN. La giovane coppia viveva della dote di Elsa, che stava scomparendo alla velocità della luce. La loro figlia Yvonne, soprannominata Gogo, nacque nel 1920 e ben presto contrasse la poliomielite. Con il suo stile di vita bohémien, i lavori part-time, le ripetute assenze del marito e il prendersi da sola la cura della figlia, Elsa chiese il divorzio.
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Elsa Schiaparelli è stata una stilista e sarta italiana amante dell’arte e della letteratura; una donna venuta dall’aristocrazia che ha saputo farsi amare dal popolo. Insieme a Coco Chanel, viene considerata una delle più influenti figure della moda all’inizio del XX secolo. È l’inventrice del rosa shocking. Lo scontro tra Elsa Schiaparelli e Coco Chanel ha animato le prime pionieristiche fasi del mondo della moda, a cominciare dagli anni ’30. Un duello  fatta di collezioni, abiti bellissimi, vestiti da sogno, che non ha svilito, anzi ha arricchito enormemente il mondo del moda elegante. A Coco Chanel si deve la semplicità e la naturalezza, a Elsa Schiaparelli abiti sempre più estrosi, sgargianti, particolari.
Elsa Schiaparelli nacque da una nota famiglia di intellettuali piemontesi, trasferitasi a Roma. La madre proveniva da una famiglia dell’aristocrazia napoletana discendente dai Medici, signori di Firenze e di tutta la Toscana, mentre il padre, Celestino Schiaparelli, nel 1875 fu nominato direttore della biblioteca dell’Accademia dei Lincei dal Re Vittorio Emanuele II, e risiedettero nella sede che spettava a chi ricopriva tale carica: Palazzo Corsini. Nel 1903 Celestino Schiaparelli lasciò tale incarico per una cattedra di lingua e letteratura araba all’Università di Roma. Elsa era nipote di Giovanni Schiaparelli, che era stato un famosissimo astronomo, direttore dell’osservatorio di Brera, scopritore dei canali su Marte che portano il suo cognome.  Cresce in una casa cattolica e la sua educazione è stata severa ma, Elsa Schiaparelli mostrò da subito una forte vena artistica che voleva declinare nella drammaturgia, sognava di diventare un’attrice, ma non poté farlo per via della sua provenienza aristocratica, i genitori ritennero più conveniente farle studiare filosofia e lettere. Decise quindi di scrivere e far pubblicare all’età di 21 anni, poesie, le quali ebbero buona diffusione e un discreto successo soprattutto in Francia. Se la reazione del pubblico fu discreta, quella della famiglia Schiaparelli fu pessima, per il padre fu una vera disgrazia. La “Schiap” (diminutivo affibbiatole in Francia, probabilmente per semplificare la pronuncia, che lei stessa subito adottò) venne quindi mandata in un convento della Svizzera tedesca. Quando scappò dalla scuola, nel 1913, andò in Inghilterra dove frequentò una lezione sulla teosofia tenutasi dal misterioso professore Wilhelm de Wendt de Kerlor. Parlarono dopo la lezione, e fino a notte fonda, e il giorno successivo furono fidanzati, per l’orrore del padre. Elsa sposò, all’inizio del 1914, il conte alla tenera età di diciotto anni. De Kerlor, l’imprenditore disonesto, non ha mai fatto molti soldi e per il primo anno di matrimonio la coppia è stata sostenuta dalla dote di Schiap. Elsa lavorava duramente con il marito per promuovere i suoi interessi commerciali, e quando il “furfante” la lasciò dopo cinque anni di matrimonio e appena dopo la nascita della loro unica figlia, forse le aveva insegnato il valore di un’auto-promozione instancabile e un buon punto di vista commerciale.
Nel 1919 la coppia si trasferì a New York e nel 1920 nacque la loro figlia, Maria Luisa Yvonne Radha, detta Gogo. Tuttavia il matrimonio si rivelò fallimentare e la Schiaparelli rimase sola con una figlia, che si ammalò di poliomielite, dopo un periodo di povertà la figlia, come la madre a suo tempo, venne mandata in un collegio così che Elsa poté occuparsi a tempo pieno delle proprie passioni. Fu questo, infatti, il periodo in cui la Schiaparelli conobbe e cominciò a frequentare gli artisti dell’avanguardia dadaista. Sempre in questo periodo, e sempre a causa delle condizioni di salute della figlia, Elsa si trasferì a Parigi nel 1922, ospitata da Gaby Picabia, moglie dell’artista dadaista Francis Picabia.
Fu qui che, ovviamente, Elsa Schiaparelli entrò in stretto contatto con l’ambiente della moda dell’epoca. Secondo le parole della stessa Schiaparelli, sembra che il colpo di fulmine per la moda sia avvenuto dopo una sua visita, assieme a un’amica, all’atelier di Paul Poiret in Faubourg Saint-Honoré. Poiret, il grande sarto dei primi anni del Novecento, che aveva proposto una nuova immagine di donna, libera dalle costrizioni del busto, le mostrò alcune delle sue creazioni, che lei all’epoca giudicò semplicemente come troppo care. Poiret le rispose “Non vi preoccupate dei soldi. E poi potrete come e quando vorrete…“.
Nel 1922, si trasferì a Parigi con la figlia, perché l’Europa sembrava essere avanti in termini di trattamenti di cui Gogo aveva bisogno. Durante il giorno, Elsa lavorava presso un antiquario. La sera, ha frequentato il famoso ristorante, Le Bœuf sur le Toit, che ha attirato l’elegante set di Parigi. La sua cerchia di amici artisti crebbe. Un giorno, Elsa accompagnò un amico a un allestimento di Paul Poiret, il più grande couturier dell’epoca. Ha provato alcuni disegni mentre aspettava, anche se non poteva permettersi di comprare pezzi del genere. Comprendendo questo e senza dubbio intuendo che una donna così atipica sarebbe stata una buona pubblicità per i suoi vestiti, Paul Poiret suggerì che Elsa potesse prendere in prestito diversi progetti. Questa esperienza di una casa di alta moda, lusso, qualità, design, colori, materiali. A metà degli anni ’20, Elsa Schiaparelli fece fiorire la sua creatività e divenne una designer freelance. Ha unito le forze per un periodo con un’amica che aveva acquisito un marchio che era caduto in declino. Elsa riacquistò presto la sua indipendenza in modo che potesse esprimersi al massimo.
