Walker Evans. Parte terza: grandezza e contraddizioni
di Paolo Felletti Spadazzi
--- Un nuovo modo di vedere
-- Quando ci narra la storia della fotografia in America, Susan Sontag (Sontag 2004) inizia con una citazione di Walt Whitman (1819-1892), il padre della poesia americana, secondo il quale "ogni oggetto o condizione o combinazione o processo esprime una sua bellezza". Secondo Sontag "la fotografia americana è passata dall'affermazione all'erosione e da questa alla parodia del programma di Withman. Il più edificante personaggio di questa storia è Walker Ewans", la cui poetica."deriva ancora da Whitman, e precisamente dall'abbattimento delle discriminazioni tra bello e brutto, tra importante e banale". Questo modo di vedere ricorda una citazione del Talmud che Guido Guidi ama ripetere: “Ovunque tu guardi c’è qualcosa da vedere”. Walker Evans ci insegna a vedere in modo diverso le cose di ogni giorno, un po' come fece la pop art negli anni '60, usando oggetti quotidiani come le bottiglie di Coca Cola o le lattine di zuppa al pomodoro.
A sinistra: Walker Evans, Griglia per camion, Connecticut (1973). A destra:. Robert Rauschenberg, Auto con telone (1979)
Anche il famoso illustratore Saul Steinberg (1914-1999) avrebbe affermato che Evans ha insegnato a vedere a tutta una generazione (Katz 1971).
John Szarkowski, nella sua introduzione alla retrospettiva su Evans esposta al MoMA nel 1971, scrive: "Le immagini di Evans hanno ampliato il nostro senso della tradizione visiva utilizzabile e hanno influenzato il modo in cui ora vediamo non solo altre fotografie, ma anche cartelloni pubblicitari, discariche, cartoline, stazioni di servizio, architettura vernacolare, strade principali e pareti delle stanze."
Nel 1933 il Museum of Modern Art espone "Walker Evans: Photographs of 19th Century Houses", che è la prima mostra fotografica personale allestita da un importante museo negli Stati Uniti.
Nel 1938, in occasione della celebre personale di Evans, American Photographs, sempre al MoMA, Thomas Mabry, direttore del Museo, osservava che Evans era ritenuto dai suoi ammiratori uno dei più grandi fotografi americani viventi.
Tuttavia, un incremento ancora maggiore della popolarità di Evans derivò dalla mostra retrospettiva del 1971 e dalla relativa pubblicazione, entrambe curate per il MoMa da John Szarkowski.
1971. Copertina della monografia su Walker Evans curata da John Szarkowski insieme alla omonima esposizione allestita al MoMA
A tale proposito Lewis Baltz afferma che “a metà degli anni settanta il prestigio di Evans era così assoluto da far pensare che in America non fosse possibile intraprendere alcuna ambiziosa attività fotografica senza invocarne il nome [...] Per moltissimi fotografi americani Evans è quello che Cartier-Bresson è per i francesi: un artista con un retaggio inesauribile”
Numerosi altri storici e critici collocano Evans fra i fotografi più influenti e famosi del 20° secolo (Hilton Kramer, Bruce Jackson, David Campany, Philippe De Montebello e Maria Morris Hambourg).
In particolare Hilton Kramer (1928-2016), noto critico e saggista statunitense, nella sua introduzione alla biografia di Walker Evans redatta da James Mellow (Mellow 2001), afferma che "è stato riconosciuto da lungo tempo che Walker Evans è stato in America il più grande fotografo della sua generazione. Ciò che viene riconosciuto meno spesso è che è stato anche una delle figure emblematiche nell'arte e nella cultura del suo periodo storico".
Naturalmente una personalità di spicco come quella di Evans non poteva che dividere le opinioni del suo pubblico, in particolare all'inizio della sua carriera. Ad esempio, il fotografo Ansel Adams scrisse che le fotografie di Evans gli avevano fatto venire un'ernia (Rathbone 1995).
Tra i fotografi italiani che riconoscono l'importanza di Evans per la propria formazione ricordiamo Luigi Ghirri (Ghirri 2021), che scrive "Evans è l’autore che ho amato, amo e stimo più di ogni altro e che sento più vicino. Ho visto le fotografie di Evans nel 1975, e ritengo sia stato fondamentale per il mio lavoro, per quello che avevo fatto e stavo facendo e per il suo successivo sviluppo” (Ghirri 2021).
