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#disimpegno
ateliermariii · 6 months
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https://aurora.com.pt/en/all_projects/taipas-building/
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Ristrutturazione appartamento. #disimpegno www.matteocencetti.com _____________________________________________ #interiordesign #interior #interiors #design #homedecor #home #house #casa #architetto #geometra #ristrutturazione #edilizia #ilovemyjob #italy #italia #toscana #tuscany #madeinitaly #happy #inspiration #fineinteriors #lifestyle #workinprogress #work #mywork #interiorhome #ilovemywork (presso Molino Del Piano, Toscana, Italy) https://www.instagram.com/p/CmOwR1yjt9x/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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omg to see the next awesome nonsensical fuckery rick dufer’s up to
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sauolasa · 1 year
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Colpo di scena in Israele, abrogata la "legge sul disimpegno" del 2005
Colpo di scena in #Israele, abrogata la legge su disimpegno del 2005. Potrebbe dare il via alla ricostruzione e al ritorno a #Gaza
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petalidiagapanto · 1 month
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Retaggio dell'amore liquido, i legami "allentati" agiti dalla facilità del disimpegno, non appena lo scenario venga a mutare, sono carenti della capacità di dedizione e perciò condannati all'obsolescenza immediata. Dell'amore hanno la leggerezza fatua dell'inconsistenza.
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haiku--di--aliantis · 2 months
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"Tutto ciò che ero s'è dissolto in te,"
Affidati pure a lui. Sa come farti viaggiare e toccare posti lontanissimi. Lascia andare i pregiudizi e allontana dalla tua mente tutti coloro che odorano di condanna, di stantio, di critica a priori e di paura. I capelli con cui ora egli avvolge delicatamente il tuo collo sono semplicemente un altro modo di accarezzarti l'anima.
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Si gioca da bambini. Si deve continuare a giocare da grandi. Perché la vita è davvero solo un film e va presa con leggerezza. Non con disimpegno: con allegria di spirito e lampi di positività. Perché i pensieri cupi entrano rapidi in un groviglio akashico di altre riflessioni nere, lassù. Quelle che se non ci stai attenta ti avvolgono e poi ti distruggono.
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Non ascoltare mai chi è sempre pronto a condannare, a criticare. Non è lui che parla: è la sua paura di vivere, sono la montagna di mediocri pregiudizi che troverai sempre sul tuo cammino per ogni sfida che affronterai. Perciò non avere mai un atteggiamento negativo. Non serve a nulla. Sorridi a priori.
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I problemi li abbiamo tutti: un viso sereno, disteso e riposato al mattino, è moltiplicatore di positività ed eventi bellissimi. Sorridi a lui stasera mentre ti fa scoprire anche l'amore del dolore: perché è proprio con quello che impari cos'è davvero il piacere. E gioisci. Almeno fino a circa mezzanotte.
Aliantis
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Round midnight (Keith Jarrett trio)
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gregor-samsung · 4 months
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" Il colonialismo può essere descritto come il movimento attraverso cui gli europei hanno creato nuove nazioni «bianche» in diversi luoghi del mondo dove popolazioni indigene avevano le loro forme organizzative. Queste nazioni potevano essere create solo con l’applicazione di due logiche legate alla conquista: la logica dell’eliminazione – sbarazzarsi con tutti i mezzi possibili delle popolazioni indigene, incluso il genocidio – e la logica della disumanizzazione – considerare i non europei come inferiori e quindi non meritevoli degli stessi diritti dei coloni. In Sudafrica queste logiche gemelle portarono alla creazione del sistema dell’apartheid, fondato ufficialmente nel 1948, lo stesso anno in cui il movimento sionista tradusse le stesse logiche in un’operazione di pulizia etnica in Palestina. Come questo libro tenta di dimostrare assumendo la prospettiva del colonialismo di insediamento, eventi quali l’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, il processo di Oslo e il disimpegno da Gaza nel 2005 rientrano tutti nella stessa strategia israeliana che mira a occupare la maggior parte di terra palestinese con il minor numero di palestinesi possibile. I mezzi per raggiungere questo obiettivo sono cambiati nel tempo e il progetto rimane incompiuto. Tuttavia, tale aspirazione è il principale carburante che alimenta il fuoco del conflitto.