… Sebbene abbia fondato la sua compagnia nel suo appartamento nel 1927, l’azienda è decollata l’anno successivo quando ha aperto atelier, saloni e uffici in rue de la Paix 4 con “Schiaparelli – Pour le Sport” (Schiaparelli – Sportswear) su la piastra della porta. … Questa miscela di Haute-Couture e abbigliamento sportivo ha avuto un tale impatto in tutto il mondo che i produttori tessili americani le hanno offerto i suoi primi accordi di licenza.
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La prima creazione di Elsa nasce da un’intuizione: viene attirata da un abito fatto a maglia da una rifugiata armena. Tra le due donne comincia una collaborazione: la Schiaparelli ha le idee, l’altra le realizza; realizzano abiti di facile vestibilità e dominati da motivi di ispirazione cubista, africana, quasi naif. Inizialmente, l’atelier era il suo appartamento in rue de l’Université. Solo a seguito di un investimento di 100 mila franchi, registrò il marchio e trasferì la maison in rue de la Paix. Gli artisti più popolari del tempo, da Salvador Dalì ad Alberto Giacometti, frequentavano la sua maison prima in rue de la Paix, poi in Place Vendome, fornendole l’occasione per disegnare gioielli e bozzetti sempre più accattivanti. Da allora la sua immaginazione si scatena: abiti sportivi di ispirazione africana e cubista, oppure tessuti con ritagli di giornale, abiti con aragoste giganti di ispirazione surrealista, animali, soli giganteschi.
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Di conseguenza la collezione di maglieria viene arricchita con costumi da bagno, pigiami da spiaggia e accessori. I motivi divennero più vari (tartarughe astratte, scheletri, tatuaggi da marinaio, ecc.), Così come i colori, giocando sui contrasti (bianco e nero, nero e sfumature brillanti).
Da quel momento in poi, le collezioni si susseguirono a ritmo di quattro presentazioni all’anno. Le prime collaborazioni hanno sostenuto la prolifica creatività di Elsa Schiaparelli: una collana in porcellana di aspirina con Elsa Triolet; una piega trompe-l’œil dipinta su un lungo abito con il pittore Jean Dunand;
gioielli con Alberto Giacometti; un braccialetto di metallo e pelliccia con Meret Oppenheim, per citarne solo alcuni. La ricerca sullo sviluppo di nuovi materiali ha portato a tessuti rivoluzionari come il rodofano (trasparente e fragile come il vetro) o crepe di rayon schiacciato (simile alla corteccia d’albero). Elsa si è circondata dei migliori talenti: Jean Schlumberger, Jean Clément e poi Lina Baretti per i gioielli, Jean-Michel Frank per la decorazione e il design delle bottiglie di profumo, Pérugia e Roger Vivier per le scarpe, Lesage for embroidery,…
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Elsa si è circondata dei migliori talenti creativi: ELSA TRIOLET, ALBERTO GIACOMETTI, MERET OPPENHEIM, JEAN SCHLUMBERGER, JEAN-MICHEL FRANK, MARCEL VERTÈS JEAN, DUNÉ, JEAN CLÉMENT, RAYMOND PEYNET.
Il successo di Schiaparelli arrivò mentre la moda del secolo giungeva a una svolta: dall’abito piatto e senza forma della Garçonne, che furoreggiava negli anni venti, si tornò a una moda più femminile, con la vita al punto naturale, abiti sotto al polpaccio di giorno e lunghi da sera, tacchi alti.
Nel 1928 arrivarono i completi rigati e i costumi da spiaggia ma anche il lancio del profumo S. Nel 1929 la Schiaparelli rivoluzionò ancora il settore introducendo per la prima volta, in capi di alta moda, le zip, sia con funzioni classiche di chiusura che semplicemente decorative assai più pratica delle sfilze di bottoncini che avevano chiuso gli abiti delle donne sino a quel momento.Dal 1929 in poi, Elsa ha introdotto un numero crescente di innovazioni in termini di materiali, tagli, dettagli e accessori: un impermeabile in lana e seta gommata, tute con zip a vista – che in seguito sarebbero state seguite da cerniere colorate e poi versioni multicolore – , il primo abito da sera (un abito avvolgente con una profonda scollatura), culottes, abiti dalle spalle forti, abiti da sera reversibili in bianco e nero, tagli aerodinamici creati da balze abilmente disposte, cappelli eccentrici e borse in rete metallica.Fin dall’inizio, la Schiaparelli disegna per le donne famose come: Wallis Simpson, la futura Duchessa di Windsor, Marlene Dietrich, Katharine Hepburn, Greta Garbo, Lauren Bacall, Gene Tierney, Gala Dali, Marie-Laure de Noailles, Daisy Fellowes, Nusch Eluard (per il suo ritratto di Pablo Picasso indossa un abito della Schiaparelli), Arletty, Vivien Leigh, Ginger Rogers, Juliette Gréco, Mae West (per il quale ha disegnato il guardaroba in uno dei suoi film).
Negli anni Trenta arrivarono le prime gonne separate al centro, a portafoglio, che furono considerate scandalose in molti paesi. Arriveranno altri vestiti Schiaparelli iconici come il “mad cap“, il cappello matto, che prende forme diverse in base alla volontà di chi lo indossa.
La stilista ha alternato abbigliamento sportivo con linee sobrie, abiti “hard chic” e abiti da giorno con abiti da sera sfacciatamente seducenti. Si è ispirata al guardaroba maschile per creare la prima camicetta nel 1935.
Nel 1934 stabilì la sua maison al numero 21 di place Vendôme, e da lì ogni anno lanciò le sue collezioni, tutte a tema e tutte fantasiose, ma con grande unità stilistica. Collezioni fantasiose ed esuberanti si imponevano sul mercato, tenendo testa proprio a quelle di un’altra famosissima stilista del tempo, Coco Chanel.
Proprio insieme a Chanel, la Schiaparelli fu una delle prime a capire che in futuro la formula vincente per la moda sarebbe stato l’abito pronto per la vendita, utilizzando taglie standard, da poter eseguire in serie. Ribaltando completamente le idee consolidate sul vestire, inventò impermeabili da sera, abiti in vetro, mantelle color rosa shocking con enormi soli ricamati in oro sulla schiena. Abiti con aforismi di Jean Cocteau.
Disegnava personalmente i modelli in album di schizzi minuziosi ed eleganti. Sia che le creazioni esclusive fossero abiti unici, sia che fossero rivolte a un pubblico più vasto, la Schiaparelli creava le sue opere con la stessa, identica concentrazione. 
