Tumgik
#bello nella sua stranezza
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susieporta · 9 months
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CONSIDERAZIONI DI OSHO SULL'INTIMITA' dal libro "Lo splendore nascosto"
Intimità significa esporsi davanti a un estraneo. Siamo tutti estranei — nessuno conosce nessuno. Siamo anche estranei a noi stessi, perché non sappiamo chi siamo. L'intimità ti avvicina a uno sconosciuto. Devi abbandonare tutte le tue difese; solo allora, l'intimità è possibile. E la paura è che se abbassi tutte le tue difese, tutte le tue maschere, chissà cosa farà di te lo sconosciuto?
Stiamo tutti nascondendo mille e una cosa — non solo dagli altri ma da noi stessi — perché siamo stati allevati da un'umanità malata con ogni tipo di repressione, inibizioni, tabù. E la paura è quella con qualcuno che è un estraneo — e non importa, potresti aver vissuto con quella persona per trent'anni, quarant'anni; la stranezza non scompare mai — è più sicuro mantenere un po' di difesa, un po' distante, perché qualcuno può approfittare delle tue debolezze, delle tue fragilità, della tua vulnerabilità. Tutti hanno paura dell'intimità.
Il problema si complica perché tutti vogliono l'intimità. Tutti vogliono l'intimità perché altrimenti sei solo in questo universo — senza un amico, senza amante, senza nessuno di cui ti puoi fidare, senza nessuno a cui puoi aprire tutte le tue ferite. E le ferite non possono rimarginarsi se non sono aperte. Più li nascondi, più diventano pericolosi. Possono diventare cancerose.
L'intimità è un bisogno essenziale da un lato, quindi tutti lo desiderano. Ma vuole che l'altra persona sia intima, in modo che l'altra persona abbassi le sue difese, diventa vulnerabile, apre tutte le sue ferite, lascia cadere tutte le sue maschere e la sua falsa personalità, resta nudo così com'è. E d'altra parte, tutti hanno paura dell'intimità — con l'altra persona con cui vuoi essere intimo, non stai facendo cadere le tue difese.
Questo è uno dei conflitti tra amici, tra amanti: nessuno vuole abbandonare le sue difese e nessuno vuole presentarsi in totale nudità e sincerità, aprire — ed entrambi hanno bisogno di intimità. A meno che non abbandoni tutte le tue repressioni, inibizioni — quali sono i doni delle vostre religioni, le tue culture, le vostre società, i tuoi genitori, la tua educazione — non sarai mai in grado di essere intimo con qualcuno. E dovrai prendere l'iniziativa.
Ma se non hai repressioni, eventuali inibizioni, neanche tu hai ferite. Se hai vissuto un semplice, vita naturale, non ci sarà paura dell'intimità, ma una gioia tremenda — di due fiamme che si avvicinano così tanto da diventare quasi una fiamma. E l'incontro è estremamente gratificante, soddisfacente, appagante. Ma prima che tu possa tentare l'intimità, devi pulire completamente la tua casa.
Solo un uomo di meditazione può permettere che l'intimità avvenga. Non ha niente da nascondere. Tutto ciò gli faceva temere che qualcuno potesse saperlo, lui stesso è caduto. Ha solo un silenzio e un cuore amorevole. Devi accettarti nella tua totalità — se non riesci ad accettarti nella tua totalità, come puoi aspettarti che qualcun altro ti accetti? E sei stato condannato da tutti, e hai imparato solo una cosa: autocondanna.
Continui a nasconderlo. Non è qualcosa di bello da mostrare agli altri, sai che le cose brutte sono nascoste in te; sai che le cose malvagie sono nascoste in te; sai che l'animalità è nascosta in te. A meno che tu non trasformi il tuo atteggiamento e ti accetti come uno degli animali esistenti… La parola “animale” non è male. Significa semplicemente vivo; viene da anima. Chi è vivo, è un animale.
Ma all'uomo è stato insegnato, “Non siete animali, gli animali sono molto al di sotto di te. Siete esseri umani.” Ti è stata data una falsa superiorità. La verità è, l'esistenza non crede nel superiore e nell'inferiore. All'esistenza, tutto è uguale — gli alberi, gli uccelli, gli animali, gli esseri umani. In esistenza, tutto è assolutamente accettato così com'è; Osho sulla disciplina e la repressione della mente.
Se accetti la tua sessualità senza alcuna condizione, se accetti che l'uomo e ogni essere nel mondo è fragile… la vita è un filo sottilissimo che può spezzarsi da un momento all'altro. Una volta che questo è stato accettato, e lasci cadere i falsi ego — di essere Alessandro Magno, Mohammed Ali il tre volte grande — se capisci semplicemente che ognuno è bello nella sua banalità e ognuno ha delle debolezze… Fanno parte della natura umana perché tu non sei d'acciaio.
Consiglio la lettura completa qui: https://www.oshoteachings.com/it/osho-on-intimacy-osho-on-fear-of-intimacy/
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lunamagicablu · 2 years
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C'era una volta un giardino ricco di fiori di ogni specie, in cui cresceva, proprio nel centro, una pianta senza nome. La pianta era robusta, ma sgraziata, con dei fiori stopposi che non emanavano alcun profumo particolare. Le altre piante nobili del giardino la consideravano come un'erbaccia, e non le rivolgevano la parola. La pianta senza nome però aveva un cuore pieno di bontà, di sogni e di ideali.
Quando i primi raggi del sole, al mattino, arrivavano a fare il solletico alla terra, e a giocherellare con le gocce di rugiada per farle sembrare iridescenti diamanti sulle camelie, rubini e zaffiri sulle rose, le altre piante si stiracchiavano pigre. La pianta senza nome, invece, non si perdeva un solo raggio di sole. Se li beveva tutti, uno dopo l'altro, godendoseli appieno.
La pianta senza nome trasformava tutta la luce del sole in forza vitale, in zuccheri, in linfa. Tanto che con il passare del tempo il suo fusto, che prima era rachitico e debole, era diventato uno stupendo fusto robusto, diritto, alto più di due metri.
Le piante del giardino cominciarono a darle attenzione e a nutrire anche un po' d'invidia per il suo bell'aspetto.
- "Quello spilungone, è un po' matto!", bisbigliavano dalie e margherite.
La pianta senza nome, non ci badava. Aveva un progetto. Se il sole si muoveva nel cielo, lei l'avrebbe seguito, per non abbandonarlo un istante. Non poteva certo sradicarsi dalla terra ma poteva costringere il suo fusto a girare all'unisono con il sole. Così, non si sarebbero lasciati mai.
Le prime ad accorgersi di questa iniziativa della pianta senza nome furono le ortensie che, come tutti sanno, sono pettegole e comari!
- "Si è innamorato del sole!", cominciarono a propagare ai quattro venti.
- "Lo spilungone, è innamorato del sole!", dicevano, ridacchiando, i tulipani.
- "Oh, com'è romantico!", sussurravano, pudicamente, le viole mammole.
La meraviglia toccò il culmine quando in cima al fusto della pianta senza nome, sbocciò un magnifico fiore che assomigliava in modo straordinario proprio al sole!
Era grande, tondo, con una raggiera di petali gialli, di un bel giallo dorato, caldo.
E quel faccione, secondo la sua abitudine, continuava a seguire il sole giorno dopo giorno nella sua camminata attraverso il cielo.
Fu così che i garofani gli diedero un nome: Girasole.
Glielo misero per prenderlo in giro, ma nel giro di poco tutti lo accolsero come un nome bello. Piacque a tutti, compreso il diretto interessato.
Da quel momento, quando qualcuno gli chiedeva il nome, rispondeva, orgoglioso:
- "Mi chiamo "Girasole"!"
Rose, ortensie e dalie non cessavano, però, di bisbigliare su quella che, secondo loro, era una stranezza che nascondeva troppo orgoglio o peggio qualche sentimento molto disordinato. Furono le bocche di leone, i fiori più coraggiosi del giardino, a rivolgere direttamente la parola al Girasole.
- "Perché, guardi sempre in aria? Perché, non ci degni di uno sguardo? Eppure, siamo piante, come te!", gridarono le bocche di leone, per farsi sentire.
- "Amici!" - rispose il Girasole - "Sono felice di vivere con voi, ma io amo il sole. Esso è la mia vita, e non posso staccare gli occhi da lui! Lo seguo, nel suo cammino... Lo amo tanto, che sento già di assomigliargli un po'! Che ci volete fare? Il sole è la mia vita."
Come tutti i buoni il Girasole parlava forte e l'udirono tutti i fiori del giardino. E in fondo al loro piccolo, profumato cuore, sentirono una grande ammirazione per l'innamorato del sole.
Il Girasole è considerato oggi come simbolo di perseveranza. Essa non è una virtù "cieca". La perseveranza è l'atteggiamento di chi si propone un obiettivo ben chiaro, un ideale. Poi, costi quello che costi, lavora sodo per raggiungerlo. Gli ideali possono trasformare positivamente le persone che li perseguono. da aforismi.meglio.it art by Emma3844 *************************** Once upon a time there was a garden full of flowers of all kinds, in which an unnamed plant grew right in the center. The plant was sturdy, but ungainly, with stringy flowers that didn't give off any particular scent. The other noble plants in the garden regarded her as a weed, and did not speak to her. The nameless plant, however, had a heart full of goodness, dreams and ideals.
When the first rays of the sun in the morning came to tickle the earth, and to fiddle with the dewdrops to make them look like iridescent diamonds on camellias, rubies and sapphires on roses, the other plants stretched lazily. The nameless plant, on the other hand, did not miss a single ray of sunshine. He drank them all, one after the other, enjoying them fully.
The nameless plant transformed all the sunlight into life force, into sugars, into sap. So much so that with the passage of time its shaft, which was previously stunted and weak, had become a wonderful sturdy, straight shaft, more than two meters high.
The plants in the garden began to give her attention and to feed even a little envy for her good looks.
- "The tall one, he's a bit crazy!" Whispered dahlias and daisies.
The nameless plant, he paid no attention to it. He had a plan. If the sun moved in the sky, she would follow him, not to abandon him for an instant. She certainly could not uproot herself from the earth but she could force her shaft to spin in unison with the sun. Thus, they would never break up.
The first to notice this initiative of the nameless plant were the hydrangeas which, as everyone knows, are gossips and wives!
- "He fell in love with the sun!", They began to spread to the four winds.
- "The tall man, he is in love with the sun!", Said the tulips, giggling.
- "Oh, how romantic!", The violets whispered modestly.
The wonder reached a climax when a magnificent flower blossomed atop the stem of the nameless plant that resembled the sun in an extraordinary way!
It was large, round, with a halo of yellow petals, a beautiful warm golden yellow.
And that big face, according to his habit, continued to follow the sun day after day as it walked across the sky.
So it was that the carnations gave it a name: Sunflower.
They gave it to him to tease him, but soon everyone welcomed it as a beautiful name. Everyone liked it, including the person concerned.
From that moment, when someone asked his name, he replied proudly:
- "My name is" Sunflower "!"
Roses, hydrangeas and dahlias did not stop whispering, however, about what, according to them, was an oddity that hid too much pride or, worse, some very disordered feeling. It was the snapdragons, the bravest flowers in the garden, that spoke directly to the Sunflower.
- "Why, do you always look in the air? Why, don't you worthy of a look? And yet, we are plants, like you!", Cried the snapdragons, to be heard.
- "Friends!" - answered the Sunflower - "I am happy to live with you, but I love the sun. It is my life, and I cannot take my eyes off it! I follow it on its path ... I love it so much, that I already feel to look a little like him! What can you do with it? The sun is my life. "
Like all good men, the Sunflower spoke loudly and all the flowers in the garden heard it. And deep in their little, fragrant hearts, they felt a great admiration for the lover of the sun.
The Sunflower is considered today as a symbol of perseverance. It is not a "blind" virtue. Perseverance is the attitude of someone who sets himself a clear goal, an ideal. Then, whatever it costs, work hard to achieve it. Ideals can positively transform the people who pursue them. from aforismi.meglio.it art by Emma3844 
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micro961 · 1 year
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Dj Thedo - “Shulligum”
Una colonna sonora visionaria nata dall’unione di vari mondi musicali
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 “Shulligum” è una composizione fuori dalle righe, eclettica, che unisce il mondo di Dj Thedo con melodie e arrangiamenti provenienti dal mondo classico grazie a degli archi che hanno impreziosito il tutto donando pathos e solennità. Un plus ben riuscito che ha trasformato “Shulligum” nella colonna sonora del cortometraggio “Arika&Neil” tratto da “La leggenda di Kaira”, prodotto, diretto e interpretato da Emanuela Del Zompo e presentato alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Attualmente in promozione nazionale nell’attesa del videoclip ufficiale che porterà la firma del regista Giovanni Bufalini.
 Dj Thedo durante il periodo della pandemia con la forzata clausura domestica, perso nell’ascolto ad alto volume di ogni genere di musica, ascoltando una storica collaborazione di Dj Carl Craig con un’orchestra sinfonica, si chiese: ‘’Ma perché non creare un pezzo con un’orchestra d’archi?” Dovendo considerare le difficoltà di comporre e registrare con un’intera orchestra, cercando su internet, trovò una stimata orchestrina d’archi che aveva ascoltato e conosciuto in una serata romana: “Trio Improvviso’’. Riacceso il dialogo il Trio Improvviso rispose: ‘’Siamo musicisti nati in conservatorio, ma la carriera ci ha dato molte collaborazioni con fusioni e suoni per noi nuovi e la cosa può interessarci’’. Lavorato nella composizione durante il look down, appena fu possibile riaprire le porte, decisero di registrare in presa diretta in studio, staccandosi da quei computer padroni della prigionia domestica. Appoggiati presso lo studio fonico One More Dub, Dj Thedo fu ‘’eccitato’’ dalle parole del fonico, storico nome che firmava la fonica degli Stadio, che, ascoltando la registrazione, esclamò: ‘’Che roba strana’’. La stranezza è quel fattore che Dj Thedo sempre ama. Ottenuto il file musicale, preso da fiera soddisfazione, Dj Thedo subito lo inviò a tutta la mail list di amici Dj. Tra le tante risposte la più bella fu quella di Claudio Coccoluto che, oltre a dire “molto bello”, complimento inestimabile vista la fama mondiale dell’autore, rimase impressionato dalla registrazione in studio dei veri archi che oggi potrebbero essere sostituiti dalla moderna digitalizzazione. Mandato poi a quel grande amico di Valerio Cardone, voce del Red Zone e oggi Ector Nina, che era nella direzione dell’editoria musicale Red Zone Club, il brano venne pubblicato e distribuito in tutte le piattaforme di vendita musicali dalla Trip and Chic. Volendo completare il lavoro con particolarità in ogni dettaglio, affidò il disegno della copertina ad un’opera dell’emergente artista Manuela Montenero che raffigura il contato tra due esseri distanti e quindi tra due mondi musicali distanti, classica ed elettronica.