In questo modo l’orribile connessione tra le logiche della disumanizzazione e dell’eliminazione, così evidente nella storia del colonialismo europeo, si è fatta strada per la prima volta negli stati autoritari del Medio Oriente. Si è manifestata spietatamente, tra una moltitudine di altri casi, nell’annientamento dei curdi da parte di Saddam Hussein, così come nelle azioni punitive compiute dal regime di Assad nel 2012. È stata poi impiegata anche da gruppi che si oppongono a quel regime: i peggiori esempi sono le politiche genocide dello Stato Islamico. Solo le popolazioni di questa regione possono mettere un freno all’imbarbarimento delle relazioni umane in Medio Oriente. Tuttavia, devono essere aiutate dal mondo esterno. Insieme, la regione dovrebbe tornare al suo passato, non così lontano, quando il principio fondamentale era «vivi e lascia vivere». Nessuna seria discussione sulla fine delle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente può ignorare i cento anni di abusi in Palestina. Le due cose sono intrinsecamente connesse. "
Ilan Pappé, Dieci miti su Israele, traduzione di Federica Stagni, postfazione di Chiara Cruciati, Tamu editore, 2022. [Libro elettronico]
[Edizione originale: Ten Myths About Israel, New York: Verso, 2017]
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moonyvali · 1 year
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LA MALATTIA TERMINALE
"Sta muovendo qualche onda l'esclusione del fisico Carlo Rovelli dalla cerimonia di apertura della Fiera del Libro di Francoforte, cui era stato precedentemente invitato. La colpa di Rovelli è stata quella di contestare – peraltro in modo argomentato - le scelte del governo rispetto al conflitto tra Russia e Ucraina.
Avendo fatto parte Rovelli fino a ieri del novero degli “accreditati” dal sistema mediatico, questa volta si è inarcato persino qualche sopracciglio nella borghesia semicolta, nei lettori di corriererepubblica e fauna affine. Purtroppo a quest’influente fascia della popolazione sfugge del tutto la gravità di ciò che accade da tempo, come un andamento sotterraneo, continuo, capillare.
C'è una linea rossa continua che si dipana nella gestione dell’opinione pubblica occidentale da anni e che ha subito un’accelerazione dal 2020. È una linea che si lascia vedere in superficie solo talora, come nella persecuzione di Assange (o Manning, o Snowden, ecc.) fino a censure minori, come quella assurta oggi agli onori delle cronache. Il senso profondo di questo movimento sotterraneo è chiarissimo: perseguimento della verità e gestione del discorso pubblico in occidente sono oramai indirizzi incompatibili.
A Rovelli viene imputato qualcosa di imperdonabile, ovvero di aver tradito l’appartenenza alla cerchia degli onorati dalle élite di potere, mettendole in imbarazzo. Questo non può e non deve accadere. Oggi il discorso pubblico ha il permesso di oscillare tra due poli, a un estremo la polemicuzza innocua e autoestinguentesi sull’orsa o la nutria di turno, all’altro i rifornimenti di munizioni alla linea dettata dal capo, cioè dalla catena di comando a guida americana dietro al cui carro - sempre meno trionfale - siamo legati.
Per le verità più pesanti e pericolose vige l’ordine di distruzione, come evidenziato dal caso di Assange la cui vita è stata distrutta per segnare un esempio e un ammonimento a qualunque altro soggetto eventualmente incline alla parresia. Per le insubordinazioni minori (tipo Rovelli, Orsini, ecc.) basta la caduta in disgrazia presso i cortigiani, che si riverbera in censure, piccoli ricatti silenti, e poi in discredito, blocchi di carriera, ecc.
Tutto ciò si condensa in una sola fondamentale lezione, una lezione implicita che il nostro intero sistema di formazione delle menti, giornali, televisioni, scuole, università, ecc. consapevolmente o inconsapevolmente implementa: “Tutto ciò che è discorso pubblico è essenzialmente falso.”