Ogni collezione racconta una storia ricca, prendendo in prestito dal prezioso e dall’ordinario, l’arte e la vita quotidiana, il figurativo e la narrativa, il surrealismo e i simboli di riferimento, il poetico e architettonico, nero e dai colori più sorprendenti, provocatorio e severo. Elsa è stata la prima a dare alle sue collezioni un tema: la prima, “Stop, Look & Listen” (Fermati, Guarda e ascolta), il look “tifone”, il look “paracadute”, e poi Le farfalle, Gli strumenti musicali, “Commedia dell’Arte”, “Païenne” ( pagano), “Astrologia”, “Le Cirque” (circo),  dove usa giocolieri, pagliacci, coni gelato, elefanti e trapezisti per sottolineare l’estrosità e il dinamismo circense. Salvador Dalí le ispirò un tailleur dove le tasche erano minuscole cassettine.
Lo spirito surrealista e artistico si è impadronito di stivaletti in pelle con le dita dei piedi rappresentati da impunture, insieme alla bottiglia di profumo maschile a forma di pipa (in omaggio a Magritte), guanti con chiodi rossi in pitone, stivaletti con frange di lunga pelliccia di scimmia , una collana di Rhodoid incrostata di insetti e borse con decorazioni luminose (a batteria).
La creatività e l’originalità della Schiaparelli, trovano espressione soprattutto negli accessori; ad esempio il cappello-scarpa (disegnato dal suo amico Dalì), cappelli come spazi abitati, cappelli dalla forma che sembrano cervelli umani, guanti con le unghie lunghe; a lei si devono i primi orecchini e braccialetti in plexiglas. Per lei, Jean Hugo disegna bottoni-sculture dalle forme più curiose, bottoni a forma di labbra, di caramelle d’orzo, a calamaio, di animali.
Altre invenzioni di Elsa Schiaparelli furono le frasi sugli abiti (soprattutto quelle di Jean Cocteau), l’abito scheletro (che gli americani chiamano ancora Elsa Schiaparelli Skeleton Dress).
Elsa Schiaparelli fornì abiti a innumerevoli star del cinema e dello spettacolo, mentre un altro vezzo di Elsa Schiaparelli, il profumo, si impose sulla scena.  È nel 1934 che lanciò i tre profumi Salut, Souci e Schiap, creati nel suo atelier di profumeria di Bois-Colombe: sono ancora oggi icone di stile.
Nel 1932, la Couture House, che era diventata “Schiaparelli – Pour le Sport, Pour la Ville” (Schiaparelli – Sportswear, City and Evening Wear), copriva diversi piani e comprendeva otto atelier che ospitavano oltre 400 dipendenti. L’anno seguente, Elsa Schiaparelli aprì un negozio e saloni a Londra e un ufficio a New York. Dopo il lancio della sua prima fragranza “S” nel 1928, nel 1934 presentò una collezione di tre profumi: Soucis, Salut e Schiap . L’anno dopo, la Couture House rilevò l’Hotel de Fontpertuis, 21 place Vendôme: cinque piani 98 camere, oltre 700 dipendenti e una boutique al piano terra con vista sulla colonna Vendôme.
La sua reputazione è tale che è diventata la prima stilista di moda femminile ad apparire sulla copertina della rivista americana Time nel 1934.
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 Il 1937 vide il lancio del profumo Shocking e il colore “rosa shocking” che diventerà un marchio di fabbrica della Maison Schiaparelli.Il profumo, la cui bottiglia disegnata da Léonor Fini ha rappresentato un manichino di sartoria seguendo le curve di Mae West, decorato con fiori di porcellana e un nastro di misurazione di velluto, è stato un successo senza precedenti. Elsa ha poi avuto una visione cromatica: ha inventato il rosa shocking, un pigmento puro, vibrante, non diluito, intenso e vivace. Di fatto era una gradazione molto intensa del magenta. Il rosa shock in abbigliamento spopolò e a dargli fortuna contribuì non poco il vestito indossato da Marilyn Monroe in Gli uomini preferiscono le bionde.
Questa creatività traboccante che ha scosso la sensibilità è stata presto interrotta dalla seconda guerra mondiale. Fino all’estate del 1940, Elsa ha combattuto per mantenere la sua casa di moda per affari al fine di mantenere il maggior numero di posti di lavoro possibile e persino di lanciare un profumo, Sleeping . In vista delle incursioni aeree, ha creato abiti pratici e comodi: tute con cerniera con maxi tasche destinate a contenere l’equivalente di una borsetta, un cappotto con una borsa integrata, abiti trasformabili, ecc.
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A fine degli anni Trenta cominciò la collaborazione con Salvador Dalì che disegnerà un barattolo per trucco a forma di quadrante telefonico, la partnership proseguirà anche per la creazione di cappotti e tailleur.
Elsa aveva anche capito che la sfilata è una vetrina, uno spettacolo per i compratori, ma che la vera moda si faceva col prêt-à-porter.
Negli anni Quaranta ci saranno altre creazioni iconiche: il primo abito con silhouette a sirena, giacche di ispirazione militare con grandi tasche ricamate, il profumo Le Roy Soleil con boccetta artistica progettata ancora una volta da Dalì.
Nel luglio del 1940, Elsa lasciò Parigi e diede un serie di conferenze negli Stati Uniti sul tema “Vestiti e la donna“. A Dallas, è stata la prima europea a ricevere il premio Neiman Marcus per i servizi alla moda.
Nonostante la guerra e l’offerta del MoMA di nominarla direttore di un dipartimento di fashion design, è ripartita per Parigi.
Partì con 13.000 capsule di vitamine per aiutare la Francia libera. Durante uno scalo a Bermuda, la dogana ha confiscato il carico, sospettando che Elsa fosse contrabbandata. Le sue carte erano finalmente in ordine, poteva ripartire con le vitamine.
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Dato che il suo status di italiana a Parigi stava diventando rischioso, mise la sua Couture House nelle mani del suo braccio destro dal maggio 1941 al luglio 1945. Partì per New York dove continuò ad aiutare la Francia attraverso molte iniziative in tutto il mondo.
Nell’aprile 1941 la figlia di Schiap, Maria Luisa Gogo Schiaparelli, si sposa con l’esattore Robert L. Berenson.
Quando la Francia fu liberata, Elsa vi ritornò immediatamente, rilevò la progettazione e presentò una collezione già nel settembre del 1945. Partecipò alla mostra itinerante Théâtre de la Mode negli Stati Uniti. Hubert de Givenchy viene assunto come Direttore Creativo della boutique Schiaparelli. Hubert de Givenchy ha lavorato al fianco di Schiaparelli nei suoi primi anni ’20, e le attribuisce il merito di aver influenzato la sua visione della moda. Si dice che fosse furiosa con lui quando lasciò la sua etichetta nel 1951, e gli disse “Mi farai bancarotta“. Il che forse dimostra quanto era arrivata ad affidarsi al giovane designer.