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 Pierfederico Tedeschini, in arte Dj Thedo, inizia il suo amore per la musica in giovane età. Caduto nella tipica istruzione delle scuole di musica italiane, si imbatte nella musica classica. La sua stravaganza musicale si fa però già notare all’epoca con il passare dallo studio del pianoforte a quello della chitarra, poi la batteria, poi il basso e poi la tromba. Coinvolto in un brutto incidente stradale e impossibilitato nell’uso della mano sinistra per mesi, trascinato dalla voglia di musica, ha la fortuna di poter presentare il suo sfogo ad un suo amico e soprattutto ad uno dei più grandi skracher del mondo, Dj Myke. Armatosi di ogni accessorio necessario per suonare e comporre musica in chiave digitale, iniziò questa nuova conoscenza ed esperienza musicale. Sempre il caso volle che, andato ad abitare a Perugia, ebbe il piacere di conoscere grandi nomi che davano musica ad un Club che ha fatto storia della house in Europa: Red Zone Club. Tra questi nomi ebbe l’impareggiabile piacere di legare in maniera fraterna con il “Capo Resident”, nome internazionale delle consolle house, Sauro Cosimetti. Apprezzando le sue capacità, Sauro decise di portalo in consolle a qualche mattinè Red Zone e soprattutto in giro per l’Italia nelle serate del venerdì. Sempre il destino volle che Red Zone Club chiuse i battenti, ma non per questo le stravaganti creazioni musicali di Dj Thedo si sarebbero fermate. Tante le sue “strane collaborazioni” come nel singolo “Theme for Sax” in cui portava su un tappeto elettronico il sassofono di uno dei più importanti sassofonisti jazz italiani al mondo, Jerry Popolo.
 Facebook: https://www.facebook.com/pierfederico.tedeschini
Instagram: https://www.instagram.com/dj_thedo/
YouTube: https://www.youtube.com/@beatsbulletsbrothersdjthed7857
 DCOD Communication - Ufficio stampa musicale nazionale
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crazy-so-na-sega · 3 years
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i colori dei greci
“Quanto diversamente i Greci hanno veduto la natura, se siamo costretti a riconoscere che i loro occhi erano ciechi per l’azzurro e il verde, e invece del primo vedevano un bruno scuro, in luogo del secondo un giallo (giacché designavano con la stessa parola, per esempio, il colore dei capelli bruni, quello del fiordaliso e del mare meridionale e con la stessa parola il colore delle piante verdi e della pelle umana, del miele e della resina gialla: sicché, stando alle testimonianze, i loro pittori hanno ritratto il loro mondo solo col nero, il bianco, il rosso e il giallo)  - quanto diversa e quanto più vicina agli uomini dovette apparire loro la natura, dal momento che ai loro occhi i colori degli uomini erano anche nella natura preponderanti e questa nuotava, per così dire, nell’atmosfera dei colori umani”. Così Friedrich Nietzsche, nell’aforisma 426 di Aurora, riflette sulla stranezza cromatica dei Greci antichi.
Già Goethe, nella sua Teoria dei colori, aveva osservato che il lessico greco del colore è straordinario, cioè fuori da ogni norma, tanto è diverso dal nostro. Associazioni cromatiche tanto inedite che hanno portato alcuni studiosi del Settecento e Ottocento a blaterare che i Greci non vedevano i colori. Li vedevano, eccome, solo li esprimevano in un altro modo: di certo, gli occhi degli uomini sono sempre stati gli stessi e sempre saranno. I colori erano per loro, innanzitutto vita e luce: un’esperienza tutta umana e non fisica, ottica, che niente a a che fare con lo spetto cromatico del prisma teorizzato da Isaac Newton. Omero, nell’Iliade e nell’Odissea, nomina solo quattro colori: il bianco del latte, il rosso porpora del sangue, il nero del mare, il giallo del miele e dei campi.
Nero,  µ??a? e bianco  ?e???? indicavano il buio e la luce (la parola latina lux, “la luce” ha la stessa etimologia del colore greco). Ed è proprio dalla mescolanza di luci e ombre che secondo i Greci si formavano i colori. Il greco  ?a???? indica un colore che spazia dal giallo al rosso al verde: verderame, potremmo forse dire. La sua tinta è quella calda del grano maturo, ma anche dei capelli tutti biondi degli eroi omerici fino alla luce rossastra del fuoco caldo che illumina la notte o del sole arancio e rotondo al tramonto. L'aggettivo πορφυρεοζ significa "agitato", in continuo movimento" "ribollente", fino ad indicare il color porpora che dal rosso sangue sconfina nel blu; πορφυρεοζ è "il pescatore di porpora" dal momento che le tinture erano prodotte dal succo estratto da certe conchiglie e poi lavorato a mano da esperti tintori. Il colore κυανεοζ, ciano, indica un color blu così generico da vagare dall'azzurro al rosso cupo fino al nero della morte. Ancora, il mio colore preferito, γλαυξοζ, glauco, significa prima di tutto "brillante", "rilucente", "traboccante di luce", proprio per definire il mare che sfrigola di luce. Sono glauchi gli occhi di Atena, "chiari come quelli di una civetta", di colore ceruleo, azzurro, grigio-azzurro. Fu William Gladstone, illustre omerista e politico inglese, tra i primi ad insistere sull'impressione luminosa dei colori greci. Nei secoli precedenti notando le stesse "stranezze" linguistiche della definizione cromatica presso altri popoli e fin nella Bibbia, si era acceso un fervente dibattito accademico sulla possibilità che gli Antichi vedessero fisiologicamente- proprio a livello di retina- dei colori in meno rispetto ai nostri occhi fino a parlare di cecità dei Greci. Le teorie di Darwin prima e gli studi di fisiologia e medicina poi dimostrarono senza dubbio il contrario: i Greci vedevano il mare, i campi, il cielo, i paesaggi dello stesso colore in cui li vediamo noi oggi - o forse di colore più bello, perché sentivano il bisogno di esprimerlo in un altro modo, privato. In definitiva, gli antichi Greci davano ad ogni colore un altro significato, un senso di luminosità, di gradazione, di chiarezza. Vedevano la luce e ne coloravano l'intensità: così il cielo è bronzeo, ampio, stellato, mai soltanto blu, e gi occhi sono glauchi, scintillanti, mai solo azzurri o grigi.
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A. Marcolongo
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olstansoul · 3 years
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Sacrifice, Chapter 13
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Oh andiamo Natasha! Hai avuto il tuo tempo con Wanda ieri, ora lasciala a me"disse James dal lato opposto della scuola, vicino al cancello.
"Le stavo solo parlando di come sarebbe bello il nostro cartellone appeso nella classe del signor Barton, non sono come la tua ex..."
"Ed io non sono una pallina da ping pong che va avanti e indietro"disse Wanda fingendosi offesa.
"Lo so, tu e Sharon siete molto diverse Natasha. E scusami Wanda, non volevo intendere quello..."
"Sto scherzando tranquillo, non me la sono presa..."disse lei dandogli un leggero colpetto sulle spalle.
Entrambi sorrisero e James provò persino a fermarla ma riuscì solo a prendere la sua mano sinistra fra la sua destra e stringendola di poco.
"Sai che pugni come i tuoi non mi fanno nulla?"
"Io ci provo lo stesso, lasciami provare..."
"Braccio di ferro appena arriviamo a casa?"
"Te lo scordi, ti sei dimenticato che il signor Stark vorrebbe sentirmi domani sul primo capitolo di fisica ed io non ne ho studiato neanche la metà?"
"Ehi, ehi, ehi frena...chi hai come tutor?"
"Il capitano Barnes, ma cosa c'entra con questo?"
"Sono anche il primo della classe di fisica, te ne sei dimenticata?"
"Non me ne sono dimenticata, ti chiedo di muoverti sennò finisco di non dirgli niente a quello..."ma fu zittita dal dito di lui sulla sua bocca.
"Non dire cose cattive che pensi sulla gente, è maleducato..."disse mentre Wanda cercava di togliersi il suo dito da sopra la sua bocca.
"Disse colui che aveva mandato la sua ex fidanzata a fanculo dinanzi a mezza scuola"
"Lì è diverso e mi sono sfogato anche parecchio"
"Non è diverso, sei stato maleducato tu e non io"
"Preferisci camminare oppure vuoi che ti zittisca in un'altra maniera?"
Appena disse quelle parole lei si fermò in mezzo alla folla di studenti che stava uscendo dalla scuola mentre lui si maledisse interamente. Qualcun'altro la poteva facilmente interpretare in una maniera completamente sbagliata, ma non era così e James sapeva di aver fatto la sua prima figura di niente con Wanda,  forse il suo subconscio lo stava già prendendo a schiaffi se non fosse per il fatto che non era solo. Certo, c'era un modo per fare questo ma James non si spiegava ancora il perché voleva farlo.
Insomma Wanda era carina, gentile e anche simpatica. Aveva quel sorriso che gli mandava in fumo il cervello e quando la vedeva non aveva abbastanza autocontrollo da potere pensare alla cosa giusta da dire.
"Scusa, non..."
"No, va tutto bene...proseguiamo?"
Lui annuì e per tutto il tragitto non smetteva di pensare alle parole che gli aveva detto. Perché era rimasta ferma? Perché non aveva detto una parola subito? Perché lo guardava come se fosse un pazzo? Da quando in qua James Barnes era nervoso con una ragazza? Beh, da oggi o forse da quando aveva visto per la prima volta Wanda Maximoff.
Certo non che lo fosse stato anche quando di fianco a lui c'era Sharon Carter, ma sappiamo tutti che il rapporto con lei non era dei migliori e per fortuna che è terminato.
"Saremo soli?"sbottò lei e subito si girò a guardarla.
"Si, si certo. Mio padre è in ufficio mentre mia madre ha il turno di mattina all'ospedale"
"Tua madre è un'infermiera? Non me l'avevi detto la volta scorsa che mi accompagnasti a casa"
"Beh...non avevo trovato motivo"
"Mh, okay. E tua sorella?"
"Tornerà a momenti, sperando che non sia arrivata prima"
Arrivarono ad un cancello di legno massiccio, abbastanza grande e messo orizzontalmente e con il mazzo di chiavi James aprì quello piccolo messo di fianco, dello stesso materiale ma messo verticalmente.
"Vivi qui? È tutto così bello ma anche..."
"Troppo eccessivo, lo so. Mi piacerebbe davvero vivere in un bel appartamento di Brooklyn senza tutto questo eccesso ma purtroppo..."
"Beh, sembra che hai davvero tutto ciò di cui hai bisogno..."disse lei mentre lui la faceva entrare nella sua casa.
"È davvero bella"disse lei iniziando a camminare nel grande living.
C'erano due divani bianchi, uno messo a destra delle scale e l'altro alle spalle della sala da pranzo. Di fronte alla porta scorrevole a sinistra, dello studio di suo padre, c'era una poltrona girevole dello stesso colore.
Un camino e di fianco ad esso c'era persino una tv. La sala da pranzo affacciava sulla cucina, da dove proveniva un profumo parecchio invitante.
"James sei tu?"una voce la fece girare dove c'era James e vide, dalla porta della cucina vicino a quella di casa, uscire una donna che a lei sembrava familiare.
"Si, mamma sono qui ma potrei farti la stessa domanda..."disse lui rivolgendo uno sguardo alla sua destra.
"Ho finito prima questa mattina e visto che le tue lamentele sono infinite quando non trovi nulla da mangiare ho pensato di cucinare qualcosa...ma non sei da solo!"disse sua madre vedendo poi Wanda.
Aveva un sorriso timido sulle labbra e le mani giunte, la sua pelle bianca faceva da contrasto al colore che aveva spalmato sulle sue unghie, il nero.
"Salve,sono..."
"La ragazza del burro d'arachidi?"chiese la donna e James, suo figlio, la guardò con un'espressione confusa.
"Esatto, ma all'anagrafe sarei Wanda"
"Già vi conoscete?"chiese James con un sorriso tutto rivolto a Wanda.
"Beh...di vista"disse la castana allargando di poco le braccia.
"L'ho incontrata l'altro ieri al Walmart, avevo chiesto a tuo padre di prendere del burro di arachidi ma come sempre era a telefono. Cosi mi sono sacrificata io e l'ho preso anche per lei..."
"Io direi che è tutta sfortuna, visto che sono bassa..."
"Oh, ma non è vero! Nella botte piccola c'è il vino buono, io sono Winnifred"
"Lei è la ragazza di cui ti parlavo, quella delle ripetizioni..."disse James.
"Si, me lo avevi detto! Ma non avevi accennato al fatto che fosse davvero così bella"
A quella affermazione, un leggero rossore si impossessò delle guance di entrambi, ma soprattutto James che per la prima volta non sapeva cosa fare.
"Beh, grazie signora Barnes"
"Oh, tesoro chiamami Winnifred, tranquilla"
"Va bene...mh, andiamo?"chiese lei infine guardando James.
"Si, ci vediamo dopo..."disse lui e contemporaneamente Wanda prese il suo zaino e insieme a James si diressero al piano di sopra, nella stanza di lui.
Lui aprì la porta e un miscuglio di bianco e nero le saltò subito agli occhi. C'era un'enorme finestra che affacciava sulla strada e messa di fronte ad essa c'era una scrivania, sulla sinistra c'era il suo letto e tanti altri mobiletti sempre sul bianco e sul nero.
"Davvero una bella stanza"disse lei e poggiò la sua borsa sul letto.
"Iniziamo?"chiese lui sorridendole e lei annuì.
Anche stavolta, nel giro di soli due giorni, si ritrovò in una stanza di una persona che aveva conosciuto da poco ma che, chissà per quale motivo, sembrava di conoscere da una vita intera. Era davvero strano, ma nella stranezza generale lei ci trovava qualcosa di bello, anche se non sapeva ancora cosa.
"La cosiddetta scomposizione armonica è un'onda periodica che si può sempre scomporre come combinazione di funzioni sinusoidali..."
"Okay, non dimenticarti di dire che il luogo dei punti in cui l'onda ha la stessa fase e la stessa ampiezza si chiama fronte d'onda. Nel caso bidimensionale è un elemento di famiglia di curve, in caso tridimensionale è un un elemento di famiglia di superfici"
"Okay, sembra facile"disse lei guardando gli appunti presi
"Facile? Credevo che per te fosse arabo"
"Si, ma tu sai spiegarti molto bene..."disse lei alzando lo sguardo.