Gabriele Basilico, parlando di Evans, affermò: “penso sia stato il mio vero grande maestro segreto, un riferimento etico e estetico che ha molto influenzato il mio lavoro” (Gasparini 2016).
Michele Smargiassi, che ha curato una recente monografia su Evans (Smargiassi 2021), lo definisce "il più misterioso, sfuggente, contraddittorio (azzardiamo: anche il più grande) dei fotografi americani".
B/N o colore?
Secondo Oscar Wilde "La fedeltà è per la vita sentimentale ciò che la coerenza è per la vita intellettuale: semplicemente la confessione di un fallimento". E l'attività di Evans, coronata da indubbio successo, non è stata certo esente da aspetti contraddittori che accenneremo di seguito.
Consideriamo dapprima il rapporto di Evans con la fotografia a colori.
Evans sosteneva che la pellicola a colori può essere usata validamente quando la caratteristica di un soggetto è la sua volgarità e quando il colore proviene dalla mano dell’uomo.
1958. Architectural Forum, Color Accidents
Anche se le fotografie più conosciute di Evans sono in bianco e nero, occorre ricordare che realizzò, tra il 1945 e i 1965, ben nove memorabili portfolio con fotografie a colori per la rivista Fortune e la serie "Color Accidents", tutta imperniata sul colore, per la rivista Architectural Forum.
Però, in un'intervista del 1971, quando Paul Cummings gli chiese se era mai stato interessato dalla fotografia a colori, Evans rispose che aveva fatto fotografie a colori in alcune occasioni, ma non lo approvava molto. E soggiunse "Perché credo che il colore non sia ancora veritiero. Inoltre credo che non ce ne sia bisogno. E che non sia nemmeno durevole".
In un'altra occasione disse che uno degli aspetti positivi del colore è la sua deperibilità.
Quando, a partire dal 1973, cominciò ad utilizzare compulsivamente una Polaroid SX-70, ebbe a dire: "Un anno fa avrei detto che la fotografia a colori era volgare. Il paradosso è una mia abitudine. Ora mi dedicherò con grande cura al mio lavoro a colori" (Mora 2004).
Niente politica
Altri aspetti contraddittori possono essere osservati nel rapporto di Evans con la politica e, in particolare, con l'establishment americano dell'epoca, di cui si è fatto cenno anche nella seconda parte.
Evans espresse più volte le sue riserve nei confronti della fotografia che pretende di cambiare il mondo.
Tuttavia, nel 1933, all'inizio della sua carriera, Evans accetta un lavoro con rilevanti aspetti politici. L'editore J. B. Lippincott chiede a Evans di realizzare le fotografie per un libro del giornalista radicale Carleton Beals (The Crime of Cuba) che costituisce una violenta accusa agli interessi del capitalismo nordamericano, che proteggevano la brutale dittatura del presidente cubano Gerardo Machado. Alcune delle 31 fotografie che vengono scelte da Evans per la pubblicazione, tra le centinaia di scatti eseguiti, sembrano riflettere l'impegno politico del libro.
1933 L'ultima fotografia di The Crime of Cuba. Compaiono le scritte Abbasso la guerra Imperialista e Appoggiamo lo sciopero dei lavoratori di sigari
Due anni dopo Evans viene reclutato dalla Resettlement Administration, divenuta in seguito Farm Security Administration (FSA). La principale finalità della sezione Storica della FSA, dove viene arruolato Evans, è di documentare, ai politici e a tutti i cittadini americani, la povertà rurale seguita alla grande depressione del '29, anche per giustificare i conseguenti interventi governativi di sostegno. Una nota redatta a mano da Evans in tale occasione, nella quale elenca le richieste da fare al suo nuovo datore di lavoro, si conclude con la frase "NO POLITICS whatever" (Niente politica, in nessun modo).
Infine, nel 1938, in una nota introduttiva (non pubblicata) al proprio libro fotografico American Photograph, ritiene necessario precisare che le fotografie "sono presentate senza sponsorizzazioni o collegamenti con le direttive, estetiche o politiche, di nessuna tra istituzioni, pubblicazioni o agenzie governative per le quali è stato svolto parte del lavoro".
Si registra quindi un continuo tentativo da parte di Evans di dimostrare di aver effettuato le riprese in modo totalmente indipendente dalle finalità del proprio committente, anche se in certi casi come quello di Cuba, il risultato finale è stato evidentemente utilizzato anche con fini politici.