Questa è la lezione che i giovani ricevono precocemente e da cui traggono tutte le conseguenze del caso, in termini di disimpegno e abulia. A tale lezione si sottrae solo in parte qualche parte della popolazione meno giovane, in cui si agita ancora l’illusione di aspirazioni passate (“partecipazione”, “democrazia”, ecc.).
La “realtà” in cui ci troviamo a nuotare funziona però secondo il seguente ferreo sillogismo:
1) Tutto ciò che abbiamo in comune gli uni con gli altri come cittadini, come demos è il discorso pubblico mediaticamente nutrito;
2) Ma quel discorso pubblico è oggi puramente e semplicemente menzognero (o schiettamente falso, o composto di frammenti di verità ben selezionati, funzionali a creare uno desiderato effetto emotivo);
3) Perciò non c'è più nessun possibile demos, nessun possibile discorso pubblico, e dunque nessuna leva perché un’azione collettiva possa cambiare alcunché. Mettetevi il cuore in pace, si salvi da solo chi può.
In questa cornice peraltro si staglia per interesse l’atteggiamento dei superdiffusori di menzogne certificate, dei mammasantissima dell’informazione e del potere, attivissimi nel denunciare ogni eterodossia sgradita come “fake news”. E così ci troviamo di fronte allo spettacolo insieme comico e ripugnante dove i comandanti di corazzate dell’informazione chiedono il perentorio affondamento di canotti social per non aver benedetto abbastanza l’altruismo di Big Pharma, o per essere stati teneri con Putin, o per non aver rispettato l’ultimo catechismo politicamente corretto, e così via.
Viviamo in un mondo in cui la menzogna strumentale è oramai la forma dominante della verbalizzazione di interesse pubblico.
C'è chi vi reagisce con mero disimpegno rassegnato; chi si chiude angosciato nella propria stanza tipo hikikomori; chi cerca paradisi artificiali in pillole; chi accetta il gioco cercando di usarlo per tornaconti a breve termine (perché nessun altro orizzonte è disponibile); c'è chi cade in depressione; chi impazzisce; c'è chi ogni tanto spacca tutto per poi tornare a battere la testa contro il muro della propria cella; e c'è chi sviluppa quella forma particolare di pazzia che sta nel lottare disarmato contro i giganti sperando si rivelino mulini a vento.
Sul fondo fluisce la corrente della storia dove il nostro vascello occidentale ha preso un ramo digradante e con inerzia irreversibile accelera verso la cascata. Una volta che la parola pubblica ha perduto la propria capacità di veicolare verità, ridarvi peso è impossibile. Ogni ulteriore parola spesa per correggere le falsità del passato, se raggiunge la sfera pubblica viene per ciò stesso percepita come debole, logora, impotente. La società che abbiamo apparecchiato è una società senza verità e togliere la verità al mondo sociale significa condannarlo ad una malattia terminale. Quanto dureranno gli scricchiolii, quanto la caduta di intonaci, quanto le infiltrazioni d’acqua, quanto resisteranno ancora gli spazi abitabili sempre più ristretti, questo non è facile prevedere, ma un mondo senza verità è un mondo senza logos, e non può che sfociare in quella dimensione dove le parole sono superflue perché violenza e morte ne hanno preso il posto."
Andrea Zhok
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Ero in aeroplano, stavo girando "Medea". All'improvviso mi venne in mente di fare un film su un mondo altrettanto popolare, ma non barbarico e tragico, bensì vivace, allegro, tutto preso dalla gioia di vivere, del fare l'amore. Pensai subito a Boccaccio.
Insomma, era chiaro che, con "Medea" avevo toccato il fondo di una ricerca iniziata con "Teorema" e continuata con "Porcile", me le radici morali e allegoriche erano già presenti nel mio "Edipo" e in "Uccellacci e uccellini".
E che cosa si fa quando si tocca il fondo? Si risale e si ricomincia se si ha forza di farlo. D'abitudine, questa forza la si possiede quando si è giovani o nel pieno della maturità. Ed è la vitalità, la necessità di vivere come se la vita fosse una cosa importante.
