Claro que te va a costar muchísimo trabajo tener todo lo que quieres, y llegar a donde quieras llegar. Tendrás que despertar temprano a diario, alejarte de muchas personas, sacrificar mucho. Pero al final, llegarás a donde quieras si te lo propones. Ánimo!
“ Il giorno prima, i combattimenti erano stati saltuari e senza esito. Nei punti di scontro il fumo della battaglia era rimasto sospeso tra gli alberi sotto forma di cortine azzurre finché non furono dissolte dal cadere della pioggia. Nella terra ammollata le ruote dei cannoni e dei carri di munizioni tagliavano profondi solchi irregolari, e i movimenti della fanteria sembravano impediti dal fango che si attaccava alle scarpe dei soldati quando, con le divise inzuppate e i fucili malamente protetti dalle mantelline dei cappotti, si trascinavano di qua e di là in linee sinuose per la foresta gocciolante e il campo allagato. Ufficiali a cavallo, col volto che spuntava sotto il cappuccio di tela gommata luccicante come un elmo nero, si facevano strada, isolatamente o a gruppetti casuali, andando avanti e indietro apparentemente senza meta e senza ricevere attenzione da nessuno tranne che dai colleghi. Qua e là qualche morto col vestito sporco di terra, la faccia nascosta da una coperta o all'aria, gialla e terrea sotto la pioggia, aggiungeva la sua influenza demoralizzante a quella degli altri squallidi elementi della scena e intensificava la desolazione generale con un particolare effetto depressivo. Erano molto ripugnanti, questi relitti d'uomini, niente affatto eroici, e nessuno sentiva il contagio del loro patriottico esempio. Morto sul campo dell'onore, sí; ma il campo dell'onore era tanto bagnato! Fa una certa differenza.
La battaglia campale che tutti s'erano aspettata, non c'era stata; nessuno dei piccoli vantaggi derivati, ora a questa, ora all'altra parte, in scontri accidentali e isolati, avevano avuto seguito. Attacchi portati senza convinzione provocavano una resistenza ottusa che si accontentava di respingerli. Gli ordini venivano eseguiti con fedeltà meccanica, nessuno faceva niente di piú del suo dovere.
— L'esercito è codardo oggi, — disse il generale Cameron, comandante della brigata federale, al suo aiutante maggiore.
— L'esercito ha freddo, — rispose l'ufficiale al quale erano state rivolte quelle parole, — e poi... certo, non ha voglia di finire come quello lí.
E indicò uno dei cadaveri che giaceva in una pozzanghera; il fango schizzato dagli zoccoli dei cavalli e dalle ruote dei cannoni gli aveva inzaccherato la faccia e i vestiti.
Anche le armi da fuoco sembravano contagiate da questa neghittosità militare. Il crepitio dei fucili suonava apatico e poco convincente. Non aveva senso e non destava quasi attenzione né ansia da parte degli altri reparti non direttamente impegnati nella sparatoria e delle riserve in attesa. Uditi da vicino, gli scoppi dei cannoni erano fiacchi in volume e timbro: mancavano di mordente e di risonanza. Sembrava che i pezzi sparassero a salve con cariche ridotte. E cosi la futile giornata si trascinò alla sua tetra fine. Segui una notte di disagio, poi una giornata d'apprensione. “
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Brano tratto dal racconto Un tipo d’ufficiale raccolto in:
Ambrose Bierce, Storie di soldati, traduzione di Antonio Meo, nota introduttiva di Francesco Binni, Einaudi (collana Centopagine n° 41, collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976; pp. 132-133.
[Edizione originale: Tales of Soldiers and Civilians, San Francisco: E.L.G. Steele, 1891]
«Si he cometido injusticia que clama al cielo, arrastrándola a esa relación conmigo, provocando escenas terribles como hechas a propósito para destruir por completo la impresión que de ella tenía, ¡qué Dios me perdone! Debía ofenderla y abandonarla; debía durante los últimos meses mostrarme cruel, para tratar en lo posible de ayudarla a romper el compromiso. Para mí esto fue lo más duro. He debido proseguir con esa crueldad con la intención más honesta y sincera. Ella ha de haber sufrido entonces penas indescriptibles. ¡Ojalá me perdone!
La he amado. Mi existencia exaltará su vida de una manera absoluta. Mi carrera de escritor podría también ser considerada como un monumento en su honor y gloria. La arrastro conmigo a la historia. Y a mí, que melancólicamente sólo tenía un deseo, el de hacerla dichosa, no me será negado esto en la historia, caminaré a su lado. Como un maestresala la conduzco al triunfo, diciendo: — ¡Por favor! ¡Paso para ella, para nuestra querida, nuestra amable y pequeña Regina!»
Sören Kierkegaard: Diario íntimo. Santiago Rueda Editor, pág. 393. Buenos Aires, 1955.