Lei era seduta con le gambe incrociate sul tappeto bianco e nero della sua stanza, insieme a lui.
Bel modo di fare ripetizioni insieme, giusto? Beh a James non importava molto, visto che in quello stesso istante si trovava con Wanda e qualsiasi posto sarebbe stato perfetto per poter rimanere con lei.
Rimase interdetto, non sapeva cosa rispondere. Se fosse stata un'altra ragazza lui avrebbe trovato subito la risposta adatta ma diciamo che non aveva ancora ben chiaro il motivo per cui non riusciva a dire una sola parola quando si trovava di fronte a lei.
Era strano, non riusciva a spiegarselo.
Solo il tempo gli avrebbe dato le risposte giuste...
"È un complimento?"chiese lui ma Wanda non riuscì a rispondere, interrotta dal bussare della porta di camera.
James fece entrare nella sua stanza una piccola bambina, con dei capelli castani e una maglia rosa sgargiante. Lei corse verso di lui e Wanda guardava la scena parecchio divertita.
"Tu sei Wanda?"la voce piccola di Rebecca la fece sorridere di più e le rispose annuendo.
"Finalmente James si è dato da fare, quella bionda che avevi portato a casa l'altra volta non mi è piaciuta per niente"
Wanda rise e James guardava sua sorella anche lui con un sorriso.
"Ti piace prendere in giro il fratellone?"chiese Wanda alla piccola Rebecca e lei annuì.
"Ehi, io ti sto aiutando! E tu piccolo mostriciattolo, se continui a prendermi in giro non giocherò più con le tue Barbie e i loro mille vestiti"
Gli occhi di Wanda erano fissi sulla scena radiosa e piena di gioia che le si presentava dinanzi agli occhi. Due fratelli che si volevano bene e soprattutto il grande sorriso di James mentre faceva il solletico alla sua sorellina.
Sorriso che forse non avrebbe più scordato, insieme a quegli occhi.
"Okay, okay pace! Sono solo venuta a dirvi che la mamma ha preparato la torta al cioccolato"
"Cioccolato? Sembra essere buona!"disse lei guadagnandosi l'attenzione della piccola Reb.
"Si, il fondente è buonissimo!"disse la piccola scendendo dalle ginocchia di suo fratello.
"Ed anche il mio preferito!"disse Wanda.
"Allora vieni, sarai la giudice della mamma"disse la piccola stendendo la mano di fronte al viso di Wanda e lei si alzò quasi subito.
La seguì fino all'uscio della porta di camera, fin quando non si girò e vide James che la guardava per l'ennesima volta dalla testa ai piedi, estasiato più che mai.
"Tu non scendi?"chiese lei voltandosi e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani.
"Si, si...arrivo subito"disse lui tornando alla realtà dopo un lungo sogno ad occhi aperti.
Chi c'era in quel sogno? La stessa persona che avrebbe voluto per tutta la vita. Ma ancora non sapeva che prima di averla per sempre fra le sue braccia, avrebbe dovuto sacrificare qualsiasi cosa, persino se stesso.
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fairybobsworld · 3 years
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Volpi da Salotto
<<Dottoressa,>> si rivolse l’uomo distintamente vestito alla donna d’innanzi a lui:  <<non so davvero cosa non vada in me.>>. La signora in questione: la sua strizzacervelli Linda Rizzi lo scrutava in volto, priva d’ombra di giudizio o che sia; come d’altronde richiedeva la professione. La psicologa prese il suo tempo per rispondergli; durante i loro incontri, che avvenivano a cadenza quasi settimanale, aveva avuto modo di osservare che il suo paziente non aveva la minima aspettativa sulla terapia e di conseguenza non si aspettava benefici utili o risposte. Non da lei, almeno; Ciò nonostante ascoltava quello che la donna gli diceva e se anche non lo faceva, lo dissimulava abilmente. Linda in ogni caso, preferiva riflettere prima di parlare.
<<Lei è un uomo di successo, é affascinante. Ha una moglie, due figli e perfino una giovane amante di cui nessuno sospetta. Ha la barca che sognava di possedere da bambino quando lei e la sua famiglia facevate fatica a sbarcare il lunario. Adesso non ha problemi di soldi: è ricco, pieno di denaro guadagnato con il suo lavoro. Con cui, tra le altre cose, non ha la benché più misera grana. I suoi genitori stanno bene e risiedono in un ospizio di ottima fama. C’è una domanda, la cui risposta desidero sentire da lei, Giacomo. - s’interruppe, come per ricapitolare a se stessa quanto detto - Perché pensa di essere qui?>>. 
Per qualche secondo, Giacomo Del Gaudio non diede altra risposta se non una nuvoletta di fumo che butto fuori dalle narici. Quest’ultima aveva confuso la sua espressione, altrimenti vuota e stentorea, perciò la dottoressa non avrebbe messo la mano sul fuoco sulla momentanea contrazione di quel viso in preda a chissà quale emozione, che le era parso di vedere dietro la cortina grigiastra.
<<Perché c’è qualcosa che non va.>> disse con decisione. 
<<Per quale motivo lo direbbe?>> Giacomo stentò a credere alle parole della donna: dopo varie sessioni, profumatamente pagate, non si aspettava certo di doverglielo dire lui. Le dita affusolate che tenevano la sigaretta guizzarono.
<<Non lo ha ancora capito?>> .La sicurezza di Linda non vacillò, nonostante potesse ben notare l’irritazione del suo affascinante interlocutore. Improvvisamente l’atmosfera si era fatta tesa. Il suo cliente possedeva l’impareggiabile capacità di fare il bello e il cattivo tempo ovunque andasse, talvolta senza la necessità di aprir bocca. Ciò aveva messo alla prova la sua obiettività durante le prime sedute. Si sentiva incapace di non farsi condizionare. Ma infine si era riavuta e aveva confermato l’appuntamento successivo.
<<Quello che io ho capito, non è rilevante. Voglio sentirlo da lei.>> proseguì sistemandosi più comodamente sulla poltrona rossa sulla quale sedeva tutto il giorno, e a testimoniarlo: i tacchi a terra. Li avrebbe calzati nuovamente solo una volta finiti tutti gli appuntamenti della giornata.
<<Ah, davvero?>>
<<Sì, davvero, Signor Del Gaudio.>>
<<Non provo niente, Dottoressa. Assolutamente niente.>>disse Giacomo, dopodiché prese  l’ennesimo tiro di sigaretta. <<Anzi, in realtà qualcosa la provo.>>si corresse, ma non diede ulteriori spiegazioni.
Linda credette ch’egli desiderasse fosse lei a chiederlo. Decise di non farlo e attese. Più tardi, esaurito il tempo, terminò la seduta e Del Gaudio prese congedo senza aver detto una parola.
                                                                                                                                             …
La professionista Linda Rizzi aveva delle regole. Sebbene le fosse capitato di peccare di disciplina nella sua vita, mai, da quando aveva cominciato ad esercitare il proprio mestiere, le aveva infrante. Inizialmente, quelle frasucce non erano altro che i primi consigli dei professori universitari scribacchiati tra gli appunti. Solo in seguito ne aveva compreso il valore: erano gli ultimi baluardi al confine tra la sua vita e quella altrui. Evitavano che perdesse il contatto con la sua realtà. I docenti avevano provato ad avvisare i loro studenti. Al solito, non c’era stato verso e infine molti tra i neo-diplomati psicologi e psichiatri erano finiti in terapia. Ma non Linda. La donna si era risparmiata i preziosi soldi che le sarebbero costate svariate sessioni con qualcuno dei suoi colleghi. Forse per una sua personale stranezza, magari per altro; investì i suddetti capitali  in scarpe. 
Uno dei comandamenti donati da quegli Dei, di natura decisamente poco celeste, agli studenti era il seguente: “sviluppate dei vostri rituali, qualcosa che segni il momento in cui cominciate a lavorare e staccate la sera: qualunque cosa va bene, l’importante è che lo abbiate e lo pratichiate religiosamente”. Linda lo aveva e le calzature erano alla base della sua routine.  
Ogni mattina si preparava per andare a lavoro indossando dei tacchi, oppure dei sandali, rigorosamente scomodi. Il cui marchio valeva sul mercato molto più della scarpa in se. 
Dopodiché, preso un caffellatte sulla via dello studio, camminava fino a destinazione. Ma solamente una volta entrata dentro la sua stanza e salutata la segretaria avrebbe avuto luogo il vero, immutabile rituale: togliersi i tacchi. Se poi Linda si sarebbe appollaiata sulla poltrona rossa o sullo sgabello nero, insieme ad altre variabili come ad esempio la scelta di un caffè invece del caffellatte (o anche nulla: poteva capitare) sarebbero dipese unicamente dal suo umore. Infine, conclusa la giornata lavorativa li avrebbe rimessi per andarsene. Ciò, che a molti potrebbe sembrare insignificante, scandiva il passaggio da una persona diversa da quella che lavorava nello studio. Il quale occupava l’intera palazzina al numero trentanove di Via dell’Olandese.
Un martedì di gennaio però, per l’esattezza a metà del pomeriggio, accade qualcosa a cui Linda non aveva scioccamente pensato. Di per sé era già inconsueto che la sua giornata lavorativa cominciasse così tardi. C’è da dire, che quando si segue una routine consolidata  non si pensa a una alternativa. Tanto meno ci si figura la possibilità di un cambiamento. Non è dunque troppo corretto dire, che fosse stata una sciocca totale nel farsi cogliere così di sorpresa. Tornando a noi. Il fattaccio fu il seguente: la prima paziente aveva fatto ingresso nello studio prima che lei avesse modo di completare il suo rituale. Mentre rimuoveva la seconda décolleté nera, l’altra era già a terra, Giulietta Croce le aveva dato il buongiorno. Era uso della giovanissima segretaria dello studio, Elisabetta diciannove anni, di far entrare il primo appuntamento della giornata non prima di dieci minuti dall’arrivo di Linda; invece quella volta non erano passati più di due minuti e mezzo. 
La dottoressa, che era rimasta bloccata con una gamba sollevata a mezz’aria e piagata a una scomoda angolazione, si plastificò sul volto un sorriso gioviale e ricambiò il saluto della paziente. Stava nascondendo la bizzarra sensazione che provava di fronte a quella sconcertante variabile. Nonostante per Giulietta non fosse il primo incontro con la sua psicologa, la scrutò attentamente. Naturalmente, non fu capace di cogliere nemmeno uno dei pensieri agitati della donna più grande. Ma niente le impedì di metterla in soggezione con il proprio sguardo. La dottoressa lo camuffò con un secondo sorriso, invitando la ragazzina a sedersi. Giulietta aveva diciassette anni, degli occhi neri talmente scuri da rendere difficile distinguere la pupilla dall’iride e soffriva di tanti malesseri che a Linda non pareva di vedere la fine. Ad ora, rappresentava uno dei suoi casi più complessi. Quel giorno, come gli altri, prese nota sul suo taccuino degli abiti che la giovane indossava. Allo stesso tempo, quella la aggiornava sulle ultime novità. Linda aveva osservato, dopo diverse sedute che il modo di vestire di Giulietta era il maggiore indicatore dell’aspetto della sua personalità che, all’occasione, prendeva il sopravvento su gli altri. Durante quel bizzarro incontro il suo look consisteva in un abbigliamento molto elegante, corredato di gioielli e tacchi alti,  con i capelli raccolti  in una coda bassa e ordinata.  Il suo comportamento era estremamente autoritario e controllato; totalmente diverso da quello che aveva tenuto durante la seduta precedente. Allora Giulietta si era presentata indossando un vestitino a fiori con un collo alto bianco sotto e una borsa di pelle marrone, tenendo i lunghi capelli sciolti; aveva l’aspetto e l’atteggiamento di una ragazzina qualunque. 
A lei, Linda, aveva dedicato un intera agendina, nel quale aveva già illustrato ben nove aspetti o personalità della paziente. Quest’ultima, appena trascritta, sarebbe stata la decima. D’altronde non era ancora sicura della diagnosi di personalità multipla e perciò aveva deciso di mantenere il riserbo anche con i signori Croce. Nel frattempo Giulietta aveva terminato di parlare e aspettava che la dottoressa le ponesse la domanda successiva. Le chiese come stesse. Le labbra della ragazza si tesero scoprendo i denti in un sorriso maniacale. 
<<Benissimo, Linda.>> La donna ricambiò senza problemi quell’ inquietante ghigno con un sorriso smagliante. 
<<Ah, sì?>> 
Giulietta era una superba bugiarda ed era capace di riconoscerne un’altra con certezza meccanica. Per quanto poco ortodosso fosse: era proprio quello il motivo per cui si ritrovava così a suo agio con la Dottoressa Rizzi. Una bugiarda che discuteva dei propri problemi con una sua pari. Inoltre mentire e riuscire a fregarla avrebbe richiesto un impegno insensato, vista e considerata la sua posizione. Dunque non si può certo credere che lei avesse tirato fuori quella gigantesca menzogna per essere presa sul serio. Durante una seduta qualunque la strizzacervelli le avrebbe dato più corda, ma proprio a causa della fastidiosa interruzione del suo rito: non si sentiva dell’umore. Era guardinga e giustamente diffidente.
<<Non dire puttanate, Giulietta.>> Oltretutto, come si può ben constatare, anche la donna si trovava più che a suo agio in compagnia della ragazza date certe licenze. In un secondo, il sorriso di Giulietta si spanse ancora, tanto da farle male. 
<<In sala d’attesa ho avuto modo di conoscere una signora adorabile.>>
E Linda sapeva esattamente chi fosse.
                                                          ***
Nel marzo dell’anno precedente era stata assunta Elisabetta. Un giorno, mentre la giovane si preparava una tazza di te nell’ angusta cucinetta dello studio, ricevette una chiamata al suo numero privato. Sulle prime stava per rispondere ma poi, dopo essersi chiesta se fosse il caso di intrattenersi al telefono durante l’orario lavorativo; aveva lasciato cadere la linea. La giovane segretaria era sicurissima di non voler perdere di serietà; dopo solo poche settimane dall’ inizio del suo primo lavoro tra l’altro! Per fortuna, la curiosità era sempre stata il suo punto debole e certamente non la sua più grande virtù. Fosse stato altrimenti molte delle cose avvenute in seguito non avrebbero avuto luogo. Stuzzicava la propria curiosità ipotizzando il motivo per cui l’avevano chiamata.  Passarono giusto un paio di minuti prima che cadesse in tentazione e richiamasse.