Qualche volta mi domando (senza la minima angoscia) se per caso questa trilogia alla quale esto per darmi anima e corpo (come un esiliato che vive in un meraviglioso paese straniero) non sia una forma di disimpegno politico o di...qualunquismo. Ma soprattutto io so, dentro di me, che le mie ultime opere sono politiche proprio perché non vogliono esserlo. Posso sottrarmi a questo obbligo almeno una volta? L'esistenza contiene tutto ed ho finalmente capito che posso esprimerla senza decifrarla. L'interruzione del senso non è solamente più onesta ma è anche più totale del senso stesso. Aia! Ecco che cerco ancora una volta delle giustificazioni.
Pier Paolo Pasolini, Intervista a “Panorama”, 1974. Poi "La trilogia della vita" in "La regole di un'illusione" (1991) p.247
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elorenz · 3 months
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Si continua a percepire la solitudine come un qualcosa si sbagliato che crea sofferenza ma questa nella realtà è un privilegio che permette di riflettere senza influenze sulle cose. Da ragazzo, in quel periodo di pura adolescenza ne ho sofferto in modo luttuoso, pareva che ogni anima vicina al mio campo d'interesse si sottraesse al calcolo della reciprocità, inevitabilmente quest'isolamento mi portò ad una riflessione conscia su me stesso. Da quel momento vi furono una serie di spinte che mi portarono ad assecondare quegli interessi che fino a quel momento non avevo mai approfondito. Il tempo cominciò a diventarmi amico e più ne avevo per conoscere più si allontanava quel senso di dipendenza dagli altri. Gli interessi si moltiplicarono, attraverso una conoscenza più approfondita del cinema scoprii la fotografia, questo mi portò a capire l'ambiente circostante ed analizzarlo nella sua struttura urbanistica e naturale; mi resi conto dell'importanza della scrittura ed iniziai a leggere certi tipi di romanzi, comiciai a studiare la struttura delle sceneggiature ed il comportamento della macchina da presa; maturato dalla libertà del disimpegno mi resi conto di vivere in una delle città più importanti della storia del paese e recuperai tutte quelle storie che gli angoli della metropoli mi davano allo sguardo senza però arrivare all'interesse.
Chi pensa che la solitudine sia una malattia, forse non ne ha mai capito il reale valore.
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menti-senti · 15 days
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Tristemente, negli ultimi anni , è stata sdoganata la figura dei “trombamici” a perderci sono stati sia gli uomini che le donne, a vincere la solitudine di chi per un po’ di calore umano, chiamiamolo così, con la clausola di un dichiarato disimpegno reciproco, toglie a un incontro che dovrebbe dare un po’ di batticuore qualsiasi emozione. Queste sono cose per chi è sicuramente più giovane di me, nonostante ciò io, per qualsiasi sesso ed età, credo ancora nell’avventura, nei flirt, negli incontri che non chiedono un progetto , ma non lo negano, se non è amore che almeno ci sia mistero, giocosità ed emozione. Meglio un personal trainer e fare palestra, meglio un corso avanzato di uncinetto, meglio dipingere i mobili del balcone, meglio qualsiasi cosa, piuttosto di qualcuno che non è un amico e non è un amante . Perché qui non è essere bacchettone e giudicare, semplicemente si tratta di non accontentarsi di una storia che non è una storia, di un’amicizia che non è amicizia, di qualcosa che non è niente. Se proprio volete frequentarlo, invitatelo a cena, poi sorridendo dategli il sacchetto da portare giù della spazzatura .
Tratto da una milanese chic
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Ristrutturazione appartamento. #disimpegno www.matteocencetti.com _____________________________________________ #interiordesign #interior #interiors #design #homedecor #home #house #casa #architetto #geometra #ristrutturazione #edilizia #ilovemyjob #italy #italia #toscana #tuscany #madeinitaly #happy #inspiration #fineinteriors #lifestyle #workinprogress #work #mywork #interiorhome #ilovemywork (presso Molino Del Piano, Toscana, Italy) https://www.instagram.com/p/CmOwR1yjt9x/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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libero-de-mente · 4 months
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LA SERA
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Ci sono delle sere che non sono sere come le altre.
In realtà credo che ogni serata sia diversa, anche se spesso nella routine della vita ci possano sembrare uguali, scontate come tante altre.
