“ Sul carro era stato caricato tutto quello che ci poteva stare, anche la macchina da cucire e la bicicletta, anche la damigiana piccola piena di vino. Quindi la porta di casa era stata chiusa. L’aveva chiusa la madre con molta cura, e prima di legare la chiave alla cintura del suo vestito essa si era più volte assicurata che fosse chiusa bene. E poi erano rimasti vicino al carro, di fronte alla porta chiusa. Erano rimasti là fermi un poco, senza far niente perché non c’era più niente da fare, ma pareva loro di dover aspettare chi sa che cosa. E infine il vecchio aveva detto: «Avanti!» con voce solenne, come se fosse risorto in lui l’antico spirito dei capi che guidavano le tribù nelle trasmigrazioni dei popoli. E il figlio Nino aveva incitato i buoi più volte, portando il carro dietro la casa e poi sulla carrareccia che conduceva alla strada grande. E allora la madre aveva camminato in fretta per raggiungere il suo uomo che stava in testa, e insieme e vicini andarono avanti verso la strada. E dietro veniva il carro guidato dal figlio Nino, che senza posa stimolava i buoi con la voce e col lungo bastone. E dietro il carro, dopo la vacca legata che camminava sonnolenta, venivano la ragazza Effa, e la Rossa, che portava in braccio il suo piccolo figlio addormentato.
E intanto il cielo sopra la linea dei monti si era fatto chiaro e dorato.
«Guarda, Rossa» disse la ragazza Effa. «Deve essere nata la luna.»
E la madre, che camminava dall’altra parte del carro accanto al suo uomo, disse: «Guarda, Mangano. Dev’essere nata la luna. Tra poco ci vedremo meglio.» “
Giuseppe Berto, Le opere di Dio, Nuova Accademia Editrice (collana I cristalli degli Italiani), Milano, 1965; pp. 167-69.
[ 1ª edizione originale: Macchia editore, Roma, 1948 ]
Marcello Vanzo è alla guida di una piccola cabina di una funivia che martedì 3 febbraio 1998 sta scendendo verso Cavalese, in Val di Fiemme, sulle Dolomiti. Accompagna a valle 19 turisti, italiani, tedeschi, olandesi, belgi e anche un adolescente polacco di 14 anni. É il suo lavoro. Da una vita porta su e giù la gente che va in montagna per sciare, arrampicarsi, fare passeggiate. E anche quel giorno soleggiato, in piena stagione turistica, è lì. Anche se quello non sarebbe il suo turno, ma quello di un collega, che però impossibilitato a lavorare, gli ha chiesto di dargli il cambio. E Marcello l’ha fatto. Chissà cosa avrà pensato alle 15.12, la cabina iniziare ad oscillare, a muoversi violentemente, a volare nel vuoto per 150 metri fino a schiantarsi a terra, vicina al fiume Avisio. Chissà cosa avrà pensato mentre diventava una delle venti vittime della strage del Cermis.
Quel 3 febbraio 1998 dalla base militare di Aviano, intorno alle 14.30, decolla un Prowler EA-6B dell’aviazione statunitense. Si tratta di un velivolo equipaggiato per la guerra elettronica. A bordo l’equipaggio è composto da 4 elementi: il Capitano Richard Ashby, pilota e comandante dell'aereo, il Capitano Joseph Schweitzer, navigatore, e due addetti ai sistemi di guerra.
Il piano prevede un addestramento a bassa quota. Il limite che gli aerei militari dovrebbero mantere, anche in caso di voli radenti è 650 metri, ma alcuni testimoni dicono di averlo visto sorvolare il lago di Stramentizzo a pelo d’acqua. Altri affermano di aver avuto chiaramente l’impressione che ad un certo punto il jet volesse passare tra i due gruppi di cavi della funivia distanti tra loro appena 40 metri. Per questo il Prowler impatta le funi facendo precipitare la cabina. L’aereo, seppur danneggiato, riesce a tornare alla base. La magistratura italiana mette il Jet sotto sequestro e inizia un’indagine ma in forza delle convenzioni tra Italia e USA sui militari Nato,è la giustizia militare americana a dover esprimersi sul caso. Un caso che appare subito chiaro a tutti.
Ashby, il pilota del Prowler, veterano della guerra in Bosnia, stava giocando. Il suo secondo Schweitzer affermerà anni dopo di aver fatto dei video del paesaggio, poi distrutti appena arrivati ad Aviano. Il jet volava sottoquota e a una velocità eccessiva, e quel passaggio tra i cavi della funivia è un segnale evidente dell’atteggiamento criminale che caratterizza tutto il volo.