<<Pronto?>> e si affrettò nell’aggiungere che stava lavorando, di fare in fretta. Sperava che qualcuno l’avesse sentita, più per paura di essere rimproverata in caso l’avessero sorpresa al telefono che per non perdere tempo. Erano ore che non aveva nulla da fare. 
Dall’altra parte della linea stava il suo fidanzato. 
<<Scusami, Eli, lo so. Avrei chiamato al numero dell’ufficio, ma dato che sei la mia ragazza ho pensato fosse indifferente.>>  Il tono del ragazzo era serio e pensieroso come poche volte lo aveva sentito.  Allora Elisabetta scherzò un po’ per alleggerire la situazione. 
<<Perchè? Vuoi andare in terapia? Oppure mandarci me?>> chiese e si rinfrancò nel sentirlo ridere.
<<In realtà, vorrei mandarci mia nonna Marzia.>> Ora fu il turno di Elisabetta di farsi una risata. Ovviamente non l’aveva preso sul serio. Ella pensò all’anziana signora dall’aria fragile e serena che aveva incontrato in occasione di un pranzo con la famiglia di Luigi. Appena presentate, le due avevano intavolato una bella chiacchierata di mezz’ora su i suoi cinque gatti. E avendo ormai lavorato allo studio per un po’ e osservato il via vai di pazienti, non sapeva proprio cosa potesse avere in comune con tutti quei malati quella simpatica donnina .
<<Elisabetta,>> la interruppe Luigi <<non ti sto prendendo in giro.>>.
La ragazza, stupita, emise un verso incomprensibile.
<<Per favore, potresti prendere appuntamento con uno dei professionisti del tuo studio? Non ti chiederei questo favore se non fosse necessario.>>. La segretaria acconsentì e dopo pochi minuti chiuse la telefonata con il ragazzo.  Ora non le restava che decidere a quale tra i suoi capi chiedere l’appuntamento. I dottori che lavoravano allo studio erano tre: Luca Fiesoli, Matilde Vasari e Linda. I tre andavano d’accordo tra loro, nonostante fosse raro che s’incontrassero tra una seduta e l’alta. Capitava spesso che mentre uno psicologo usciva da una stanza, l’altro si fosse appena chiuso la porta alle spalle. La loro era una convivenza estremamente silenziosa. In tutto questo, Elisabetta si sentiva spesso spettatrice del loro quieto vivere, tra the e tisane a tutte le ore del giorno e un flusso ininterrotto di pazienti. Tale sensazione la provava, in segreto, per una seconda ragione: origliava le sedute.  La curiosa Elisabetta non lo faceva intenzionalmente, per quanto assurdo sembri considerato quel suo viziaccio.  Per una bizzarra coincidenza, l’esatta ubicazione della sua scrivania, tra la sala d’attesa e le stanze dei medici, era l’unico punto in tutta la palazzina in cui era possibile sentire quanto accadeva negli altri punti della casa. Ebbene quel ventisette marzo, la neo-assunta segretaria origliò con maggiore attenzione del solito agli appuntamenti della giornata.
La scelta era infine ricaduta su Linda Rizzi. Elisabetta era sicura che la gioventù e intelligenza della Psicologa in questione, appena ventottenne, avrebbe fatto colpo su Nonna Marzia. Linda aveva accettato senza problemi. Ciò nonostante Eli restava un po’ nervosa, sperava di aver preso la decisione migliore. 
Il giorno della seduta tanto temuta, la ragazza non si sentì minimamente in colpa a tendere spudoratamente l’orecchio. Senza contare che il suo fidanzato non le aveva nemmeno accennato alla natura del problema. Per questo motivo Elisabetta rimase allibita da quanto sentì.
<<Buongiorno Signora. Io sono la sua nuova psicologa, Linda Rizzi.>>
<<Buongiorno a te cara, ti prego dammi del tu!>> poi <<chiamami Marzia.>>
Evidentemente Linda ignorò il la richiesta.
<<Allora mi dica qual è il problema. Elisabetta non mi ha dato alcun informazione specifica riguardo al motivo per cui è qui.>>
<<Ovvio, cara. Non ne conosci il motivo.>> <<Non sai cosa faccio.>>
<<E cosa fa?>>
<<Oh, cielo! Sono così eccitata. Non sono mai stata dallo psicologo in tutta la mia vita. Ci credi? Oh! Cosa devo dire adesso? Come cominciare…>>
<<Ehm. Ad esempio potrebbe rispondere alla domanda precedente.>>
<<Oh sì, sì. Cara hai assolutamente ragione.>> Dopodiché si udì solo silenzio per un paio di minuti.
<<Marzia.>>
<<Oh, giusto, anzi giustissimo. Quasi dimenticavo: pianifico omicidi.>>
A Elisabetta cadde la tazza dalle mani.
Ora il gentile lettore, si chiederà il perché non sia qui raccontata la bizzarra, primissima seduta dell’anziana Signora Marzia. É obbligo dell’autore precisare che ai fini di questo elaborato la trascrizione di quanto avvenuto nel resto di quell’ora e mezza è inutile. Dunque si passerà direttamente all’incontro tra le due donne, dopo l’appuntamento di Giulietta quel martedì otto gennaio. La cui restante parte rimane sconosciuta per la mancanza di ulteriori appunti.
                                                                   ****
Scostando con una mano le tende color terracotta, Linda osservava dalla finestra la ragazzina uscire dall’edificio. Nella stanza di Linda entrò a passo claudicante l’anziana donna. 
<<Buonasera.>> la salutò scostandosi dal vetro. Linda si sentiva esausta, quello era il suo ultimo incontro della giornata;  sperava passasse in fretta. 
La signora Marzia Lombardo era finita in terapia quando del suo passatempo preferito, ossia immaginare e pianificare la morte delle persone, era venuto a conoscenza il nipote Luigi. 
Per tutta la vita Marzia aveva, per così dire, tenuto sottochiave il suo segreto, trascrivendo le sue fantasie su quaderni e diari. L’idea di metterle per iscritto era stata della madre della donna. Sara Franceschini in Lombardo, dopo la prima volta che l’ adorabile pargola aveva descritto la sua fine nei minimi particolari, aveva provveduto ad educare la figlia Marzia a dissimulare questa peculiarità. 
Fu un’assurda casualità che, il più giovane dei nipoti della signora trovasse un intero scatolone con i suoi scritti mentre rimetteva in ordine il seminterrato. Lette un paio di pagine da ogni quaderno, l’uomo era rimasto a dir poco sconvolto. Infine con uno scopo abbastanza ridicolo, probabilmente quello di curare la Nonna, l’aveva spedita dallo psicologo.
 Ciò che lasciava Linda interdetta era il fatto che l’uomo pensasse davvero che un paio di sedute di psicanalisi avrebbero potuto far smettere la signora. La quale, per essere precisi, aveva scritto e riscritto uccisioni violente e pacifiche, cruente e meno, senza sosta per più di settant’anni. Nonostante, Linda riconoscesse che questo fosse un comportamento ben poco consueto,  era sicura che l’unica cosa che servisse alla vecchia signora fosse carta. Tanta, tantissima carta e una penna. Niente più, niente meno. Accomodatesi entrambe, con  la strizzacervelli appollaiata sulla sua poltrona rossa, la seduta ebbe inizio. 
<<Allora, che mi racconta?>> chiese. E Marzia, come se non aspettasse altro, si lanciò in un racconto dettagliato e noiosissimo su qualche eccezionale evento occorso durante la recita del rosario. La professionale Linda finse con gentilezza di interessarsi al discorso. Ogni tanto anche lei si meritava una pausa, pensò Elisabetta, sentendo involontariamente spezzoni dello sproloquio della nonna del suo fidanzato. Sebbene fosse toccato alla giovane segretaria sorbirsela per ben due ore, prima della seduta, dato che il suo fidanzato non avrebbe potuto accompagnarla più tardi.  Ahh, cosa non si fa per amore? 
Dopo all’incirca trenta minuti, Linda, annoiata oltremisura, decise che era venuto il momento di guadagnarsi i suoi ottanta euro di seduta.
<<Quindi che mi dice delle sue fantasie?>> interruppe. 
<<Oh sì! Mi ero dimenticata di raccontarle che ne ho avuto una nuova poco fa.>> esclamò la vecchina agitandosi sulla seduta, sembrava incapace di stare ferma.
<<Riguardava per caso una ragazza in sala d’attesa?>> Linda non era particolarmente entusiasta dell’incontro tra Marzia e Giulietta. Non era auspicabile che i pazienti s’incontrassero. L’altra confermò felice.
 <<Desidera carta e penna? Così poi me lo può raccontare.>> propose ugualmente cortese.
La Lombardo annuì febbrile. Linda l’armò di foglio, penna e un libro da usare come piano. La vecchia scribacchiò per dieci minuti. A ritmo batteva i piccoli piedi sul tappeto. Messa a punto la stesura del suo macabro scritto, Marzia, senza perdere tempo in riletture, le ripassò il foglio. Lo sguardo  di Linda scivolò lungo il fitto corsivo. Constatò tra sé che quella lettura fosse straordinariamente incalzante. Se la signora avesse sfruttato questo suo talento,  probabilmente avrebbe potuto fare concorrenza ai grandi miti del genere thriller, Linda ne era certa. 
Anche se, non era frequente che Linda avesse modo di leggere delle i racconti della donna, questa capì fin dalle prime righe, che qualcosa era differente. E pian piano che la narrazione si dipanava ne ebbe la certezza. Rimase un momento in silenzio, internando ciò che aveva letto. La storia riguardava Giulietta in tutt’altro modo.
<<Quindi la vittima non è lei.>> .
                                                           ***
Infine, aveva lasciato che Marzia divagasse in considerazioni e particolari per il resto della seduta. La psicologa aveva ascoltato, pensierosa. La stanchezza stava prendendo il sopravvento su Linda e lei non aveva le forze di combatterla. 
Ormai erano passati almeno venti minuti da quando Elisabetta l’aveva lasciata sola nel suo studio. La ragazza doveva accompagnare Nonna Marzia a casa. Mentre i suoi colleghi avevano staccato almeno due ore prima. Avrebbe dovuto chiudere lei. 
Invece, era ancora seduta sulla sua poltrona rossa e guardava fuori dalla finestra. Si era fatto buio. La vecchia aveva dimenticato di portare via il foglio. O magari lo aveva fatto apposta. In ogni caso Linda  lo aveva ripiegato e infilato nella cartella della paziente. Aveva fatto tutto religiosamente senza scarpe: alzarsi, prendere la cartella dal cassetto della sua scrivania e riporla al proprio posto; poi era ritornata sulla poltrona. Nonostante fosse stremata da quella strana giornata, non si sentiva pronta ad abbandonare il personaggio. Scosse lentamente il capo e dei ciuffi biondi sfuggirono dalla coda, incorniciandole il viso. Linda lanciò uno sguardo alle décolleté  nere a terra. Non era ancora giunto il momento. Con i pensieri per aria, si diresse in cucina. Armeggiò con un pentolino e scaldò dell’acqua. Ultimamente, nella sua vita privata c’era stata calma piatta, e forse era per quello si disse, che ogni minima variazione avrebbe potuto sembrarle enorme. Ancora ci rimuginava su. Giulietta sarebbe dovuta entrare sette minuti e mezzo dopo e sarebbe dovuta essere la vittima. Eppure. Eppure… 
La strizzacervelli bevve la sua tazza di the e tornò nella propria stanza. Poco dopo infilò i tacchi e indossò il cappotto verde scuro. Uscendo spense tutte le luci. Per finire, Linda si chiuse la porta dietro le spalle e diede una doppia mandata con le chiavi argentate.
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pangeanews · 5 years
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“Ho vissuto innumerevoli epoche, forse è la fine dei tempi. Nell’attesa, faccio esercizi di flessione”: per i 25 anni dalla morte di Eugène Ionesco (e chi se lo fila più?)
Non se ne parla, il suo nome sigilla con catena doppia ciò che è passato. Nonostante la doppia ricorrenza rotonda – 110 anni dalla nascita e 25 dalla morte – non sento risuonare ovunque il nome di Eugène Ionesco. Forse non va più neanche in scena. Eppure, se vogliamo stare in tema, quest’anno sono anche i 60 anni da Il rinoceronte, che è, insomma, l’opera emblematica, insieme al ‘Godot’ di Beckett, del secondo Novecento. Devo dire che neppure editorialmente di Ionesco c’è più molto, in Italia: i volumi Einaudi del Teatro completo risalgono al 1997, poi chi si è visto si è visto, anzi, chi l’ha più visto? Come se ci fossimo stancati di pensare.
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Ionesco, infatti, quando la Romania era il cuore dell’inquietudine, il diamante nero dell’Europa, un cristallo, è uno che pensa, che solleva l’ultima scaglia di contraddizione che sta nell’uomo, è uno che va a fondo, per questo è insopportabile. Certo, è strano. L’uomo ustionato dalla sorda assurdità dell’esistere, avo al vigore del nulla – negli anni della Seconda guerra lavorò all’ambasciata rumena sotto Vichy – divenne accademico di Francia e osannato da mezzo mondo. Ora è roba assurda, nell’assuefazione al noto, pure lui.
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In una intervista televisiva del 20 luglio 1990, rilasciata a Gabriel Liiceanu, Ionesco spiega molto di sé parlando di Cioran. Dopo aver rodato i suoi rovelli biblici (“Nasciamo, cresciamo in forza, in bellezza, e a poco a poco arriva il crollo ed eccoci tutti zoppi, brutti, fragili… come è possibile questo, come è permesso e perché?”), medita sull’amico. “Cioran ha la fortuna di avere qualcosa che lo tranquillizza, lo rappacifica, ed è la bellezza del suo stile. Il mio stile non è bello e non mi è di alcun aiuto. Mi ripeto con orrore che morirò. Mi ripeto, con infinita angoscia, che mia figlia, mia moglie moriranno, e senza scampo: si può fare qualsiasi cosa, ma non c’è scampo. Allora mi rivolgo non certo a Dio, ma a Gesù Cristo che è mio fratello e, quindi, più vicino a me. È Lui che invoco, è Lui che interrogo, però nemmeno Lui mi risponde”. Dopo una corretta osservazione stilistica sull’opera di Cioran – “ha letto molto più di me… in tutti i libri di Cioran si ritrova qualcosa dei testi gnostici del III secolo dopo Cristo” – Ionesco mette in dubbio la sincerità dell’amico: “Non credo che Cioran sia sincero del tutto… è mio amico, parliamo spesso, ma non credo nella sua totale sincerità”. L’intervistatore arguisce, “Sembrerebbe un’angoscia più artificiale, più finta”. Ionesco ammette, “Sì, grazie alla pratica stilistica”. Eppure, l’angoscia ‘con stile’ fanno di Cioran il più presente, urtante, abbagliante dei filosofi oggi.