Se imparassimo a osservare e percepire le sfumature, le sere, ci racconterebbero tante storie diverse.
Narrazioni che nascono anche dagli stessi protagonisti che, quasi sempre, hanno parti importanti nella nostra vita.
Ieri sera, per esempio, seduto a cena ho ascoltato i progetti e le ambizioni dei miei figli.
L'Università, i percorsi e gli eventuali studi all'estero. Gli esami d'ammissione, il lavoro temporaneamente trovato per mettersi da parte dei soldi. La voglia di confrontarsi all'estero con scuole che porterebbero a dei Master.
I viaggi, il concerto a Roma la prossima estate, le vacanze e tutto questo con l'entusiasmo di chi ha vent'anni, ma anche gli sguardi interlocutori di chi ancora cerca l'approvazione del padre.
Sguardi che prima o poi non mi cercheranno più, occhi che guarderanno avanti con le decisioni da loro prese senza la ricerca di un consenso. Un "tu che dici papà?"
E io con le posate in mano che, tra una pausa e l'altra mi ostino a pensare alle volte che si stava sul divano a guardare i cartoni animati, con i loro ciucci in bocca e i peluche in mano.
Dannazione a me e a queste aderenze affettive a certi ricordi.
Chissà cosa accadrà. Se mai in futuro riceverò i loro auguri di Buon Natale da un'altra città, da un altro paese, da un'altra nuova famiglia.
Ieri sera. Ho chiuso il computer tardi, il lavoro su un contratto che devo consegnare il giorno dopo mi aveva impegnato molto. Ero stanco. Parole tecniche, cifre economiche, numeri di dimensioni, tempistiche, iter burocratici.
Prima di spegnere il computer la osservo. Una cartella. Ho quella cartella lì, posizionata su desktop, denominata "Scritture" che mi aspetta da un bel po'. Da assemblare e unire, cucendo i vari pezzi scritti in essa contenuti.
Dentro c'è scritto tanto da me, su di me e sulla lettura della vita con i miei occhi. Sarà per un'altra volta, l'ennesimo rinvio.
S'è fatto tardi, ho bisogno di dormire, tutti stanno già dormendo.
Spengo la luce uscendo dalla stanza dove lavoro, e nella penombra del disimpegno illuminato dai tanti led verdi del modem di casa, sento il richiamo di guardare verso la cucina.
Lo vedo, come se fosse reale. Come faceva sempre, ovvero l'aspettarmi per ultimo per darmi a modo suo la buona notte.
Stava seduto ben eretto sul tavolo, come se fosse un soprammobile. Il pelo rosso nella penombra prendeva le tinte dell'amaranto e dell'ocra scura. Gli occhi completamente dilatati avevano i riflessi verdi dei led verdi accesi.
Il suo non era un miagolio, ma una voce leggera e nello stesso tempo acuta, breve e penetrante, un "miao" che sembrava tantissimo un "mio". Ero "suo".
L'abbraccio, le fusa i miei baci sul suo musetto, il suo lappare sul mio naso.
Ti ho sentito Alvin ieri sera, sai?
Ho finito quel contratto, quello di cui "ti avevo parlato" quando mi confidavo con te, sulle mie certezze ma anche sulle mie paure.
Una volta per me esistevano anche i post serata, non li vivo più.
Assumo quello che mi serve per fermare i pensieri, per fermare le idee, i ricordi, i rimpianti e i rimorsi... per bloccare il cervello. Addormentandomi.
Le serate non sono tutte uguali, per quanto si scandiscano le stesse azioni, lo sfondo può essere diverso.
Può essere un cielo stellato di Van Gogh, una notte tenebra alla Caravaggio, le notti nebbiose di Honoré Daumier oppure quelle illuminate dalle insegne di Edward Hopper.
La sera, generalmente è quando percepisco di più la mancanza di qualcosa che non c'è più da tempo, di qualcosa che forse neanche io conosco veramente.
Sperando sempre che possa vivere una volta la serata perfetta, una sola sera, giusto per raccontarla, in quella cartella denominata "Scritture".