Eppure nel marzo 1999 una giuria militare statunitense li assolverà entrambi dal reato di omicidio colposo, sostenendo che l’altimetro dell’aereo era rotto e che la funivia non era segnalata nelle carte. L’unica condanna che arriva è per intralcio alla giustizia, legata alla distruzione del filmato di volo.
Ennesimo incidente impunito di un'invasione camuffata da alleanza con dei tizi arroganti e psicopatici, quando li manderemo a casa sarà tardi, anzi è già tardi.
sostiene l'assessore milanese dei 30kmh delle auto e 100kmh del vento: come dire, a noi pubblici ce tocca lavorà indefessi pevvoi privati, causa clima che è tutta colpa del carbonio vostro.
La risposta definitiva a questi piagnina sinistri autoassolutori incapaci, in un commento:
"A Milano2, dopo la tempesta di qualche anno fa che abbatté diversi alberi del quartiere (la stessa che rase al suolo molti boschi nelle Dolomiti), é stato istituito un servizio di agronomi che periodicamente testano lo stato di salute del verde, provvedendo a identificare le piante da far tagliare/curare. Bene, stanotte nessun danno, solo qualche ramo volato via. Troppo costoso per Milano, oppure troppo poco demagogico?"
Piccoli sinistri in conflitto con la realtà crescono: iniziano così, negando l'utilità della manutenzione del verde o degli alvei dei torrenti emiliani; alla fine del percorso c'è l'Holodomor in Ucraina, conseguenza della necessità sovietica di "dimostrare" che la collettivizzazione delle terre è cosa buona e giusta (anche se fa morire).
Ieri mattina sono stato al mare. Il mare in versione invernale.
Quello racchiuso dal solito cordone di sabbia : la "duna" innalzata ad ottobre, a proteggere l'ininterrotta linea degli stabilimenti balneari, quella che corre per decine e decine di chilometri, sulla "riviera romagnola.
È uno dei paesaggi che sento in assoluto più miei, quasi quanto il paesaggio alpino delle Dolomiti.
Entrambi li frequento fin da bambino.
Il mare mi chiama. Mi affascina. Mi parla in silenzio, ogni volta che lo vengo a trovare.
Ho sempre avuto questa sensazione e la debolezza di pensarlo come un vero Essere Vivente.
E così, è normale, passare più volte, nei mesi invernali, a fargli un saluto, come si fa con un amico d'nfanzia.
Oppure è come contemplare un enorme animale in gabbia, che ribolle e soffia e sbuffa e ci guarda a sua volta, col suo abbraccio di vento e distanza.
Adoro questa atmosfera metafisica delle spiagge invernali.
Linee geometriche, bandiere, gabbiani dentro un vento di luce dal largo, un vento di vetro e cemento e un profumo di niente che mi incanta ogni volta.
Perchè il mare è così che ti conquista.
Con atmosfere alla Ghirri o alla De Chirico.
Una lontananza che ti morde nel cuore e disegna, piccolissimi punti scuri, persone sfocate dalla distanza, dentro il frastuono di onde instancabili e spuma bianca e selvatica.
Talvolta scattando le foto, mi sorprendo a contemplare uno scorcio, un dettaglio, un palo storto o un gioco estivo o uno scivolo dai colori allegri, ora semisommersi dalla sabbia.
Sono paesaggi che trovo intrisi di poesia.
Dove saranno ora i bimbi che appena la scorsa estate, correvano a riempire i secchielli con il loro allegro chiamarsi?
E dove sono finiti i gabbiani, coi loro voli implacabili, a perdifiato, verso invisibili punti preclusi a noi umani?
Ritrovare il mare è un pò come passare a trovare un amico. Come salutarlo e chiedergli come sta. Come si sente, come se la passa?
In questa strana stagione che non è mai stato Inverno e non è ancora Primavera...
Mi abbandono al suo suono, al vento dal largo, alla salsedine che imbianca ogni cosa.
Ore 13 e 32 già emotivamente e fisicamente satura, piena di senso di colpa, bruciato un pasto, incapace di organizzare tutte le cose che devo fare e da cui sono emotivamente e fisicamente oberata, con il ciclo, schivato il francese a cui avevo detto mesi fa che ci saremmo visti dicendo di essere in vacanza con i miei sulle Dolomiti mentre in realtà sono a sudare dalle 5 alle 10 ore in un'aula studio frequentata ormai solo da me e dal tizio che ci lavora (con cui una volta ho cantato l'emozione non ha voce di Celentano)
Nel frattempo mi madre:
Mamma accanna lo vuoi capire che non siamo dei borghesi e sto già spendendo tutti i tuoi soldi guadagnati col sudore della fronte per comprare sex toys e sedute dallo psicologo palesemente inefficaci??