Una fabbrica di profumi fu costruita nei sobborghi di Parigi per garantire l’attività sostenuta dei profumi esistenti, completata dai lanci di Roy Soleil, Zut e Succès Fou negli anni seguenti. Nel 1946, al passo con le donne che viaggiavano sempre di più, Elsa fece scalpore con il guardaroba della Constellation: sei vestiti, un cappotto reversibile e tre cappelli pieghevoli, tutti sotto le 12 lbs. Nonostante lo sciopero di parte dei suoi atelier di Haute-Couture, Elsa presentò la sua collezione nell’agosto del 1949. I pezzi non erano finiti (presenti spille, campioni di stoffa e nessun asola), ma lo stile giovanile, l’audacia evidente e l’abito da sera con un reggiseno visibile hanno portato il New York Times a descrivere la collezione come “Striking“. Newsweek dedicò la sua prima pagina alla designer. Negli anni Cinquanta Schiaparelli confezionò il primo abito smoking per l’Haute Couture, si inizieranno a produrre anche cravatte da uomo, lingerie e bambole, occhiali da sole (fu lei la prima a lanciare una linea di occhiali da sole firmati) e accessori e spille di grandi dimensioni con animali. Schiaparelli non solo vestiva le stelle del cinema (Marlene Dietrich, Greta Garbo e Katherine Heburn), ma disegnava anche costumi per molti film e rappresentazioni teatrali.
Nonostante questi successi, un numero crescente di licenze negli Stati Uniti e buone vendite dei profumi, Elsa notò che il mondo di Haute-Couture era cambiato, allora decise di chiudere la sua Couture House nel 1954 per dedicarsi alla sua autobiografia Shocking Life. Elsa Schiaparelli muore nel sonno nel 1973 a Parigi.
La nipote di Schiap è Marisa Berenson, la celebre modella e stella del cinema.
Direttamente e indirettamente, Elsa Schiaparelli ha influenzato una vasta gamma di tendenze e designer della moda.
Dal 1954 il marchio Elsa Schiaparelli sino al 2006 passa da vari abbandoni e silenzi sino all’acquisto di licenze, catalogo, abiti storici da parte di Diego Della Valle, patron di Tod’s, Hogan e molti altri marchi del lusso,  e Roger Vivier, uno stilista francese specializzato in scarpe (la sua creazione più famosa è stata il tacco a spillo). L’approccio nei confronti di questa maison è stato quello di una crescita lenta e graduale. Nel 2012 la riapertura della storica sede produttiva in Place Vendome, nel cuore di Parigi, dove la stessa Elsa aveva lanciato il brand quasi un secolo prima. Nel 2013, Christian Lacroix ha creato una collezione omaggio; più tardi quell’anno, Marco Zanini assunse la direzione creativa riportando meticolosamente in auge i più grandi successi di Schiaparelli.
Dopo essersi laureato alla Nuova Accademia di Belle Arti nel 2005, Zanini ha continuato a lavorare come primo assistente di Lawrence Steele. Arriva alla maison Schiaparelli dopo aver guidato la rinascita di successo a Halston e Rochas a Parigi. Allo stilista italiano si deve la rinascita di una delle case di moda più antiche del mondo. 
Dal 2015 il direttore del design è Bertrand Guyon diplomato all’École de la Chambre Syndicale de la Couture Parisienne, ha lavorato da Christian Lacroix e da Givenchy, prima di raggiungere a Valentino, dove ha contribuito per anni all’immenso successo della Haute Couture di Valentino sotto la guida di Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli. Nel 2017 Schiaparelli ha ricevuto dal Ministero dell’Industria francese e  dalla Federazione francese di alta moda il riconoscimento di Haute Couture.
La denominazione di grand couturier è infatti protetta dalla legge francese e attribuita esclusivamente dal Ministero dell’Industria d’Oltralpe a selezionate case di moda. Abiti rigorosamente confezionati a mano e realizzati su misura per le donne più ricche del mondo: questa è l’essenza dell’alta moda, che vive solo nella capitale francese. Al momento, sono 15 i brand che possono fregiarsi del titolo di maison di alta moda: oltre a Schiaparelli e Julien Fournié, fanno parte del gotha della moda Chanel, Dior, Givenchy, Jean Paul Gaultier, Maison Margiela, Giambattista Vialli, Franck Sorbier, Adeline Andre, Alexandre Vauthier, Alexis Mabille, Maurizio Galante, Stephane Rolland e Yiqing Yin. Un’altra ventina di maison sono considerate guest member e tra queste figurano Armani, Valentino, Versace, Giambattista Vialli, Elie Saab.
Un successo per Diego Della Valle che ha deciso di rilevare i diritti su Schiaparelli e ne ha curato il rilancio. Merito anche di Bertrand Guyon, dal 2015 Direttore Creativo del brand.
Nel 2016 fu lanciata una collezione prêt-à-porter costruita riproducendo i ricami originari su chemisier contemporanei, bomber serici e blazer.
Se la Schiaparelli sperimentava con nuove tecnologie e tessuti, oggi l’atelier continua a collaborare con esperti della tradizione: gli artigiani di Lesage, per i ricami, e Lemarié, per le piume e i fiori, come anche con specialisti d’avanguardia, tra cui il giovane Julien Vermeulen esperto nelle lavorazioni di piume.
Stiamo anche optando per un approccio sempre più etico e staremo lontani da ogni pelliccia rara per la prossima collezione. C’è un nuovo pubblico più attento e green che apprezza il cosiddetto lusso alternativo. Guyon.
Tra le clienti della maison Schiaparelli  vi sono Cate Blanchett, Kristin Scott Thomas e Tilda Swinton, senza dimenticare Céline Dion, che ha indosseto spesso gli outfit Schiaparelli nel suo tour 2018.
