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#Lente Scura
lillyli-74 · 10 months
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La Regina Pagana by Lente Scura
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visual-cortex · 11 months
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Regina dei Colori Perduti, by Lente Scura
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the-fool-prince · 1 year
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Lo Sono La Montagna, Lente Scura, 2020
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Lente Scura...
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inemi · 29 days
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Lente Scura, a digital artist and illustrator based in Rome, Italy
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ma-pi-ma · 2 months
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In una città, come nel mare, bisogna identificarsi, per vedere realmente.
Anna Maria Ortese, La lente scura
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efangamez · 1 year
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"I do not mourn the man I once was. He was weak; a pawn to the powers that were. When my lips touched the rim of the Golden Chalice, my soul was awoken, and my purpose was made clear. I will rid the world of those impure who deny the love of the Lord in Light." -Lady Francesca of the Golden Chalice
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Lady Francesca's past is not well known. It is said that she once lived as a man who served the powers of Nimbus City. She hated the body she was born in, and thus, when the Crimson Moon shone in the sky, a being named the Lord in Light was said to visit her as she dreamed. In said dream, she drank from a Golden Chalice, and when she awoke, she was reborn with the body of a woman. Some say she serves a benevolent god, where some say her blessing came at the cost of her sanity and kindness, as she is now known to be merciful to her followers and no one else.
Lore from the upcoming Tales from the Aerosphere: Crimson Moon expansion, inspired by Bloodborne and the Cthulhu mythos, available first quarter 2023.
Link to Tales from the Aerosphere here.
Art Cred: Lente Scura from DeviantArt. Art is used for visualization only.
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valkxrie · 1 year
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Le Créateur du Temps Photographer of stock image: Lente Scura Model: Shara McCoy Digital Editing and Painting by Lente Scura
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"Burke: “the feeling of the sublime is grounded on the impulse towards self-preservation and on fear, i.e., on a pain [...] capable of producing delight; not pleasure but a sort of delightful horror.” A delightful horror — this is the paradoxical affect that stimulates a person who says to himself, I know it’s wrong but I’ll do it anyway. Horror comes from the cognizance of wrongdoing, delight from transgression of the same. Voluptuous Panic." - Supervert, Perversity Think Tank
Quando Sogno Sogni Morti by Lente Scura
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stringilamiamano · 2 years
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sto cercando degli occhiali con la lente scura così posso guardare male le persone senza farmi notare
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miraclepooh · 2 years
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🎨 Lente Scura
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euphorictruths · 2 years
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Corvi Prato- Lente Scura
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macabr00blog · 1 month
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otto
Una settimana di cibo avariato
carne, piselli, aglio che si rotola nella culla
e lavare la biancheria dall’altra parte della sponda, sei
dall’altra parte della sponda, le tue vecchie camicie
da cerimonia appese in macchina.
Mi sterilizzano le tue enormi mani
- sciame carnivoro
sono una preda che ha visto lampade spegnersi, non
ci saranno mai seni troppo bianchi,
non ci saranno mai segni troppo viola,
i colori del mio corpo che si allunga come una lacrima
ingrasso come una vacca,
ingrasso come un vitello,
sono una figlia che ha fame. Tutto per
una settimana di cibo avariato,
le tue unghie senza sonno -
apro la dispensa dei dolciumi, per quanto tempo?
Quanto tempo è passato?
Dodici anni lungo lo sterrato, giocavano a
nascondino con i sessi scoperti, derubavano
l’infanzia dalle pietre senza pelli,
ora io attraverso i loro boccheggianti spiriti,
ancora fisso sulla tavola come una carne pregiata.
Papà, sono passati dodici anni
sono ormai avariato.
La conchiglia serrata a gabbia, guardo le mie ossa che si spiegano
si piegano per cedere. Con o senza bicicletta,
rotazioni dei pedali della bilancia, su e giù come una danza
tra un vitello e un toro,
umile la mia danza, da figlio a padre.
E’ buio come una cantina silenziosa
nella notte hanno portato la ciotola dove raccogliere
i pezzi della bambina. I ringraziamenti di una madre
e di alcune telefonate di conforto, ora che sono
in un corpo che consola non ci sono più suoni.