*
Dalla discarica dell’oblio c’è un libro fondamentale di Ionesco. Un libro in cui la tensione di Cioran, in qualche modo, trapassa nel verbo più docile, meno caustico, di Ionesco. Il libro s’intitola L’assurdo e la speranza, è pubblicato nel 1994 da Guaraldi, raccoglie le testimonianze ultime del grande drammaturgo rumeno: frammenti, aforismi, confessioni, dal 1987, non intese alla pubblicazione, dunque, pezzi di palpebra, archi di muscolo, ginocchia; poi l’ultima intervista e gli ultimi articoli, pubblicati su Le Figaro. Negli articoli, con disarmata lucidità, Ionesco parla della vecchiaia. “Sono infuriato. Me l’aspettavo. O forse non me l’aspettavo nemmeno. Mi aspettavo di avere i capelli bianchi, un bastone che mi aiutasse a camminare, ma non mi aspettavo e non mi aspetto tuttora un possibile cedimento intellettuale”. Parla, con spregiudicato candore dell’unica cosa di cui occorre parlare, della vita, della morte. “Si nasce per morire, si muore per essere. Il paradiso, il luogo in cui non esiste la morte: il luogo in cui tutto è essere, vita eterna in cui tutto è. Qui, per andare verso la fine. Si nasce, si cresce, si vive, tutta la natura vive e precipita incredibilmente verso la morte, verso ciò che non esiste più… Si dice, d’altronde, che tutto ha una fine. È il contrario, si muore per nascere… L’agonia: dolore della nascita?”.
*
“Ecco la cosa più importante che ho fatto nella vita: invecchiare”, questa è l’ultima parola pubblica di Ionesco, in un articolo dal titolo emblematico, Il mio passato si è allontanato da me. Che maestria nel niente, che sfoggio di sfoghi. Apparsa su un quotidiano – sotto gli occhi di decine di migliaia di francesi. Nei bar, in coda, per strada, nel salotto.
*
Ecco un florilegio di pensieri di Ionesco, a cui ogni tanto mi riparo, li trovo corroboranti:
“Ma non è di questo che si tratta, è l’esistenza, tutto ciò che è, che esiste, che è esistito (da così tanto tempo esistito): è inaudito, inaudito, inaudito. Il mondo, il non mondo, l’altro mondo immenso, enrome stranezza, calamità!”
“La strada verso Dio è sicuramente semplice e diritta. Bisogna saperlo. Bisogna saper dimenticare le parole. Io, però, volto le spalle a Dio, lo cerco nei miei smarrimenti, attraverso le parole, attraverso un guazzabuglio di… È nel mio cuore, ho scordato perfino la strada del cuore. Per arrivare a Dio, bisogna dimenticare tutto, dimenticare anche che lo si sta cercando? Non si deve parlare, non si deve parlarne e io non faccio altro che questo. Bisogna parlare di traverso”
“Dico a mia moglie: Non poter camminare, avere il male addosso, mi rende la vita ripugnante. Non ne capisco più il senso né la necessità. Per quale ragione posso vivere? Rodica mi risponde: Ma per amarmi. Una parola sola e tutto nel mio animo cambia, vado a riscoprire il senso della vita: l’amore. All’improvviso capisco ciò che avevo dimenticato: la vita è fatta per amare, ecco il suo vero significato”
“Non so né come né perché, ma mi sento prendere da una specie di folle gioia. Attraverso la tristezza, questa gioia luminosa… Ma di notte queste gioie non ci sono. Dopo aver recitato la mia preghiera a un probabile Dio ricado nell’angoscia, nella paura della fine, i dolori e l’angoscia, ancora l’angoscia. Le mie notti sono atroci… Le mie notti sono interminabili e spaventose”
“Non so dire se siamo o meno alla fine dei tempi. Il fatto è che tutta la storia è apocalittica… A me pare proprio di essere alla fine dei tempi. Secondo San Giovanni, l’Apocalisse può arrivare anche oggi o domani, molto presto insomma. Nell’attesa faccio esercizi di flessione e cammino con il mio fisioterapista. Oggi è andata abbastanza bene”
“Mi ero ripromesso di scrivere alcune cose, ma ho già dimenticato quel che avrei voluto dire”
“Come è sempre stato, anche se ora mi sembra un po’ di più, questo sguardo su di me, sugli altri, sul mondo, sul cielo, stellato, per miliardi e miliardi di volte: ‘cos’è, cos’è, cos’è questo?’. Il mondo mi appare ancora irreale, tranne quando soffro… Da ogni parte la domanda, la domanda, l’interrogativo senza possibile risposta mi assilla da ogni parte… La gente si abitua all’incomprensibile, io non riesco ad abituarmi da anni e anni, dai lunghi, numerosi secoli che ho vissuto”
“Sono nato da tanto, tanto tempo. Sono nato da così poco, così poco tempo. Come ho detto, ho vissuto innumerevoli epoche e non le ho vissute. E ho dimenticato tante cose. C’è un significato?, si domandano i filosofi. C’è un significato?, mi chiedo, a mia volta. Soffro per essere stato punito? Comunque sia, niente, niente di buono nella mia vita”
“Il leone o la tigre che saltano nel cerchio di fuoco, si chiedono qual è il significato della vita?”
*
Mi guardo il viso, per capire se ho nitore di tigre, ma forse è la Romania, il cerchio di fuoco, l’accerchiamento. (d.b.)
L'articolo “Ho vissuto innumerevoli epoche, forse è la fine dei tempi. Nell’attesa, faccio esercizi di flessione”: per i 25 anni dalla morte di Eugène Ionesco (e chi se lo fila più?) proviene da Pangea.
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One shot a caso
Percabeth, Eye Color AU, sin dalla nascita i personaggi vedono in bianco, nero e il colore degli occhi del proprio soulmate e una volta che lo incontrano riescono a vederli tutti.
Percy's pov
Ho sempre avuto la paura di non conoscere nessuno, di rimanere per tutta la vita da solo, o peggio, di morire prima di conoscere la mia anima gemella.
Per me il mondo è in bianco e nero.
Odio sentire gli adulti parlare della loro visione, loro parlano di varie sfumature di vari "colori", li chiamano così, molti dicono di amare il colore delle foreste, altri quello del mare. Ma per me hanno lo stesso colore.
Sono sempre stato affascinato dalle tempeste però, per me loro avevano diverse sfumature, erano turbinii di sfumature, mia madre era preoccupata per via del mio amore per loro.
Comunque sia tutto cambia, il mio cambiamento comincia con le scuole superiori, ero con un nuovo gruppo di persone ed ero accettato da queste, ciò mi rendeva molto felice.
I mesi vanno avanti, per me il mondo è ancora in bianco e nero; gli ultimi tempi sono riassumibili con la parola "tardi", raggiungo finalmente i sedici anni, età a cui normalmente i giovani hanno trovato la loro anima gemella, ma io continuo a non vedere i colori, mi sto rassegnando, Ella, una mia compagna di classe, scopre i colori durante la mia festa di compleanno, quando incrocia lo sguardo del mio Fratellastro, Tyson, e me li descrive come qualcosa di spettacolare, mi parla di come il mondo si tinge di varie sfumature, che a loro volta cominciano a rappresentare emozioni e così via.
Arriva il dicembre, e con esso un'intuizione: tutti dicono che, prima di vedere i colori, percepivano il mondo in tre tonalità che chiamano "bianco", la più chiara, "nero", la più scura, e aggiungono un nome in più che per tutti è uguale a quello degli occhi del proprio amore; io non riesco a distinguere assolutamente questo terzo "colore" però riesco tranquillamente a distinguere gli altri due, ciò significa che non conoscerò mai la mia anima gemella, rimarrò sempre solo. Questo pensiero mi tormenta e mi rattrista ma, per il mio diciassettesimo compleanno l'ho ormai assimilato e ci ho imparato a convivere.
Passano anni e, dopo il mio diploma, mi trasferisco in un'altra città per studiare biologia marina. La conosco altre persone e mi ritrovo a condividere un appartamento con un paio di ragazzi che sono le persone più simpatiche e gentili che abbia mai incontrato: Jason, un ragazzo che sta studiando psicologia in un università vicino alla mia, e Piper, la sua ragazza che invece studia in cinematografia, per pagare l'affitto lavoriamo tutti e tre. Io ho deciso di andare a lavorare in un bar vicino al mare che, nonostante il freddo, è molto affollato e mi piace ogni giorno incontro molte persone diverse e, quando non mi devo occupare dei clienti, mi piace parlarci e farmi raccontare le loro storie, alcuni hanno storie pazzesche come Frank, il ragazzo che incontrò la sua anima gemella durante un seminario sul panda gigante cinese, quando lei sbagliò stanza ed entrò nel seminario sbagliato, più tardi scoprirono che lei doveva andare ad un seminario sul taglio delle gemme, altri, invece, avevano storie più semplici, simili a quella di Ella e Tyson.
Tutto va per il verso giusto fino a quando un giorno, andando verso la mia università sbatto contro un palo, e, perso l'equilibrio, cado verso la strada sbattendo la testa sullo specchietto di un'auto che andava verso il bar dove lavoravo.
A quel punto fu tutto nero.
Mi sveglio su un lettino di ospedale quando la luna era alta in cielo, spero di non aver dormito troppo, con un paio di bende sulla testa e un enorme mal di testa. Non c'era nessuno accanto a me, i miei genitori si sono trasferiti in una casetta appartata in montagna dopo la mia dipartita, premo allora il pulsante per chiamare un infermiere.
Poco dopo entra nella mia stanza un medico, si presenta e afferma di chiamarsi Will Solace, dopo di che molto pacatamente mi spiega cosa mi è successo, in pratica lo specchietto mi ha causato un trauma cranico e alcuni pezzetti di vetro che sono scoppiati all'impatto mi hanno causato delle cicatrici sulle spalle, ma comunque sia tutto si è sistemato nel modo migliore. Mi spiega inoltre che tramite i miei coinquilini sono riusciti a tracciare i miei genitori, che provvederanno ai pagamenti, inoltre dovrò rimanere per una settimana o più in ospedale per stabilizzati e dopo potrò essere dimesso. Pensavo fosse andata peggio quindi prendo un respiro e sprofonda nel cuscino, potrò approfittarne per passare un po' di tempo da solo a rilassarmi, cosa alquanto rara da quando ho iniziato l'università.
Mi sveglio la mattina dopo, dato che mi sono addormentato in modo sorprendentemente veloce per via della stanchezza emotiva, per via dell'infermiera che passa distribuendo la colazione. Qui incontro Hazel, la signora con cui condividerò la stanza, e, non avendo molto di meglio da fare, mi ci metto a conversare, vengo a scoprire che lei è in ospedale per via di un masso che la ha travolta, ma dal quale è uscita quasi incolume, solo un braccio e una gamba rotti, che è una amante delle gemme e che lei è suo marito si sono incontrati durante un seminario, allora le chiedo se suo marito andava spesso nel locale in cui lavoravo io, e lei mi risponde di sì, dunque, dopo aver fatto due più due, concludo che suo marito è Frank e che allora c'era un motivo al fatto che nei giorni precedenti lui non era venuto a bere come al solito al nostro bar, che viene spesso nel mio locale e quindi le dico che lo conosco abbastanza bene e che mi fa  piacere fare la sua conoscenza. Le ore passano tranquille tra una chiacchierata e l'altra con la signora Zhang, fino a quando poco prima di pranzo entro nella mia stanza il dottor Solace seguito da quelli che, presumibilmente, sono studenti di medicina. Il dottore descrive ai suoi studenti la mia situazione e mostra loro alcune cartelle e, dopo averle lette per un paio di minuti loro lo guardando, aspettando una sua affermazione, una ragazza in particolare attrae la mia attenzione, ha i capelli chiari, lunghi e ricci, la pelle pallida e la fronte corrugata mentre guarda la cartella; il dottore chiede dunque se ci fosse qualche stranezza e, dopo qualche silenzio la ragazza risponde, la risposta era l'assenza di informazioni riguardo le condizioni della mente del paziente, cioè me, dopo l'operazione. Il professore con uno sguardo soddisfatto conferma il dubbio della ragazza e spiega che la sezione è vuota dato che il paziente si è appena svegliato, e in quel momento fu come se gli studenti si fossero appena accorti della mia presenza, tutti alzano lo sguardo dalle cartelle verso di me e in quel momento parte un flash, per qualche istante vedo solo bianco e dopo di che capisco a cosa si riferivano i miei amici quando si riferivano all'esplosione di colori, finalmente li vedevo, il cielo era di un colore bellissimo, affacciando i salma finestra ho visto per la prima volta il sole, ero euforico, non capivo bene a cosa stesse succedendo, incantato com'ero dalla vista che avevo davanti, mi giravo come un rimbambito davanti agli studenti che non capivano cosa stesse succedendo, avevano tutti una faccia preoccupata per e si girarono verso il dottore che invece capiva perfettamente cosa fosse successo e propose ai tirocinanti di uscire dalla stanza, la scolaresca si mosse, cogliendo di sorpresa la ragazza dai capelli chiari che prima aveva risposto, che era rimasta imbambolata guardandomi, nei suoi occhi riconoscevo una sfumatura a metà tra il bianco e il nero, una sfumatura che ho sempre visto.
Era lei, doveva essere lei.
Prima ancora però di poter dire la minima parola lei si dovette allontanare dal mio letto per andare a seguire i suoi compagni. Lasciandomi lì, con la signora Zhang, ancora stupito e con la mandibola che per poco non si staccava dalla mia bocca.
Non appena la porta si chiuse la signora Zhang cominciò a ridacchiare, e una volta notata la mia faccia stupita mi disse che la prima vita che è stata vista da sua marito, lui aveva fatto la stessa faccia, ed era onestamente una bella sensazione vedere qualcuno scoprire i colori.
Passammo il tempo a nominare i colori che si vedevo nella stanza, lei rispondeva tranquillamente, e quando le descrissi il colore degli occhi della ragazza dai capelli chiari lei ci ragionò un po' su e se ne uscì con un nome: grigio, la sfumatura particolare di quel grigio dovrebbe essere chiamata grigio tempesta ma lui non aveva modo di sapere se fosse proprio quella o una simile.