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Aggiornato al 28 febbraio 2019
Autore: Lynda Di Natale Fonte: schiaparelli.com, web
Elsa Schiaparelli #schiaparelli #guyon #creatoridistile #creatoridimoda #perfettamentechic #felicementechic #lynda Elsa Schiaparelli nacque nel 1890, nel palazzo Corsini a Roma. Con un padre che era il direttore della biblioteca dei Lincei e un professore di letteratura orientale, un astronomo zio e una madre discendente dai Medici, …
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gregor-samsung · 3 months
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“ Fuori continuano a sfilare, genitori e bambini. Ma perché diavolo B è venuto a trovarmi? “Perché non sfili anche tu?” chiedo. “È pure il tuo dovere.” Sogghigna. “Mi sono dato ammalato.” I nostri sguardi s’incontrano. Ci capiamo, dunque? “Non ti tradirò,” dico. “Lo so.” Che cosa sai? penso. “Non mi piace più sfilare e neppure mi va questa storia del comando. Il primo venuto ti riempie la testa di urla semplicemente perché ha due anni più di te. E quei discorsi... sempre gli stessi, pure stupidaggini.” Non posso fare a meno di ridere. “Spero che sarai il solo, in classe, a pensare così.” “Oh, no, siamo già quattro.” “Quattro di già? Da quando?” “Ricorda, professore, quando ha parlato dei negri, in primavera, prima di partire per il campo? Abbiamo tutti firmato che non la volevamo come professore, ma io l’ho fatto dietro comando. Perché lei aveva ragione, naturalmente, per i negri. E poi ce ne sono stati altri tre che si sono espressi nello stesso modo.” “Chi?” “Non lo posso dire, è proibito dal nostro codice.” “Quale codice?” “Abbiamo formato un club. Vi aderiscono altri due, ma non del liceo. Uno è apprendista fornaio, l’altro è un fantino.” “Un club?” “Sì, ci riuniamo settimanalmente, e leggiamo tutto ciò che è proibito.” “Ah, ah!” Che cosa diceva Giulio Cesare? Di nascosto si legge, ma soltanto per riderne. Il loro ideale è il dileggio. Andiamo verso tempi freddi. Domando a B: “Allora vi riunite per ridere di tutto, eh?” “No, l’ironia è severamente proibita dal paragrafo 3. Sì, ci sono dei ragazzi che ridono di tutto, per esempio T, ma noi non siamo di quelli, ci riuniamo per discutere su quello che abbiamo detto.” “E poi?” “E poi parliamo del mondo come dovrebbe essere.” Ascolto. Come dovrebbe essere? Guardo B e rivedo Z. Dice al presidente: “Il professore parla del mondo come dovrebbe essere, non come è.” “
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Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 1 year
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“ «Le persone che passeggiano,» disse Moro guardando giù nella Kirchengasse «questi esseri anacronistici estremamente sensibili, quando passeggiano sono gli esseri più ragionevoli fra tanti assolutamente irragionevoli, e anche i più felici fra tanti assolutamente infelici, forse è così, mio caro signor Robert, ma non si può dire loro che fra tanti assolutamente irragionevoli loro sono i più ragionevoli e fra tanti assolutamente infelici loro sono i più felici... non si può rivolgere la parola a chi sta passeggiando... a chi se ne va in giro con qualche incombenza o con nessuna incombenza in testa... quello che gli uomini producono» disse Moro «è soprattutto un’enorme attività diretta contro la noia... un’insensatezza contro l’insensatezza... quelli che se ne vanno in giro per i boschi, lungo le rive dei laghi, dentro le gole, fuori dalle valli, e come Lei sa ogni giorno circolano senza sosta circa duemila milioni di persone... mentre in fondo è del tutto sufficiente sfinirsi mangiando e dormendo... mio padre, lo dico perché in questo momento ho sottomano proprio la tenuta di Hisam, andava molto spesso a passeggiare con il suo signor tutore soprattutto nella tenuta di Hisam... attraverso i frutteti di Kammerhof... Laudach, Langbath, Grünau, Lindach, Rutzenmoos, Aurach... discorrendo proprio di Ungenach... e spesso, a quanto sembrava, anche senza alcun motivo... Il suo signor padre,» disse Moro «e anche mio padre erano soliti passeggiare, ma non erano affatto persone anacronistiche, come del resto non lo era neppure il suo signor tutore... Camminare e pensare, questa simultaneità» disse Moro «io l’ho osservata per tutta la vita sia nel suo signor padre sia nel suo signor tutore sia in mio padre. Quanto a me, io non vado a passeggio. Era per questo che suscitavo la diffidenza soprattutto del suo signor padre... come del resto anche la diffidenza del suo signor tutore... chi è solito passeggiare diffida delle persone che non vanno a passeggio, che non sono solite passeggiare, gli anacronistici eccetera... e così questa bella regione, questa nostra regione è attraversata in modo singolarissimo da una costante diffidenza che in realtà offusca ogni cosa, tutta quanta la regione è percorsa da una sottile trama di diffidenza di chi è solito passeggiare verso chi non è solito passeggiare. Così sono impensabili delle amicizie fra chi è solito passeggiare e chi non è solito passeggiare... come è impensabile l’amicizia in genere» disse Moro. “
Thomas Bernhard, Ungenach. Una liquidazione, traduzione di Eugenio Bernardi, Adelphi (collana Piccola Biblioteca Adelphi n° 766), 2021¹; pp. 28-29.
[ Edizione originale: Ungenach. Erzählung, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1968 ]
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gregor-samsung · 2 years
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“ Mi sedetti accanto a Murcks, ordinai un Hennessy ed appena il cameriere si fu allontanato lo abbordai direttamente, com’è nel mio stile: — Spara subito, davvero ci siamo già? — Ce l’abbiamo fatta. — Posò la mano sulla mia e disse in un soffio: — Sono così contento, così contento, Macho mio! — Anch’io mi rallegro, — dissi con calore, — che uno dei sogni della mia giovinezza sia divenuto realtà. E per giunta in una democrazia. — Una democrazia dove si abbia dalla nostra la maggioranza del parlamento, è molto meglio di una dittatura. Provai il bisogno di alzarmi in piedi. Mi sentivo addosso qualcosa di solenne: certi momenti storici mi hanno sempre commosso. — Murcks, — dissi con voce soffocata di pianto, — ma è proprio vero dunque? — È vero, Macho, — disse lui. — È cosa fatta? — È cosa fatta... oggi terrai l’orazione inaugurale. Si è già provveduto alla chiamata in servizio per il primo corso. Per ora i partecipanti sono sistemati in albergo fino a che il progetto verrà annunciato pubblicamente. — E l’opinione pubblica, dico, la manderà giù? — Ma certo che la manderà giù. Quella manda giù tutto, — disse Murcks. — Alzati Murcks, — dissi io. — Beviamo, brindiamo allo spirito a cui servirà siffatto edificio: allo spirito delle Memorie Militari! I bicchieri si toccarono e brindammo. Ero ormai troppo rapito da quel pensiero per essere capace di intraprendere ancora qualcosa di serio nella mattinata: mi aggirai senza requie per la stanza, di là nella hall, andai vagando per quella città incantevole, dopo che Murcks si era recato in macchina al ministero. Per quanto fossi in borghese, provavo la sensazione di trascinarmi dietro una sciabola: certe sensazioni si provano di solito solo quando si è in uniforme. Mentre così vagabondavo per la città, già ebbro di gioia per il prossimo tête-à-tête con Inn, giubilante per la certezza che il mio piano fosse ormai cosa certa, ebbi ancora una volta piena ragione di ricordarmi di un’altra frase di von Schnomm: — Eh Macho, Macho, — soleva dirmi, — sempre con la testa fra le nuvole. Me lo aveva detto anche quella volta che il mio reggimento si era ridotto a tredici uomini e ne avevo fatti fucilare quattro per ammutinamento. “
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Brano tratto dal racconto Diario della capitale (Hauptstädtisches Journal, 1959), testo raccolto in:
Heinrich Böll, Racconti umoristici e satirici, traduzione di Marianello Marianelli, Bompiani (collana Tascabili n° 59), 1977; pp. 147-48.