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criptochecca · 1 year
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I paninari non erano un movimento nel vero senso della parola. Non si appoggiavano a ideologie o valori comuni, quanto piuttosto a un’estetica condivisa che era resa possibile dall’estrazione sociale medio-alto borghese. Questo si traduceva soprattutto nell’ostentazione della ricchezza attraverso vestiti firmati, beni acquistati rigorosamente dai genitori. “I gruppi giovanili che una volta si scontravano per ideologie politiche, neri contro rossi, rossi contro neri”, scriveva in proposito Natalia Aspesi nel 1985, “Oggi si coagulano attorno a una marca, scendono in guerra per la conquista di una ‘firma’”. E la guerra era una vera e propria guerra di classe. Paninari non si diventava, lo si era per dinastia. Con la consueta chiusura delle sottocolture giovani, se non bastava una borchia a farti metallaro, non bastava nemmeno una felpa Best Company a farti paninaro. Ma la differenza sostanziale è che tra i metallari, i punkabbestia o i dark, il ceto sociale e la ricchezza non erano discriminanti: la musica faceva da collante, da terreno comune, e bastava avere il look e i dischi giusti per entrare a farvi parte, al di là delle differenze di classe. Per i paninari, invece, l’immagine era l’unico distinguo, ed era diretta conseguenza di uno stile di vita in cui i soldi non erano un problema, perché ce n’erano in abbondanza. Lo stesso clima di benessere reageniano in America aveva prodotto gli yuppie, i giovani e rampanti lupi di Wall Street [...]. I paninari erano frutto della stessa cultura di riflusso disimpegnato, ma a un livello ancora più estremo. Non volevano produrre ricchezza come gli yuppie, ma solo sfruttarla. E chi non la sfruttava, cioè non poteva permettersi di acquistare quegli abiti, era automaticamente escluso. Il riflusso italiano che permise l’ascesa dei paninari si differenzia da quello americano perché il nostro Paese usciva da un decennio molto difficile. La marcia dei 40mila quadri e impiegati Fiat che nel 1980 protestarono contro i continui picchettaggi degli operai rappresentò un vero e proprio punto di svolta che sancì la fine degli anni di piombo, la vittoria del ceto medio sulle polarizzazioni ideologiche degli anni Settanta. C’è da dire che i primissimi paninari che si radunavano al bar Al Panino e in piazza San Babila, i cosiddetti sanbabilini, erano i giovani di estrema destra che pochi anni prima erano stati immortalati da Carlo Lizzani nel film San Babila ore 20: un delitto inutile. Ma ben presto le aspirazioni politiche vennero lasciate da parte per abbracciare una vita disimpegnata fatta di shopping nei negozi di culto, scorpacciate di hamburger, concerti dei Duran Duran e capodanni a Courma. [...]
Il gusto per lo scherzo, la vita godereccia, la leggerezza e il disimpegno si tramutarono in un codice stilistico che prendeva ispirazione soprattutto dall’America. Non tanto, come sembrerebbe logico, dallo stile dei giovani squali della finanza, ma da una visione un po’ distorta della classe lavoratrice statunitense. Gli stivaletti Timberland erano le calzature tipiche dei taglialegna, mentre i texani e le cinturone si rifacevano una visione kitsch e stereotipata della cultura western. A completare il look, c’erano i nuovi capi sportivi che cominciavano a essere utilizzati per la prima volta anche dai non atleti. Felpe, pantaloni da jogging e sneakers fino agli anni Settanta – almeno in Italia – si indossavano soltanto in palestra. Nel decennio successivo, ostentare la possibilità di praticare sport diventò una moda. Questo, ovviamente, era un riflesso del culto del benessere riferito non solo alla sfera economica, ma anche a quella estetica. L’abbronzatura tutto l’anno, ad esempio, diventò il segno distintivo di chi poteva permettersi di andare in vacanza non solo a Ferragosto.
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spettriedemoni · 2 years
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Sveglia presto
Alle 6 del mattino vengo svegliato da una brezza leggera. Devo andare in bagno.
Arrivo bel disimpegno e la brezza leggera diventa un vento quasi.
Mi assalgono i brividi: sento freddo!
Che sensazione meravigliosa.
(Peccato non duri di più)
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