La giornata procedette normalmente fino alle quattro di pomeriggio circa, quando un dottore entrò e comunicò alla signora Zhang che presto l'avrebbero dimessa e che suo marito stava venendo a prenderla con i suoi vestiti, lei era felicissima, e quando signor Zhang arrivò nella stanza ci misero qualche minuto a mettere i vestiti per via dei voluminosi gessi che la donna aveva sulla parte sinistra del corpo, ma dopo aver finito tolsero le tendine che coprivano la coppia mentre si cambiava e se ne andarono augurandomi di dimettermi presto.
Arrivò dunque l'ora delle visite, Jason e Piper sarebbero arrivati tardi per via dell'università e i miei genitori mi hanno chiamato per dirmi che non sarebbero potuti venire per via di un guasto alla macchina, quindi mi misi sdraiato e cominciai a pensare a quello che era successo quella mattina, passò una mezz'oretta quando inaspettatamente la porta della mia stanza si aprì, era lei, la ragazza dagli occhi tempestosi, si presenta, Annabeth Chase è il suo nome, e mi porge un pacchettino bello incartato in una scatola di un  colore misto tra l'azzurro e il verde, la poggio sul lettino davanti a me e mi metto a sedere, le dico scherzosamente che non c'è bisogno che io mi presenti dato che lei sa già il mio nome e lei ride a quella battuta, la faccio sedere accanto a me e cominciamo a parlare di noi stessi, scopro che lei viene dalla campagna ma si è trasferita in questa città dato che il colore del mare, nonché quello del pacchetto ora che me lo fa notare, era il più bello che lei aveva mai visto e mi dice che non aveva mai visto una persona con gli occhi del mio stesso colore, cosa di cui io non sapevo cosa dire visto che i suoi, prima di vedere i colori, erano proprio gli occhi che vedevo in tutti. Continuiamo a parlare per un po' di tempo e vengo a scoprire che anche lei è qui senza i suoi genitori, dato che loro preferirono rimanere nella casa dove lei era cresciuta. Si continua a parlare del più e del meno per un po' di tempo e più lei parlava e più mi innamoravo di lei, era bella, capiva il sarcasmo, intelligente e non se ne fregava del suo aspetto fisico, caratteristica che in una ragazza reputo sempre molto importante.
Lei mi propose di scartare il libro che lei mi aveva comprato, diceva che grazie alla mia cartella era riuscita a rintracciare i miei coinquilini a cui aveva raccontato quello che era successo e loro le avevano consigliato il libro da prendere, il che era un'impresa ardua per via del fatto che io non fossi proprio un topo da biblioteca, ma quando scartai la carta da regalo trovai una cosa che mi sorprese parecchio: un libro di cucina, stranamente in tutte le ricette c'era un rimando al colore blu, sia nei titoli che nella composizione attuale della ricetta. Solo poche persone sapevano della mia ossessione per il cibo blu, alcune di queste erano Jason e Piper, il che indica che lei non può aver tirato un numero a caso e aver preso perciò questo libro perciò deve aver trovato davvero i miei coinquilini, ciò da una parte mi inquieta ma dall'altra mi intriga, mi complimento con lei per la scelta e le chiedo ancora come ha fatto a sapere quale libro scegliere; la risposta arrivò dall'uscio della porta, Piper e Jason stavano lì e dissero di essere stati loro.
Non mi ero mai accorto di quanto fossero attraenti entrambi fino a quel momento, Jason aveva i capelli gialli, ah no Hazel mi ha detto che per i capelli si dice biondi, ma più scuri di quelli di Annabeth, e gli occhi azzurri come il cielo, non mi stupisco che Piper si sia innamorata di lui, mentre Piper era ancora più spettacolare, i suoi capelli erano di quel marrone che gli faceva venire fame, quando non vedeva i colori il cioccolato e i suoi capelli avevano lo stesso colore, e i suoi occhi, Dio i suoi occhi, erano un misto di tanti colori, principalmente verdi  ma in alcune parti marroni e in altre azzurri, in alcune parti di quest'ultimi si poteva anche intravedere del viola, mi cominciai a chiedere se Jason prima vedesse solo un colore o i trecentocinquantacinque  che appaiono negli occhi di Piper.
Quando loro mi fecero accorgere della loro presenza dissi "Ragazzi, vi presento Annabeth, la mia anima gemella!"
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francescafiorini · 3 years
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James Blake pubblica oggi il suo nuovo album, “Friends That Break Your Heart”
James Blake pubblica oggi il suo nuovo album, “Friends That Break Your Heart”
“Un’eccellente vetrina dei doni di Mr. Blake, che secondo le prove qui rimangono intatti una dozzina di anni nella sua tortuosa carriera”. – The Wall Street Journal   “Il suo lavoro più bello fino ad oggi” – DIY Magazine   “Pochi artisti possono rendere così bello il suono del cuore spezzato, pur riflettendo su tutta la sua stranezza e complessità”. – The Independent JAMES BLAKE ESCE OGGI IL…
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trytobenomoresad · 6 years
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Nel mio letto c'è M. da un po'. Ci eravamo già presi l'anno scorso, ma io ero ancora dentro a P. fino al collo e mi ero presa una sbandata per lui solo per la somiglianza.
Poi M. si rivelò la persona meno compatibile alla mia personalità e per un po' avevamo perso i contatti, lui mi aveva persino bloccata.
Dopo di lui ci furono solo cose insignificanti.
Almeno fino a quando è arrivato Tizio. Tizio non si chiama Tizio.Tizio è un'altra P., una di quelle a cui sono condannata nel bene e nel male.
La prima volta che uscimmo insieme io non ero nemmeno troppo convinta di volerlo vedere e lui mi fece aspettare 20 minuti.
Non dimenticherò mai la sua faccia tesa appena si rese conto di quanto ero incazzata.
"Di solito sono gli altri che aspettano me." Non riesco mai a nascondere nulla.
Lui mi rispose, sempre teso: "Ogni tanto è buono che qualcuno ti faccia provare cose diverse da quelle che provi di solito."
Che paraculata, una delle sue solite. Ma paraculata dopo paraculata riuscì a farmi sciogliere, a farmi sorridere e smise anche lui di stare seduto come se avesse un cuscino di chiodi sotto il culo.
E quella paraculata si rivelò vera, ha stravolto tutto ciò che "di solito" c'era.
Sei anni in cui di solito ogni uomo veniva messo a paragone con Pietro.
Sei anni in cui di solito ogni volta tornavo piangendo da Pietro dicendogli che era lui l'unico.
Sei anni ferma a Pietro senza nessuna voglia di trovare altro. Sei anni senza nessuna speranza di trovare altro.
Lui con le sue paraculate e la sua infinita stranezza mi ha disincagliata e mi ha fatta tornare a galla. Ho respirato e ogni attimo con lui è stata felicità e spensieratezza anche se capitava in un periodo in cui tutto andava alla deriva nelle vite di entrambi.
Le sue carezze hanno curato ferite aperte da troppo tempo. I suoi "ma perché non credi di potermi piacere davvero così tanto?" non hanno aiutato molto l'autostima che è andata a farsi fottere da un paio d'anni, ma hanno aiutato il cuore a sorridere.
Tutto fantastico e poetico se non fosse che lui è una specie di nomade sempre in giro per il mondo e io un disastro che non resiste più di un tot di giorni da sola.
È ripartito per altre date, non mi ha salutata perché avevamo litigato. Poi si è scusato, ma con 1000 km in mezzo tutto suona più asettico e freddo.
"Vieni a Roma da me."
"Non posso, lo sai che lavoro."
Non ci siamo mai fatti promesse, non potremmo.
M. mi ha cercata quasi per caso, per una scemenza. Poi abbiamo cominciato a parlare. Da quando ha avuto quell'incidente si sente diverso. La differenza la percepisco nettamente anche io. Una sera lo chiamo. Ha preso dei cuccioli di cane, mi ha invitata ad andare a vederli.
Sono andata e dopo 4 ore eravamo abbracciati e ci siamo baciati.
Non ci sono state farfalle nello stomaco o fuochi d'artificio, niente di quello che ci sarebbe stato un anno fa, sempre con lui.
Niente di quello che c'è con Tizio.
Le farfalle ci sono, ma non sono di M.
Oggi, alle 20, ero in macchina con mia madre.
Lei guidava, io ho aperto instagram.
C'era lui, bello da far male. Bello che le farfalle sono diventate 10 miliardi e si sono agitate parecchio.
Sullo sfondo una tizia in bikini, una smorfia stupidina sulla faccia.
Ho letto gli hashtag e le lacrime hanno cominciato a scendere senza che me ne accorgessi. Mia madre se n'è accorta e ha chiesto.
"Niente mà, Peppe ha messo una foto con una ragazza."
"Buttana a r'idu!" (mannaggia a lui)
"No, mà, buttana a mia! È colpa mia."
E la mia domenica è finita così, con mia madre che cerca di consolarmi e dire che non sono sbagliata. Io che scappo e vado a mangiare la mia arancina preferita. Non mi consola.
Pamela, un'altra delle p., mi chiede che ho. Dico che sto male e scoppio di nuovo a piangere. Il ciclo non aiuta. Nemmeno lei mi consola.
Fabio dice che gli dispiace, gli voglio bene perché non mi ha mai detto "te l'avevo detto". Nemmeno lui mi consola.
Torno a casa e devo resistere alla voglia di guardare ancora quella foto. Di farmi male ancora. Perché? Perché mi faccio questo?
Guido nella notte col finestrino aperto e vorrei guidare tutta la notte fino a perdermi in un posto che non conosco.
Quando sono quasi arrivata a casa ho un'idea.
A settembre mi faccio un altro tatuaggio.
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weirdesplinder · 3 years
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Rachel Caine
Ho scoperto con dolore che un’altra voce della letteratura internazionale è venuta a mancare. E’ morta infatti Roxanne Longstreet meglio conosciuta con lo pseudonimo RACHEL CAINE nel mondo urban fantasy.
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Sito dell'autrice:
http://www.rachelcaine.com/
Da noi in italia è diventata piuttosto famosa intorno al 2010 quando la sua serie di libri sui vampiri chiamata Morganville vampires è stata pubblicata da Fanucci. Una serie urban fantasy new adult ambientata all'università. Quando la lessi mi ricordò molto il telefilm Buffy per alcuni particolari, infatti ha un tono molto scanzonato. Abbiamo una città controllata da vampiri, e quattro ragazzi, senza superpoteri (o quasi, uno è un fantasma e una un genio), che in ogni libro risolvono diversi guai e sopravvivono.La mia opinione di questi libri è che sono carini, ma non tra i miei preferiti, senza dubbio i primi due sono tra i più belli, dopo il terzo vanno un pò in stallo. Mi sarebbe piaciuto che le storie d'amore tra Micheal e Eve, e Shane e Claire, avessero più spazio e soprattutto che fosse tradotta e pubblicata interamente in italiano, invece purtroppo qui da noi sono stati pubblicati solo i primi 4 libri.
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1. Il diario di Eve Rosser (Glass houses)
Editore: Fanucci
Trama: Claire Danvers è una matricola di un piccolo college del Texas, ma è più giovane di tutte le altre matricole, in quanto essendo un piccolo genio, ha finito le superiori in meno tempo degli altri, così ora a 17 anni è all'università. Ne ha abbastanza del dormitorio da incubo e delle sue compagne, ragazze molto popolari che non fanno altro che ricordarle il suo status sociale: meno di zero. Perciò scappa dal campus, e trova rifugio in una antica e imponente casa, di proprietà di un altro studente più grande, che vedendola in difficoltà le offre una stanza in affitto, anche se intuisce lei sia minorenne. Così si ritrova a vivere con tre coinquilini più grandi, una gentile ragazza dark, Eve, innamorata pazza del padrone di casa, Micheal,un musicista che in realtà si scoprirà nasconde un enorme segreto: è morto ed è un fantasma, per questo non si vede mai di giorno, e un altro ragazo, Shane, di cui Claire si innamorerà e che anche lui ha enormi segreti. Ma in realtà tutta la cittadina di Morganville è un enorme segreto e Claire avrebbe fatto meglio a scegliere un'altra università. Infatti la città è in mano ai vampiri. Controllano la politica e la gente e fanno il bello e cattivo tempo. Insomma immaginatevi Sunnydale senza Buffy, ma con vampiri che hanno un minimo di regole.
2. Il destino di Clare (Dead girl ’s dance)
Trama: Claire ha diversi problemi, vive in una cottadina piena di vampiri e scopre che il suo ragazzo e coinquilino è figlio di un cacciatore di vampiri! E ora suo padre sta venendo in città e rischia di rompere il precario equilibrio tra vivi e morti.
3. Il vicolo dei segreti (Midnight alley)
Trama: a volte essere super intelligenti non è bello, Claire lo sa bene, specie se un antico vampiro vuole usare la tua intelligenza per trovare un antico manufatto….
4. Appuntamento al buio (Feast of fools)
Trama: Un patto mantiene una relativa pace tra vampiri e umani, ma Claire sa che non durerà. Mr Bishop, un vampiro molto potente, è troppo cattivo per non tentare di causare guai e infatti eve scoprirà che ha in mente un piano omicida che metterà in atto durante un ballo….
Gli altri libri inediti in italiano:
 5. Lord of Misrule (2008)   6. Carpe Corpus (2009)   7. Fade Out (2009)   8. Kiss of Death (2010)   9. Ghost Town (2010)   10. Bite Club (2011)   11. Last Breath (2011)   12. Black Dawn (2012)   13. Bitter Blood (2012)   14. Fall of Night (2013)   15. Daylighters (2013)
Ma Rachel Caine, ha scritto molto altro che non è mai arrivato nel nostro paese. in realtà è famosa in America anche per una sua serie adulta, The Weather Warden series, composta da 9 libri e non ancora completata:
Questa serie narra le avventure dei custodi del tempo, grazie ai loro poteri, questi uomini e queste donne, possono controllare il tempo, tempeste, uragani ecc.. Ma la loro razza è collegata alla magica razza dei Djinn, i geni, come il genio di Aladino…
Ho provato a leggere la serie, ma l'ho trovato troppo confusa per i miei gusti, in realtà dopo ho scoperto che era così, pechè questa serie, è una costola di un'altra serie che la Caine aveva pubblicato anni prima col suo vero nome.
Di questa autrice ho letto anche la miniserie Red letter days, composta da solo due libri:
1.Devil’s Bargain
2.Devil’s Due
Jazz è una ex poliziotta con uno scopo ben preciso in mente: aprire una agenzia invstigativa privata e provare l'innocenza del suo ex collega accusato di omicidio. Purtroppo però nessuno vuole prestarle i soldi che le servono. Almeno finchè un affscinante avvocato non bussa alla sua porta con un'offerta che non può rifiutare: 100.000 dollari per aprire la sua agenzia in cambio di due cosucce. Un socio silenzioso e misterioso, e promettere che ogni caso che le arriverà in una busta rossa avrà la sua priorità. Un'accordo diabolico in molti sensi……
Questa serie mi era piaciuta molto, specie il primo libro. Carino e frizzante. E romantico.   