Yo la Odiaba… porque me causaba mucha Vergüenza…Ella trabajaba de cocinera en la escuela para mantener la familia
Un día yo estaba en secundaria, ella vino para ver como transcurrían mis estudios.
Sentí Mucha vergüenza… ¿Cómo podía hacerme esto?
La ignoré y la miré con mucho odio.
Al día siguiente mis compañeros se burlaban de mí diciendo: tu madre tiene un solo ojo.
Entonces quise morirme y que mi madre desapareciera de mi vida ¡PARA SIEMPRE!
Al volver a casa me enfrente a ella y le dije : Me avergüenzas mucho, ¿porqué no te mueres?
Pero no me respondió.
No sentí remordimiento porque estaba muy enfadado No me importaron sus sentimientos.
Quise irme de ese lugar.
Estudie bien me dieron la beca y me fui a Singapur. Me fue bien, estudié, me enamoré y me casé, compre una casa… Tuve hijos y viví contento junto a mi familia,
Un día vino mi madre a visitarme…
Ya que transcurrieron muchos años sin que nos hubiésemos visto, y quería conocer a sus nietos, se puso frente a la puerta y mis hijos comenzaron a reírse al verla.
Le grite: como te atreviste a venir para asustar a mis hijos sal y vete ahora mismo!
Me respondió con calma: Lo siento creo que me equivoqué de dirección y se esfumó…
Pasó el tiempo y recibí una carta, era de la escuela donde había estudiado para una
reunión de confraternidad.
Le mentí a mi esposa informándole que iba por causa de trabajo…
Al cabo de la reunión fui a la casa donde vivíamos, (solo por curiosidad)…
Me informaron los vecinos de que mi madre MURIO.
Sentí cosas pero no derramé ni una sola lágrima. Me entregaron una carta, era de parte de mi madre quien la había escrito por si algún día volvía.
Querido hijo, pensé mucho en ti… siento mucho haber ido de visita a tu casa, no fue mi intención asustar a tus hijos.
Estaba muy contenta al oír que ibas a acudir a la reunión de ex alumnos pero no pude levantarme de la cama para ir a verte y darte un abrazo, siento mucho en varias ocasiones causarte vergüenza en tu vida…
Hay algo que nunca pude decirte, y es que cuando eras pequeño tuviste un accidente en el cual perdiste un ojo y no quise dejar que crecieras así, por eso hijo mío te di mi ojo y me llene de orgullo y felicidad, y ¿sabes porqué?
Di solito si unisce al pensiero di aver lottato una vita e oggi è scontento perché gli tocca continuare a farlo.
Il sacrificato vive nella sua mente e non gli piace ciò che c'è fuori. Tuttavia la stessa mente gli impedisce di cambiare.
Ciò perché il Sistema ha educato le persone al valore disfunzionale del sacrificio, edificando una società che crede che la sofferenza precede sempre la gioia (o è addirittura l'unica via).
Sono esempi la gavetta, la fatica del lavoro, l'umiltà, l'altruismo, che in chiave distorta sono diventati: fai lo schiavo, accontentati di quattro soldi, non mostrare la tua realizzazione (non aspirare a niente è ancora meglio), se metti gli altri prima di te sei una brava persona.
Sono tutti lavaggi del cervello che creano invidia e rabbia nei confronti di chi si stacca da questo circuito malato.
Avendo distorto anche il concetto di ego, coloro che restano nei "sacrifici" vedono in chi cerca la propria strada soltanto degli stronzi o degli insensibili.
Un sacrificato non riconoscerà mai la realizzazione personale perché non concepisce il sacrificio volto alla costruzione del Sé, preferisce piuttosto crepare servendo quello di qualcun altro.
Per questo prima di ogni altra cosa devi cambiare il modo con cui rispondi alla realtà. Devi osservare la fisionomia dei tuoi pensieri.
Perché in caso contrario diventi l'artefice della tua sofferenza, e senza nemmeno capirlo passi la vita a prendertela con chi non abbassa i propri standard, solo perché non riesci ad alzare i tuoi.
Non posso non essere me - Non posso non essere me (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1439560133-non-posso-non-essere-me?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=ChiccaTiaKiki Ecco, nonna, lo so, sei venuta per cambiarmi. Non hai abbandonato la speranza di vedermi fingere; malgrado siano passati vent'anni, ancora ci provi. [...] Ricordi quel giorno, nonna? La strada sabbiosa incendiata dal tramonto? La stessa che ha inghiottito per sempre i miei genitori. Tuo figlio. Hai presente, nonna, quando hai iniziato a voler sostituire mamma e papà con le più insignificanti stupidaggini? [...] Avrei dovuto dirti la verità. Renderti partecipe, senza remore, delle mie intenzioni. Hai ragione tu, mi manca il fegato, quello di sfoggiare la peggiore austerità senza starci tanto a pensare. Non ce l'ho fatta a dirti che i tuoi genitori non sarebbero mai tornati. Non prima di aver messo a punto la Tecnica della Resurrezione, almeno. [...] Imperdonabile errore. Ho iniziato ad avvedermene il giorno del tuo primo scempio, l'atroce diligenza che ti ho visto mettere nell'impeccabile marionetta umana mi ha lasciata orripilata e senza parole. Senza gesti o soluzioni. Un mostro geniale di cui non riuscivo a capacitarmi.