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gregor-samsung · 4 years
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“ «Dio è ciò che c’è di più terribile al mondo.» Lo fisso. Ho capito bene? Ciò che c’è di più terribile al mondo? Si alza, va alla finestra, guarda giù nel cimitero. Sento che dice: «Dio castiga.» Che Dio misericordioso, penso, che castiga i bambini poveri! Ora cammina su e giù per la stanza. «Non si deve dimenticare Dio,» dice, «anche quando non si sa perché ci castiga. Non avessimo mai avuto il libero arbitrio...» «Allude al peccato originale?» «Sì.» «Non credo al peccato originale.» Si ferma davanti a me. «Allora, non crede neanche in Dio.» «No, non credo in Dio.» C’è silenzio. Sono il primo a romperlo, poiché devo parlare, ora. «Io insegno storia,» dico, «e so che anche prima della nascita di Cristo esisteva un mondo, il mondo antico, l’Ellade, un mondo senza peccato originale...» «Credo che si sbagli,» m’interrompe; prende un libro da una scansia, lo sfoglia: «Dal momento che insegna storia, non ho bisogno di raccontarle chi è stato il primo filosofo greco, voglio dire il più antico.» «Talete di Mileto.» «Giusto. Ma è rimasto un personaggio quasi leggendario, non sappiamo nulla di preciso di lui. Il primo documento scritto della filosofia greca che io conosca è di Anassimandro, anche lui nato a Mileto nel 610, morto nel 547 avanti Cristo. Non è che una frase.» Si avvicina alla finestra, poiché comincia a imbrunire, e legge: «Le cose torneranno necessariamente là da dove son venute, poiché devono espiare la colpa della loro esistenza secondo l’ordine del tempo.» “
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di B. Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª ed. originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 4 years
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Perché quel quadro mi è ritornato alla memoria? Per il Crocefisso? No. Per la Madre? Neppure. A un tratto capisco: per il guerriero in elmo e corazza, per il centurione romano. Che cosa aveva fatto? Aveva presieduto alla crocefissione di un ebreo. E quando l’ebreo era morto aveva detto: “In verità così non muore nessun uomo.” Dunque, aveva riconosciuto Dio. E che cosa fece, dopo? Che conseguenze ne trasse? Rimase tranquillamente ai piedi della croce. Un fulmine solcò la notte, la terra tremò, la tenda nel tempio si strappò. Ed egli non si mosse. Riconobbe il nuovo Dio mentre moriva sulla croce, e capì che il mondo al quale egli stesso apparteneva era condannato a morte. E dopo? È morto in qualche guerra? Ha capito che moriva per una causa vana? La sua professione gli dava ancora gioia? È arrivato a tarda età? È stato messo in pensione? È vissuto a Roma o in qualche parte della zona di frontiera, dove la vita costava meno? Forse aveva una casetta, e la mattina la cuoca gli raccontava che nuovi barbari erano apparsi oltre frontiera. Dei nuovi barbari, dei popoli nuovi. Si armano, si armano. Aspettano. E il centurione romano sapeva che i barbari avrebbero distrutto tutto. Ma la cosa non lo toccava. Per lui, era già tutto distrutto. Viveva la sua tranquilla vita di pensionato, aveva capito. Il grande Impero romano.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di B. Maffi, Bompiani, Milano 2003 [Libro elettronico]
[ 1ª ed. originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 4 years
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Il fatto che questi ragazzi rinneghino tutto ciò che per me è sacro non sarebbe la cosa più grave. Grave è il modo come lo rinnegano, cioè senza conoscerlo. Ma il peggio è che non vogliono neppure conoscerlo. Odiano qualunque pensiero. Se ne infischiano dell’uomo. Vogliono essere delle macchine: delle viti, delle ruote, delle bielle. O meglio ancora delle munizioni: bombe, shrapnel, granate. Con che gioia creperebbero su un qualsiasi campo di battaglia! Il sogno della loro pubertà è il nome su un monumento ai caduti. Ma un momento... non è una grande virtù, quest’accettazione del sacrificio supremo? Certo, se la causa è giusta. Ma nel nostro caso, di che causa si tratta? Il Giusto è ciò che giova alla tribù, dice la radio. Quello che non ci dà un utile è ingiusto. Quindi tutto è permesso, il furto, il delitto, l’incendio, lo spergiuro. Che cosa dico “permesso”? Non sono più neanche delitti, se compiuti nell’interesse della tribù... E questo che cos’è? Il punto di vista del criminale. Quando nell’antica Roma i ricchi plebei temettero che il popolo riuscisse a imporre la riduzione delle imposte, ricorsero alla dittatura, condannarono a morte per alto tradimento il patrizio Manlio Capitolino perché con le sue ricchezze voleva scarcerare i debitori, e lo precipitarono dalla Rupe Tarpea. Da quando esiste, la società umana non può, per ragioni di conservazione, rinunciare al delitto. Ma almeno i delitti si tacevano, si nascondevano, se ne provava vergogna. Oggi ne siamo fieri. È una peste di cui siamo tutti ammalati, amici e nemici. Le nostre anime sono piene di ulcere nere, e presto moriranno. Continueremo, sì, a vivere, ma saremo morti.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di B. Maffi, Bompiani, Milano 2003 [Libro elettronico]
[ 1ª ed. originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 4 years