La mia pelle si rimbocca le maniche -
ho gli avambracci scorticati dal terrore -
e la donna che mi ha partorito esita
ed esita
e sussulta
sua figlia è morta, suo figlio si è ammalato,
non sa più cosa chiedere alla vita, svuota
un secchio di caramelle lungo la via, spera in un regno
di formiche volanti che potrà chiamare figli.
Mia madre possiede il mio corpo purpureo -
rimane in un posto che
somiglia alla prossima dipartita, gli spazi tra i giorni che passano
e i giorni che passano sopra di me,
il cielo scuro e il dolore che avviene e si arresta.
Meglio una pelle suicida o uno spirito che ha fame?
Un paesaggio di uccelli gialli migratori,
aprire il cassetto delle meraviglie
-
quattro pastiglie bianche per assestare il corpo
venti mg sulle teorie del vetro tagliato,
lungo, singola magnolia sfiorita,
-
indomabile come un corpo che cade
e un dolore che si assesta.
Sono una bestia che desidera -
curvo nei tavoli di legno deformato,
parlo di architetture di rose dipinte, Gauguin e la sua scimmia
rossa, due tazze e una lattina dalla base che accoglie.
Il mio sangue è rosso come la gola di un macaco
languido come una vecchia storia di erotismi.
Mia madre mi accomuna alla simmetria di distanze,
ha un figlio adolescente
dopo la figlia morta,
mi riconduce al ghiaccio blu dell’ego, io le ripeto che il ghiaccio
non ha colore. La mia è solo assenza
mangiata a metà, io sto costruendo questo maschio
adolescente a base di bocca e ragione,
nel mio appartamento dipingo un erbario che sa
di una vecchia bugia. La mia prima di essere fame, prima di essere
uno stelo
spesso e scuro, è il naturale formarsi
di una bestia che desidera.
Mi si avvicinano gli occhi, mi si incurva
la mandibola sotto il lieve sonno dell’autunno, scivolo
come una sintesi lungo le lenzuola, vino bianco secco
o massive di scarabocchi
o quel sangue che mi ricorda da dove vengo.
Slaccio il primo bottone,
cenere scura, specchio, luna nuova,
disfaccio il suo secondo, terzo, quarto
ultimo pulsante, lui dice: sei una storia che continua
ad iniziare.
Il tempo che non ho, il tempo rimasto,
chiedere la strada di casa, indicazioni di frazioni appannate,
lenti scure degli occhi di mio padre, il nodo scorsoio nella
gola di mia madre. C’è la parola
che diamo a qualcun altro, lui la dà a me con fatica, mani
da sudorazioni lente, e c’è la parola che teniamo per noi stessi,
e a volte le due coincidono. Come cava, come inseguitore, come afflizione,
o come stupro, che è la nostra parola iniziatrice.
Un uccello ad un altro uccello e l’orecchio che esorta,
la sua camicia intorno alle mie spalle, ci sono voci che
ci svegliano al mattino, dice. E ci sono voci che ci tengono svegli
tutta la notte, dico. Il membro defunto
di quello che avrebbe potuto essere la luce, filtrata,
dalla finestra, perché la finestra poteva essere aperta,
avrebbero sentito le ingiunte, le lodi, ciascuno avrebbe assistito
al canto di un passero.
Ma il canto continua ad andarsene, la finestra era chiusa,
mi ha fatto un po’ male, poi è passato, -
la figlia è morta,
dico, la figlia è morta,
ho visto i suoi lembi nella ciotola,
ho separato gli indizi, i ponti, le ali,
dimenticato il sogno di volare, ora solo
cenere che tiene il sapore dei fumi amari
della legna.
I corpi hanno circondato i corpi fin dall’inizio,
il mio è un Dio che brucia nascosto da sempre,
ora la fiamma accende la libertà.
Quindi
bottone dopo bottone, fuoco che accende la schiavitù,
l’amore è una mano che ti tocca in un altro modo,
in un modo che tutti sapranno riconoscere.
Lo tatueremo sulle mani, dove e come, sapranno
come è facile renderci liberi, tempo dopo tempo, restituendoci
lo spazio del volo.