Ho letto anche in lingua originale i primi due libri della serie Revivalist :
  1. Working Stiff (2011)   2. Two Weeks Notice (2012)   3. Terminated (2013) Trama: Bryn Davis è stata uccisa sul posto di lavoro dopo aver scoperto che i suoi capi stavano vendendo una droga in grado di resuscitare i morti. Ora, resuscitata proprio da quella droga, più o meno, è diventata una soldatessa non morta nella guerra sotterranea nata per distruggere la compagnia farmaceutica responsabile della sua attuale condizione…… La mia opinione: il primo libro mi è piaciuto molto e l’ho trovato molto innovativo e sensato. Positivisssimo, a mio avviso, per quanto riguarda il mio gusto personale, il fatto che la protagonista sia una ex soldatessa, che di ritorno dall’Iraq, dopo tutto ciò che ha passato, decide di cambiare mestiere e di tentare di far carriera in un agenzia di pompe funebri, poichè ormai dopo ciò che ha visto e dovuto fare in guerra i cadaveri non la spaventano certo più. Il fatto che sia un ex soldatessa che conosce perciò tecniche di combattimento e sa usare armi, rende plausibili molte cose che avvengono dopo nel libro. Non siamo davanti alla solita studentessa o impiegata che dopo l’incontro con il soprannaturale di punto in bianco diventa una macchina da guerra invincibile, qui avevamo già una donna addestrata a combattere e a sparare! Finalmente un pò di logica! Ci sta anche perciò che scelga di lavorare nelle pompe funebri, non è un caso o una stranezza, è una scelta ponderata e seria…..che ha a che fare con l’onore che ci può essere nel prendersi cura a dovere dei morti, anche qui non parliamo di caso o ragioni campate in aria, dietro ai fatti l’autrice intreccia un passato e ragioni plausibilissime e nobili e così ci fa capire molto con poche parole.
Il secondo libro purtroppo però mi ha deluso poichè prende davvero troppo dai film di Resident evil e la serie vira molto verso l’horror.
La serie più recente scritta dalla Caine invece non ha niente di paranormal ma è  di genere thriller ed è la serie Stillhouse Lake composta dai libri :
 1. Stillhouse Lake (2017)   2. Killman Creek (2017)   3. Wolfhunter River (2019)   4. Bitter Falls (2020)   5. Heartbreak Bay (che sarebbe uscito nel 2021)
E ho scoperto solo oggi cercando informazioni sull’autrice che il primo libro di questa serie è stato pubblicato da Newton Compton in Italia nel 2019
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1.Il mistero della casa sul lago
Gina Royal è l'esempio perfetto della normalità: una timida e riservata casalinga del Midwest con un matrimonio felice e due bambini adorabili. Ma quando un incidente in macchina rivela la doppia vita segreta di suo marito, tutto cambia. Mel, l'adorabile Mel è un serial killer. Ha torturato e ucciso diverse donne nel garage di casa. Gina è costretta a farsi una nuova identità: anche se è stata scagionata dalle accuse di complicità, l'opinione pubblica la considera ancora un'assassina. Si trasferisce così nella località remota di Stillhouse Lake, con il nuovo nome di Gwen Proctor. Nonostante sia ancora bersaglio degli attacchi spietati degli stalker su internet, spera di aver trovato finalmente un posto in cui i suoi figli possano crescere sereni. Ma si sbaglia di grosso. Il ritrovamento di un corpo nel lago e alcune misteriose lettere significano l'inizio di un nuovo incubo. E Gwen Proctor dovrà cercare di proteggere coloro che ama da un pericolo strisciante e nascosto. Ma questa volta dovrà difendersi da sola.
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scienza-magia · 4 years
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Teoria di unificazione delle forze fondamentali
La strabiliante teoria del Quasi Tutto. Dagli elettroni fino ai quark. Quali sono le particelle elementari della materia? Viaggio tra la tavola di Mendeleev, lo "zoo di particelle" e il Modello standard. Nel 1969 l’accademia svedese insignì Murray Gell-Mann con il premio Nobel per la fisica “per i suoi contributi e scoperte nella classificazione delle particelle elementari e delle loro interazioni”. Proprio questo tema è stato il focus principale dell’ultimo articolo in cui abbiamo introdotto i “quark”, alcuni degli ingredienti di cui sono composte le particelle che compongono la materia (leggi qui). Quello era solo un assaggio: oggi la ricetta completa. Vi avevamo raccontato come tutti gli elementi conosciuti nel ‘800 potessero essere ordinati secondo le loro proprietà nella tavola periodica di Mendeleev e che quest’ordine scaturisse dal fatto che tutti gli elementi sono costituiti da sole tre particelle fondamentali: elettroni, protoni e neutroni. La soddisfazione per aver individuato i componenti essenziali della materia non durò a lungo: a partire dagli trenta vennero scoperte decine e decine di nuove particelle ritenute “fondamentali”.
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Ci eravamo quindi lasciati al fatto che i pattern triangolari che emersero mettendo ordine in questo “zoo” di nuove particelle, portò alla teorizzazione di tre nuove particelle ancora più fondamentali, chiamate quark “up” (“sù”), quark “down” (“giù”) e quark “strange” (“strano”). Ai tre quark iniziali ne vennero successivamente aggiunti altri tre: il “charm” (“bello”), il “top” (“sopra”) e il “bottom” (“sotto”). Ve l’avevamo detto che ne avremmo incontrati di nomi bizzarri. Quello che non abbiamo ancora detto è quali sono le caratteristiche usate per organizzare tali particelle. Come abbiamo visto la scorsa settimana, Mendeleev nella sua tavola periodica degli elementi ordinò questi ultimi secondo il peso atomico e secondo alcune caratteristiche chimiche come il fatto di essere metalli o gas. Per un mazzo di carte, ad esempio, potremmo usare il colore, il seme e il numero. Nel caso dello “zoo di particelle”, invece, per organizzarle ci fu bisogno di usare caratteristiche come la carica elettrica e altre per le quali è necessario un intero corso di fisica quantistica avanzato per comprenderne le origini. “Stranezza” e “bellezza” sono solo due dei nomi evocativi che sono stati usati per chiamare queste caratteristiche che in termini tecnici vengono identificati come “numeri quantici”.
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La cosa interessante è che per formare protoni e neutroni c’è bisogno solo di due tipi di quark, l’up e il down. Un protone è infatti composto da due quark up e uno down, ed il neutrone da un quark up e due down. Insieme all’elettrone, up e down sono quindi sufficienti a formare tutti gli atomi della tavola periodica e, più in generale, tutta la materia stabile che conosciamo. Ancora più interessante è il fatto che gli altri quattro tipi di quark sono, in termini di proprietà quantistiche, una copia dei quark up e down, solo più pesanti. Sono necessari a spiegare l’esistenza di particelle che vivono così poco da poter essere osservate solo in esperimenti ad alte energie (come al CERN) o nei raggi cosmici. Pensate che la particella “lambda” è considerata la Matusalemme di questo tipo di particelle, e sopravvive in media solo un miliardesimo di secondo. Come per i quark, esistono anche due copie più pesanti e instabili dell’elettrone, chiamati “muone” e “taone”. Se aggiungiamo i neutrini (ai quali ci dedicheremo in un articolo futuro), ecco che abbiamo nominato tutte le particelle elementari di materia ad oggi conosciute. Il fatto che anche i neutrini esistono a loro volta in tre versioni, neutrino elettronico, muonico e tauonico, fa emergere anche a livello sub-sub-atomico, il più elementare che conosciamo oggi, una struttura organizzativa: tre famiglie (dette generazioni) di quattro particelle ognuna (vedi l'infografica).
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L’ordine nella tavola periodica scaturiva dalla presenza di allora sconosciute particelle subatomiche, così come l’ordine tra le particelle dello “zoo” portò alla scoperta delle particelle ancora più fondamentali che abbiamo descritto in questo articolo. La domanda può quindi sorgere spontanea: si cela qualcosa anche dietro la struttura organizzativa di queste particelle elementari, dietro l’esistenza di due versioni più pesanti ed instabili, ma altrimenti identiche, delle particelle della prima colonna? Siamo veramente arrivati agli “atomi” democritei nel senso stretto del termine, ovvero agli elementi indivisibili, o il nostro viaggio può continuare? Anche se al momento non abbiamo alcuna evidenza sperimentale del fatto che queste particelle che abbiamo descritto possano essere a loro volta composte da elementi più elementari, come potete immaginare non siamo i primi a porci queste domande. Diversi gruppi di ricerca lavorano già da decenni per trovare la risposta. Avrete sicuramente sentito parlare, per esempio, della Teoria delle Stringhe. Fra le tante cose che cerca di fare come “teoria del tutto” c’è quella di descrivere tutte le particelle presentate in questo articolo come oscillazioni di elementi più fondamentali, le stringhe appunto. Metti ora caso che la teoria delle stringhe sia corretta e possa essere testata (siamo molto lontani per ora), troveremmo un ordine, un’organizzazione tra le stringhe a suggerire un ulteriore step di divisione? Insomma, l’enigma di Aristotele e Democrito è lungi dall’essere risolto (se mai potrà essere risolto), ma continua da più di 2000 anni a spingerci verso nuove scoperte, verso nuovi livelli di comprensione di ciò che ci circonda.
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Un’ultima precisazione: se tornate un attimo all’immagine qui sopra noterete che alle tre famiglie descritte in questo articolo, ci sono altre cinque particelle fondamentali. Non temete, le affronteremo più in dettaglio in articoli dedicati. Basti sapere che trasportano le interazioni che tengono insieme le particelle e danno loro massa. Infine, per ogni particella va considerata la sua antiparticella (ne abbiamo parlato qui), così da completare la moderna “tavola periodica” delle particelle elementari. Queste ultime, insieme alle loro interazioni, sono racchiuse in una teoria dal nome noioso, il “Modello Standard”, ma che per completezza e quantità di conferme sperimentali andrebbe forse chiamata, come suggerito da Glenn Starkman, professore universitario in Ohio, “la Strabiliante Teoria del Quasi Tutto”. Quasi, appunto, perché c’è una grande esclusa tra le interazioni che questo modello è capace di descrivere, la forza con la quale siamo più familiari: la forza di gravità. Beh, se trovate un modo per farcela stare il prossimo Nobel è vostro. Read the full article
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cirifletto · 4 years
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Vincent Van Gogh: 8 Strane Vicende Sulla Sua Vita
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Angoli di vita di Vincent van Gogh, uno dei pittori più famosi del panorama artistico. Ma anche simbolo del pittore tormentato. Geniale, folle, visionario. Vincent van Gogh può essere considerato uno dei pionieri dell'arte moderna e contemporanea, il padre dell’Espressionismo e l'emblema dell’artista tormentato. La malattia, l’affetto di suo fratello Theo, l’amicizia burrascosa con Gauguin, la vocazione religiosa, i viaggi solitari, l’autolesionismo e l’assenzio dipingono un quadro di esperienze travagliate.
Ma soprattutto le opere, intrise di una forza che divampa, come fuoco, dalla tela per colpire occhi e animo dello spettatore, sono punti essenziali per raccontare la vita di van Gogh.
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Campo di grano con volo di corvi, 1890, olio su tela, cm 50.5 x 103 Ecco qua 8 cose che potrebbero sorprendervi su Vicent van Gogh e la sua vita: 1 - Vincent van Gogh era solito mettere candele accese sul suo cappello in modo da poter dipingere di notte. Non è una cosa certa ma, in più lettere al fratello Theo, Vincent parla di fumo che attraversava la sua vista mentre dipingeva di notte. In un'altra lettera al fratello, van Gogh ha dichiarato: "Mi sembra spesso che la notte sia molto più viva e riccamente colorata del giorno". Inoltre, se le storie fossero vere, van Gogh andava la notte cercando qualche caffè dove dipingere, accanto ad altri clienti, indossando un cappello di paglia con lume di candela. Non posso cambiare il fatto che i miei quadri non vendono. Ma verrà il giorno in cui la gente riconoscerà che valgono più del valore dei colori usati nel quadro.Vincent van Gogh >>
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Magliette ispirate a Van Gogh    2 - Anche se si è sempre creduto che la morte di van Gogh sia avvenuta per suicidio, alcuni pensano che possa essere stato ucciso. La morte di Vincent van Gogh avvenne a soli 37 anni per un colpo di rivoltella, probabilmente auto inferto. In un libro pubblicato nel 2011, chiamato 'Van Gogh: The Life', gli autori Steven Naifeh and Gregory White Smith, vincitori del Premio Pulitzer, affermano che van Gogh non si è suicidato, ma piuttosto un bullo adolescente locale l'ha ucciso. Gli storici dell'arte non hanno ancora pienamente abbracciato questa teoria. Infatti, il Van Gogh Museum di Amsterdam elenca ancora la sua morte come un suicidio, ma Vanity Fair ha dichiarato che ci sono testimonianze forensi che dimostrano scetticismo sulla teoria del suicidio con una pistola. Anche vista l'assenza di bruciature sulle mani. Molti dettagli non quadrano. L'arma non fu mai trovata, le dichiarazioni di quel periodo non sono congruenti con l'accaduto, senza contare il deciso rifiuto verso la pratica del suicidio, in molte delle sue lettere.
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Altra teoria, non accreditata, poi, parla dell’abitudine, che aveva Van Gogh, di passeggiare di notte nei campi di grano. Secondo alcuni testimoni infatti, pochi giorni prima della morte dell’artista, in quegli stessi campi, alcuni ragazzi del luogo stavano giocando al tiro al bersaglio con una pistola. L’ipotesi è che l’artista possa essere stato ferito da uno di quei proiettili, per poi trascinarsi, ferito e sanguinante, nella sua camera. 3 - Qualcun altro potrebbe aver tagliato l'orecchio di Vincent van Gogh. Visto che solo una parte dell'orecchio di Van Gogh fu tagliato via, molte fonti pensano che sia dipeso da un incidente con le armi tra Van Gogh e Gauguin. Van Gogh viveva con l'amico e collega artista, che era un tiratore esperto. I due avrebbero spesso combattuto con violenza. Ma una notte, dopo un aspro duello, il lobo dell'orecchio di Van Gogh scomparve. Forse per colpa di un gesto maldestro di Gauguin. Ma, se fosse vero, è appurato che entrambi mentirono, per la vergogna di Gauguin e per la facilità a dire bugie di van Gogh. Il rapporto tra i due non era facile, le liti erano continue, anche a causa dell’instabilità emotiva di van Gogh. Per questo un'altra versione dell'accaduto racconta che la loro relazione degenerò del tutto, quando una sera, ubriaco e in preda alla rabbia, Vincent scagliò un pesante bicchiere contro l’amico. Probabilmente la causa del litigio fu Rachele, una prostituta che lavorava in un bordello frequentato dall’amico Gauguin, di cui Vincent era innamorato. In seguito, Vincent, sopraffatto dalle allucinazioni e folle di gelosia, si mozzò con un rasoio metà dell’orecchio sinistro e lo spedì a Rachele, come pegno di amore. Qualche giorno dopo, Vincent si ritrasse con una vistosa fasciatura a coprire l’orecchio mutilato.