Nonostante questa asserita disaffezione per la politica, nel 1971, quando fu intervistato da Leslie Katz, Evans affermò: "All'epoca ero davvero antiamericano. (al ritorno da Parigi 1927-1930) L'America era un grande business e volevo scappare. Mi ha nauseato. La mia fotografia è stata una reazione semiconscia contro il retto pensiero e l'ottimismo; era un attacco all'establishment" (Katz 1971).
A quanto pare, quello che Lewis Baltz definisce "il più americano dei fotografi" (Baltz 2014), potrebbe forse essere stato, allo stesso tempo, il più antiamericano di essi.
Bibliografia
Baltz, Lewis (2014). Il più americano dei fotografi, in Scritti, Monza: Johan & Levi (ed. or. 2013)
Beals, Carleton (1933). The Crime of Cuba. Philadelphia: J. B. Lippincott,.
Cummings, Paul (1971), Oral history interview with Walker Evans, Oct. 13-Dec. 23, Archives of American Art, Smithsonian Institution
https://www.aaa.si.edu/download_pdf_transcript/ajax?record_id=edanmdm-AAADCD_oh_212650
Evans, Walker (2012). American Photographs, New York: Museum of Modern Art (ed.or. 1938)
Gasparini, Laura (a cura di) (2016). Walker Evans. Italia, Milano: Silvana Editoriale
Ghirri, Luigi (2021). Niente di antico sotto il sole, (scritti e interviste a cura di Francesco Zanot), Macerata: Quodlibet.
Katz, Leslie (1971) in Bertrand, Anne ed. (2017). Walker Evans. Le Secret del la Photographie. Entretien avec Leslie Katz, Parigi, Centre Pompidou
parzialmente riportata in: https://americansuburbx.com/2011/10/interview-an-interview-with-walker-evans-pt-1-1971.html
Mellow, James R. (2001). Walker Evans, New York, Basic Books
Mora, Gilles; Hill, John T. (2004), Walker Evans: The Hungry Eye, LondonThames & Hudson (prima ed. 1993)
Rathbone, Belinda (1995). Walker Evans: A Biography, Boston: Houghton Mifflin Harcourt
Smargiassi, Michele (ed.) (2021). Walker Evans, Roma: Roberto Koch Editore
Sontag, Susan (2004). Sulla fotografia, Torino: Einaudi, (ed. or. 1973)
Szarkowski, John (1971). Walker Evans, New York: MoMA
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Breviario Laico, UN MANTO DI SANGUE
24 Gennaio 2023/in Riflessioni con Card. Ravasi
La guerra è il prodotto di una corruzione precedente e, al tempo stesso, produce nuova corruzione. / Il sangue è il ricco manto del dio delle armi.
LEWIS MUMFORD / CHRISTOPHER MARLOWE
Siamo sempre immersi nelle tensioni, nelle paure, nella violenza. Le guerre clamorose del passato hanno lasciato spazio a conflitti infiniti e striscianti ed è perciò sempre attuale meditare sul sangue versato da Caino, un sangue che cola nei secoli striando tutte le terre del nostro pianeta, «aiuola che ci fa tanto feroci», come diceva Dante (Paradiso XXII, 151). Abbiamo scelto oggi due frasi emblematiche. La prima è di un sociologo statunitense, Lewis Mumford (1895-1990), che aveva esaltato la necessità per uomini e donne dì ritrovarsi «comunità», così da ricomporre in unità un’umanità frantumata. Egli ci ammonisce sull’illusione di usare la guerra come strumento di giustizia. Essa non solo non sana squilibri e illegalità preesistenti, ma ne aggiunge altri, in una catena di corruzione e perversione.
Questo vale anche per la vita privata: con la violenza e l’odio non si sana mai nulla, né si placa un contenzioso; anzi, lo si accende ulteriormente. Il coraggio di spezzare la catena del male è nella scelta della non violenza, del perdono, della generosità. Ma sullo sfondo rimane la grande tentazione: tanti sono, infatti, gli adepti che si prostrano davanti al dio delle armi, il cui manto è rosso di sangue, come il drago dell’Apocalisse (c. 12) che tenta di sbranare la donna e il bambino. È il drammaturgo cinquecentesco inglese Christopher Marlowe a ricordarcelo nella seconda citazione, un verso di grande efficacia. Esso risuona come un monito, quando siamo tentati anche noi di offrire il nostro granello di odio in sacrificio a questo dio delle armi.
Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori
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