Papà, ho trovato un modo
per formare un petalo di fetori assemblati,
da bistecca a ombra radiosa,
indovinare i gusti dell’amore
carne, piselli e aglio che si rotola nella culla.
Non avrò mai figli, ma avrò un uccello
come un artista circense, un pensatore da appelli confusi e
Stop e Ancora. Nessun immortale, un viaggiatore con un
viaggiatore, amici che abbassano i rumori della notte,
e la sua lingua a metà come quella di una serpe
che parla di doppia provenienza, sentieri scoscesi tra alleati e nemici,
il sogno di un rifugio perché ora dormo con l’immagine
di un cielo
a misura di santuario,
e ho dipinto un erbario
di desideri, perché sono una bestia
e ogni angolo del giorno
si mescola all’odore del suo corpo.
Papà, smettila di tirare ad indovinare:
di tutte le ore ramificate, verdi e ridondanti, ne ho fatto
poltiglia. Ora
io schiocco la lingua e assaporo le sue costole,
conosco con gli occhi più di quanto il mio corpo sappia,
perché la finestra è aperta.
Mi stanno ascoltando tutti.
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agrpress-blog · 3 months
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Il 19 gennaio del 1809, nasceva Edgar Allan Poe. E già il suo nome, forse, avrebbe dovuto far sospettare qualcosa circa il futuro che, di lì a breve, quel ragazzino minuto e solitario si sarebbe costruito. I suoi genitori, infatti – David Poe Jr. ed Elizabeth Arnold – erano entrambi attori, e, al momento della nascita del bambino, stavano portando in scena la tragedia Re Lear, di William Shakespeare. Tragedia che vede tra i propri personaggi, per l’appunto, un uomo di nome Edgar. E forse quel nome gli è stato d’aiuto nel corso della sua esistenza – o almeno, così ci piace sperare – dandogli forza, consolazione, ricordandogli le sue origini e la sua vera natura, stando lì come un monito, un presagio, quasi. Un’esistenza tormentata, dolorosissima, che ha inevitabilmente formato il cuore e la mente di quel ragazzino, poi diventato uomo, e poi morto a soli a quarant’anni. Anche se, a distanza di secoli, possiamo tranquillamente affermare che quelle quattro decadi sono state sufficienti per provocare un effetto preciso: l’effetto Edgar Allan Poe. Il motivo per cui ognuno di noi, alla luce dei suoi racconti, non può che fermarsi di fronte alla figura e scura e maestosa di un gatto dal pelo nero. Il motivo per cui, una volta letti i suoi libri, si rimane tormentati dal ticchettio inesorabile e costante di un cuore che doveva essere morto – e invece continua a battere. Il motivo per cui ci riesce difficile non credere agli spiriti, ai mondi che abitano le infinite prospettive della mente umana, alle discontinuità. A tutto ciò che non è superficie. All’età di sedici anni, Edgar Allan Poe si innamorò di una donna, una donna adulta, molto più grande di lui, madre di un suo compagno di studi. Si chiamava Jane, e morì precocemente, forse a causa di una malattia. Il giovane – e futuro – scrittore, nonostante la giovane età, rimane sconvolto da quanto accaduto. E ogni notte, per mesi, cominciò a uscire dalla sua stanza per recarsi alla tomba di lei, non riuscendo a spiegarsi il perché di quella morte. La donna, a cui Edgar Allan Poe dedicherà decine e decine di componimenti, compare nei suoi scritti con il nome di Helen. E la forza di questo amore mai realizzatosi sarà il motore propulsivo di molte delle sue opere e delle sue riflessioni. Chissà cosa penserebbe adesso, quella donna, delle migliaia di persone che la ricordano attraverso le lente dell’amore di un sedicenne disperato. E innamorato. L’amore, la paura, il buio, l’immaginazione, la poesia. Tutto ciò fa parte – farà per sempre parte – di ciò a cui pensiamo quando pensiamo ad Edgar Allan Poe. Di ciò di cui parliamo quando parliamo di un uomo giovane e inquieto, che ci ha regalato, forse, la cosa che più gli apparteneva: un cuore incredibile che non smette mai di battere.
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