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“ « Un po' di pazienza, signore e signori, ancora pochi passi, abbiamo qui i ruderi di un tribunale, ed eccoci arrivati alle tombe dei bambini romani. » ("A questo punto" aveva detto il direttore dei corsi "entrate per prime nello spiazzo rotondo e aspettate, prima d'incominciare a spiegare, che si plachi la prima ondata di emozione; è questione di puro istinto, care signorine, quanto tempo debba durare il loro commosso silenzio; dipende, naturalmente, anche dalle persone che compongono il gruppo; in ogni caso non lasciatevi indurre a discutere il fatto che non si tratta di veri sepolcri di bambini romani, bensì solo di pietre tombali che per di più non furono nemmeno trovate in quel posto.") Disposte in semicerchio, appoggiate alle grigie pareti, ecco le pietre tombali; passata la prima emozione, i visitatori guardarono in alto, sorpresi: oltre le lampade al neon si intravedeva il cupo azzurro del cielo serale. Era addirittura una stella vespertina che splendeva, o si trattava del luccichio di una borchia argentata o dorata inserita nella balaustra che dolcemente si andava avvolgendo in cinque spirali su per la tromba illuminata delle scale? « All'incirca nel punto dove incomincia la prima spirale — vedono la striscia trasversale di cemento? — si trovava il piano stradale in epoca romana; alla seconda spirale — vedono l'altra striscia di cemento lassù? — corrispondeva il piano stradale del medioevo; infine, all'inizio della terza spirale — è superfluo che vi faccia notare la corrispondente striscia di cemento — si trova il piano stradale odierno. E ora, signore e signori, passiamo alle iscrizioni funerarie. » Il suo viso divenne di pietra come quello di una dea; il braccio si alzò con una mossa lieve, reggendo la torcia elettrica, protendendola verso l'alto come una fiaccola: 
DURA QUIDEM FRANGIT PARVORUM MORTE PARENTES CONDICIO RAPIDO PRAECIPITATA GRADU SPES AETERNA TAMEN TRIBUET SOLACIA LUCTUS...
 Un rapido sorriso dedicato a Ruth, l'unica visitatrice in grado di apprezzare il testo nell'originale; una mossa impercettibile della mano per assestare il colletto della giacca di tweed; poi, abbassata un poco la torcia, eccola recitare la traduzione:
 Un duro fato invero colpisce i genitori alla morte dei figli sopraggiunta con rapido passo, ma una speranza eterna porterà conforto al lutto per la perdita di una giovane vita che ora appartiene al paradiso. Morto all'età di sei anni e nove mesi questo sepolcro ti accoglie, Desiderato.
 Un dolore antico di diciassette secoli cadde sui volti, cadde nei cuori, paralizzò l'apparato masticatorio del signore fiammingo di mezza età che lasciò pendere immota la mascella inferiore, mentre la lingua si affrettava a spingere in un angolo periferico della bocca la gomma da masticare; Marianne scoppiò in lacrime, Joseph le strinse il braccio. Ruth le pose la mano sulla spalla mentre, col volto sempre di pietra, la guida turistica declamava: « Hard a fate meets with the parents... ». “
Heinrich Böll, Biliardo alle nove e mezzo, (traduzione di Marianello Marianelli) Mondadori (collana Oscar-Scrittori del Novecento n° 895), 2005¹²; pp. 343-44.
[Ed.ne or.le: Billard um halb zehn, Verlag Kiepenheuer & Witsch, 1959]
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gregor-samsung · 4 years
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Ebbene, Francesco Bauer, perché abbiamo bisogno di colonie? «Abbiamo bisogno di colonie perché abbiamo bisogno di materie prime in grande quantità; senza materie prime non potremmo far funzionare come dovrebbe la nostra industria, con la spiacevole conseguenza che il nostro lavoratore ridiventerebbe disoccupato.» Benissimo, caro Bauer. «Ma non si tratta soltanto dell’operaio.» E di che cosa allora, Bauer? «Si tratta di tutta la nazione, poiché, in definitiva, anche l’operaio fa parte della nazione.» Già, in definitiva, questa è davvero una scoperta straordinaria, penso; e mi colpisce una volta di più la constatazione che spesso ai nostri giorni verità vecchie come il mondo passano per parole d’ordine nuove fiammanti. O sarà sempre stato così? Non ne so nulla. So soltanto che devo leggere e rileggere ventisei compiti, che, da premesse storte, traggono conclusioni false. Come sarebbe bello se storto e falso si neutralizzassero a vicenda. Ma non lo fanno, passeggiano insieme a braccetto, e cantano frasi vuote. Mi guarderò bene, naturalmente, come funzionario dello Stato, dal muovere la più piccola obiezione a questo grazioso canto. Mi dà fastidio, certo; ma che cosa si può fare, quando si è soli contro tutti? Nient’altro che avvelenarsi il sangue. E io non voglio più avvelenarmi il sangue. Spicciati a correggere, che devi ancora andare al cinema. Ma che cosa scrive quest’altro...? «Tutti i negri sono mascalzoni, vili e pigri.» Una cosa davvero troppo stupida, questa. Cancelliamo. E scrivo in margine, con inchiostro rosso: «Assurda generalizzazione!» Mi fermo. A proposito, non l’ho udita poco fa, questa frase sui negri? Dove? Ah, ecco, in trattoria, urlata dall’altoparlante. Sì, e mi aveva quasi tolto l’appetito. Lascio quindi la frase intatta, poiché nessun professore ha il diritto di cancellare in un quaderno ciò che si dice per radio. E, mentre seguito a leggere, odo continuamente la radio: sussurra, stride, urla, geme, minaccia. E i giornali riportano le sue parole, e i ragazzi le copiano.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di B. Maffi, Bompiani, Milano 2003 [Libro elettronico]
[ 1ª ed. originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 4 years
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È strano, credo nel diavolo e non in Dio. Ma davvero non ci credo? Non lo so. Sì, invece, lo so. Non voglio credere in Lui, no, non voglio. È un decreto del mio libero arbitrio. La sola libertà che mi rimanga: credere o non credere, a volontà. Beninteso, ufficialmente, far finta di... Secondo i casi: a volte sì, a volte no. Che cosa diceva il parroco? «La professione del prete consiste nel preparare l’uomo alla morte, poiché, quando l’uomo non ha più paura della morte, la vita gli diventa più facile.» E non ne è stufo? «In questa vita di miseria e di contraddizioni, solo la grazia divina e la fede nella Rivelazione possono salvarci.» Chiacchiere. «Siamo castigati e non ne sappiamo la ragione.» Chiedilo un po’ ai governanti. E che cosa diceva ancora? «Dio è ciò che vi è di più terribile al mondo.» Ah, questo è giusto... Dolci erano i pensieri che mi passavano per la mente. Venivano dal cervello, si vestivano di sentimento, e danzavano sfiorandosi appena. Uno splendido ballo, una società eletta. Le coppie girano al lume della luna, la viltà con la virtù, la menzogna con la giustizia, la bassezza con la forza, l’astuzia col coraggio. Soltanto la ragione non partecipa al ballo. Si è ubriacata, ha nausea e singhiozza girando su se stessa: «Sono stupida, sono stupida.» Poi vomita e le altre coppie ci ballano sopra. Ascolto la musica. È una cantilena dal titolo: «L’individuo è merda.» Raggruppate per lingua, razza, nazionalità, le folle stanno l’una accanto all’altra e si studiano. Chi è la più grande? Puzzano talmente che ognuno deve turarsi il naso. Merda, nient’altro che merda. Servitevene come letame. Concimate la terra perché vi nasca qualcosa. Non dei fiori, ma del pane. Ma non adoratevi; non adorate il letame che avete mangiato.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di B. Maffi, Bompiani, Milano, 2003 [Libro elettronico]