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Autoritratto con orecchio bendato, 1889, olio su tela, cm 60 x 50 - Photo © Jean Carlo Emer 4 - Vincent van Gogh dipinse "La notte stellata", guardando fuori dalla finestra del manicomio di Saint-Paul a Saint-Rémy, da paziente auto-ricoverato. Nel mese di gennaio 1889, van Gogh fu dimesso dall'ospedale di Arles dopo l'incidente dell'orecchio. Tuttavia, per i vari problemi relativi alla sua salute mentale, pochi mesi dopo, in seguito ad una crisi, si autoricoverò nel manicomio di Saint-Paul. Mentre si trovava nel manicomio, Vincent dipinse molte delle sue opere più conosciute, tra cui "Iris", "Gli ulivi" e "La notte stellata". Van Gogh si è sempre riferito a 'La notte stellata' come un fallimento. Scrivendo al fratello, l'artista dichiarò che gli avrebbe spedito diverse opere dipinte, da vendere (o meglio, che Theo avrebbe cercato di vendere, poi senza successo!). Van Gogh definì 'La notte stellata', un dipinto "che non gli diceva niente" e che 'non era nemmeno un po' bello', così decise che 'La notte stellata' non era all'altezza e non sarebbe stata inserita nel pacchetto per essere venduta. Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni.Vincent van Gogh LEGGI ANCHE... Marc Chagall: 13 Curiosità Poco Note Sul Pittore Dei Sogni >>
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Le borse basate sui dipinti di Van Gogh    5 - Crescendo, van Gogh visitava spesso il cimitero e si fermava presso una lapide che portava il suo stesso nome. La vita di Vincent van Gogh ebbe inizio a Zundert, nei Paesi Bassi. La sua bizzarra abitudine di frequentare il cimitero e soffermarsi spesso ad un'insolita lapide con il suo nome inciso, è figlia di una triste storia. Difatti ebbe un fratello omonino, che morì prematuramente e venne sepolto nel cimitero del suo paese. Così Vincent, nel suo processo di crescita si recava sovente a trovare il piccolo fratello defunto. Il paese di Zundert celebra, ancora oggi, la famiglia van Gogh. La città comprende Vincent van Gogh Square, presenta statue commemorative di Vincent e e del fratello Theo. E una delle case dove abitò il pittore. La casa originale, sulla strada principale Zundert a Markt 29, è stata purtroppo abbattuta. 6 - Vincent van Gogh non ha cominciato a dipingere fino all'età di 27 o 28 anni, ma, prima di morire a 37 anni, è riuscito a produrre quasi 900 opere, una media di circa 2 a settimana.
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Prima di dipingere, van Gogh ha cercato di essere un ministro laico, un insegnante e un mercante d'arte, tra le altre professioni. Poi, come lui stesso scrisse al fratello Theo, alla fine di dicembre 1881, "Theo, sono così felice con la mia scatola dei colori, e penso che il mio momento sia ora, dopo aver disegnato quasi esclusivamente per almeno un anno. Così, Theo, con la pittura, la mia vera carriera ha inizio. Non pensi che ho ragione a pensarla così?". Van Gogh ha creato quasi 900 dipinti e più di 1.100 opere su carta prima della sua morte. E' stato prolifico? Certo. Ma un'altra ragione può essere il fatto che soffrisse di un problema comportamentale chiamato hypergraphia. Problema che amplifica, in coloro che ne sono colpiti, un intenso bisogno di scrivere, o, nel caso di van Gogh, di dipingere.
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          7 - I diversi gialli che Vincent van Gogh ha utilizzato nei suoi quadri sono sbiaditi e bruniti nel corso del tempo. I colori hanno costellato continuamente la vita di Vincent van Gogh. Ma uno su tutti. Van Gogh ha utilizzato il colore giallo nei suoi quadri (quasi fosse una sua firma) e ciò è stato reso possibile dalla rivoluzione industriale, che produsse un nuovo pigmento chiamato giallo cromo, un cromato di piombo tossico che, come molti dei pigmenti del periodo, era chimicamente instabile. Purtroppo questi gialli, utilizzati in dipinti come "Camera da letto ad Arles" sono, in alcuni casi, notevolmente sbiaditi e, in altri, bruniti nel corso degli anni. E così gli spettatori contemporanei non possono godere appieno della luminosità originale di queste opere. Questo cambiamento, secondo Koen Janssens, il leader di un gruppo di ricercatori che hanno testato i campioni della vernice, può essere permanente. Sempre secondo i ricercatori, invertire questa reazione chimica potrebbe probabilmente causare ancora più danni ai dipinti.
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I Girasoli, 1889, olio su tela, cm 95 × 73 - Photo © Jean Carlo Emer 8 - L'ultima persona che ha conosciuto Vincent van Gogh in vita, lo ha ricordato come "sporco, mal vestito e sgradevole". Jeanne Calment, nata nel 1875, è stata l'essere umano più longevo di cui si abbia avuto notizia certa. Ella morì nel 1997 a 122 anni. Ha vissuto la sua vita ad Arles, in Francia, dove van Gogh visse nel 1888. In quell'anno, van Gogh era solito recarsi nel negozio dello zio della signora Calment per comprare le vernici. Per questo Jeanne, che a quel tempo aveva 12 o 13 anni, ha avuto occasione di vederlo più volte e lo ha descritto come "sporco, mal vestito e sgradevole". >>
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I poster delle opere di Van Gogh    In conclusione, un'altra stranezza della vita di questo travagliato personaggio, ha a che fare proprio con il dipingere. Vincent van Gogh ha dipinto se stesso, in più di 30 autoritratti, ma non esiste alcuna fotografia di lui che dipinge. Godetevi, adesso, questa carrellata di 13 quadri, in un'animazione 3D di Luca Anagni Studio Video Projection Mapping, che riesce a renderli ancora più suggestivi e malinconici. https://www.youtube.com/watch?v=MPQSN3fNLF4 Nonostante la vita di Vincent van Gogh, lui rimane uno dei miei pittori preferiti. Un pittore che veramente nasconde l'esigenza viscerale e contemporanea di dipingere. Non come la realtà è, ma come la realtà viene percepita dall'anima. Un perfetto pittore espressionista, al culmine dell'Impressionismo. E voi? Avete un vostro pittore preferito? Avete un pittore sul quale vorreste fosse scritto un articolo di approfondimento?Scrivetelo nei commenti qui sotto Ciao da Tommaso! Vieni a visitarci sulla nostra pagina Facebook e Metti il tuo MiPiace! Condividi il nostro articolo sui tuoi social >> Read the full article
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awardseasonblog · 5 years
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Border è un film ibrido che fa della sua diversità un punto di forza. Nella sua variegata analisi non lascia indietro alcun elemento visivo e funzionale, tutto aiuta a percepire lo squilibrio che quotidianamente sentono coloro che vivono confinati in una vita che non si sono scelti. Così Tina, la protagonista, veste i panni di una donna dall’ aspetto fisico “diverso”, uno stimato ufficiale di dogana particolarmente apprezzato per il suo fiuto fuori dal comune con cui riesce a percepire l’odore della paura e il senso di colpa. Il suo dono le consente di fare un ottimo lavoro presso il piccolo porto dove lavora arrivando a sgominare un presunto traffico illecito di bambini
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Il lavoro al confine della protagonista consente al regista di usare la sua lente d’ingrandimento per fa emergere in superficie un mondo apparentemente strano e indecifrabile, fatto di personaggi dai volti grotteschi e dagli istinti primordiali, un sottobosco di creature goffe e mostruose che non tardano a rivelare la loro natura bestiale. La sua metafora lucida e inquietante rivela un riflesso disarmante della nostra società nella sua progressiva tendenza ad emarginare la diversità come arma di difesa verso tutto ciò che appare incomprensibile. Perché Border non mostra cosa c’è dietro o dopo il confine, ma si sofferma sul mezzo, su coloro che combattono perché privi di un contorno che possa definirli ed è per questo che sono discriminati, perché non sono ascrivibili a nessuna categoria sociale.
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In questo scenario la vita di Tina e la sua percezione verso il mondo che la circonda cambia quando incontra lungo il suo cammino un suo simile capace di dare un senso a tutti i suoi dilemmi. Improvvisamente ogni dubbio trova pace, ogni interrogativo trova la sua naturale risposta, ma Tina preferisce solo restare ancorata alla sua presa di coscienza e non servirsi di essa per distruggere tutto ciò che di bello ha costruito intorno a sé. Malgrado le sue origini mostruose, Tina ha imparato ad umanizzare i suoi istinti, perché la sua forza sta proprio nel mezzo, nella linea di confine tra umano e disumano.
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Un motivo per vederlo
Una delle cose che veramente impressiona di Border è il modo con cui Abbasi riesce a destreggiarsi con così tanti elementi disparati della trama, mettendo insieme vari “suoni” per poi accordarli in un’unica “orchestra”. In questo scenario la pellicola si rivela una fusione originale tra fiaba, folclore, romanticismo tragico e dramma esistenziale. È ipnotizzante nella sua stranezza iniziale si sviluppa poi in maniera stimolante trainato dal suo ricco tessuto narrativo nel quale tutti i “bordi” apparentemente frastagliati e irregolari si adattano insieme alla perfezione. Infatti il titolo non si riferisce solo al punto di controllo letterale in cui inizia la storia, ma anche ai confini tra umano e disumano, giusto e sbagliato, tra il dovere e il desiderio.
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Scena da ricordare
Una delle scene più toccanti ma anche più inquietanti del film è quando Tina scopre l’illecito traffico del suo ospite. Tra improvvise reminiscenze e un forte senso di protezione, la donna, brutalizzata nel corpo e nell’istinto scopre la sua umanità. Da quel momento in poi non sarà più la stessa e si batterà con le unghie e con i denti per far trionfare la giustizia, nonostante la sua natura le suggerisca un altro esito. E’ qui che si intravede il messaggio di Abbasi, pronto a condannare i detrattori della diversità, elevandola ad unica risorsa che abbiamo per affrontare con occhi differenti i mali del mondo.
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Premi e Riconoscimenti
Ha conquistato 4 nomination agli European Film Awards tra cui quella per il miglior film oltre al premio per i migliori effetti speciali visivi. Succcessivamente ha ottenuto il World Fiction Award al Los Angeles Film Festival, la nomination all’Oscar per il miglior trucco, mancando a sorpresa (e ingiustamente) la candidatura per il miglior film straniero. Senza dimenticare che ha vinto il premio come miglior film al Festival di Cannes nella sezione Un certain regard e ben 6 Guldbagge Awards tra cui miglior film (considerati gli Oscar svedesi)
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  Border di Ali Abbasi è un film ibrido che fa della sua diversità un punto di forza, perchè si sofferma sul mezzo, su coloro che combattono perché privi di un bordo, di un contorno che possa definirli #Bordermovie #GuldbaggeAwards #Svezia #AliAbbasi #bestmakeupandhairstyling Border è un film ibrido che fa della sua diversità un punto di forza. Nella sua variegata analisi non lascia indietro alcun elemento visivo e funzionale, tutto aiuta a percepire lo squilibrio che quotidianamente sentono coloro che…
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Non scrivo qui da molto, forse troppo tempo, ma ogni tanto è bello tornare alle vecchie abitudini, no? Non so nemmeno se qualcuno mi leggerà, chi mi leggerà, ma non interessa. Ho solamente bisogno di sputare fuori tutto quello che sto tenendo dentro da mesi.
Ho avuto una brevissima relazione, della quale sto ancora cercando di smaltire tutto lo schifo che mi ha messo addosso, dentro, fuori, ovunque. Sono stata trattata come un giocattolo che sognavi da tanto, ma nel momento in cui ti arriva inizi a giocarci sempre fino a che non ti nausea e lo vuoi fare sparire, come se non fosse mai esistito. Sono stata offesa svariate volte pubblicamente sui social, non ho mai risposto. Sono stata presa di mira, non ho mai reagito.
Stasera mi è arrivata l'ennesima bastonata da parte di questa persona, anche se indirettamente, ed è andata a smorzare tutto l'entusiasmo che avevo per una delle cose che più mi sono impegnata per organizzare quest'anno. Mesi e mesi di attesa e, a meno di tre settimane dalla partenza, mi è crollato il mondo addosso. Mi sono sentita sconfitta, una perdente, perché quella persona sta ancora avendo la meglio su di me.
Io non mi merito di stare così. Ho già sofferto abbastanza per colpa sua, non posso permettergli di rovinarmi anche il momento conclusivo di quest'estate atipica, che nella sua stranezza è stata anche abbastanza gentile nei miei confronti.
Io mi merito un po' di tranquillità. Ho cercato di eliminare tutte le situazioni tossiche dalla mia vita, di concentrarmi su altro, ma probabilmente non è ancora il mio momento.
Non ne posso più, mi sento inutile ed impotente davanti a questa marea che continua ad inghiottirmi e, nonostante io sappia nuotare, non mi lascia scampo. Mi allontano, nuoto sempre più velocemente verso la riva, ma puntualmente mi travolge e non mi lascia respirare.
Le persone che mi circondano sono al corrente della situazione, mi dicono "devi dimenticare", ma come posso dimenticare una persona che, in pochissimo tempo, mi ha costruito un castello bellissimo per poi farlo crollare tutto addosso a me? Decidendo poi di infuocare ciò che era rimasto?
Non riesco a non pensarci, è più forte di me. Ho bisogno di voltare pagina, ho bisogno di un qualcosa che mi travolga definitivamente, che mi porti a riva e dolcemente mi lasci naufragare verso la riva più vicina, dalla quale potrò finalmente ricominciare a vivere.
Fino a quando non arriverà quel qualcosa, però, dovrò lottare con questa marea, che sta per inghiottirmi proprio ora.
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