Parece un sacrificio, algo difícil de pasar, pero te aseguro que con el tiempo te darás cuenta que va a ser lo mejor que te ha pasado en la vida, el mayor triunfo de tu vida, algo que te va a hacer sentir un águila surcando en las alturas.
“ Nella gola, dove a malapena ci stava un cannone, erano ammucchiati i resti di non meno di quattro. Essi avevano notato soltanto il momento in cui era stato ridotto al silenzio l'ultimo pezzo messo fuori uso; non era stato sostituito rapidamente per mancanza di uomini. I rottami erano disseminati sui due lati della strada; in mezzo ad essi gli uomini avevano trovato il modo di tenere aperto un passaggio per il quale ora stava facendo fuoco il quinto pezzo. Uomini? Sembravano demoni d'inferno! Erano tutti senza berretto, denudati sino alla cintola, le loro carni fumanti, nere per le macchie di polvere e gli spruzzi di sangue. Lavoravano come pazzi con calcatoio, cartocci, leva e cordoncino. Mettevano le spalle gonfie e le mani sanguinanti contro le ruote ad ogni rinculo e sollevavano il pesante cannone per rimetterlo in batteria. Non c'erano comandi; in quel terribile ambiente di schianti di bombe, scoppi di granate, frammenti di ferro sibilanti e schegge di legno che volavano per aria, non si sarebbe potuto udire la voce di nessuno. Gli ufficiali, se erano ufficiali, non si distinguevano dai soldati; lavoravano tutti insieme — ognuno finché durava — guidati dall'occhio. Passata la spugna, il cannone veniva caricato; appena caricato, era puntato e sparato. Il colonnello osservò qualcosa di nuovo per la sua esperienza militare, qualcosa di orribile, contro natura: il cannone sanguinava dalla volata! Per la temporanea mancanza d'acqua, l'uomo addetto alla spugna l'aveva immersa in una pozza di sangue dei suoi compagni. In tutto questo lavoro non c'erano scontri; il dovere del momento era ovvio. Quando uno cadeva, un altro, che aveva l'aspetto un po' piú pulito, sembrava scaturire dalla terra sulle orme del morto, per cadere a sua volta.
Con i cannoni distrutti giacevano gli uomini distrutti, accanto ai rottami, sotto e sopra di essi; e dietro, giú per la discesa, quei feriti che potevano muoversi, si trascinavano sulle mani e sulle ginocchia. Il colonnello — per pietà aveva fatto fare dietrofront alla sua cavalcata — dovette passare col cavallo sopra quelli che erano già morti per non schiacciare gli altri che erano ancora parzialmente vivi. In quell'inferno persistette ad andare; si portò di fianco al cannone e, nel fumo della ultima scarica, toccò sulla guancia l'uomo che impugnava il calcatoio, il quale subito stramazzò credendosi colpito a morte. Un demonio dannato sette volte saltò avanti a prendere il posto del caduto, ma indugiò e levò gli occhi all'ufficiale che era a cavallo con uno sguardo spettrale, i denti che lampeggiavano tra le labbra nere, gli occhi fieri e dilatati che ardevano come brace sotto la fronte insanguinata. Il colonnello fece un gesto imperioso e indicò la retroguardia. Quel demonio s'inchinò in segno d'obbedienza. Era il capitano Coulter.
Quando il colonnello fece segno di arrestare l'azione, simultaneamente sul campo cadde il silenzio. Il fiume di proiettili non si rovesciò piú in quella gola della morte perché il nemico cessò di far fuoco. Erano ore che il grosso dell'esercito si era allontanato, e il comandante della retroguardia, il quale aveva tenuto a lungo la sua pericolosa posizione nella speranza di ridurre al silenzio l'artiglieria federale, proprio in quel momento aveva fatto cessare la propria. “
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Brano tratto dal racconto Il fatto della Tacca di Coulter raccolto in:
Ambrose Bierce, Storie di soldati, traduzione di Antonio Meo, nota introduttiva di Francesco Binni, Einaudi (collana Centopagine n° 41, collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976; pp. 83-84.
[Edizione originale: Tales of Soldiers and Civilians, San Francisco: E.L.G. Steele, 1891]