[ 1ª ed. originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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gregor-samsung · 4 years
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“ Vieni, posa la testa sul mio grembo, accenditi un sigaro, la tazza del caffè l'hai a portata di mano; chiudi gli occhi, abbassa quella specie di saracinesca delle palpebre, metti via il calendario, recitiamo insieme la nostra litania del "Ti ricordi...", rievochiamo gli anni in cui si abitava un po' fuori, a Blessenfeld, e ogni sera c'era odore di festa dopo le fatiche, odore di gente che si saziava alle rivendite di frittelle di pesce o di patate, ai carretti dei gelati; felice di poter mangiare con le mani; a me non fu permesso, finché rimasi a casa, tu invece mi lasciasti fare come mi piaceva; nell'aria si diffondevano melodie di organetti di Barberia, stridori di giostre, e io sentivo, con l'olfatto, con l'udito, con tutti i miei sensi, che solamente ciò che passa dura; mi avevi salvato da quella casa triste dove loro stavano rintanati da quattrocento anni, cercando invano il modo di liberarsi; le sere d'estate io stavo su, sulla terrazza a tetto, mentre loro sedevano giù in giardino e bevevano vino; serate per i signori, serate per le dame, e io coglievo nelle risate stridule delle donne, così come in quelle fragorose degli uomini, un'uguale disperazione; quando il vino scioglieva le lingue, rimuoveva i loro tabù, quando la fragranza della sera estiva li liberava dalla prigione della loro ipocrisia, allora tutto si vedeva chiaro: che non erano, cioè, né ricchi né poveri abbastanza per arrivare a scoprire l'unica cosa che dura, la caducità; verso quella io mi sentivo attratta, e invece mi avevano educato ai valori imperituri: matrimonio, fedeltà, onore, camera matrimoniale, dove regnava il dovere, e ogni scelta era bandita; austerità, costruzioni, polvere trasformata in strutture, e intanto mi risuonava all'orecchio il richiamo del fiume, il suo mormorare durante la piena: perchéperchéperché? ; non volevo prendere parte a quella loro disperazione, non volevo assaggiare l'oscura eredità, tramandata dall'una all'altra generazione; avevo nostalgia del candido, lieve sacramento dell'agnello e quando, durante la messa, si era al mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, cercavo, a forza di battermi il petto, di liberarmi da una secolare eredità di violenze e di tenebre; quando tornavo dalla messa, posavo il mio libro di preghiere nel vestibolo, arrivavo in tempo per ricevere il bacio di saluto che mi dava mio padre; la sua voce tuonante di basso si allontanava nel cortile verso l'ufficio; avevo allora quindici, sedici, diciassette, diciotto anni, e negli occhi di mia madre coglievo quella luce di attenzione sospettosa: già lei era stata una volta esposta ai lupi; possibile che io restassi indenne? ”
Heinrich Böll, Biliardo alle nove e mezzo, (traduzione di Marianello Marianelli) Mondadori (collana Oscar-Scrittori del Novecento), 2005¹²; pp. 196-98.
[Ed.ne or.le: Billard um halb zehn, Verlag Kiepenheuer & Witsch, 1959]
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gregor-samsung · 4 years
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“ Come parroco [...] aveva consigliato a suo tempo il giovane Gruhl di dichiararsi obbiettore di coscienza; ma Gruhl aveva risposto che questo si poteva fare appunto solo per motivi di coscienza, ma la coscienza non aveva nulla a che fare con quella faccenda: che nel servizio militare non c'entrava per nulla, la coscienza, c'entravano la sua ragione e la sua fantasia, ed effettivamente lui, parroco, aveva dovuto riconoscere che nelle parole di quel giovanotto era nascosta una profonda intuizione; nemmeno lui faceva gran conto della coscienza che si può manipolare a piacere, trasformare in una spugna o in una pietra; ma la fantasia e la ragione, quelle sì che erano doni di Dio all'uomo. Di conseguenza aveva potuto dare ben poco conforto al giovane Gruhl, avendo dovuto riconoscere anche lui in che modo assurdo si trattassero questi due doni divini, la ragione e la fantasia dell'uomo; né bisognava perdere di vista in quale situazione particolarmente assurda si era venuto a trovare il giovane Gruhl, costretto a vedere come a suo padre salisse ogni giorno di piú l'acqua alla gola, mentre lui, il ragazzo, per una paga da cani, arredava i bar nelle mense degli ufficiali e dei sottufficiali; pessima cosa era poi stato naturalmente quel viaggio di servizio che... A quel punto il parroco fu cortesemente interrotto dal presidente e pregato di non dire nulla su tale argomento perché sarebbe stato oggetto di un interrogatorio a porte chiuse nel quale avrebbe deposto l'ufficiale già superiore diretto del Gruhl. Il parroco allora si batté la mano sulla fronte esclamando: Ah già, quello, come ha fatto a non venirmi in mente? Se fossi stato giovane io, costui mi avrebbe fatto diventare ateo in pochi giorni! “
Heinrich Böll, Termine di un viaggio di servizio (traduzione dal tedesco di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey), Bompiani, 1972; pp. 144-45.
[ Edizione originale: Ende einer Dienstfahrt, Erzählung. Verlag Kiepenheuer & Witsch, Köln, Berlin, 1966 ]
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